USA in venti giorni

Il nostro viaggio è iniziato mentalmente nel febbraio 08: prenotati i voli andata/ritorno NY-SFA, avevamo vaghe idee su quanto vedere e cosa cercare. Noi siamo in quattro, due adulti e due figlie di 15 e 19 anni e gli interessi sono sempre tanti e opposti: alla fine della discussione e all’inizio del nostro viaggio siamo arrivati a tre...
Scritto da: mariaedino
usa in venti giorni
Partenza il: 24/07/2008
Ritorno il: 12/08/2008
Viaggiatori: fino a 6
Il nostro viaggio è iniziato mentalmente nel febbraio 08: prenotati i voli andata/ritorno NY-SFA, avevamo vaghe idee su quanto vedere e cosa cercare. Noi siamo in quattro, due adulti e due figlie di 15 e 19 anni e gli interessi sono sempre tanti e opposti: alla fine della discussione e all’inizio del nostro viaggio siamo arrivati a tre “isole”: NY e Las Vegas, i Parchi dello Utah e la California. 24 luglio Partiamo da Torino verso Linate e lasciamo Linate verso Londra alle 11.30. Cercando di trascinarci dietro il minimo, siamo giunti a due trolleys, due borse capienti e uno zainetto ciascuno. I nostri bagagli ci seguono verso Terminal 5 a Heathrow e poi ancora verso New York, dove arriviamo alla sera. Ottimo servizio della British Airways che rende il viaggio decisamente breve. Il viaggio in taxi che ci porta nel Queens ci rivela un paesaggio abbastanza squallido, fatto di palazzi vecchi e allucinanti insegne, in continunazione. Decidiamo che è la stanchezza a farci vedere tutto nero.

Dal 24/7 al 28/7: New York Il nostro albergo è il PanAmerican, nel Queens. E’ un grosso albergo, che può apparire discreto, ma che risulta decisamente valido, sia per il prezzo proposto che per la comodità, se si accetta di usare la subway quotidianamente. Infatti, al primo giorno, ci rechiamo nella stazione vicina, five blocks dall’ hotel, compriamo quattro metrocards e ci lanciamo lontano, verso Brooklyn. Vogliamo subito vedere tutta NY in un colpo solo. A Brooklyn facciamo la prima colazione da Starbuck, un po’ rintronati per via del fuso, e ci diamo alla ricerca del famoso ponte. Scopriamo che di ponti ce ne sono due, il Manhattan e il nostro: così raggiungiamo il Brooklyn Bridge, lo guardiamo da sotto, dai giardini, e troviamo la scala per salire e raggiungere così Manhattan: si, siamo davvero a New York, circondati da mille altre persone di razza diversa, dal mare che ci offre la Statua della Libertà da lontano, dalle biciclette che veloci ci sfiorano, suonando per avere strada libera e di fronte, ecco i famosi grattacieli, visti e rivisti. A questi ci avviciniamo sempre di più, e in questi ci avventuriamo il primo giorno, aggirandoci nel caos tra Wall Street, Ground Zero, e alzando gli occhi ogni tre minuti, fino a giungere all’unica oasi verde, Battery Park, che ci offre le uniche panchine disponibili nel giro di diversi km e ci fa gustare due panini all’ombra e un po’ di calma. Si, questa è NY e se non si è preparati, si può esserne sopraffatti, dalla troppa gente, dalla troppa fretta, dai troppi palazzi, dall’aria condizionata decisamente troppa e troppo fredda, dal troppo poco verde e dal troppo stupore di essere circondati da tantissimi aspetti diversi, tutti insieme. Cerchiamo di fare un giro in battello, ma la coda è notevole e lo stesso avviene allo State Island Ferry Boat. Il caldo e la troppa gente ci fa cercare un altro parco: Central Park. La subway ci porta in poco tempo e si apre un altro mondo. Innanzitutto, il silenzio: si vedono le auto sfrecciare intorno al parco e i grattacieli circondarlo, e di contrasto si gode una calma impagabile. Si tocca con mano l’utilità che questo posto ha per una città come NY: gli abitanti vivono davvero il parco in tutte le sue forme: corrono, recitano, cantano, si sdraiano nella pausa lavoro, il parco appartiene ai new yorkesi in pieno… E dalla tranquillità del Central all’ immediato traffico, che lo costeggia: passati davanti al Plaza Hotel (come non ricordare: “Mamma, ho riperso l’aereo”?), ci imbattiamo in mille taxi, risciò, homeless, negozi dalle firme importanti e una marea di turisti (quanti italiani!): uno sguardo al Rockfeller Center con plaza, e la fame ormai si fa sentire. Il primo Mc Donald si fa trovare pronto per l’occasione e ci cattura: seduti davanti alle pareti lucide nere, enormi, di un grattacielo, gli hamburger sembrano buoni. Ormai a sera inoltrata, cerchiamo Times Square ed è vero, non è possibile restare impassibili davanti a questo luogo: occhi spalancati, ci sembra di assorbire tutto quello che ci circonda: slogan, luci, musica, inviti, predicatori, personaggi travestiti da eroi di Starwars. Il puro dio del commercio reso piacevole, anche in un bel tramonto. Tappa obbligata a Rock Cafè, tra cimeli e ricordi. Ancora un giro da Virgin, ma la stanchezza ci spinge all’ hotel, acciuffando una metro al volo. Nei nostri pensieri, una certezza: NY ci sta prendendo.

I giorni seguenti correrranno via in un lampo: l’inizio di ogni giornata è una mega colazione in un locale a due passi dal PanAmerican: il Pop Diner, arancione, stile anni 70, offre qualsiasi cibo (e intendeteci: qualsiasi) a prezzi convenienti. Una colazione tipo può essere Buttermilk pancakes con succo d’acero (n.4) e succo d’arancia ad oltranza, oppure salsicce e patate oppure fette di torta imbarazzanti e caffè americano e così via. Affrontiamo poi la subway e decidiamo di andare a trovare Miss Liberty: troviamo una lunga coda multietnica, allietata da suonatori di vario tipo, dalla vista dei grattacieli e della Statua in lontananza e il tempo corre rapido. Il solito controllo per salire sulla boat e poi via, tante foto allo skyline di NY, circondati da famiglie tutte indiane, Ci fermiamo alla Statua della Libertà e poi continuiamo verso Ellis Island, per visitare il museo dell’immigrazione. Torniamo alla città immersi nelle nostre riflessioni, su quanto gli Usa hanno dato e preso, nella storia. Arrivati a Battery Park, due hot dogs e tanta acqua, per poi andare a fare un po’ di shopping, che continuerà fino alla sera. Dopo uno sushi e dopo aver goduto il tramonto, decidiamo di affrontare the Top of the Rock: andiamo in cima al Rockfeller Centre, che offre una vista spettacolare, preceduta da una salita di 67 piani in pochi secondi, con immagini che si susseguono sul soffitto. Il costo, venti dollari, vale il tutto. Nei giorni seguenti ci rechiamo al Metropolitan Museum, e poi, sotto la pioggia, ancora un po’ di shopping, tuffandoci da Schwarz (giocattoli), Levi’s e andando a dare un’occhiata al Chrysler e alla Grand Terminal Station. Torniamo a Brooklyn per ripercorrere il ponte di notte –meglio che di giorno-, andiamo all’Apple store di Soho, visitando un po’ il quartiere, raggiungiamo Washington Square e poi Harlem, lasciando l’ultima serata di nuovo a Times Square e alla 5th/6th avenue con i più famosi negozi. 29/7: partenza da NEW YORK per Las Vegas e i parchi dello Utah Lo shuttle del PanAmerican –prenotato- ci porta fino al JFK airport per prendere l’aereo delle 9.40 che ci porterà a Las Vegas. Qui troviamo la nostra Jeep, anche lei prenotata da Torino, bianca e nuova. Dopo alcune incertezze riguardanti le marce –conviene informarsi prima- partiamo verso Zion Park. Lo stupore che si prova quando ci si rende conto di cosa siano questi parchi naturali è indescrivibile. Ecco delle semplici impressioni: Tragitto: – mar 29: arrivo a Zion Park – mer 30: Zion Park – gio 31: partenza, arrivo e visita a Bryce Park – ven 1/8: partenza per Moab, arrivo e visita ad Arches Park – sab 2/8: permanenza a Moab e visita a Canyonlands – dom 3/8: partenza e arrivo al Grand Canyon – lun 4: visita al parco La permanenza al Zion Park, prenotata on line, è presso un complesso di casette tipiche poco distante dal parco: il Majestic Lodge. E’ la sistemazione più bella che abbiamo trovato in tutto il viaggio, la piscina risulta indispensabile data la temperatura e il ristorante è buono, Circondati dalle pareti di roccia rossa, incredibili all’alba e al tramonto, ci godiamo il tutto. Zion ha una navetta che porta nel parco, con fermate nei punti più adatti per camminate ed escursioni. Scendendo alla fine del canyon, c’è la possibilità di guadare il fiume, meglio se con scarpe adatte e un bastone, senza difficoltà. La colazione fatta a Springfield è in puro stile Far West e il fatto di avere i cellulari isolati ci fa sentire davvero fuori dal mondo. All’ingresso del parco, acquistiamo la card che ci farà visitare tutti i parchi grauitamente Tuttavia, è Bryce il parco più sensazionale: molte testimonianze ce lo avevano preannunciato, ma vederlo e viverlo è davvero bello. Alloggiamo presso il Bryce Resort, non granchè come motel, ma tranquillo e abbastanza vicino al parco. L’altitudine – 2500/3000 metri e l’alta temperatura possono giocare qualche scherzo, ma non eccessivamente. Dopo aver visto il parco dall’alto, scendiamo a piedi in un canyon, e ci troviamo circondati da pareti di roccia rosa, con sculture naturali che si fiondano in un cielo perfettamente azzurro. Difficile staccarsi da un luogo simile.. Al ritorno, al ristorante dell’hotel, abbiamo iniziato a gustare le tapo salads.

Al mattino si parte per Moab, con l’intento di visitare Arches Park e Canyonland. La strada che porta a Moab è un proseguimento dello spettacolo di Bryce: parte da Escalante, minuscolo centro dove abbiamo gustato una colazione tipica, attorniati da diversi colibrì svolazzanti. I monti rosa, bianchi, lunari e poi quelli grigi, desertici, che costeggiano il percorso, ci fanno ulteriormente rallentare: ci lasciamo assorbire da quest’armosfera, accompagnati dalla musica country che abbiamo trovato, su una stazione radio specifica. A Moab, dove abbiamo prenotato un Super8 da Torino, posiamo i bagagli e ci precipitiamo nella piscina: il caldo è davvero tanto e avrà il suo picco ad Arches Park, che non ci entusiasmerà molto. Invece, il giorno dopo, Canyonland supera le aspettative: proviamo la Shelfer Road, consigliati dai rangers del posto, e l’esperienza fuoristrada è coinvolgente e spettacolre: raggiungere il Colorado, scendendo per quel percorso ripido, attorniato da montagne rosse a picco, ci fa vivere l’atmosfera western. Ci ricordiamo che la scena finale di “Thelma and Louise” è stata girata da quelle parti e pensiamo che non poteva che essere così, facendo due scongiuri. Arriviamo al fondo: Panarch e le fabbriche di potassio ci riportano –ahimè-alla realtà e torniamo a Moab, per immergerci nella piscina a rinfrescarci, per molte ore. Al mattino ci aspetta il viaggio verso il Grand Canyon, che ci porta nelle terre Navajo, facendoci provare davvero la loro voglia di essere distanti da noi, forse non a torto. A Bluff, mangiamo un burrito e facciamo benzina presso un loro locale, con qualche perplessità, quasi un timore di disturbare. Arriviamo al GC dopo sei ore, alloggiamo al Red Feather Lodge, anche questo prenotato. Non è granchè, anche se la lontananza dal caos del villaggio GC si rivelerà un bene ( e anche la vicinanza alla Steakhouse!). Iniziamo a visitare il parco usando la navetta a disposizione e ci accorgiamo subito dell’enormità di questo, e dell’impossibilità di “viverlo”, come era successo per gli altri. Alla sera, mangiamo ottima carne –davvero- alla Steak house di fronte all’hotel. La visita al GC, il giorno successivo, si limiterà ad una camminata sui bordi del belvedere, poichè per scendere al fondo occorrono obbligatoriamente due giorni. In più, il sole ci ha lasciati, quindi il ricordo più bello sono le magliette indiane acquistate nel village.

Mar 5 ago: partenza e arrivo a Las Vegas. Visita della città Mer 6 ago: partenza per Newport, LA Gio 7 ago: da Malibu’ a Santa Barbara Ven 8 ago: da Santa Barbara a Monterey Sab 9 ago; da Monterey a San Francisco Da dom 10 a mar 12: San Francisco Lasciamo senza pensieri il GC e costeggiamo la Monument Valley, nel lungo viaggio che ci porta a Las Vegas. Qui alloggiamo all’ hotel Bally’s, che vi consigliamo sia per prezzo che per qualità: dalla finestra dell’ hotel riusciamo a vedere le fontane del Bellagio, la torre Eiffel proprio davanti a noi, usiamo la piscina stile Hollywood e ci lanciamo alla visita della città: Bellagio, in primo luogo, e poi Caesar’s e ancora Mgm, il rollercoaster di New York, tremendo, Excalibur e tutto il resto. Il caldo è ben presente, ma si è talmente distratti e raggelati dall’aria condizionata, che non da’ fastidio. Alla sera, Las Vegas da’ il meglio di se’ , com mille luci e le i giochi delle fontane illuminate fino quasi a mezzanotte, che giocano con la musica, imperdibili. Infatti ci addormentiamo con la voce di Boccelli da sfondo e le luci della Eiffel che entrano in camera. Al mattino un saluto al Venetian e poi via: California, we’re coming! Costeggiamo la road 66 e raggiungiamo Newport, in onore di The Oc; lasciata la spiaggia e il mare oceanico, ci dirigiamo verso LA, e ci troviamo intrappolati in un ingorgo pazzesco per due ore. Raggiunguamo Santa Monica distrutti, ormai a tarda sera e decidiamo di dormire sulla jeep a Malibù, non avendo trovato posti disponibili. L’alba di Malibù ci sveglia, raggiungiamo il molo per fare colazione in un posto davvero ok, bianco e blu con cibi particolari e i surfisti sullo sfondo che alle otto am affrontano le onde. Di qui, in jeep, raggiungiamo una bella caletta, El Matador, decisi a tuffarci, ma il freddo e il mare molto mosso fanno scappare l’idea. Iniziamo a vedere molti cormorani e paesaggi selvaggi. Next step: Santa Barbara. Dopo aver subito cercato un Super8, visitiamo la spiaggia e il paese, con le classiche palme californiane. Il lungomare è molto vissuto dagli skaters e il tramonto sul molo è da cartolina. Al mattino successivo partiamo per Monterey; altro super8, con personale molto disponibile, e visita di questo paese di mare davvero bello. Con un clima decisamente fresco, l’atmosfera è di vita da pescatore, con un molo molto caratteristico, continua offerta di pesce da assaggiare e la possiblità di vedere una quantità inimmaginabile di foche, ontarie, stelle marine grandissime e meduse enormi, nonchè gabbiani, cormorani e pellicani. Mangiamo sul molo, vista mare, la zuppa di pesce tipica e altro ottimo pesce, dopo aver visitato Cannery Row, regno di Steinbeck. Torniamo per il freddo (!) al motel e ci accorgiamo che sono iniziate le Olimpiadi. Sotto le coperte, ci godiamo la cerimonia di apertura.

Lasciamo Monterey a malincuore e ci rechiamo a San Francisco, percorrendo una costa molto selvaggia, rinunciando (in seguitoi pentendoci!) al Big Sur e fermandoci alla prossimità di un faro, per verificare con mano che la temperatura è ancora più fredda. Tuttavia, il paesaggio è splendido.

San Francisco è una strana città: può entusiasmare e può disgustare. Noi siamo per la prima opzione. Il Fisherman’s Warf è un luogo molto vivo, con mille persone di diverso tipo: i sandwiches con granchio sono squisiti e le foche viste al Pier 39 sono tante, nuovamente. Mangiamo al Grotto’s, un po’ di shopping, una vista al Golden, poco illuminato, e poi ritorno al motel. Il giorno dopo visita alla città, con i su e giù tipici, China Town, Grace Cathedral, la riflessione sugli homeless –davvero tanti- , il Golden Gate Park, Lincoln Park e i suoi campi da golf “statali” e, alla sera, decidiamo di percorrere il Bay Bridge, uscendo a Tresasure Island : la vista di SFO di notte è magnifica, ma il vento gelido ci spinge al motel attraverso la solita 101, verso un caffè caldo e le ormai abituali Olimpiadi. Nell’ultimo giorno visita al Muir Park, con molte sequoie. Scendiamo poi alla spiaggia di San Francisco, per goderci l’ultimo oceano, vediamo la nebbia scendere inesorabile e ci chiediamo come facciamo gli abitanti di SFO ad abituarsi a questo sali e scendi nebbioso. Passiamo la sera al Fisherman’s Warf, dove gustiamo una buona cena da Cioppino’s: ultimo shopping, un ultimo saluto alle foche, gli homeless, i gabbiani, la gente, persino ad Alcatraz, nel tramonto. Questo è l’inizio di un addio, continuato mestamente poi il giorno dopo con l’addio alla Jeep Liberty al SFO airport –una reale fatica-, e a tutto l’American way of life. Consapevoli che sicuramente non si tratta di un farewell, ma di un see you soon, affrontiamo il ritorno, ormai alle porte.

PS. . Alcune cose pratiche, dette e ridette, ma mai sufficienti: a- Si può e si deve combattere l’aria condizionata a NY con una sciarpa e una felpa leggera, da tenere sempre con se’.

b- Gli hotels: il PanAmerican puà essere una buona soluzione a NY, i Super8 negli altri luoghi, il Bally’s sicuramente a Las Vegas –molto conveniente. Indispensabile trovare una piscina, anche piccola, da LV in poi.

c- Tessera metro e tessera parchi: quest’ultima permette di visitare qualsiasi parco degli USA. Non è trasferibile. Inoltre, diversi musei (il Metropolitan sicuramente) non richiedono un biglietto a tariffa fissa, ma un’offerta, senza però pubblicizzarlo troppo.

d- I rangers: sono persone estremamente gentili ed è piacevole parlare con loro.

e- Evitare le grandi città nelle ore di punta: al contrario, sarebbe un’esperienza poco piacevole. f- La polizia: è davvero come alla TV! Quindi… Calma e sangue freddo, ragazzi. I limiti non si superano davvero, e realmente l’auto della polizia spunta dal niente, anche in pieno deserto. Tutto rigorosamente vero! g- Sfruttare bene questo sito: per noi è stato un grande aiuto pratico, dalle marce dell’auto ad alcuni percorsi o curiosità. Quindi, grazie.

h- E per ultimo, ma non ultimo…Prendere un po’ le cose con calma, per godersi la vita americana fatta anche di episodi particolari, di note di musica, di momenti singoli, come gli incontri continui con gli scoiattoli, che quasi vogliono parlare con te, anche a NY, o gli estemporanei cantanti blues sulla metro. Uno spettacolo!



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