Una giornata a Maupiti
La mattina mi sveglio sempre molto presto, alle sei circa. Non vado in bagno subito. La prima cosa che faccio è aprire le tende della veranda e guardare fuori. Ed ogni volta rimango ammaliato. Alle prime luci dell’alba polinesiana ogni cosa è permeata di un’aura calda, mansueta e dolce, solo il vento scuote le piante del giardino ben curato in cui sono immersi i nostri bungalow di legno col tetto a punta. Davanti, spostato sulla destra, ho quello di Luca e Monia , i miei amici in viaggi di nozze. Di fronte, fra palme di vario fusto e ibiscus di colori diversi, tipiche tiare bianche e altre piante dai nomi esotici, spunta il mare cristallino della laguna, a nemmeno cento metri di distanza. La sua superficie è appena increspata. Possiede variazioni di blu e azzurro che pensavo non esistessero, che fossero solamente fotomontaggi delle guide turistiche per stupire chi guarda in maniera spropositata. Invece la realtà riesce a essere ancora migliore. Duecento metri di queste acque turchesi e smeraldine ci dividono dalla sponda rigogliosa di vegetazione dell’altro motu. Un cielo azzurro intenso sovrasta il tutto con le nubi candide che scorrono perennemente verso chissà dove. Allora apro la porta a vetri della veranda ed esco nell’aria mattutina che mi accarezza. Docile. Come tutto sembra esserlo qui in Polinesia. Persone, tranquille e sempre sorridenti, inclini al saluto ogni qualvolta le incontro. Uccelli, pesci, persino le zanzare pungono senza cattiveria, senza la ferocia che usano quelle occidentali. Anche i gechi non disturbano più di tanto le notti lunghe e silenziose. Notti così piene di stelle che le stesse costellazioni si confondono, non sono riconoscibili che da occhi esperti, solo la Via Lattea fende il firmamento in modo netto e imperioso. E perfino gli squali, quelli innocui di laguna, dalla pinna a punta nera, si avvicinano a riva solo a sera, dopo il tramonto, come cuccioli impauriti dalla presenza dell’uomo ma che ciò nonostante ne cercano la compagnia. Perfino le piccole murene color sabbia scappano intimorite quando calpestiamo il loro territorio appena entriamo in acqua, sgusciando veloci tra i coralli. A tre-quattrocento metri il rombo delle onde che si infrangono sulla barriera incombe in sottofondo. E’ l’oceano che spinge incessantemente alle porte dell’atollo, l’oceano paradossalmente Pacifico che vuole entrare e spezzare l’armonia di questi luoghi. Dopo l’usuale abbondante colazione decido di andare in canoa ad osservare da vicino la sua irruenza. Mentre mangiamo a quattro palmenti pane,burro e marmellata, arriva Janine, la matrona proprietaria della struttura. E’ un’anziana e placida donnona Maori dalla pelle olivastra, simpatica nel volerci insegnare col suo francese strascicato alcune parole in thaitienne, in polinesiano. Ricordo bene quella di uso più comune, maururu: grazie. Poi si intrattiene più loquacemente con la coppia di svizzeri arrivati ieri, gli unici altri coinquilini dell’intero villaggio. Un villaggio di soli sei bungalow. L’ultimo sorso di the ed è giunto il momento di mettere in atto ciò che mi ero prefissato. Io e Luca mettiamo in acqua le due canoe di plastica rossa e ci dirigiamo rapidamente verso il grande oceano. Il sole è già cocente. Dietro di noi si staglia il profilo severo e verdeggiante dell’isola centrale di Maupiti, col suo monte imponente che sembra fare da guardiano ai motu circostanti. Arriviamo a poche decine di metri dal limite esterno. Il rumore dei marosi è più forte e minaccioso adesso. Me ne sto immobile, senza pagaiare, nell’acqua limpida fra i coralli. Un piccolo essere che fronteggia spavaldo l’enormità del mare aperto. Potrebbe scaraventarmi nel buio dei suoi abissi, o buttarmi con violenza contro i suoi fondali rocciosi, ne sono ben conscio. Eppure, impavido, lo fisso nei suoi occhi blu. Affondo nella sua contemplazione, ne vengo rapito. L’estasi di fronte alla maestosità della natura. Ancora qualche minuto, poi ritorno indietro. Il pomeriggio lo trascorro oziando e dormendo sonni spossanti. Alle 18 giunge il tramonto che indora tutto, la laguna è una tavola di brillantini luccicanti. Poi, la doccia con acqua fresca tonifica la pelle arrossata dal sole. Alle 19 si cena copiosamente, al solito a base di pesce, decisamente fresco di giornata. Il pane rimasto lo gettiamo ai piccoli pesci che si azzuffano vicino al piccolo molo dove è ancorata la barca che funge da mezzo di trasporto dell’isola. Qualche squaletto ci degna della sua presenza, timida e discreta. Sono quasi le 20,30 . Sembrano le 23. Morfeo obnubila la mente, significa che la giornata è finita. Andiamo a letto. Così scorre il tempo a Fare Pae Hao. Un ritmo blando. Un ritmo naturale.
A Maupiti.
Delicatezza.
Delle fronde che s’intersecano.
Del vento che scarmiglia le palme.
Delle acque turchesi della laguna, dolcemente increspate.
Del sorriso tenero dei maori.
Degli occhi che lievemente si chiudono, mentre mi accarezza soave la brezza degli alisei, quaggiù. Dall’altra parte del mondo.
A Maupiti. (25 sett 08 )