Una Mosca non turistica
Siamo appena entrati nell’ex territorio sovietico e dal finestrino si susseguono campi coltivati e spazi incolti colmi di alberi e vegetazione. Da parecchio tempo si vedono solo enormi macchie di diverso verde che dominano il paesaggio. Mi viene da pensare alla vastità di quello che é stato l’impero sovietico e alla sfida di governarlo con un potere così altamente centralizzato. Penso alla politica di Stalin, alle acrobazie di ingegneria sociale compiute per tenere insieme queste terre e queste persone così diverse tra loro. Intanto sotto di me le foreste hanno quasi totalmente preso il posto di ogni piccolo spazio coltivato. Mi chiedo se in un diverso paese, un diverso gruppo di persone sarebbe riuscito a far funzionare l’utopia socialista.
Sposto le lancette dell’orologio chiedendomi se il tempo che troverò sarà spostato all’indietro soltanto di ore oppure di anni. Il servizio offerto dalla Aeroflot é stato finora impeccabile e devo ammettere che mi sento un po’ deluso. Mi aspettavo di trovare già sul volo un po’ di leggendaria durezza socialista, mentre invece sembra di stare su di un aereo di una qualsiasi compagnia occidentale. Probabilmente i voli internazionali sono quelli dedicati al “business”, ai capitali esteri, che sembrano essere per ora l’unica risorsa della Russia. Per questo tanta cura é stata messa nel dare una parvenza di organizzazione e di professionalità al viaggiatore. Il simbolo luminoso che indica di allacciare le cinture di sicurezza intanto si attiva. Il comandante parla in una lingua misteriosa. Le piccole televisioni si ritraggono e tutti si preparano per la discesa. Ora il comandante parla in inglese. Tra poco vi verrà mostrata la Russia con tutto il suo fascino e i suoi misteri. Tenete le cinture allacciate.
Venerdì 16 Giugno 2000 I russi Visitare i paesi stranieri essendo ospiti di amici invece che di un anonimo albergo dà la possibilità, a volte preziosa, di conoscere in presa diretta come le persone vivono. Nel nostro caso il primo contatto con la Russia é attraverso Denis, il nostro ospite, e Dima, un suo collega.
Denis viene dalla Crimea e il suo aspetto ne tradisce le origini meridionali, capelli corvini e carnagione scura ne fanno un russo atipico. Il resto, cappellino da baseball, modo di parlare e abitudini alimentari vengono direttamente dagli Stati Uniti, testimoniando così la nuova ondata di ammirazione per l’occidente ricco cresciuta dopo la caduta del comunismo. Denis ama andare in snowboard ed é appena tornato dal Canada dove, dice lui, fino a dieci anni fa non avrebbe mai neppure pensato di poter andare. Ovviamente é un entusiasta della fine del comunismo, sistema di governo che secondo lui ha portato soltanto povertà e repressione. Non sembra comunque interessarsi troppo di politica e ogni discorso che cerco di impostare sull’argomento, cade dopo poche battute.
Dima invece é una vittima del cambiamento improvviso, della velocità con cui il modello capitalista si é inserito nel tessuto sociale russo. Ha enormi e spessi occhiali che gli semi-nascondono il volto, guarda sempre per terra quando parla e passa il tempo rinchiuso in un suo mondo fatto di alcool e musica techno. Cerca di non mangiare mai e le calorie necessarie le prende a sufficienza dice lui, dall’alcool, nel quale va a finire anche gran parte del suo stipendio mensile. Nonostante tutto questo, traspare subito parlando con lui una grande intelligenza e una spiccata sensibilità, che lo hanno reso un bersaglio più facile per i pericoli del rapido cambiamento sociale russo.
La macchina che ci porta in città dall’aeroporto é guidata da Dima. Il fatto che abbia appena preso la patente, unito alla stranezza del personaggio, ci fa un po’ dubitare della sicurezza del viaggio. Quasi per confermare questi nostri dubbi Dima urta subito il paraurti della macchina di fronte, scatenando le ire del giovane proprietario russo. Tutti scendono e il problema viene risolto mediante pagamento in contante dei danni. Ci viene poi spiegato che in Russia l’assicurazione automobilistica non é obbligatoria e che quindi quasi nessuno ce l’ha. Quando c’é un problema si decide quanto pagare e si regola subito il conto. Mi sento sollevato. Non tutta la vecchia Russia é sparita nel nulla…
Domenica 18 Giugno 2000 Ore 5am A San Pietroburgo ci sono le notti bianche e a Mosca poco ci manca. Però a nessun russo viene neppure in mente di mettere una qualsiasi tendina per impedire alla luce di entrare invadente dalle finestre e così eccomi ad osservare il soffitto in una torrida mattina d’estate.
Il mio sguardo si sofferma sullo stile dell’arredamento e non riesco a fare a meno di notare alcune particolari incoerenze. L’appartamento non sarebbe brutto di per sé, se non fosse stato lasciato nella più totale incuria da mesi. I rubinetti gocciolano, le pareti si scrostano e la polvere invade ogni cosa. Mancano gli oggetti più fondamentali per cucinare e in bagno non c’é carta igienica. Sul grande mobile del salotto spicca però ogni sorta di meraviglia elettronica, negata da generazioni alla massa che ora si riversa a comprarla furiosamente. Televisore, videoregistratore, stereo, minidisc, tutto nuovo di zecca e delle marche migliori. L’improvvisa libertà negli acquisti dei russi viene utilizzata per comprare tutto quello che é sempre stato negato invece che migliorare ciò che si aveva già. La meraviglia di un nuovo televisore, vale bene mobili rotti e rubinetti gocciolanti ai quali ormai ognuno ha fatto l’abitudine da anni. Tutte le porte di casa sono chiuse da doppie porte e le macchine sono protette da allarmi sofisticatissimi. Peccato che le case dentro cadano a pezzi e che le macchine non riescano neppure ad accendersi.
Queste incoerenze si manifestano anche nello stile di vita. Nessuna attenzione viene data al cibo, mentre l’alcool, simbolo di libertà e strumento di divertimento, viene esaltato con riti quasi religiosi. Durante il nostro primo fine settimana a Mosca veniamo traspostati da un locale all’altro, peraltro eccezionali nella loro originalità, alla ossessiva ricerca di una liberazione ricercata nell’imitazione del consumismo. Il rituale é sempre lo stesso, dopo poche ore, a volte meno, ci si stufa di un locale, si esce all’aperto, si ferma la prima macchina che passa e si chiede all’autista di portarci in un altro posto. Chiunque venga fermato acconsente con piacere. Mi viene da pensare che il traffico notturno di Mosca sia composto esclusivamente di tassisti improvvisati. Per fortuna, quando ormai ci sentivamo trappola di un mondo già noto, Sasha, un collega di Denis dall’aria romantica e poco occidentale, ci convoca letteralmente in una saletta tranquilla del club di turno e inizia a comunicare con noi. ” Prima non si stava meglio – risponde alle nostre invadenti domande sulle condizioni attuali a Mosca – ma neppure adesso si sta meglio. Il cambiamento é stato veloce e si é portato dietro anche la nostra capacità di reagire. I più furbi si sono arricchiti, ma gli altri rimangono a guardare un mondo che non conoscono danzare veloce davanti ai loro occhi e non sanno cosa fare. ” Sacha, come Denis, é stato a Londra a lavorare per un anno ed é lì che l’ho conosciuto. “I primi tre mesi che ero là – mi dice – sono stati eccezionali. Ero euforico, uscivo sempre, potevo fare ciò che volevo e mi perdevo ad osservare le meraviglie dell’offerta che già iniziavano ad arrivare anche in Russia. Poi però ho iniziato a sentirmi in un mondo non mio e a stare male. Non capivo il mio ruolo. Alla fine non vedevo l’ora di tornare. Ma anche i primi tre mesi di ritorno a Mosca sono stati terribili. Faticavo a riabituarmi a ciò che mi era mancato così tanto a Londra.” Mentre Sacha racconta, Denis si unisce al gruppo e il racconto si fa sempre più scialbo, sempre meno critico e più banale. Sospetto che la paura dei commissari di partito, dei delatori, che era così forte durante gli anni del regime, sia rimasta nella mente delle persone e così anche oggi nessun russo si fidi più a parlare e a lamentarsi di fronte ad altri russi.
Martedì 20 Giugno 2000 La città Strano. Pensavo che camminare per le strade di Mosca mi sarebbe sembrato romantico, che avrebbe avuto un sapore ottocentesco, e mi avrebbe comunicato la grandezza di un impero, anche se ormai decaduto. Mi aspettavo colori impressionisti, musiche barocche, testimonianze di antichi splendori. Invece ciò che mi accoglie subito é il grigio non-colore che domina su tutto. I palazzi, le strade piene di polvere, persino il cielo nel mezzo di un’estate torrida, non lasciano ai colori una via di scampo. Le strade a sei corsie nel mezzo della città, colme di sferraglianti Lada, contribuiscono non poco a questo senso di inferno industriale che mi disorienta. La Piazza Rossa é grande, imponente, ma la sua rigidità geometrica e il suo spoglio rigore militare, riescono ad annullare anche la divertente fantasia della cattedrale di S.Basilio.
La differenza tra i negozi del centro città e quelli di periferia é disarmante. Già a due fermate di metropolitana dalla Piazza Rossa si hanno serie difficoltà a distinguerli dalle abitazioni delle persone e la parola “scelta” non ha più un significato. Il centro città invece é un rigogliare di marche e nomi noti, i soliti nomi noti. La colonizzazione consumista sembra essere già ben avviata e i turisti vengono depositati a decine a comprare oggetti che a casa loro costano la metà. Denis mi indica fiero un terribile contro commerciale al cui sviluppo ha contribuito anche la nostra compagnia. Mi prende una sottile tristezza. Ma più tardi rido all’arguzia dei russi. Noto che é facilissimo, soprattutto per un turista ben equipaggiato di valuta straniera, entrare nei negozi, nei grandi magazzini, in tutti qui templi del consumismo fioriti a centinaia nella nuova era del capitalismo russo. Ciò che é più difficile é uscire. Trovare il modo per lasciare il negozio é un’impresa così difficile che si finisce per passare davanti a tutti i banchi, a tutta la merce e probabilmente a comprare qualcosa.
Giovedì 22 Giugno 2000 Il trionfo sovietico oggi La Russia é passata attraverso un cambiamento incredibile, questo lo sanno tutti. Per chi ci va oggi, la curiosità più grande é forse quella di vedere come era ieri, la sua grandezza, il suo potere, i risultati di quell’incredibile esperimento di ingegneria sociale chiamato Unione Sovietica. Appena fuori Mosca c’é un posto che potrebbe offrire tutto questo. Si chiama “Esposizione Universale dei Trionfi dell’Economia Sovietica”. É un parco spaventosamente grande, alla maniera sovietica, pieni di enormi statue e celebrazione di un ciò che é stato sogno e un potere. Forse in equal misura. Ma ciò che invece oggi vi viene celebrato é un potere diverso, che ha annichilito in pochi anni ogni retaggio di quello precedente. Il capitalismo, che ridicolizza ogni altra espressione, svendendola a basso prezzo.
Le bellezze architettoniche del parco, le decine di padiglioni dedicati un tempo ai prodotti dell’economia sovietica, dall’agricoltura alle imprese spaziali, le belle fontane e i viali alberati, sono infestati da merce in vendita e shourma gocciolanti grasso. I militari che un giorno facevano bella mostra di sé stessi tra le celebrazioni del potere, sono stati sostituiti da decine di cinesi, di coreani e di russi stessi, che vendono di tutto, da musicassette anni settanta a divani su ordinazione. Non so che cosa pensare. Il potere che impediva l’espressione della libertà individuale é appena caduto e già gli uomini si affrettano ad essere schiavi di un altro potere più sottile. Cadono preda dell’incantesimo di plastica che sta invadendo sempre più ogni remoto angolo del mondo trasformandolo in un’immagine sbiadita di sé stesso, a cui manca ogni tipo di contrasto. Potrei giustificare la corsa all’agio, alle comodità che sono state negate per tanto tempo, al cibo, ma non riesco a capire perché tutti cerchino solo di assomigliare a tutti senza cercare la propria identità.
Il museo della conquista spaziale é indicato sulla mia guida (vecchia di qualche anno), come il più grande ed eccezionale padiglione, con centinaia di metri quadrati di esposizione sulla storia dell’astronautica. Entro in una stanzetta poco più grande di casa mia, decorata in uno splendido kitsch sovietico anni settanta. Rimpiango che non ne rimanga più molto. Il tutto é sovrastato da una imponente struttura, un enorme missile d’argento che vola verso il cielo lasciandosi dietro una bellissima scia di metallo. Peccato che la scia sia solida e abbia trattenuto quel missile lì per tutti questi anni senza lasciarlo libero di andarsene via da questo sfacelo almeno lui, ultimo testimone dei tempi passati.
Venerdí 23 Giugno 2000 La Freccia Rossa L’occasione di assaporare la vita dei russi continua a prevalere sul desiderio, pur pressante, di qualche agio e di un po’ di riposo. Quindi, appena ci si presenta l’occasione di andare a San Pietroburgo per una breve visita, la scelta del mezzo di trasporto cade subito sul treno, seconda classe (sui treni russi, fin dai tempi dell’equalizzante comunismo, sono stranamente sempre esistite ben tre classi), vagone letto.
Insieme a noi, nelle altre due cuccette libere del pulito e comodo scompartimento, si accomodano due godevolissimi personaggi. Il primo é Alec, rappresentante di un’azienda internazionale di tabacco. Come ogni bravo nuovo russo, si presenta dandomi un biglietto da visita e inizia a parlare di affari. Io riesco a racimolare uno dei miei da qualche parte e glielo do’, suscitando in lui un’espressione delusa che non capisco. Dopo poche battute tutto diventa chiaro. Siccome lavoro nel campo delle telecomunicazioni, lui ritiene che tra di noi non ci siano possibilità di creare opportunità di affari, quindi mi stringe brevemente la mano e fa per mettersi nel letto. A quel punto però entra il secondo personaggio. George, un danese dai capelli scurissimi e la faccia da italiano del sud, che lavora da dieci anni tra la Russia e vari paesi importando ed esportando legno, pesce e altre merci. Conosce dieci lingue, tutte imparate sul campo, compreso l’italiano, assorbito durante un suo rapporto lavorativo con un fornitore di mobili del basso Piemonte. George é uno di quei personaggi eccezionali che si incontrano in giro per il mondo, scaltro, astuto ma anche semplice e diretto. Senza peli sulla lingua e senza alcun desiderio di apparire quello che non é. Come molti di questi personaggi ha conoscenze in certe organizzazioni politiche e sa tutto della mafia e di come trattare con essa. Ma ne resta fuori. E resta onesto per quanto può restarlo.
George riesce a tirare fuori Alec dal suo lettino (forse il legname c’entra con le sigarette piú di quanto possano entrarci le telecomunicazioni…) e i due iniziano un interessantissimo discorso sulla corruzione russa del dopo-putsch. Le lobby che controllano tutto, la mafia, i politici che hanno cambiato pelle ma che sono rimasti al potere, esattamente dove erano prima, e la fragilità del sistema bancario russo. Tutte cose risapute, ma lette sulle sterili pagine bianche e nere di un quotidiano o sentite dalle voci noiose dei commentatori politici. Parlando per un’ora con George ed Alec ho capito il significato piú profondo che tutto questo può avere sul futuro della Russia. Nessuno di loro due era un analista economico, il quale comunque credo non viaggerebbe mai nella seconda classe di un treno russo.
Sabato 24 Giugno 2000 San Pietroburgo La nostra stanza di albergo é enorme, i letti sono separati, il che non ci dispiace dopo dieci giorni in un letto singolo senza cuscini. Ad ognuno degli otto piani dell’albergo c’é una dejurnaia che si occupa di ritirare e riconsegnare le chiavi ai clienti. Questa abitudine russa ad esagerare il numero di persone richieste per un lavoro l’ho già notata molto andando in giro. Se c’é bisogno di piantare un’aiuola, vengono mandati sei giardinieri. Uno guida il camion, uno spala e quattro guardano. Le truppe in giro per la città sono formate da tre, quattro soldati che camminano e parlano alle ragazze. Nessuno é da solo in Russia, e tutti danno il loro contributo, molti di loro solo guardando.
La città é di quanto di più diverso da Mosca ci si possa immaginare. É sullo stile delle città europee nel loro splendore settecentesco, come voluta da Pietro il Grande. Grandi palazzi decorati a stucchi con colori pastello, un’imponente chiesa dalla cupola d’oro e l’Ermitage, un museo di arti visive che non ha uguali al mondo per la grandezza, la quantità di opere in collezione e la confusione. Tutto questo vive sui bordi di un fiume, la Neva, che come per magia rende la città vivibile e colorata. Passiamo solo due giorni a San Pietroburgo, abbastanza per intravedere i ristoranti di lusso con le guardie alla porta, le povere babuske con le mani tese e il proliferare di cambi clandestini e bordelli di gusto pacchiano, costruiti per i turisti e per i nuovi russi, con il rolex d’oro e la BMW dai vetri oscurati. Tutto come nella capitale.
Mercoledì 29 Giugno 2000 C’é sempre una fine C’é sempre una fine a tutto e c’é stata anche per il nostro soggiorno in Russia. Non é stata una vacanza, é stato più che altro un viaggio e di questo me ne compiaccio. A volte duro, ma sempre vero e sincero, non di plastica né visto da dietro un finestrino. Sono stanco, provato, ma enormemente felice di non essermi confuso con la massa di turisti, e di avere visto con occhi imparziali ciò che é la Russia oggi. Alla fine siamo anche riusciti a vedere il vero cadavere del comunismo, il Lenin imbalsamato che riposa dentro al mausoleo nella Piazza Rossa. Per cinque giorni di seguito avevamo provato ad andarci. Tutto era stato inutile, per i motivi più disparati, dagli orari, al brutto tempo. Anche la mia macchina fotografica aveva contribuito: per le guardie era un “big problem” perché non poteva essere portata all’interno. Sarebbe diventata un “very small problem” se unita a qualche bigliettone verde, ma ho preferito mettermi in coda di nuovo, anche se divertito da quest’ennesima dimostrazione dello spirito russo. Abbiamo quindi visto brevemente ciò che rimane del comunismo, sintetizzato in quel corpo disteso, di cui anche l’originalità é messa in dubbio, illuminato da una brutta luce arancione, e visitato ormai solo da turisti curiosi e annoiati.
L’ultimo pomeriggio l’abbiamo passato alla ricerca del museo di Lenin, descritto dalla nostra guida come un pezzo fondamentale per capire l’ascesa del regime. Una volta individuato il palazzo, ci subito siamo resi conto che anche quello era stato “convertito”. Ospitava ora le riunioni settimanali di un gruppo di vecchi nostalgici del partito e di qualche altra associazione minore. Alle nostre domande insistenti su che fine aveva fatto il museo originale, un soldato ha risposto con un inglese stentato ma un gesto inequivocabile. “Lenin? Museum? Closed”, e con un ghigno divertito ha aggiunto: “FOREVER!”.