Un mese nella capitale di Cuba 2

Il mio viaggio nell'isola del "Che", anno 2015, parte II
Scritto da: kuros
un mese nella capitale di cuba 2
Partenza il: 16/07/2015
Ritorno il: 13/04/2016
Viaggiatori: 1
Spesa: 3000 €
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Viste le migliaia di visualizzazioni e i complimenti pieni di curiosità di amici e parenti, vi scrivo con piacere la seconda parte delle mie memorie cubane, sperando che, al di là del fascino per l’affabulazione esotica, qualcuno possa trarne qualche beneficio. Ecco, rincominciamo dall’inizio, quello che non raccontai. All’aeroporto dell’Havana era una sera di un Luglio 2015 torrido, e decine di autobus di turisti, provenienti da mezzo mondo, stazionavano davanti lo slargo, tra un via vai caotico di tassisti, viaggiatori e poliziotti. Un tassista, vista la mia aria assonnata e smarrita, mi ferma e mi chiede se ho bisogno di un passaggio. Contratto e accetto. Quando arrivo a “l’Havana Centro” riesco a trovare dopo poco la zia di un mio alunno che mi avrebbe “ospitato” per circa un mese. Non mi conosce e non sa del mio arrivo. Ho solo un biglietto spiegazzato con il suo indirizzo che mostro ai vicini, fin quando trovo l’affittacamere. Una donna di mezz’età dallo sguardo astuto. Gli sbalzi di pressione dell’aereo mi hanno completamente otturato un’ orecchia, e, quando glielo dico, il suo volto si illumina. Ho una sete pazzesca e lei mi invita ad andarmi a comprare l’acqua a mezzo Km di distanza. Perplesso, mi incammino nelle strade mezze buie e alla fine compro il mio litro di acqua. E’ il mio primo impatto con le notti dell’Havana, e subito, nel breve percorso, incontro delle ragazze che mi salutano “Hola, mi amor”.

Il giorno dopo, mentre scopro in cucina la presenza di un grande distributore d’acqua filtrata, la mia padrona di casa si offre di accompagnarmi all’ospedale. Perché tanta generosità? Solo perché sono il prof di un nipote italocubano che non vede da sei anni? Sono perplesso. Capisco tutto quando, dopo la visita all’otorino, mi chiede trenta euro, entra nella stanza e poi mi invita a uscire fuori. Poi sorride e mi dice che mi ha fatto risparmiare almeno settanta euro e tre ore di fila. Crede proprio che sia un perfetto idiota, ma glielo lascio credere. Mah.

Il giorno dopo esco e, spinto dal consiglio di tre giovani napoletani (come me) appena incontrati, mi dirigo nella famosa “Casa della Musica”. Decine di bellissime ragazze ti puntano, ma capisco subito che cosa vogliono davvero. Cerco di ragionarci e parlo nel mio stentato spagnolo (in realtà un idioma fatto più di portoghese che di spagnolo) con una specie di Venere nera, una ragazza di ventidue anni che non ha nulla da invidiare a Naomi Campbell. Da incorreggibile ma anche ambiguo “moralista” sputasentenze, mezzo indignato dalla situazione, ma anche scioccato dalla sua bellezza mozzafiato, le chiedo perché mi chiede soldi e che ci faccia lì. E se vuole mai farsi una famiglia, se vuole un giorno conoscere un ragazzo onesto, perché spreca la sua vita in una specie di bordello del genere, attirando puttanieri di tutte le età e le taglie provenienti da mezzo mondo. Lei non si offende per nulla e mi risponde che deve aiutare la sua famiglia a Santiago e che, dopo dieci anni, ha già deciso, smetterà. Un giorno tornerà a Santiago con un bel giovanotto e metterà al mondo tanti bambini. Auguri, le dico, e la saluto. Torno a dormire.

Qualche giorno dopo la mia padrona di casa, durante la colazione, torna alla carica. Mi propone, dopo due settimane, di andare con lei e suo marito a Trinidad, una città distante sei ore di automobile. Il patto è questo: se vado non pago il passaggio, però in cambio devo mettere la benzina e devo prometterle che, al ritorno, starò da lei all’Havana fino alla fine del viaggio. Pagamento anticipato (nessun testimone). A Trinidad però il vitto e alloggio per me e la ragazza di Marianao che nel frattempo avevo conosciuto sarebbero costati solo 30 euro. Tutto sommato mi sembra conveniente ed accetto, senza immaginare le terribili conseguenze future. Ma chi è sta ragazza di Marianao? Si tratta di una bella chica nera che conosco una domenica mattina all’Havana vecchia. Passeggio con lei tutto il giorno, poi il pomeriggio l’accompagno a casa. Non so che mi aspetta. Abita in una specie di tugurio col tetto di Eternit senza bagno (hanno dietro una tenda un grande bidone d’acqua e si lavano con una specie di pentolino col manico lungo). Sono di religione Yoruba e in casa hanno delle bamboline nere su un tavolino con foto di parenti e candele accese. Quando entro in casa, la madre della mia “fidanzata” si illumina e mi fa sedere offrendomi caffè, dolci e panini. Abbraccia la figlia piangendo mostrando le medicine (ansiolitici?) che ha preso durante le ore precedenti perché la figlia non era tornata a casa. La figlia, abbracciandola, mi sorride. Poi arriva correndo la bambina che si attacca al collo della giovane madre e non si scosta più. Nonna, madre e figlioletta. E’ decisamente un quadretto commuovente e dovresti avere il cuore di pietra per non sentire niente. Vivono in questa casetta di 20 metri quadrati in tanti: lei, la figlioletta di quattro anni, il fratello maggiore, la madre. Accanto c’è la sorella col marito e due figli piccoli. Quando arrivo sono tutti felici perché hanno appena comprato un pc. Si tratta di un pezzo da museo dei primi anni 90 col cassettone gigantesco e il monitor ricurvo. Ma loro ci possono giocare, ascoltare musica e scrivere. Ovviamente, niente internet. Adiacente alla casa ci sono molte casette. Non hanno telefono e per le comunicazioni urgenti usano un telefono fisso di una vicina. I bambini giocano nello spiazzo adiacente questo gruppetto di case e fanno una confusione piena di calore e umanità ed è un piacere vedere questi ragazzini che si rincorrono felici con giochi di altri tempi. Qualche giorno dopo ci ritorno con il mio amico fiorentino conosciuto perché anche lui ospite nella famigerata casa pensione dell’Havana. Anche lui apprezza il calore del quartiere Marianao e della gente che ci vive. Portiamo le ragazze al ristorante e poi andiamo nella festa di piazza del quartiere. Che spettacolo vedere centinaia di cubani che si divertono con poco e niente. Il fiorentino poi deve ripartire e ci salutiamo con la promessa di risentirci.

A Trinidad, una bellissima cittadina a pochi km da spiagge molto belle, io e la mia ragazza cubana ci troviamo dunque in balia della mia padrona di casa. Il passaggio gratuito dalla capitale alla fine non c’è più e quindi devo pagare 70 euro (invece dei 50 preventivati all’ultimo momento). Quando arriviamo nel quartiere Boca, alla mia padrona di casa dell’Havana prende un colpo: “la villa” che si aspettava di trovare è in realtà costituita da una una piccola casetta senza acqua corrente, stracolma di gente. E’ una villetta di proprietà di un lontano parente del marito, in cui erano stati invitati. Il suo piano fallisce: all’Havana, quando mi aveva fatto la proposta, aveva evidentemente pensato di sistemare me e la mia ragazza in una stanza della “villa”, farsi pagare dal pollo italiano 30 euro al giorno e pagarsi così la vacanza. Ma lì non ci sono proprio stanze dove piazzarci. Va nel panico e alla fine ci porta in un Bed and breakfast di Trinidad centro (distante 6 km), promettendoci di venirci a prendere la mattina dopo per i pasti promessi. Ma il giorno seguente si fa tardi e nel frattempo noi mangiamo. Quando finalmente arriva, verso mezzogiorno, succede il finimondo. C’è un’accesa discussione tra la mia padrona di casa e quella del Bed and breakfast. Quella dell’Havana mi invita a uscire, ma io capisco che lei aveva preventivato 20 euro tutto compreso, e invece il prezzo è 30 (+ 8 per le due colazioni), quindi 38 euro. Un salasso per lei. Non so che fare: mi trovo in balia di una donna senza scrupoli che, pur non essendo una ladra e mantenendo finora a suo modo la parola, ormai mi ha in pugno. Le ragazze del breakfast, sentita la mia storia, mi guardano sconsolate: “The business that you made with that woman is really bad”. Per farla breve, cambiamo pensione e in qualche modo sopravviviamo ai 5 giorni a Trinidad. Tutto sommato, un’esperienza di vita anche questa. E, al di là del discorso economico, positiva.

Quando ritorno all’Havana, la mia ragazza mi chiede se le posso dare un po’ di soldi per la bambina. Non è la prima volta e sorrido tristemente. Arrivato a casa, mi concedo un po’ di riposo, ma il pomeriggio sento dei canti e delle urla provenienti dalla cucina. Mi affaccio dalla porta della mia stanza e vedo una donna nera nera con delle candele e delle polveri che presiede una specie di riunione. Si tratta di una cerimonia Yoruba, ma durerà ore ed assomiglia più a un rito vodoo. Il tutto mi dà l’occasione di pensare a quanto sono belle le nostre tanto disertate messe nelle italiche chiese post-tridentine.

Ma ormai è passato quasi un mese e siamo alla fine del mio viaggio. All’aeroporto, dopo aver assistito all’ultima, fatale illusione di quel giovanotto con la barba e gli occhiali che si perdeva nel volto della sua ragazza cubana, ho l’ennesima, amarissima sorpresa. Volo cancellato e comitato di ricevimento a Fiumicino dei miei amici romani saltato. Dopo due, tre ore veniamo infine dirottati in un hotel di lusso alla periferia dell’Havana. Mai stato in vita mia in un posto del genere. Anche qui, all’arrivo, dopo una giornata di caldo torrido, ho una sete tremenda e in camera, nel frigo, non c’è la bottiglia d’acqua che doveva starci. La sete è terrificante e chiedo più volte alla reception un po’ d’acqua. Mi dicono di tornare in camera e di aspettare. Aspetto, aspetto, ma niente. Purtroppo non la posso acquistare, perché non ho un centesimo dopo che qualcuno/a mi ha rubato, come raccontato in precedenza, i miei ultimi 50 euro dalla valigia posta in camera della mia padrona di casa all’Havana. Alla fine, imbestialito, vado al bar, ordino una bottiglia d’acqua e me la scolo, ignorando platealmente le proteste del barman che mi chiede i soldi. Poco dopo scopro che quello era l’Hotel di Al Capone, l’Hotel preferito dal famoso gangster. La sera, dopo un breve giro nei dintorni, mi butto su una sedia a sdraio posta vicino la piscina di extralusso, ascoltando stancamente il complesso di cantanti donne che ripropone l’ovvio repertorio del caso. Faccio amicizia con delle famiglie di simpatici napoletani, che rivedrò poi con piacere a Napoli. Uno è un avvocato in gamba e insieme organizziamo i termini del rimborso.

La mattina successiva è quella decisiva. Finalmente si parte. Dal finestrino dell’aereo, ripensando a tutte le truffe che subii, guardo i passeggeri prima del decollo. Dalle loro espressioni, sembra che ritornino soddisfatti alle loro case, bevendo il vino e facendosi il segno della croce. Qualcuno biascica orazioni con il rosario. Ci alziamo in volo e, vedendo l’Havana scomparire, ripenso a quello che mi disse il frate italiano che andai a trovare : “Qui quasi nessuno ormai viene più in chiesa. I pochi che resistono ci dicono ‘Ci hanno tolto la libertà e ci hanno dato il libertinaggio’ ”. E’ proprio vero, e ormai lo posso pensare anch’io, che il Comunismo, degenerando in dittatura, ha distrutto gran parte dei valori della società cubana. Prima di affrontare il massacrante viaggio di ritorno, mi scolo i tre bicchieri di vino rosso offertimi, sperando di prendere sonno. Chissà perché, nel dormiveglia, mi vengono in mente i bellissimi versi della poetessa russa Achmatova. Versi straordinari, che però hanno il torto di accusare ingiustamente il Padreterno di aver abbandonato l’uomo. Non sarà il contrario? Cara poetessa dalla vita segnata dal dolore, io penso proprio di sì: ”Bevo a una casa distrutta /alla mia vita sciagurata / a solitudini vissute in due/ E bevo anche a te: /All’inganno di labbra che tradirono,/ al morto gelo dei tuoi occhi,/ ad un mondo crudele e rozzo,/ ad Un Dio che non ci ha salvato”.



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