USA West Costa – la terra dei colori
Chilometri percorsi in auto: circa 6.500.
Viaggiatori: in coppia. Informazioni Utili.
– Volo: da Malpensa a Los Angeles con uno scalo sulla costa atlantica, trovato un mese prima della partenza sul sito (consigliatissimo) www.Govolo.It con la US Airways a 472 euro A/R a persona (forse per la crisi, ma è quasi la metà dello stesso periodo dell’anno precedente); – Hotel/motel: www.Venere.It nelle città di Los Angeles, Las Vegas e San Francisco, non abbiamo prenotato nulla nelle tappe dei parchi nazionali; – Auto a noleggio: ci sono diverse compagnie negli stati uniti, dalla Dollar, Avis, Hertz; noi abbiamo scelto la Budget per convenienza, per le assicurazioni complete e già incluse e per la gratuità del secondo guidatore se convivente/sposo; consigliatissimo, anche se con 99 dollari in più, il navigatore che ti evita davvero tanto nervoso e ti fa risparmiare tempo, soprattutto in entrata/uscita dalle grandi metropoli americane; – Acquisti: negli Stati Uniti i prezzi non sono mai comprensivi delle tasse che possono variare da Stato a Stato ma in genere non superano mai il 10-15%; – Ristoranti e bar: é tradizione che il cliente lasci la mancia che sostituisce in un certo senso il nostro “coperto”; tante volte viene già indicato sullo scontrino un importo suggerito di mancia, altre volte invece, addirittura, viene automaticamente aggiunto al prezzo sullo scontrino; è un po’ antipatico ma non ci si può far nulla; – Tessera per i parchi nazionali: se si ha intenzione di fare almeno 4 o 5 parchi conviene acquistare il Pass Annuale che consente l’ingresso illimitato per un anno in tutti i parchi nazionali di una macchina e dei passeggeri; la tessera quest’anno costava 80 dollari; – Costo complessivo del viaggio: 4.000 euro (2.000 euro/persona).
Itinerario.
1° giorno – Los Angeles.
Avevamo un grazioso motel “Hollywood Express Inn” (parcheggio interno gratuito) da dove era possibile raggiungere a piedi il centro di Hollywood. La mattina visita a Hollywood, “walk of fame” dove ci sono le stelle che ricordano i nomi di illustri personaggi del mondo del cinema e dello spettacolo, Chinese Theatre con le impronte dei divi dall’inizio del 1900 ai giorni nostri, ci hanno colpito quelle di Mastroianni e della Loren, giretto per Hollywood, cittadina peraltro non bella ma che sta pian piano migliorando. Da non perdere una foto ricordo dal finto divano con alle spalle la collina con la scritta HOLLYWOOD. Pranzo frugale al … McDonald giusto per iniziare a tema il viaggio anche dal punto di vista gastronomico e, macchina alla mano, ci siamo infilati sul Sunset Boulevard alla volta di Beverly Hills e Bel Air, i quartieri dove si trovano le ville più belle e grandi al mondo. Devo dire che è stato emozionante vedere questi quartieri esclusivi dove non c’è un filo d’erba fuori posto e dove i giardinieri spuntano come formiche dappertutto. Da ogni angolo traspare un’opulenza incredibile; a Beverly Hills c’è ancora un senso di realtà, le ville sono enormi, bellissime e di tanti stili diversi con giardini, o forse farei meglio a parlare di parchi, curatissimi. Su internet cercando in google “star homes” ci sono gli indirizzi delle star passate e recenti, per la curiosità di chi volesse vedere da fuori la tenuta di Jack Nicholson o il palazzo rosa di Madonna o ancora la villa che occupa un’intera collina di Ronald Reagan. Bel Air è invece un po’ troppo esclusivo con un cancello addirittura all’ingresso del quartiere, strade senza parcheggi e con divieto di sosta, ovunque siepi altissime che impediscono la vista. Terminata la visita ai quartieri ricchi di Los Angeles abbiamo fatto un giretto per Rodeo Drive, la via dei negozi alla moda, la stessa dove Giulia Roberts nel film “Pretty Woman” faceva acquisti, ed ecco un altro assaggio di smodata ricchezza. In ultimo siamo scesi sulla spiaggia di Malibu frequentata da surfisti dove abbiamo anche concluso con una cenetta sul pontile di Malibu gustandoci un bellissimo tramonto.
2° giorno – Death Valley.
Questa valle a dispetto del nome che incute un po’ di timore è semplicemente un trionfo di colori che merita d’esser vista. Noi abbiamo preso proprio il periodo più caldo con 50 gradi anche se è un caldo secco. I minerali hanno colorato le rocce di questa valle che smussate ed erose dal vento hanno creato paesaggi suggestivi con colline che sembrano panettoni spolverati di cacao o rocce colorate come una tavolozza di pittore. Poco dopo il villaggio di Furnace Creek si raggiunge il punto più basso degli Stati Uniti, “Bad Water”, una depressione naturale a quasi 80 metri sotto il livello del mare. Pranzo al sacco con panini, quindi, cotti a puntino dal caldo incredibile (mia moglie era rossa come un peperone), prendiamo la direzione per Las Vegas. Arriviamo in serata con le luci della città nel deserto sfavillanti e multicolori che ci accolgono. Alloggiamo nel “Circus Circus” un mega albergo da 3.000 stanze sulla “Strip”; considerato che abbiamo sostato durante il week-end, quando i prezzi letteralmente raddoppiano rispetto agli altri giorni della settimana (complice l’afflusso dei numerosi turisti americani e non solo, appassionati di gioco d’azzardo), il prezzo era quello più economico di tutta la Strip … Peccato però che fosse proprio alla fine della strip lontano dagli altri alberghi e frequentato da facce non sempre rassicuranti. Ad ogni modo la stanza era più che accogliente e spaziosa. Nonostante le palpebre pesanti come macigni, non abbiamo resistito al richiamo della città del divertimento e ci siamo avventurati in una prima esplorazione della Strip “by night”: affascinante! Abbiamo assistito ad alcuni dei numerosi spettacoli all’aperto offerti dagli alberghi della strip: il vulcano eruttante del “Mirage”, la nave dei pirati che attacca l’isola del “Tresure Island” e per finire lo straordinario spettacolo di giochi d’acqua, a tempo di musica, nella riproduzione del lago di Como del “Bellagio”. Veramente esausti ma appagati ci siamo trascinati verso il nostro albergo.
3° giorno – Las Vegas.
Las Vegas di giorno è molto meno appariscente, senza tutte quelle luci e neon dai mille colori ma sa comunque stupire l’occhio del visitatore. Dopo una colazione con caffè americano e danish cake allo Starbucks nell’albergo “Luxor” (all’inizio della strip) ed una puntata d’obbligo alla roulette della grandissima sala da gioco interna, abbiamo iniziato a visitare i più famosi alberghi-casinò. Entrando la cosa che colpisce immediatamente è la grandezza degli spazi interni, in un certo senso si ha l’impressione di entrare nella hall di un grande aeroporto, dove ci sono magari dieci, quindici postazioni per il ceck-in, grandi corridoi pieni di negozi e vetrine, sale da gioco immense suddivise per zone: roulette, black jack, slot machine ed altre ancora. Siamo entrati nell’MGM, uno dei primi costruiti sulla strip, di proprietà dell’omonima casa di produzione cinematografica di Hollywood. La particolarità di questo albergo sta in una grande gabbia in vetro che riproduce un piccolo habitat della savana con tanto di leoni veri, simbolo della Metro Golding Mayer. Abbiamo proseguito la strada passando di fronte ma senza entrare, all’Aladin albergo che ricorda il castello del mago Merlino, al Paris Paris che richiama le vie di Parigi con tanto di riproduzione in scala uno a tre della Tour Eiffel, al bellissimo Bellagio che proprio di fronte ha un lago artificiale con la riproduzione del lungo lago e delle case prospicenti dell’omonimo paesino sul lago di Como. Finalmente abbiamo raggiunto il Ceasar Palace, albergo in stile “antica Roma”; dentro è elegantissimo con statue romane, colonne e boutique prestigiose, fuori ha una riproduzione del colosseo dove si tengono spettacoli e concerti. Fatta una breve sosta per il pranzo con pizza da fast food, siamo entrati nell’albergo che forse ci ha stupito di più il Venetian. Fuori è una riproduzione fedele di Venezia con il campanile di San Marco, il Ponte Rialto (a scale mobili però!), dentro, al primo piano, ci sono veri canali con ponti, case, piazze e gondolieri, ristorantini con tavolini sulle piazze ed un cielo finto che sembra vero. La visita si è conclusa con l’albergo più recente costruito il Whin. La guida della Lonely (che devo dire ci ha un po’ deluso, poverissima di informazioni, forse perchè di tutto l’ovest americano, ma veramente con trafiletti miseri per qualsiasi cosa) dice che sono stati spesi quasi tremila milioni di dollari per realizzarlo; in effetti è un concentrato di lusso. Le due cose che maggiormente ci hanno colpito sono stati gli enormi lampadari rossi in vetro e una sala apposita per le scommesse sulle corse dei cavalli, cani, macchine e altro ancora. Alcune curiosità di Las Vegas: ci sono diffusori musicali ovunque per le strade, nei giardini; negli alberghi non esistono orologi, indicazioni di uscita e nelle sale da gioco, la luce è soffusa, il tutto per far perdere alle persone la cognizione spazio temporale. Questa città comunque ci è piaciuta molto.
4° giorno – Grand Canyon.
Siamo arrivati al Grand Canyon verso mezzogiorno, ne abbiamo approfittato per pranzare in un Pizza Hut nel paese poco prima dell’ingresso al canyon. Questo parco, il primo dell’Arizona che abbiamo visitato, può essere visto in tanti modi: a bordo di un piper che sorvola gli enormi anfratti naturali fino giù in fondo dove scorre il fiume Colorado, oppure con escursioni a cavallo o a piedi, oppure nel modo più semplice ed economico, fermandosi con la macchina nei punti panoramici segnati sulla cartina che ti viene consegnata all’ingresso. Soprattutto per pigrizia, noi abbiamo scelto quest’ultima opzione. Il canyon, il più grande della terra, è davvero impressionante: si apre questa crepa nel terreno profonda quasi 2000 metri e che raggiunge un’apertura massima di oltre 18 chilometri, in fondo scorre turbolento il fiume Colorado che nel corso dei millenni ha scavato questo enorme solco. Iva non se la sentiva e, da solo o meglio in compagnia di un escursionista inglese, non ho resistito alla tentazione di scendere per un tratto a piedi nel canyon. E’ un modo personale per prendere contatto con questo fenomeno della natura che altrimenti rischia di essere visto esattamente come si guarda un servizio del programma della Licia Colò! Appagato di questo sforzo, ho raccolto le energie e ci siamo diretti verso l’uscita ovest fermandoci ancora a gustare un meraviglioso tramonto sul canyon; un bellissimo cervo con corna enormi ci ha fatto compagnia a breve distanza. Terminata la visita abbiamo iniziato ad incamminarci verso la meta successiva, la Monument Valley nella riserva degli indiani Navaho. Trovare un distributore di carburante piuttosto che un motel all’interno della riserva, che è enorme, è un’impresa non da poco; non ho mai visto una popolazione più inoperosa la cui quotidianità sembra improntata al motto “non fare oggi quello che puoi fare domani … O dopodomani”!
5° giorno – Monument Valley.
Chi non ha mai visto un western o letto un fumetto dove alle spalle dei personaggi si stagliano rossi ed imponenti monoliti dalle forme geometriche molto definite, una sorta di grandi dentoni che spuntano dal terreno con un’eleganza e un’imponenza tale da paragonarli a monumenti costruiti da una mano speciale, la natura: ecco, questa è la Monument Valley in Arizona. La visita è poco impegnativa, si paga un ingresso di 5 dollari e si può entrare con la propria macchina su un percorso sterrato (fate molta attenzione alle buche enormi) che ti conduce vicino a molti di questi monoliti. Credo che Iva sia rimasta molto colpita da questo spettacolo e prova ne è che, vincendo la sua normale paura, è anche salita a cavallo per essere immortalata, come al tempo John Waine, al John Ford Point. Appagati di questo spettacolo ci siamo diretti verso il Bryce Canyon nello Utah (lo stato dei mormoni, il più conservatore di tutti gli Stati Uniti).
6° giorno – Bryce Canyon (stato dello Utah).
E’ un canyon che si apre in mezzo alla foresta di pini, a sorpresa. Si possono vedere tantissime formazioni rocciose, come tanti pinnacoli, modellati dalla natura nel corso dei millenni e dai colori che sfumano dal rosso, al rosa e al bianco, è un colpo d’occhio stupendo. Molto bello il ponte naturale in pietra, visibile da uno dei punti panoramici del parco.
7° giorno – Arches.
E’ situato nello stato dello Utah e, come si può evincere dal nome, è ricco di finestre e ponti formatisi nel tempo con l’erosione operata dagli agenti atmosferici. La sensazione è che ti senti davvero piccolo, sotto questi blocchi di roccia rossa che si stagliano nel cielo quasi sempre blu dell’entroterra americano. Non perdetevi la “balanced rock” un masso che sembra posizionato volutamente da un gigante immaginario sul cucuzzolo di un pinnacolo, in equilibrio perfetto. Non so se qualcuno è mai stato a Zone in Valle Camonica a Brescia, ecco le piramidi di terra di Zone, anche se in scala ridotta, lo ricordano. Terminata la visita abbiamo iniziato l’avvicinamento allo Yellowstone.
Un pomeriggio di viaggio, passando per il grande lago salato dello Utah, fino alla cittadina di Twin Falls dove abbiamo pernottato. La sera abbiamo sperimentato la catena di motel Super8: molto grande e pulita la camera.
8°-9° giorno – Yellowstone.
E’ stato il primo parco nazionale ad essere istituito alla fine dell’ottocento. Gli animali selvatici abituati a non essere cacciati da decenni non hanno paura dell’uomo e li puoi avvicinare (sempre a distanza di sicurezza però!). Nel parco c’è il più alto numero di geiser al mondo. Abbiamo scelto come base il paesino di West Yellowstone nel Montana. Da lì siamo partiti all’esplorazione del parco. Guardando la mappa, il tratto principale percorribile in macchina si sviluppa secondo due anelli a forma di otto. Il primo giorno abbiamo visitato l’anello sud, dove c’è la zona dei geiser. Immancabile l’attesa di fronte all’Old Faithful Geiser che erutta ad intervalli regolari da sempre. Ma non sono da meno le numerose fontane ed i laghetti di acqua bollente che, come delle pentole d’acqua sul fuoco, continuano a “borbottare”. Durante il secondo giorno abbiamo percorso la parte più a nord del parco che è anche quella a maggiore quota. Qui abbiamo visto numerosi animali: un coyote, diversi cervi e bisonti e persino un’aquila dalla testa bianca nel proprio nido (quella che viene rappresentata nel simbolo dell’aeronautica militare americana). Non siamo invece riusciti a vedere né alci né orsi neri o grizzly … In realtà qualche grizzly l’abbiamo visto anche se solamente all’interno del grizzly centre proprio poco fuori dal parco.
10° giorno – Avvicinamento a San Francisco.
E’ stato un altro lungo spostamento nella direzione di San Francisco. Abbiamo guidato, alternandoci, fino a quando proprio non ne potevamo più e ci siamo fermati nella cittadina di Winnemucca nel Nevada. La cittadina di per se non offre granché ma abbiamo avuto la fortuna di capitare durante un raduno di macchine d’epoca americane; tutto il paese e dintorni era in festa, tra bottiglie di birra e balli country.
11°-12°-13° giorno – San Francisco.
Siamo arrivati a metà pomeriggio e grazie al navigatore siamo riusciti a percorre in macchina il Golden Gate, il bellissimo ponte rosso che collega le due estremità della baia di San Francisco. Può sembrare incredibile ma superate le colline alle spalle della baia, il clima cambia completamente da soleggiato a nuvoloso o addirittura nebbioso e con una temperatura molto più bassa. L’entusiasmo di vedere questa città cosmopolita, progressista e dalla curiosa architettura in stile vittoriano ci ha subito fatto dimenticare la stanchezza spronandoci ad uscire subito in esplorazione. Abbiamo alloggiato nell’albergo Adante (niente male e prezzo ragionevole), situato in una zona molto centrale vicino alla Powell Street. Ci siamo diretti alla volta del porto, al celebre Pier (molo) 39. Ci siamo subito avventurati a prendere il “cable car” un bellissimo tram (in funzione dal 1873) a rotaia trainato su e giù per le ripide colline della città da un cavo di acciaio che scorre sotto la superficie stradale. E’ un po’ una chicca e la città l’ha mantenuto operativo su poche linee ma ancora perfettamente funzionanti. La bassa velocità consente anche di restare in piedi sul bordo della carrozza, aggrappati a corrimani verticali con l’aria che ti scorre tra i capelli. Il Pier 39 è un molo turistico con tanti ristorantini che cucinano il granchio e negozietti ma ha una particolarità che lo rende davvero speciale: da alcuni anni ormai è frequentato quotidianamente da una comunità di leoni marini; questi enormi e vivacissimi mammiferi vanno e vengono dal porto riposandosi su zatteroni galleggianti ormeggiati vicino al molo. Approfittiamo di un self service “eat as much as you want” a prezzo fisso di poco più di 10 dollari a testa. Esausti e infreddoliti riprendiamo il nostro cable car e torniamo all’albergo. La visita della città dei successivi due giorni l’abbiamo suddivisa in una giornata interamente a piedi e con mezzi pubblici ed una in macchina. La prima giornata ci siamo spostati tra la Coit Tower sulla Telegraph Hill, la bellissima China Town, il Golden Gate Park con all’interno il giardino giapponese, il molo dei pescatori nel Presidio Park all’ombra del Golden Gate, concludendo con una cenetta al Pier 39. Il secondo giorno siamo saliti a Twin Peaks da dove si domina tutta la città, per poi tentare di seguire il percorso “49 miles” che avrebbe dovuto portarci, in macchina, nei punti più interessanti della città … Vuoi per distrazione, vuoi perchè questi segnali stradali con il simbolo del gabbiano sono posizionati in punti non sempre visibili al primo colpo, alla fine, stufi di continuare a perderci, abbiamo desistito e ci siamo consolati con un’ultima cenetta al solito Pier 39.
14° giorno – Sequoia Park.
La giornata è stata molto lunga perchè partendo da San Francisco volevamo raggiungere in serata Los Angeles facendo anche la deviazione per vedere il parco delle sequoie giganti. Anche se di parchi, come si suol dire, avevamo fatto il pieno, ci siamo comunque trovati a bocca aperta e naso all’insù ad ammirare queste enormi creature viventi. La sequoia più grande è stata battezzata “General Sherman” perchè è imponente e austera come un generale. E’ la creatura vivente più grande al mondo per peso, è alta quasi 80 metri, ha più di 2.000 anni e con una base enorme. Questi giganti hanno però i “piedi di argilla”, infatti hanno radici che si sviluppano solo in superficie e necessitano che nel sottobosco non ci siano altre piante. Salutati i giganti ci siamo diretti verso Los Angeles.
15° giorno – Los Angeles.
Eravamo contenti di lasciare gli Stati Uniti vedendo ancora una volta Los Angeles. Una città che non si può proprio dire bella ma che rappresenta in pieno l’America che la mia generazione ha conosciuto attraverso i film e le serie televisive. Abbiamo fatto ancora una puntatina a Beverly Hills e Bel Air, pranzato al Cebo bar sul Sunset Boulevard (ottimi ed enormi i panini) e abbiamo trascorso un gradevole pomeriggio sulle infinite spiagge di Long Beach.
Beh, devo dire che salutiamo la West Coast senza rimpianti, abbiamo visto tantissimo, respirato lo spirito americano e poi, anche volendo, la stanchezza non ci avrebbe davvero permesso di andare oltre. In conclusione ci sentiamo di consigliare questa esperienza davvero a tutti!