Valencia, luci e ombre

Tour gastroarchitettonico tra le meraviglie e le contraddizioni della cattedrale nel deserto
Scritto da: lauracassinelli
valencia, luci e ombre
Partenza il: 31/08/2013
Ritorno il: 03/09/2013
Viaggiatori: 2
Spesa: 500 €
Penso alla Spagna, al sole, al buon cibo, alla movida, all’arte e ci sono sufficienti motivi per spulciare le rotte Ryanair e decidere di trascorrere quattro giorni a Valencia. Pur essendo tra le principali città spagnole, posizionata al terzo posto come numero di abitanti dopo Madrid e Barcellona, il Rinascimento di Valencia è storia recente dovuto ad un mix di grandi eventi (America’s Cup nel 2007 e nel 2010), ad un grande e contestato architetto che ha creato una città nella città (Calatrava e la sua Ciudad de las Artes y las Ciencias) e secchiate di finanziamenti europei. Per la proprietà commutativa, invertendo l’ordine dei fattori il risultato non cambia. Ma una delle principali compagnie low cost che inserisce almeno un volo giornaliero dai suoi aeroporti più importanti di sicuro dà una spinta in più.

In virtù della sua recente apparizione nel panorama turistico, esistono pochissime guide di Valencia e nessuna è stampata nell’ultimo anno; decido quindi di cercare informazioni su internet navigando sui vari siti a tema: da un lato trovo rassicurante scoprire che nel 2013 su internet non si trova tutto, altrimenti quel lato un po’ avventuroso che caratterizza ogni viaggio sarebbe irrimediabilmente perso. Al tempo stesso, ritengo che alcune informazioni rendano la vita di ogni turista più semplice.

1^ info pratica – M come Metropolitana: l’aeroporto di Valencia è collegato al centro città con due linee di metropolitana nuove di pacca. Le novità cominciano al momento di fare il biglietto ad un distributore automatico: sulla stessa tessera vengono caricati i biglietti di più persone, ma occorre far scorrere sui lettori ottici la tessera due o più volte (a seconda del numero di persone) affinchè le sbarre rimangano aperte. Altrimenti pagate due biglietti, ne vidimate solo uno, la prima persona passa e la seconda rimane incastrata in mezzo alle porte di vetro (scena di vita vissuta). La tessera ha un costo fisso di un euro ed è ricaricabile, quindi non buttatela e ricordatevi di selezionare il biglietto “Andata e ritorno” che dà diritto ad un prezzo scontato. Se il vostro hotel è situato nelle prossimità del centro storico, la Ciutat Veilla, non conviene fare l’abbonamento ai mezzi pubblici: Valencia si gira benissimo a piedi ed è possibile noleggiare delle biciclette.

Quindi dopo due ore di volo, venticinque minuti di metro, tre minuti per riuscire ad uscire dalla metro, cinque minuti a piedi, arriviamo nel nostro albergo. L’Husa Dimar rispecchia la nuova identità valenciana: è un hotel moderno, curato nei dettagli, accogliente; ogni camera di ampio respiro e dai colori di tendenza ha una parete decorata a tema e a noi tocca l’Oceanografico.

E’ sera, ci dirigiamo verso il centro e la prima immagine impressa sulla mia retina sono le enormi mangrovie che delimitano Piazza Alfonso El Magnanimo. Proseguiamo verso la cattedrale e non si può che rimanere colpiti dalla sfilata di facciate liberty tirate a lucido di fresco. Ci addentriamo nei vicoli del barrio e vaghiamo per un po’ senza una meta precisa: vediamo gli invitati ad un matrimonio in abito da sera seduti in una piazzetta a mangiare tapas, una signora vendere rosmarino ai passanti e molti locali con la serranda giù “serrado por vacaciones”. Decidiamo di entrare in una birreria dal gusto retrò e con le pareti decorate di maioliche blu “Cerveceria 100 Montaditos” e ci troviamo nel paradiso dei panini. Sul listino ci sono cento tipi di panini imbottiti di ogni bendidio con un prezzo che varia da 1 euro ad 1,50 euro; ognuno scrive il numero del montadito e la quantità sul blocchetto delle ordinazioni, lo consegna alla cassa, paga, ritira le birre, sangrie o tinto di verano (tutto sempre ad un euro) ed aspetta di essere chiamato per ritirare il proprio tagliere colmo di mini baguette farcite e patatine fritte. Decisamente sazi torniamo in albergo.

E fu sera e fu mattina, secondo giorno

2^ info pratica – C come Colazione: se avete optato per una formula solo pernottamento, scrutate con attenzione i dintorni dell’albergo per trovare in quale caffè fare colazione. In centro ci sono diverse opzioni, ma i quartieri limitrofi diventano il deserto dei tartari la domenica mattina. Noi ci incamminiamo fiduciosi verso la Città delle Arti e della Scienza e snobbiamo il primo baretto sotto l’hotel pensando che sicuramente ne avremmo trovati di più carini lungo la strada. Errore madornale: incrociamo solo ristoranti rigorosamente chiusi, la caffetteria dei musei è anch’essa chiusa, e ci accorgiamo ben presto che la Città delle Arti e della Scienza sorge in una zona residenziale di soli condomini e centri commerciali. Insomma non c’è anima viva e di un bar dove bere un caffè o mangiare un croissant non c’è traccia per chilometri.

Nella nostra ricerca di un posto dove fare colazione, superiamo i cancelli d’ingresso all’Oceanografico, ma quando cerchiamo di fare il giro attorno all’acquario per entrare nuovamente nel parco, ci troviamo in una sorta di cantiere abbandonato e ci chiediamo quale strano edificio è rimasto in bozza solo nel pensiero di Calatrava, una volta finiti i finanziamenti. Sulla destra una strada si protende verso il nulla priva di una qualsivoglia indicazione stradale. Non ci resta quindi che attendere l’apertura dell’acquario insieme ad altri visitatori mattinieri (sono le dieci e per gli spagnoli è l’alba); gli ambulanti con il loro banchetto di bibite e merende sarebbero arrivati ben più tardi. Il biglietto d’ingresso è tutt’altro che economico (euro 27,90 ad adulto) e rinunciamo alle soluzioni combo sicuramente più vantaggiose che consentono l’accesso al museo della scienza ed all’emisferico. L’Oceanografico racchiude i diversi ambienti marini passando dal Mare Nostrum, alle acque tropicali e temperate fino agli oceani artici: l’allestimento è di grande impatto e si possono vedere da vicino beluga, trichechi, pesci tropicali, squali e pinguini, oltre alle voliere dei fenicotteri e dei rapaci. Vale la pena controllare gli orari degli spettacoli al delfinario: noi siamo arrivati giusto in tempo per assistere alle loro acrobazie ed è una bella esperienza per grandi e piccini.

Terminata la nostra visita, torniamo sui nostri passi fino a raggiungere l’accesso ai Jardin del Turia e ci dirigiamo verso il porto per visitare la zona in cui si è tenuta l’America’s Cup. Improvvisamente ci troviamo di fronte una siepe e notiamo che chi sta facendo jogging torna indietro. Il parco di nove chilometri lungo il letto del fiume Turia si spegne nel nulla di una siepe. Estraggo la cartina e decido di proseguire lungo la strada principale. Poco oltre una barriere di cemento e le rotaie della metropolitana. Accesso negato. Non mollo e trascino il mio paziente accompagnatore in una maratona in un quartiere non esattamente turistico, senza riuscirmi a capacitare del come il porto non fosse facilmente raggiungibile, e del perché questa informazione non fosse per niente chiara sulla cartina. Per poter arrivare su una via che sembra finalmente dirigersi nella direzione corretta, attraversiamo un vialetto sterrato per pedoni e biciclette, oltrepassiamo i vecchi depositi portuali ristrutturati o in un precario equilibrio statico, vediamo gli effetti della bolla immobiliare con scheletri di palazzo abbozzati e poi abbandonati, e diversi cartelli affittasi e vendesi penzolanti dai balconi. Dopo un tempo indefinito la strada si apre in una piazza e troviamo le indicazioni per il porto, ma la vista non è esattamente come ce la aspettavamo. I capannoni costruiti per ospitare le varie squadre sono esternamente addobbati a festa, ma avvicinandosi si intravedono gli interni vuoti. Un club che una volta doveva ospitare feste ed eventi è tristemente chiuso ed il Palazzo delle Vele e del Vento è un trionfo architettonico svuotato del suo significato, come molti dei grandi edifici che scorgiamo per centinaia di metri.

Ovviamente di posti aperti dove mangiare nemmeno l’ombra. Facciamo un ultimo tentativo avventurandoci fino al lungomare e lì troviamo uno stuolo di ristoranti, gente in spiaggia e vita. La zona è molto turistica, quindi i prezzi ed i menù dei vari locali tendono ad assomigliarsi l’uno con l’altro: in queste occasioni credo che farsi guidare dal proprio istinto, osservando i piatti che vengono serviti ai tavoli sia la soluzione migliore. Assaggiamo la più classica delle specialità spagnole, la paella, e decidiamo di tornare a piedi in albergo per goderci il pomeriggio di sole. In serata torniamo verso il centro e ci lasciamo convincere da alcune recensioni esageratamente positive a mangiare al Sagardi, un locale specializzato in tapas. Sul bancone c’è un ampia scelta di crostini freddi che soddisfano più gli occhi che la bocca, mentre i camerieri passano tra gli avventori ad offrire i crostini caldi, che finiscono regolarmente prima di arrivare ai tavoli all’esterno. Ogni tapas costa 1,95 euro, vengono contati il numero di stecchini sul piatto e voilà, il conto è fatto. Passeggiando tra le vie ed i vicoli intorno alla cattedrale ci imbattiamo in un locale specializzato in succhi di frutta e centrifugati, Zumeria Russafa: con 5 euro potrete scegliere la vostra coppa di succo di dimensione gigante, spremuto sul momento e con abbinamenti davvero gustosi ed originali.

Attraversiamo Plaza dell’Ayuntamiento, dove il municipio e le poste si fronteggiano e contendono il primato di sfarzo; entrambi i palazzi sono stati costruiti nella prima metà del novecento nel più classico stile barocco spagnolo. Mentre torniamo in albergo ci chiediamo se la movida cominci a notte inoltrata o sia semplicemente in un altro quartiere, visto che incrociamo principalmente gruppi di turisti e la città ci sembra abbastanza tranquilla.

Il sole illumina il lunedì e, memori dell’esperienza del giorno prima, ci dirigiamo verso il centro per fare colazione.

3 info pratica – R come Recensione: ormai è possibile trovare opinioni e giudizi su qualunque esercizio commerciale, esperienza o affini; ricordate semplicemente che quello che è piaciuto ad altri – soprattutto se stranieri – non necessariamente piacerà anche a voi. I gusti in fatto di cibo sono estremamente personali ed influenzati da cultura ed abitudini: questa è una lezione che ho imparato a mie spese in questi giorni valenciani. Ci infiliamo nella pasticceria Horcateria Santa Catalina e ci troviamo in un salone elegante di inizio novecento, irrimediabilmente vuoto. Il bancone offre solo croissant vuoti, che farciamo da soli con un vasetto di marmellata servito a parte. Vista la stagione e l’ora evitiamo la cioccolata calda e l’orzata, le vere specialità della casa e ripieghiamo su una spremuta d’arancia ed un cappuccino da dimenticare. Capitolo recensioni chiuso, d’ora in poi andiamo a caccia da soli dei posti dove mangiare.

Per due euro ci inerpichiamo lungo i 207 gradini che conducono alla sommità del Miguelete, la torre della cattedrale, ed osserviamo Valencia dall’alto. Girovaghiamo per il centro, stupendoci del fatto che le macchine abbiano accesso persino alla Plaza della Virgen, raggiungiamo le Torres de Serranos, porta di accesso alla città dai tempi del Medioevo e proseguiamo la nostra visita al Mercado Central, un trionfo di eleganza in ferro e vetrate colorate in puro stile modernista. Il mercato pullula di vita ed è bello immergersi nei colori della frutta, negli odori delle spezie, nelle forme dei prosciutti ed assaggiare l’orzata.

A pochi passi dal mercato si trova la Lonja della Seta, edificio che gode il titolo di Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco: sempre per due euro si possono visitare il giardino, il salone delle colonne dove venivano stipulati i contratti e la sala del consolato del mare. A mezzogiorno è ancora presto per cercare un posto dove pranzare e quindi decidiamo di oltrepassare le Torres de Quart, che delimitano l’accesso al centro ad ovest per raggiungere il giardino botanico. Anche qui il biglietto d’ingresso costa due euro e ci troviamo immersi in un paradiso verde tra cactus, aloe, banani e piante provenienti dai quattro angoli del globo. Studiamo incuriositi i cartellini che contraddistinguono le piante e ci riposiamo dalla calura su una panchina all’ombra finchè il nostro stomaco non decreta che è ora di rifocillarsi. Molti locali offrono menù per il pranzo, basta uscire dalle vie più turistiche e troverete il posto adatto a voi: noi scegliamo un ristorantino con tre tavoli affacciati in strada e con 9 euro mangiamo prosciutto e melone, baccalà al forno e un dolce.

La nostra esplorazione nella Valencia storica prosegue alla Estacion del Norte, la stazione dei treni inaugurata nel 1917 che ancora presenta splendidi mosaici e vetrate decorate, alla Plaza de Toros teatro delle corride, e al Mercado de Colon, un arioso edificio ispirato nei colori e nelle forme a Gaudì. Peccato che a parte qualche caffè e bar sia tutto vuoto: un’altra bellissima cattedrale nel deserto.

Inauguriamo la serata con un giro di tapas in una Cerveceria 100 Montaditos dietro il nostro albergo, ci incamminiamo verso la Città della Scienza per vederla illuminata di notte ma quando raggiungiamo i Giardini del Turia non vediamo nulla. Proseguiamo e con nostra grande delusione scopriamo che l’illuminazione non è accesa, i costi di gestione saranno troppo alti? O forse si sono semplicemente dimenticati di accendere l’illuminazione? Abbastanza abbacchiati torniamo sui nostri passi e notiamo che i locali pieni di gente all’ora dell’aperitivo si vanno vuotando e troviamo facilmente posto da Adriani dove mangiamo un’ottima grigliata di pesce e un dolce a 14 euro. Della movida valenciana non troviamo traccia, forse perchè gli studenti universitari sono ancora tutti in vacanza…

La terza e ultima mattina a Valencia inizia con la preparazione delle valigie ed il ritiro della bici a noleggio direttamente in albergo, soluzione più economica e più pratica dei servizi di noleggio ufficiali, per mezza giornata spendiamo 8 euro a testa. Stavolta facciamo colazione in un caffè con una vetrina decisamente invitante che affaccia su Plaza de la Reina e soddisfatti ci rimettiamo in sella per la nostra esplorazione dei Jardin del Turia. Percorriamo tutta la pista ciclabile nel parco, superiamo lo zoo ed un lago con delle improbabili imbarcazioni a forma di cigno, finchè giungiamo alla fine del percorso ufficiale e non ci resta che girare le bici e tornare indietro. Valencia pullula di parchi e giardini e facciamo una sosta ai Giardini Reali, prima di proseguire fino alla Città della Scienza ad ammirare per un’ultima volta le strutture ardite che bianche si stagliano contro l’azzurro del cielo e degli specchi d’acqua. Da aggiungere al capitolo contraddizioni: l’Agora, un edificio blu maestoso e deserto, viene utilizzato in rare occasioni, come le premiazioni degli Open di tennis, una volta all’anno per intenderci. Oppure l’Umbracle avveniristica galleria pedonale costruito sopra un parcheggio coperto che costeggia parte della Città della Scienza. Idea suggestiva, se il percorso fosse interamente accessibile – e non chiuso perchè di proprietà di un locale esclusivo, anch’esso chiuso – e se i rampicanti, che dovevano ricoprire la struttura creando appunto una percorso all’ombra, fossero vivi e vegeti.

Ci rimettiamo in sella e ci dirigiamo verso Xativa, alla stazione dei Treni, visto che avevamo addocchiato una via pedonale con diversi bar e ristoranti, e scopriamo di essere nel cuore dello shopping valenciano. Leghiamo le biciclette e ci avventuriamo a piedi alla scoperta di questa zona: oltre ai negozi dei principali marchi internazionali, filiali del Corte Ingles sbucano ad ogni angolo. Curiosando tra le vetrine impariamo una lezione di moda: in Spagna hanno una grande passione per l’animalier, il leopardo e lo zebrato trionfano in tutte le loro declinazioni dalle tazzine per il caffè, ai peluche per bambini, ai complementi d’arredo. Oltre ovviamente a campeggiare sui più svariati capi d’abbigliamento. Per il pranzo non c’è che l’imbarazzo della scelta, la zona è un reticolo di vie pedonali invase dai tavolini dei ristoranti che offrono menù di tre portate a circa 10 euro (tenete d’occhio l’orologio perchè certi menù sono validi solo dopo le 13.30). Scegliamo il locale che ci sembra sufficientemente tipico ma non turistico e, nell’attesa che arrivino le fatidiche 13.30, assaggiamo un paio di tapas. Proseguiamo con paella alla valenciana, un secondo a scelta e un dolce. Un pasto normale, senza particolari menzioni d’onore o disonore. Bighelloniamo ancora per un po’, torniamo in albergo per consegnare le biciclette, ritirare i nostri bagagli e dirigerci all’aeroporto in metropolitana. I controlli di sicurezza sono rapidi e non dovendo imbarcare il bagaglio abbiamo tempo per esplorare l’aeroporto e chiederci l’utilità di 65 gates d’imbarco e chilometri di corridoi costellati di negozi chiusi.

Ripenso alla Spagna, al sole, al buon cibo, alla movida, all’arte e stendo mentalmente una breve lista:

sole, a bizzeffe, mi sono abbronzata persino io irrimediabile mozzarella;

cibo, niente male, ed in generale a prezzi contenuti;

movida, non pervenuta;

arte, Valencia è un compendio di storia dell’architettura dalle torri mediovali ai mercati liberty, dalla cattedrale barocca alla contemporaneità dei progetti di Calatrava.

Nella sua bellezza e nelle sue contraddizioni, Valencia assomiglia incredibilmente a certi angoli nostrani di profondo Sud.

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