Vacanza a Manhattan

Manhattan, ponte di Brooklyn, Fire Island
Scritto da: Walter Abes Zena
vacanza a manhattan
Partenza il: 15/07/2011
Ritorno il: 01/08/2011
Viaggiatori: 2
Spesa: 2000 €
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Vacanza a metà luglio, sollievo, ansia e leggerezza: nessun programma definito quest’anno ma solo biglietti aerei e prenotazione d’albergo in tasca da metà aprile, con uno scalo rivelatosi inutile, a Lisbona. Dormirci una notte senza poterla minimamente visitare è stato castrante, data la fama decantata da tutti. Comunque il suono della lingua portoghese è stato per le mie orecchie un balsamo anche mentale, dopo 1 anno di lavoro e 2 ore e mezza di ritardo da Malpensa. Il volo finale è appunto Lisbona-Newark: in altre parole si va a Newyork! Dall’oblò, senza conoscere la rotta, vedo un mare ghiacciato, che potrebbe essere anche una distesa di nubi consistentissime, ma molto al di sotto della nostra quota. Dopo un pisolino intravvedo un cono vulcanico scurissimo emergente dall’oceano. Le attenzioni del personale portoghese di linea ci portano fino al punto in cui finalmente mi si presenta la costa lagunare della zona di N.Y.: di lì a poco l’atterraggio. Monorotaia e treno fino a Manhattan con l’impatto dei suoi grattacieli, ma soprattutto quelli pre-moderni mai visti in Italia, spessissimo in mattoni, con fregi e caratteristiche decò, neoclassiche e neogotiche. Alloggiati di fronte al Madison Square Garden, non perdiamo tempo per un giro veloce: da vedere Time Square col suo riverbero visuale e mentale da BladeRunner, grande film di fantascienza, e Chelsea per la sua atmosfera insieme godereccia e casereccia, dove con amici americani abbiamo pasteggiato una prima volta alla locale Cafeteria. Qui mi ritrovo, e non è da me, a gustare un’insalatona deliziosa all’italiana, che pare inventata da me, a base di cavolo nero. Il mattino dopo: Grand Central Station è già un monumento, nodo multifunzionale, grandioso e prezioso, con l’ambiente più alto a volta dipinta di celeste con mappe astrali di gran suggestione, e specchi, marmi e luminarie decò che riecheggiano la più bella fermata del metrò moscovita. Altro monumento meno originale ma pure d’impatto: la cattedrale cattolica di San Patrizio, neogotica, che pare un compendio del Duomo di Milano, di NotreDame di Parigi e dell’abbazia di Westminster. Comunque, girando per l’isola, ci si rende conto da come l’architettura stessa spesso modifichi e accentui in modo sostanziale le prospettive orizzontali e verticali. Si gira e si capita per caso davanti a 2 luoghi cinematografici famosissimi, il locale gay “Stonewall ” su cui fu costruito un film crudo, divertente, ma di denuncia civile su un famoso e brutto fatto di cronaca e repressione, e la gioielleria di “Colazione da Tiffany”, film di culto con Audrey Hepburn. CentralPark, vera riserva naturale che mostra come avrebbe potuto diventare il ParcoLambro di Milano: laghi, laghetti e stagni con anatre, scoiattoli e tartarughe d’acqua. La musica dell’acqua si mischia a quella di saxofoni e arpe cinesi. Vista solo la parte sud usciamo a vedere lì vicino un altro edificio storico di fama: il Paramount Building, quello delle Produzioni Cinematografiche, pregevolissimo e austero. Il clima estivo è soffocante ma incrociamo tante piccole oasi verdi con panchine e ombra. Attraversare il ponte di Brooklyn a piedi: la gran fatica e il gran caldo son ripagati dalla gran vista e dall’emozione. In questa città oltre ad apprezzare la varietà della gente per strada e a valutarne la frenesia, ci si rende per forza conto delle abitudini locali: la popolarità dei locali di cibo pronto da asporto porta un mucchio di persone a stare in giro anche nelle ore di punta con panini, piatti, fagotti e bicchieri in mano, ma pare non abbiano neppure il tempo di chiedere scusa quando ti urtano. Le mie narici hanno registrato come il profumo più diffuso per i marciapiedi di Manhattan sia quello di peperoni grigliati e di spezie, proveniente dai baracchini seminati ovunque con pretzel, wurstel, frutta e spiedini. E sono pure evidenti i tombini fumanti come nei film, anche in pieno luglio, e le porte dei vari locali con l’apertura verso l’esterno. Giorno dopo giorno scopro che tutti gli edifici pubblici come Posta, Tribunale, Borsa, Municipio e Polizia siano in stile neoclassico con facciata a frontone. L’edificio del MoMA, museo d’arte moderna, è ovviamente modernissimo: struttura affascinante, parte del Rockefeller Center, progettata e riprogettata da Goodwin, DurellStone e Taniguchi che ospita tra le più famose opere di pittura e scultura del ‘900, con uno squarcio prospettico centrale interno di gran suggestione. Certo è che la fatica di visitare Manhattan quasi esclusivamente a piedi ripaga con la percezione immediata e diretta di nevrosi e virtu’ metropolitane: la varietà di proposte ci permette un pranzo “sushi” al Rockefeller Center e una cena “genuinamente” americana. Per un lungo fine-settimana tutto mare e natura a casa di conoscenti americani, ci si sveglia di buonora per un viaggio in treno, auto e traghetto fino a Fire Island, località unica: diversivo perfetto per eludere il sorpasso dei 100 gradi farenheit della città. Lasciando New York City in ferrovia si attraversano sobborghi e centri con costruzioni sempre più piccole e spesso vittoriane e poi per strada boschi e campagna con palazzine e casette tutte con tetti spioventi e tantissimo legno. Dalla costa atlantica con 15 minuti di navigazione ecco l’isola, pedonale, con 2 soli empori, 2 soli alberghetti e tantissimi locali pubblici. Incamminandoci verso la casa l’impatto è fantastico ed esotico: nonostante 2 mesi invernali nevosi, come del resto a New York, ora ci circondano cortine di bambù, felci e un bel po’ di pini. Per il resto, vegetazione lussureggiante d’ogni tipo e provenienza, forse introdotta anche per sopperire alla morìa di pini autoctoni dovuta al tarlo asiatico. In questa sorta di giungla una rete di passerelle di legno collega una miriade di lotti di abitazioni piuttosto semplici tutte d’assi di legno prevalentemente grezzo e con tetti spioventi di tegole bituminose. Nell’aria il cinguettio di vari volatili e i colori di tante farfalle, mentre la fauna terricola è costituita da cervi e volpi: unico neo che arriva solo col vento dalla terraferma, un certo microtafano fastidiosissimo che attacca a sciami le persone soprattutto lungo le spiagge. Ma il caldo, non si fosse in mezzo al mare, sarebbe insopportabile: un piccolo paradiso comunque, con tanta gente “in mostra”. Ma con gli altri ospiti della casa, tutti americani, c’è stata una bella socializzazione. Seconda e ultima settimana a New York: prima camminate senza meta e poi una faticata memorabile con la traversata verso sud di Manhattan per Liberty Island e Ellis Island, veri simboli degli U.S.A. Il viaggio e’ breve ma preceduto da 2 ore di code per biglietteria, controlli ai raggi x e imbarco: bellissimi i panorami della baia e l’atmosfera nelle 2 isole. Il ritorno all’albergo a metà pomeriggio dopo altre code, con abbronzatura inaspettata e tante riflessioni sulle “loro” libertà, è un sollievo. Poi una lunghissima serata tra Chelsea e Hell’s Kitchen con 2 diversi amici americani: con l’ultimo, ritrovato dopo 6 anni, molto poco “reintegrato”, a parlare di Milano, del suo Alabama, della NewYork degli altri e di Amy Winehouse appena morta. In un’unica giornata realizziamo 2 mete, Empire State Building e Museo Guggenheim. La prima inizia con controlli e code sfinenti come per le isole-simbolo per arrivare a 2 diversi livelli d’osservazione con viste impareggiabili anche da un 112° su città intera e baia. Dopo una vera pausa-pranzo raggiungiamo il Guggenheim, progettato dal grande LloydWright che è subito per me un incanto avendone già amate e studiate le forme razionaliste e moderniste insieme. Vederlo, visitarlo e apprezzarlo è stato emozionante: un’enorme rampa-scìvolo a chiocciola con arioso pozzo-atrio centrale di gran suggestione. Lungo le balconate ci sono le mostre personali e temporanee con opere di proprietà degli artisti, di collezioni private o di altri musei, mentre nelle diverse sale che si aprono sui pianerottoli dei vari livelli ci sono allestimenti semi-stabili con opere di proprietà del Museo o della Fondazione: Picasso, Lautrec, Rousseau, VanGhogh e tanti altri maestri a cavallo tra ‘800 e ‘900. Rimandata all’ultimo giorno utile di questa vacanza la visita al Metropolitan Museum, per farla con l’amico newyorkese che teneva a vedere la mostra giustamente ospitata qui di Alexander McQueen, compianto stilista scozzese adottato da questa città, artista e “scultore” visionario. Ma per noialtri italiani è stata una sorpresa assoluta e una meraviglia trovare qui antichità mesopotamiche, egizie, cretesi, pittura del rinascimento e infinite altre epoche, assieme a innumerevoli opere notissime come “il pasto del cieco” di Picasso, “autoritratto con cappello di paglia” di VanGhogh e una giungla di Rousseau. A Manhattan delle varie religioni e provenienze della gente in circolazione si mostrano le sedi delle loro società benemerite, i diversi luoghi di culto come le tante chiese cristiane e l’imponente Sinagoga Shearith Israel, compatta, maestosa e sobrissima nella 8^ avenue. A queste mille razze, incroci e devozioni corrispondono i segni nazionali, regionali e religiosi indossati dalla gente: i sari, i sarong, le gialabìe, i kimono. Invece gli altrettanti copricapi possono essere addirittura l’unico segno distintivo: il turbante adulto e quello adolescenziale dei Sikh, i vari foulard, fazzoletti, reticelle, cuffie e veli delle donne musulmane ed ebree e lo zucchetto degli uomini ebrei. Ho visto la kippah, lo zucchetto, appunto, in mille fogge, materiali e dimensioni, come un piattino da caffè o grande come un basco, di cuoio, di stoffa o velluto ricamati, o intrecciata all’uncinetto come un centrino. Di questi copricapi m’hanno colpito più degli altri il turbante adolescenziale sikh indossato però con la sua treccia in vista da un giovane maschio manifestamente gay, come pure la minuscola kippah arcobaleno all’uncinetto sfoggiata con orgoglio ebraico e gay, appunto, da un uomo e incredibilmente da una donna!

Oltre alle cose viste in queste “ferie oltreoceano” devo registrare pure chi ci ha fatto compagnia e chi ci ha fatto un po’ da anfitrione, chi abbiamo ritrovato o conosciuto qui. Proprio una bella vacanza!



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