Un mese in Messico
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Prime impressioni: 1) l’aeroporto è vicinissimo al centro, 5/10 minuti senza traffico e il doppio, ci dicono, alle 19.00 all’ora di punta, ma tutto questo traffico non sembra esserci, 2) al d.f. mi aspettavo un bagliore e un frastuono incredibili, e invece l’illuminazione è bassissima se non inesistente e si ha l’impressione di essere nella periferia di Cuba. Persino lo zocalo è così, abbastanza deserto e buio. 3) avevamo letto che Città del Messico era una città, se non la città più inquinata del mondo, eppure questa cappa di smog non l’abbiamo né vista né avvertita durante i quattro giorni che siamo rimasti. Ammettiamo pure che all’arrivo ero bella stralunata, ma non mi ha fatto l’impressione di una città vitale e caotica di 22 milioni di persone. Nel nostro albergo Holiday Inn Zocalo, prenotato dall’Italia, abbiamo preso possesso di una camera graziosa ma con un letto davvero “ristretto “ da lillipuziani, e abbiamo pensato di cenare sulla terrazza panoramica. Che dire, il panorama da lassù era stupendo, avevamo scelto questo hotel non proprio economico per questo motivo, eravamo praticamente sospesi sopra la piazza principale, solo che era tutto talmente buio e silenzioso da ricordare l’ora di coprifuoco. Ma sarebbe stato così ancora per poco, perché come avremmo scoperto l’indomani, i messicani si sarebbero scatenati a più non posso per i festeggiamenti del Dia de los Muertos, una specie di Halloween non allegra, ma allegrissima.
Ma ritorniamo all’atmosfera del ristorante del Holiday Inn Zocalo. Praticamente ci siamo seduti al tavolo immersi in una oscurità quasi totale. Quando, presi dal panico, ci siamo chiesti, cosa mai avremmo potuto ordinare al buio (come se con la luce potessimo capire qualcosa del menù in spagnolo), ecco che arrivava il cameriere con le pile. Abbiamo tirato un sospiro di sollievo, poi però siamo di nuovo piombati nello sconforto alla scoperta che la pila era minuscola e che ce ne doveva bastare una in due. Vi lascio immaginare che schifezza ho ordinato. Il mio compagno se l’è cavata con una cosa semplice simile a bistecca e insalata, mentre io che non volevo fare la turista, ho ordinato qualcosa che sembrava etnico e mi è arrivata una enchilada con mole, piatto che odierò per tutta la vacanza e che purtroppo assaggerò per sbaglio in un altro ristorante bio di San Cristobal de las Casas. Praticamente degli involtini fritti di pollo (la carne sembrava stoppacciosa e veramente pensavo che fosse piccione?), il tutto immerso in una quantità inverosimile di sugo rosso/marroncino dal sapore indefinibile. Non paga, ho ordinato un altro piatto, pensando che quello che mi avevano fatto passare per entrantes, fosse nella quantità, un semplice antipasto. Niente di più falso! Con la panza che scoppiava ho poi dovuto ingoiare dei camarones alla Nueva Orleans, che altro non erano che gamberoni affogati nella salsa Worcester. Superato questo iniziale impatto catastrofico con il cibo, siamo poi tornati in camera e ci siamo fiondati nel letto stravolti dalla stanchezza. Improvvisamente, quella notte, ci siamo alzati simultaneamente alle 3 e siamo rimasti svegli sino a quando non hanno aperto il ristorante per la colazione (7.00 a.m.) Sarà per il fuso, sarà che non riuscivo a digerire le schifezze della cena, ho approfittato dell’alba per navigare su internet, ma ecco la prima nota dolente: non riuscivamo a collegarci con la password fornitaci dal hotel. Il giorno dopo avremmo scoperto che l’impiegato non ricordandosi che entravamo nel mese di novembre, ci aveva dato una password vecchia. Comunque, sorpresa gradita, l’Holiday Inn Zocalo ci avrebbe offerto una buona colazione abbondante e varia che ci sarebbe bastata come pranzo.
Sempre con addosso gli strascichi del jet-lag (dureranno circa tre giorni purtroppo) abbiamo deciso di avventurarci a piedi in zona zocalo e dintorni passeggiando per Avenida Madero, una zona pedonale lunga e ampia, ma non eccessivamente ricca e visitando la Casa degli Azulejos. A questo punto, stanchi di camminare e dal fatto che non riuscivamo a trovare niente per la fatica di interpretare la cartina minuscola della lonely planet, abbiamo rinunciato a cercare un ristorante consigliato dalla stessa, e ci siamo invece fiondati in uno dei tanti Samborns della capitale (una specie di Macdonald, con annessa farmacia, alimentari, pasticceria e chi più ne ha più ne metta) per mangiare cibo messicano. Rifocillati con cibo piuttosto anonimo, ci siamo di nuovo diretti verso la piazza centrale, dove abbiamo notato una specie di parata di carri allegorici del tipo di quelli di carnevale, che in verità abbiamo poi scoperto erano delle alebrijes giganti (le alebrijes sono delle statuine in legno di animali di fantasia coloratissimi e tutti dipinti a mano). Forse i loro creatori prendevano parte ad un concorso e non abbiamo capito se queste creazioni fossero lì in mostra per tutto l’anno o se era una mostra temporanea. Poi è stata la volta della cattedrale, che ho trovato veramente grande e imponente, ma abbastanza austera e buia e del Palacio Nacional dove abbiamo potuto ammirare i murales di Diego Rivera e di altri famosi artisti. Sicuramente sarebbe stato meglio avere con noi una guida, ma eravamo ancora frastornati, per cui il primo giorno è stato un girovagare senza meta. Girando siamo arrivati nella zona dei Voladores, che sarebbero dei danzatori che inscenano una sorta di riti propiziatori secondo i costumi olmechi/atzechi/teotihuacani/mixtechi/maya etc.etc. (ma non c’è alcuna prove archeologica che comprovi tale usanza presso i popoli precolombiani). Che dire, tutti quei costumi con annesse piume, pelle di giaguaro, conchiglie alle caviglie e incenso era abbastanza turistico, però vederli saltellare a destra e a manca instancabilmente aveva il suo fascino. Per dire la verità, abbiamo visto molti messicani ,con in mano l’offerta, fare la fila per essere sottoposti ad una specie di rito di purificazione, durante il quale venivano picchiettati con ampolle da cui si sprigionava del fumo e strofinati con poveri animali vivi (per lo più piccioni spaventati a morte). Più camminavamo per le strade e più polizia vedevamo in assetto anti-sommossa. Abbiamo pensato che forse doveva arrivare qualche importante personaggio politico o che forse c’era il pericolo di qualche sparatoria fra varie bande di narcos, e invece tutte quelle forze dell’ordine erano lì schierate per far fronte ai festeggiamenti del Giorno dei Morti e Ognissanti. Praticamente in questi giorni, tutti ma proprio tutti i messicani, avrebbero fatto a gara per allestire degli altari in onore dei propri cari defunti, sui quali venivano simbolicamente offerti su tavole imbandite, frutta, carne, pesce, liquori, caffè, insomma tutti quelle cose che i defunti amavano in vita. Così questo giorno diventava un grande banchetto collettivo, e per tutta la città si trovavano un mare di scheletri vestiti nei modi più strani e bizzarri. In particolare dappertutto, alle finestre, ai balconi e negli androni e cortili, facevano bella mostra di sé le “catrine”, scheletri di donne tutte agghindate e imbellettate, che hanno un significato particolare per i messicani.
secondo giorno
Abbiamo deciso di prendere il turi-bus, che per 160 pesos ci avrebbe portato a fare un giro panoramico della città. Era un hop-on, hop-off, e così abbiamo deciso di scendere davanti al Bosque de Chepultepec, che non abbiamo visitato per mancanza di tempo, per dirigerci invece al Museo di Antropologia. Il museo è bellissimo, ben organizzato e enorme. Non si riesce a vederlo tutto in un giorno, e così noi abbiamo visitato soltanto il piano inferiore perché quello etnografico era veramente troppo, sia per le nostre gambe che per il jet-lag. All’entrata forniscono una audio-guida davvero utile. Se si ha un giorno in piu’ vale veramente la pena vederlo tutto, anche perché così si riesce a capire un po’ di più delle culture precolombiane e soprattutto delle numerose etnie che popolano il Messico. Siamo quindi risaliti sull’autobus e comodamente seduti, ci siamo lasciati trasportare per le vie più importanti della città. Città del Messico sicuramente non si può definire bella, ma noi l’abbiamo trovata interessante e nemmeno tanto caotica come da immaginario collettivo. Il giorno tre lo dedichiamo alla visita della meravigliosa Teotihuacan. Noi purtroppo ci siamo fatti portare in taxi per 70 usd, che è una cifra spropositata. Consiglio di prendere uno dei tanti efficientissimi bus che si trovano alla stazione Tapo e sicuramente spenderete la decima parte. Le rovine sono meravigliose, ma non risalite come noi tutti i gradini possibili e immaginabili, perché poi ne pagherete le conseguenze per giorni e giorni. Dopo l’esperienza avevamo tanto di quell’acido lattico in corpo, che la gente sogghignava vedendoci arrancare tutti storti e sofferenti per il dolore. Durante il tragitto di andata, il tassista ha voluto per forza portarci a vedere la basilica della madonna di Guadalupe, e sapendo quanto sia importante per i messicani, non abbiamo avuto il coraggio di rifiutare. La vecchia basilica è bellissima anche perché è tutta in pendenza e sembra stia per crollare da un momento all’altro. Entrare fa uno stranissimo effetto perché per raggiungere l’altare sembra di arrancare su di una collina! La nuova basilica è invece un obbrobrio moderno. Direi che la visita si può senz’altro saltare.
Giorno 4
È stato dedicato alla metropolitana, perché nonostante i racconti terroristici sulla stessa, io volevo toccare con mano quella realtà ed abbiamo fatto veramente bene. Sicuramente una esperienza da fare per i mille personaggi che scendono e salgono in continuazione per vendere i loro prodotti; dal venditore di creme miracolose per l’artrosi, dolori e quant’altro, all’uomo altoparlante che vendeva cd di dubbio gusto di musica messicana rock/elettronica, alla bambina con la palla magica che quadruplicava in dimensioni etc. Con qualche difficoltà ma grazie alla estrema gentilezza dei messicani riusciamo ad arrivare a Coyoacan, che ci dicono famosa per il suo mercato delle “artesanias”. Si tratta di un’area molto carina, curata e tranquilla,non sembra di essere nella capitale; è difatti una città nella città dove è tutto piu’ silenzioso, ordinato e “periferico”. Purtroppo per la prima volta veniamo sorpresi dalla pioggia e fuggiamo terrorizzati perchè non sappiamo come raggiungere la stazione metro che dista almeno 3 km. Per caso notiamo passare un “pesero” e al volo saliamo su questo autobus sgangherato e strapieno fino all’orlo senza sapere assolutamente in che direzione vada. Una signora molto gentile che non ci ha mai persi di vista, ci urla che comunque non ci sono fermate intermedie e che la destinazione è una fermata metro qualunque. Infatti siamo scesi alla stazione Viveros e risaliamo alla stazione Coyoacan. Non abbiamo ancora capito come quel povero cristo di autista facesse a guidare, controllare, prendere i soldi e dare il resto contemporaneamente con tutta quella gente e in mezzo a un traffico bestiale. Ma questa è Città del Messico! Purtroppo, causa poco tempo a disposizione, non abbiamo potuto visitare il quartiere di Xochimilco, che chiamano la Venezia del d.f., e che è una delle poche testimonianze di come l’area su cui si trova Città del Messico fosse in realtà occupata da un sistema di laghi collegati tra loro, che dopo l’ennesimo alluvione si è deciso poi di prosciugare con una serie di canali.
Con i biglietti già in tasca, dalla stazione Ado del terminale Tapo, prendiamo la corriera di prima classe diretta ad Oaxaca per un tragitto di circa sei ore. Cosa dire degli autobus messicani? Perfetti, puliti e comodissimi (di gran lunga più dell’aereo) e viaggio non stop fino a Oaxaca dove arriviamo alle 3.30 del pomeriggio. Alloggiamo alla Casa de mis Recuerdos, boutique hotel non proprio a buon prezzo, ma carino, con poche camere e un cortile interno stupendo invaso di fiori e piante di ogni genere. Intanto, per la cena ci consigliano di andare al Marco Polo (non è italiano), noto per le specialità di pesce e infatti anche noi lo consigliamo per le porzioni enormi. Non ordinate la pasta però, anche i messicani pensano debba cuocere per mezz’ora! Poi iniziamo ad esplorare la cittadina che scopriamo carina, vitale e piena di musicisti improvvisati o meno che suonano per racimolare qualche spicciolo. Certo qui siamo in un’altra realtà rispetto a Città del Messico e da ora in poi tutti le città che visiteremo avranno un connotato molto più umano e più caratteristico. Qui ci sono moltissime librerie, stand, gallerie, e centri culturali a non finire. Nel nostro hotel facciamo conoscenza degli “stitici”, che si arrabbiano la prima notte perchè il nostro fumo dal cortile entra nella loro camera, di una americana cicciona sopranominata “ l’uomo”, e infine di una new yorkese anoressica di nome Ellen, che fa la fotografa per passione e che ci farà un ritratto prima della nostra partenza per Puerto Escondido. Ci dice che siamo attraenti e a Armando dice che ha dei bei occhi, espressione che ripeterò per tutta la durata della vacanza. Ci raccomanda anche di farci organizzare un tour dei dintorni di Oaxaca dal proprietario della pensione. Purtroppo per questa scelta ci rosicheremo i gomiti per un bel po’ di tempo.
Spenderemo infatti 1500 pesos, quando avremmo speso al massimo 150 pesos partecipando ad un tour con una qualsiasi agenzia di viaggi della città. E vallo a sapere che a novembre, visto il numero bassissimo di turisti, ci sono tantissime offerte a prezzi stracciati. Comunque la guida, che poi sarebbe stata la gerente del B&B;, ci ha spiegato tante cose interessanti in uno spagnolo davvero comprensibile. Abbiamo visitato qualche comunità dei dintorni, chi specializzata nell’arte tessile, nella scultura del legno o nella lavorazione della terracotta, e io ne ho approfittato per comprare un bellissimo tappeto tessuto a mano con fibre dai colori assolutamente naturali a Teotitlan del Valle. Abbiamo visitato un sito archeologico di cui non ricordo il nome e anche l’albero di Tule, che si dice abbia più di 2000 anni. Finito questo costosissimo tour, abbiamo deciso di comprare il biglietto aereo da Oaxaca a Puerto Escondido.
In un primo momento avevamo pensato di fare questa tratta con uno dei loro pulmini a nove posti, ma dopo aver ascoltato vari racconti del terrore, in cui questo tragitto veniva anche definito “il viaggio del vomito” e veniva descritto come estremamente scomodo, lungo e pericoloso, abbiamo decisamente optato per il volo a 140 usd di tre quarti d’ora. Avevamo ancora un giorno da trascorrere a Oaxaca e abbiamo deciso di fare un tour con agenzia del sito di Montalban. Il mattino dopo scopriamo che saremo solo noi due e una giapponese tutta matta di nome Topi in un ampio fuoristrada tutto per noi. Mentre la giapponese gira emettendo dei gridolini tipici tipo “aaaaah, oooooh, iiiiiih”, noi abbiamo esplorato il sito in lungo e in largo. Durante la visita ci sono state addirittura un paio di scosse di terremoto, ma è una cosa normalissima in questa regione e nessuno se ne è preoccupato più di tanto. Purtroppo la nostra guida stava male e non si è prodigata più di tanto in spiegazioni, ma il tour è comunque stato molto interessante e particolarmente buono è stato il pranzo. Siamo infatti andati in un ristorante, dove per 12 euro si poteva mangiare di tutto. Il posto(purtroppo non mi ricordo il nome) era molto bello e caratteristico e la cucina prettamente regionale e estremamente gustosa. Per il pomeriggio abbiamo deciso di vedere il famoso giardino botanico di Oaxaca, ma le guide sono scomparse nel nulla! Allora delusi ripieghiamo sul Museo de las Culturas de Oaxaca, accanto alla splendida chiesa di Santo Domingo e scopriamo dei reperti veramente preziosi nonostante le dimensioni piuttosto ridotte del museo. Sicuramente da vedere. Per la sera decidiamo di andare a vedere la famosissima “guelaguetza”. Si tratta di uno spettacolo in cui le varie etnie dello regione di Oaxaca si alternano con i loro coloratissimi costumi in danze varie. Ogni etnia ne possiede una particolarissima. A Luglio, infatti, la città è sede di questo enorme sfilata spettacolare che richiama fiumi di gente da tutto il Messico. Comunque , anche per chi visita la città in un altro periodo come noi, il locale Casa de Cantera offre la possibilità di assistere a una “mini-guelaguetza. Il tutto è un po’ turistico, ma vi assicuro che le danze nonché i costumi sono bellissimi.
L’ultimo giorno, belli emozionati e frementi ci apprestiamo a salire sull’aereo, un cessna a 13 posti, per volare sulla costa del Pacifico. Il viaggio è stato movimentato soltanto quando eravamo sopra la Sierra Madre, e complessivamente è stato piacevole e molto panoramico. Poi avvistiamo la costa e cominciamo a planare. Il cambio di temperatura si fa sentire subito e noi sembriamo due cretini inebetiti quando atterriamo. Una volta a terra, Armando, notoriamente parco di emozioni, alla vista delle palme e dell’oceano, esclama: “sono felice!”
Per l’alloggio a Puerto Escondido abbiamo seguito il consiglio della nostra coinquilina Ellen e non potevamo fare scelta migliore. A primo acchito ci siamo visti persi perché in giro non c’era nessuno se non il personale di pulizia. Anche i proprietari erano introvabili. Poi quando in centro paese abbiamo chiesto informazioni all’ufficio turistico circa la pericolosità del posto, ci hanno quasi terrorizzati dicendo che era meglio non girare da soli di notte sulle spiagge e da soli in genere e di spostarsi sempre con il taxi. Quando li abbiamo informati del nostro alloggio, scherzando ci hanno detto che visto il periodo eravamo capitati in una struttura “fantasma” per di più in posizione defilata e buia rispetto al paese. Insomma noi ci siamo seriamente preoccupati ed abbiamo pensato, che visto che dei proprietari non c’era traccia, e sebbene l’hotel in sè fosse carinissimo, forse sarebbe stato meglio cercare una sistemazione più centrale. E allora abbiamo ripiegato sulla nostra scelta originaria, che era Quinta Lili vicino alla playa Carrizalillo. Fortuna volle che quando ormai ero decisa a lasciare il posto, ecco che compaiono i due proprietari, prima Paul che mi vede avvicinarmi con la faccia da pazza isterica e poi Joanna che cura il ristorante e che era appena tornata dal Canada, dove vivono i suoi. Ecco il perché di tutto questo vuoto! Per loro la stagione era appena iniziata, e anzi tra 2 giorni sarebbero arrivati altri clienti per assistere ai campionati internazionali di surf che si svolgevano nell’adiacente playa Zicatela. Sinceramente entrambi non riuscivano a capire il senso di pericolo che avvertivamo e sicuramente si saranno fatti una strana idea su di noi. A conti fatti quindi bisogna prendere un po’ con le pinze quello che dice la lonely planet; infatti Puerto Escondido è fondamentalmente un paese di pescatori tranquillissimo e se si sono verificati episodi di aggressioni o furti, questi non sono niente rispetto a quello che capita in molte località italiane. Rassicurati alla grande, scopriremo che il posto si affaccia direttamente sulla spiaggia migliore e più tranquilla di Puerto Escondido (playa Marinero) e che le onde qui sono belle grandi ma non pericolose e che le luci in spiaggia ci sono e quindi la stessa è più che sicura. Anzi dal nostro albergo si puo’ raggiungere il paese a piedi nudi perché si cammina sulla battigia al chiaro di luna. Questo dei piedi sempre nella sabbia sarà una caratteristica di tutta la nostra meravigliosa permanenza sul oceano pacifico. Grazie a Paul e Joanna abbiamo fatto una esperienza da sogno in questo paese e questa esperienza sarà una di quelle per cui provo la più grande nostalgia. Proprio il posto perfetto fuori dal caos del paese senza essere fuori mano, con una terrazza panoramica arredata con una piccola piscina da cui abbiamo assistito a dei tramonti così infuocati da struggere il cuore. Poi Puerto Escondido mi è rimasto nel cuore, perchè quando ormai ero disperata per un maledetto dolore al dente, che pian piano stava diventando insopportabile, Paul ha chiamato la sua dentista che alle 10.45 mi ha visitata, mi ha fatto i raggi la pulizia dentale e mi ha prescritto gli antibiotici e gli antibatterici. Se non ci fosse stato lui a tranquillizzarmi sulla bravura e competenza dei dentisti messicani, non so che cosa avrei fatto. La visita e conseguente cura mi è costata un giorno in più di vacanza, ma senza sarei dovuta tornare in Italia. Anche se non soffrite di problemi di denti, fatevi comunque un controllo prima di partire.
Il primo giorno a Puerto Escondido ci adesca un pescatore, che, disperato per i pochi turisti in giro, ci offre un tour scontato di 2 ore (1.200 pesos ), per vedere le tartatarughe, i delfini e le balene(molto improbabile). Un’ora in acqua e non si vede un tubo. Dopo un po’ una povera tartaruga che emerge per respirare, e dopo un bel pò un delfino e mezzo. Io immaginavo che nella vastità dell’oceano non sarebbe stato facile fare avvistamenti e mi stava prendendo un sonno che non vi dico. Poi, orrore, il pescatore che era più intenzionato a venderci droga che a farci vedere gli animali, si tuffa e cattura una povera tartaruga legandole una zampa con una corda per impedirle di fuggire. A questo punto non potevo non tuffarmi se non altro per accorciare l’agonia della poverina e Armando mi lancia la macchina fotografica con tanto di custodia subacquea. Dopo mille manovre si tuffa anche lui per fare foto e succede il guaio. Io avevo notato che l’obbiettivo presentava una certa nebbia, ma ho pensato che fosse dovuta alla differenza di temperatura. Invece la triste verità era che la macchina si era affogata. Kaput. Il tutto per immortalare una povera creatura che non vedeva l’ora di essere liberata. Poi stancatosi anche lui, il pescatore ci ha scaricato a Playa Manzanillo dove abbiamo fatto il bagno insieme alle barche e dove abbiamo aspettato due ore. Non avevamo i soldi neanche per fare pranzo. Morale della favola, non bisogna accettare subito le offerte dei locali in periodi di scarso turismo come novembre ma contrattare sempre sino allo stremo. Purtroppo è anche vero che se ci sono pochi turisti a volte bisogna rinunciare ai tour perché i prezzi diventano proibitivi.
Ma voglio raccontare della mitica playa zicatela. Era il mio sogno perchè è uno dei 10 posti al mondo con le onde migliori per il surf e ho avuto la conferma che è pericolosissima per nuotare. Le onde fanno veramente paura, ma non sono queste che sono pericolose, quanto le correnti di risacca, tanto che i bagnini non ti fanno andare oltre la profondità delle caviglie. E’ assolutamente necessario dare retta; ogni anno affogano tantissime persone e anche noi abbiamo visto un ragazzo che tuffatosi non ce la faceva più a ritornare a riva, tanto che io volevo chiedere aiuto. Poi con uno sforzo enorme è riuscito non so come ad uscire dall’acqua ma sarà rimasto più di un’ora sdraiato a riva a riprendere il fiato. Il sabato e la domenica c’erano i campionati di surf, e noi abbiamo assistito per qualche tempo alle evoluzioni dei surfisti, ma non essendo degli esperti del settore, abbiamo preferito affittare una “boogie board” e ci siamo divertiti a Playa Marinero.
L’ultimo giorno decidiamo di dedicarlo a quella che definiscono la spiaggia più bella, il loro orgoglio, la Capri di Puerto Escondido. Beh, una vera delusione, una baia anonima come tante altre, l’unica particolarità della quale consiste nel fatto che si raggiunge scendendo circa 200 gradini da una scogliera da cui si gode di un bel panorama.
Dopo aver letto racconti strepitosi di Mazunte, San Agustinillo e Zipolite, il mio compagno consultando tripadvisor si è incaponito e ha voluto alloggiare presso un albergo strafigo dotato di “ infinity pool” e ubicato tra Mazunte e San Agustinillo. Noi siamo viaggiatori zaino in spalla, ma non avevamo mai sentito la parola “infinity pool”. Allora, facendo una eccezione, ci siamo addirittura sparati a raffica una serie di e-mail per assicurarci il soggiorno a 125 usd a notte non ricordando che a novembre i turisti si contano sulle dite di una mano e che, in questi posti, generalmente paesini di pescatori con una popolazione intorno a 800 abitanti, ci sono una miriade di sistemazioni alternative e a poco prezzo. Avremmo potuto spendere un terzo di quella cifra, ma vallo a sapere. Comunque sia, La Casa Pan de Miel è strepitosa e si trova davvero in una posizione da sogno, ma quando siamo passati davanti alle cabanas Bambu di San Agustinillo, mi sarei morsa i gomiti per il rammarico. Qui per 500 pesos si dormiva praticamente sulla spiaggia in cabanas molto grandi a diretto contatto con l’oceano e con il rumore delle onde. Ma ormai avevamo pagato. Sarà per la prossima volta. Se potessi ci tornerei subito!
Per tre giorni abbiamo passeggiato su spiagge lunghissime e semi deserte accompagnati da pellicani, da onde fragorose e soprattutto calde, e abbiamo girato con taxi, pulmini, pick- up e mezzi improvvisati per strade semibuie. Insomma, veramente miglia lontani dalla civiltà in mezzo ai locali che emanavano una grande serenità e un atteggiamento veramente “take it easy”.
La prima sera ci hanno consigliato di cenare a Zipolite (località nota per il nudismo, per il basso costo della vita e per i fricchettoni) da El Alquimista. Una figaaaata. Ristorante direttamente sulla spiaggia con arredamento in legno e tavoli fatti di tronchi. Il tutto con le onde che si frangevano poco davanti a noi e con un illuminazione davvero fioca costituita soltanto da lumini. Per arrivarci un viaggio avvolto dal mistero in taxi lungo strade strette e non illuminate. All’arrivo ma anche alla partenza non riusciamo ad orientarci e io mi perdo addirittura per cercare il bagno. Una sensazione meravigliosa vedere persone che sbucano dal nulla o che si muovono con i lumini in mano. Davvero surreale questo posto, bellissimo! Abbiamo ordinato una mega grigliata di carne da stare male e tutto quello che abbiamo mangiato non solo era molto buono, ma era molto particolare. Dall’antipasto (hummus e fonduta) al dessert. Soltanto il giorno dopo, alla luce del sole, siamo riusciti a farci un’idea di dove avevamo cenato la sera prima. Nel complesso, le spiagge lungo questa parte dell’oceano pacifico sono tutte belle, ma quella che più mi è rimasta nel cuore è quella di San Agustinillo con le sue numerose amache. L’amaca è un must di questi luoghi dove penso che una persona arrabbiata con se stessa e il mondo riesca davvero a raggiungere la pace interiore. In questi posti si viene anche solo per non fare assolutamente nulla o per fare quello che si vuole nella pace più assoluta. Per chi come me ama leggere, non affannatevi a portare libri dall’Italia, in Messico troverete sempre qualcosa da leggere nei posti dove soggiornerete. Anche se era piacevole non fare nulla, a Mazunte abbiamo visitato il Centro de la Tortuga (purtroppo chiuso in molte parti per ristrutturazione), il centro per la produzione di prodotti bio(dalle saponette agli insetticidi; in questi posti si pone molto l’accento sul eco-friendly) e, vista l’esperienza di p.e., non abbiamo fatto l’escursione in mare, ma abbiamo visitato una delle tante lagune di cui questa costa è ricca. La Laguna Ventanilla, il cui progetto di salvaguardia è affidato ad una cooperativa di pescatori, si rivela un ambiente completamente diverso e anche fragile, popolato da coccodrilli, numerose specie di uccelli e tante iguane. Ci sono anche degli animali in gabbia, tra cui una specie di orsetto molto aggressivo di cui non ricordo il nome e una lontra. Lei era dolcissima e non si stancava mai di essere accarezzata e coccolata. Ci hanno detto che gli animali in gabbia allo stato libero in quell’ambiente non sarebbero sopravvissuti. Speriamo che sia vero. Tutto sommato, una escursione interessante.
Lo strano del nostro viaggio è che, per puro caso, nelle località che abbiamo toccato c’era sempre qualche avvenimento. A Città del Messico i festeggiamenti per El Dia del los Muertos, a Puerto Escondido i campionati mondiali di surf, e a Mazunte il giorno dopo ci sarebbe stato un festival mondiale di musica Jazz di tre giorni. Purtroppo non vi abbiamo potuto partecipare, perché siamo partiti alla volta delle Bahias di Huatulco, meta a cui non volevamo rinunciare dopo aver tanto letto della loro bellezza. Presso la Casa Pan de Miel ci hanno organizzato il trasferimento in taxi per la Crucecita (450 pesos), che sarebbe la cittadina piu’ vicina alle varie baie e senz’altro la località più economica dove soggiornare, visto che per il resto ci sono soltanto dei mega-resort. Saremmo potuti andare anche con l’autobus locale, ma questo avrebbe significato farci trasportare in taxi presso la fermata più vicina, aspettare l’autobus sotto il sole cocente e, una volta scesi all’incrocio giusto, farci di nuovo trasportare alla Crucecita in taxi. Ci hanno, insomma, convinto che così avremmo risparmiato tempo e denaro.
Le Bahias sono molto diverse dai luoghi appena lasciati. Si tratta infatti di un insieme di strutture costruite dal nulla su misura di turisti lontane dal paese di Santa Maria di Huatulco, che si trova a una quarantina di chilometri dalla costa. Quindi anche il paesino della Crucecita è nato a tavolino. Questo si nota anche dai prezzi e il tutto sebbene molto bello e ordinato, è quanto di più lontano si possa immaginare dalle piccole località prettamente “messicane” da cui proveniamo. Avevamo fermato una stanza per una notte e visto che non era più disponibile per il giorno dopo, decidiamo di vedere il più possibile con il tempo a disposizione. Così in attesa che la nostra stanza sia pronta (il nome dell’albergo non lo ricordo, ma il ristorante interno si chiama Terracotta) affittiamo un taxi, che per 200 pesos ci porta a fare un giro panoramico. Come ci avevano detto a Mazunte, qui le spiagge non sono vicine al paese e occorre spostarsi in taxi, ma l’acqua è cristallina e le spiagge sono molto belle. L’indomani avremo la corriera alle 21.30, pertanto per il pomeriggio ci facciamo portare alla vicina Playa Escarega e l’indomani organizziamo per farci trasportare alla spiaggia di San Agustin. Quest’ultima si trova a tre quarti d’ora di taxi dalla Crucecita, ma ci garantiscono che è una delle più belle e dove si può fare dell’eccellente snorkeling. Qui mangeremo anche il pesce più buono di tutto il viaggio, sia per sapore che per dimensioni. Lo abbiamo acquistato direttamente dal pescatore ed il ristorante poi ha pensato di cucinarlo in due versioni viste le sue dimensioni. L’unico neo è che il tassista ci ha scaricati presso una “palapa” e ci ha praticamente vincolati ad essa e purtroppo da una certa ora in poi arrivava l’ ombra. Ma qui avevamo mangiato benissimo e le nostre cose erano controllate, così non ce la siamo sentiti di abbandonare il posto per passeggiare nella parte lunghissima di baia esposta al sole. Lo snorkeling si è rivelato bello soprattutto dalle 14.00 in poi. Ritornati alla Crucecita, abbiamo ripreso le valigie al deposito bagagli (questa è l’unica stazione della Ado dove si pagano solo pesos 10 per tutto il giorno) e ci siamo preparati per le 11 ore che ci separavano da San Cristobal de las Casas. Alla fine di questo trasferimento, “sbarchiamo” mezzi intontiti dal sonno alla stazione Ado del paese e ci dimentichiamo dell’ I-pad che era caduto sotto il sedile. Faccio retro-front e mi precipito nell’autobus con il cuore in gola. A causa della nostra disattenzione e grazie alla velocità del ladro/a, lui non c’è più. Questo sarà l’unico incidente di viaggio, poiché ci siamo sempre sentiti più che sicuri. Anche qui a San Cristobal ci sono degli eventi. Un congresso nazionale di medici e un festival di musica house, rock e reggae. San Cristobal è una città molto vivace con bei mercati e un bel centro storico. Non so se era dovuto a questi due eventi, ma sembra anche una città coloniale che non dorme mai e caratterizzata anche da un’aria un po’ bohemienne. Forse siamo stati addirittura fortunati a trovare alloggio vicino al centro a 550 pesos presso l’albergo Villareal II. Questa sistemazione senza infamia e senza lode si rivelerà ottima, perché non vicinissima al centro, dove sparano musica a tutto volume per via del concerto. A San Cristobal non abbiamo avuto fortuna con i ristoranti, se non l’ultimo giorno quando abbiamo mangiato in un ristorante centrale dall’aspetto molto moderno e raffinato, dove credo abbia assaggiato lo stinco di maiale gigante più buono della mia vita. In questa città, visto il turismo di massa, bisogna informarsi bene presso i locali o seguire i suggerimenti della propria guida per non incappare nei tanti ristoranti “frega-turisti” come è successo a noi. Abbiamo anche notato ahimè che in questa città fare colazione costa più che in Italia. Il primo giorno giriamo per uno dei tanti mercati e notiamo che i prodotti sono di fattura eccellente e a prezzi veramente abbordabili. Parlo di poncho, maglioni, sciarpe, gioielli, manufatti in tessuto, in legno, d’ambra, ecc.ecc. Senz’altro il posto dove fare shopping (anche se le valigie si appesantiranno e costituiranno un problema per chi come noi prosegue il viaggio).
Acquistiamo due escursioni, una a San Juan Chamula e San Lorenzo Zinacantan, e la seconda al Canyon del Sumidero. La prima si rivelerà molto bella e interessante, soprattutto grazie alla guida brava e competente(chiedete di “Cesar”), che poi si rivelerà l’unica a cui non abbiamo dato la mancia. Le sue spiegazioni sono state molto interessanti perchè ci metteva il cuore e la sua anima da zapatista. Si avvertiva come tenesse e si adoperasse perché questi popoli continuino a preservare la proprio indipendenza sociale e culturale. Abbiamo anche imparato qualcosa dei movimenti zapatisti di questa regione e della dignità e fierezza dei vari pueblos.
La seconda escursione non è di per se niente di eccezionale, ma è interessante per chi ha visto molti canyon dall’alto ma non dal basso da una barca che risale il fiume Grijalva. Di punto in bianco le pareti si innalzano fino a raggiungere quasi mille metri e alla fine del percorso si trova una formazione rocciosa molto bella che chiamano l’albero della vita. Si tratta di roccia ricoperta di muschio che davvero ricordo un albero e dalla quale scende un velo di acqua nebulizzata, che sembra sgorgare da qualche punto indefinito del cielo. Al contrario di quanto pensassi, abbiamo anche avvistato molta fauna locale; coccodrilli, numerose varietà di uccelli e iguane. Finita questa bella escursione naturalistica, trascorriamo il tempo fino alla 1.19 del mattino seguente percorrendo in lungo e in largo la cittadina, in attesa della corriera Ado che ci porterà a Palenque. Prima di tutto cambiamo valuta al Banco Atzeco che offre un cambio più vantaggioso, perché pare che più si va verso la costa il più il cambio diventi meno conveniente. Inoltre in diversi posti potremmo non trovare sportelli bancomat o baracchini. A proposito di denaro la seguente nota dolente: in Messico cambiare la valuta può essere un’operazione davvero complicata: le banche costringono a file interminabili poiché da un paio d’anni è cambiata la legge, e per sconfiggere il riciclaggio, i clienti vengono sottoposti a mille controlli. Inoltre cambiare valuta ai turisti è un’incombenza che le banche scoraggiano con tutti i mezzi. Quindi il metodo migliore e più celere rimane il prelievo bancomat. Attenzione tuttavia, il mio bancomat circuito maestro non funzionava, mentre Armando riusciva a prelevare con il Postamat. Fortuna per noi, perché in molte occasioni siamo riusciti ad andare avanti solo con il suo tesserino, e il malloppo in euro in definitiva l’abbiamo cambiato in parte solo a Mazunte presso l’albergo e in parte a San Cristobal presso il Banco Atzeco. Avevamo lasciato le valigie presso il nostro albergo su gentile concessione dello stesso e abbiamo potuto quindi risparmiare sul deposito bagagli, che qui invece costava circa 26 pesos all’ora. Ripreso possesso delle nostre valigie, ci siamo diretti verso la stazione Ado. San Cristobal si trova a 2.200 mt di altitudine e si può immaginare il freddo che abbiamo patito durante l’attesa. Per il Chiapas ci vogliono capi pesanti, ma girando un po’ si riesce a trovare indumenti a prezzi per noi veramente ridicoli da riportare in Italia sempre che rimanga posto nelle valigie.
Arrivati alla stazione Ado di Palenque, prendiamo un taxi per farci portare a El Panchan (50 pesos) dove si trovano le cabanas di Margarita e Ed. In rete si leggeva di una sistemazione proprio nella giungla e sulla strada che da Palenque va alle rovine. Fatta la conoscenza di Margarita e constatatone la estrema gentilezza nonché loquacità, prendiamo possesso della stanza, spaziosa, pulita e veramente immersa nella giungla. Lei ci dice di approfittare della bella giornata per andare a vedere le rovine e poi capiamo il perché. Così visitiamo il sito, che è veramente splendido, non prima però di essere assaliti da una serie di guide vere o sedicenti. Il primo ci spara 900 pesos con uno sconto di 300 perché siamo solo in due, il secondo 400 e il terzo 200, al che, per evitare lo sbaglio di ingaggiarne una completamente incompetente, decidiamo di fare il giro da soli. Girando poi abbiamo sempre trovato la possibilità di avvicinarci a qualche guida che spiegava. Era necessario masticare anche solo un poco inglese, francese o spagnolo per riuscire ad avere una infarinata generale. Abbiamo notato anche la presenza di tantissimi russi, ma questa lingua per noi era troppo. Che dire, io di Palenque avevo sentito tanto parlare e sicuramente le rovine meritano anche grazie alla location, ma quelle che si possono ammirare sono poche rispetto alla vastità dell’area. Inoltre, tutti i famosi e preziosi reperti di Pakal e altri personaggi sono stati trasferiti a Città del Messico, per cui chi non ha avuto la fortuna di visitare il Museo di Antropologia della capitale non riesce minimamente a farsi una idea della magnificenza del sito. Ci siamo fermati qui circa 3-4 ore e poi abbiamo deciso che l’indomani, tempo permettendo, avremmo visitato le cascate di Misol-ha e di Agua Azul con un escursione guidata. Il giorno successivo minacciava pioggia, ma fortunatamente durante le 6 ore di escursione non abbiamo preso neanche un goccio. Nonostante le recensioni ambivalenti, ho trovato che Misol-ha è trascurabile in quanto si tratta di un getto abbastanza mediocre, mentre le cascate di Agua Azul sono davvero bellissime e imperdibili. L’area che occupano è vasta e nonostante il cielo grigio l’acqua era di un azzurro intenso. Abbiamo anche fatto il bagno e l’acqua era più calda di quanto pensassi. Per risalire le cascate si impiega circa un’ora, un’ora e mezza, e la passeggiata è davvero bella. Considerando che questa zona è una delle più piovose del Messico, siamo stati fortunati con il tempo anche per la escursione successiva a Yaxchilan e Bonampak. Qui si è trattato di fare un tragitto attraverso la Selva Lacandona, la foresta pluviale del Chiapas, prima e risalire il fiume Usumacinta, che segna il confine con il Guatemala, poi. All’arrivo ci si inoltra in questo luogo magico e al di fuori del tempo. Ammirare queste rovine contorniate da alberi secolari in un silenzio interrotto solo dai versi un po’ inquietanti delle scimmie urlatrici è stato davvero surreale. Poi la visita a Bonampak con la guida Lacandona è stata molto interessante sia per i reperti (si trovano numerose steli e anche murales quasi perfettamente conservati), sia per questo popolo, che a detta dei messicani è costituito dagli ultimi, veri discendenti dei maya. La nostra guida stessa aveva dei tratti davvero “indigenas”, molto diversi dalle altre etnie viste. Per me queste due ultime escursioni sono state senz’altro le più belle del viaggio e forse una notte in più presso i Lacandoni sarebbe stata interessante. Ma il tempo è tiranno e dobbiamo ancora mettere piede nella penisola dello Yucatan. Mare sole e pesci arriviamo! Alle 19.30 ritorniamo nella nostra cabana e dopo l’ultima cena presso il simpatico ristorante Don Mucho’s, prepariamo i bagagli e saliamo sull’autobus per Tulum. Viaggetto comodo di sole “11 ore” e ci ritroviamo nella penisola dello Yucatan. A parte i colori e la sabbia che sono prettamente caraibici, le temperature lo sono di meno. Brutta sorpresa, tira un vento freddino e l’acqua non è calda come ci aspettavamo. Questo viaggio è stato il contrario di quanto ci aspettassimo: acqua bollente e sole implacabile sulla costa del Pacifico, vento e temperature più basse nella famosa riviera Maya. Inoltre, le nuvolacce nere non promettono niente di buono. No, non è possibile, proprio ora che volevamo goderci una settimana di relax a crogiolarci al sole o al massimo partecipare a un paio di escursioni per subacquei! Passeggiando abbiamo fatto conoscenza di alcuni ragazzi fiorentini disperati, che volevano cambiare zona a causa del tempo e che ci hanno detto,che secondo i messicani, quel tempo era davvero strano, ma che era anche vero che era il loro inverno, forse arrivato un po’ in anticipo. Altri ci hanno detto che il freddo era dovuto ad una corrente anomala proveniente dagli Stati Uniti. E io che mi ricordavo da un precedente viaggio nello Yucatan un’acqua intorno ai 30 gradi(sigh!). Pazienza, abbiamo fatto delle lunghe passeggiate con il sole che andava e veniva e, comunque sia, i colori erano lo stesso stupendi. Qui ci siamo concessi di nuovo una sistemazione di lusso. Alle cabanas “La vita è bella” abbiamo scelto un bungalow fronte spiaggia che dava direttamente sulla sabbia! Mai visto una cosa così della stessa consistenza della farina. A Tulum esistono anche delle sistemazioni più spartane e meno costose, ma devo dire che questo resort era anche posizionato sul migliore tratto di spiaggia ed era veramente bello. Cabanas ampie e molto curate, ristorante con pavimento di sabbia e tutto molto pulito in generale. Tuttavia, secondo noi, non vale la pena mangiare nei resort, in quanto è più costoso e meno buono di quello che si trova a Tulum pueblo. Con 50 pesos, basta prendere un taxi, che si trova a qualsiasi ora fuori dai resort e si fanno grandi scorpacciate a buon prezzo. Noi ci ricorderemo sempre dell’abbuffata di pesce che abbiamo fatto alla “Nave”, ristorante italiano di Tulum. Con l’iPhone sempre a portata di mano per controllare le previsioni meteorologiche per i prossimi giorni(orrende!), abbiamo deciso che tanto valeva spostarsi di nuovo ed esplorare la costa in cerca di siti meno turistici. Con quelle previsioni tanto dovevamo aspettarci un miracolo. E così, navigando di qua e di là, abbiamo deciso di abbandonare la Riviera Maya per visitare, prima la Laguna di Bacalar (chiamata anche le laguna dai sette colori), e poi Mahahual sulla Costa Maya. Tanto più che la receptionist della “Vita è Bella” ci ha detto con occhi sognanti che quei posti si sarebbero rivelati meravigliosi anche con il brutto tempo. E allora bagagli in mano siamo partiti di nuovo! Prendiamo il taxi e dopo una bella pioggia arriviamo al Hotel Laguna, che troviamo abbastanza bello ma forse un po’ datato e incredibilmente caro. Se non si fa espressa richiesta nemmeno ti passano l’acqua calda! Qui il vento di Tulum cede il passo ad un clima molto più caldo e umido e regna sovrana una calma e un silenzio incredibili. La laguna è meravigliosa e punteggiata di isole e isolette, con queste nuvole la luce è stranamente filtrata e non si sente alcun rumore. Insomma sembra di trovarsi in una sorta di limbo, tanto e troppo forse si è avvolti in questa atmosfera ovattata. Peccato non aver potuto ammirare la stellata che doveva essere meravigliosa. Purtroppo la laguna causa tempo non ci ha potuto regalare le sue meraviglie cromatiche e non valeva neanche la pena di affittare una barca per fare un giro(oltretutto carissimo perché eravamo solo noi due). Ci siamo limitati a fare bagni quando il sole faceva capolino e a girare nei dintorni cosparsi di tante ville e villini bellissimi fronte lago. Dopo questa perlustrazione abbiamo realizzato che questo era decisamente un posto per ricchi, messicani e non. Al pomeriggio abbiamo pensato di prendere una moto d’acqua o il kayak, ma era tardi e temevamo la pioggia, e allora ci siamo diretti a piedi al Cenote Azul che distava all’incirca 2 km e dove c’era gente che faceva il bagno. Questo cenote a differenza del Gran Cenote di Tulum, era una pozza aperta, ad ingresso libero e l’acqua sembrava più calda. Non abbiamo però fatto il bagno perchè non avevamo dietro il cambio, ma l’acqua era cristallina e invogliava tanto. Visto che il tempo non accennava a migliorare, il giorno dopo abbiamo preso un taxi in direzione Mahahual. Abbiamo deciso per questa località perché ci hanno detto che qui il reef è molto vicino alla riva e perché di fronte si trova il Banco Chinchorro, l’atollo corallino più grande dell’emisfero boreale. Quindi belle immersioni anche se solo un po’ di snorkelling va più che bene. Inoltre, in questa zona si trovano diversi relitti anche antichi risalenti all’epoca dei galeoni spagnoli. Carichi di ottimismo abbiamo sperato che il cielo almeno si aprisse quel tanto per poter ammirare i colori in tutta la loro bellezza. Giunti in questa località, abbiamo scoperto che non era più servita dai mezzi della Ado nonché di altre compagnie di trasporto su strada da più di un mese. L’abbiamo presa per una notizia positiva nel senso che avremmo trascorso gli ultimi giorni in un bel posto lontano dal turismo di massa. In rete abbiamo deciso per un albergo gestito da italiani (strano, persino qui?) e poi scopriremo che questo villaggetto viene ironicamente chiamato Little Italy dai locali. Comunque sia, rimane un posto davvero un po’ sperduto, che si animerà e si popolerà soltanto per poche ore quando attraccano le mega navi da crociera americane. Si tratta di una località dove diversi imprenditori hanno deciso di investire forti dal fatto che la barriera corallina è molto vicina alla riva e che il posto potrebbe richiamare molti turisti stanchi delle altre super inflazionate località di mare dello Yucatan. Abbiamo quindi trascorso gli ultimi giorni del viaggio rilassandoci sulla spiaggia a pensare al mese appena trascorso. Devo dire la verità, nonostante fossimo a fine vacanza a me sembrava di essere partita da appena una settimana.
E così, con il cuore gonfio di tristezza, e consapevoli che lo Yucatan l’avevamo davvero esplorato poco, ci siamo preparati per il viaggio di ritorno. E qui è incominciata la tragedia. Visto che qui gli autobus non arrivavano più da tempo, siamo stati costretti a contattare un tassista, che per 40 usd ci avrebbe portati sabato alle 4.00 del mattino a prendere l’autobus alla fermata di Bacalar direzione Cancun. In verità, lì per lì, abbiamo anche pensato di fare una gran tirata, partire il pomeriggio stesso sempre da Bacalar, non dormire affatto, e magari trascorrere un giorno alla Isla Mujeres, vicino Cancun. Le condizioni meteo però non erano incoraggianti. Così, senza biglietto questa volta, abbiamo atteso disperatamente dalle 4.30 che aprisse il botteghino dei biglietti necessari per prendere l’autobus che sarebbe(in Messico tutto è relativo) dovuto arrivare alle 6.30. Con il cuore in gola e con il terrore di perdere il volo di rientro in Italia, abbiamo atteso fino alle 6.27 quando finalmente è arrivato il bigliettaio. Ormai avevamo persa ogni speranza, e invece dopo avere accumulato litri di adrenalina e esserci mangiati tutte le unghie disponibili, finalmente abbiamo raggiunto Cancun dopo 6 ore. Poichè avevamo l’aereo alle 16.20, abbiamo cercato di sfruttare il tempo rimanente girando prima con il taxi(caro), che ci ha lasciato presso una spiaggia abbastanza schifosa dove c’era l’imbarco per la Isa Mujeres. Ma noi non avevamo tempo a sufficienza e così abbiamo deciso di avventurarci alla ricerca di un’altra spiaggia un po’ più decente. Dopo chilometri percorsi a cercare un viottolo che sbucasse sulla spiaggia tra quella miriade di alberghi, capitoliamo e decidiamo di chiedere ad un poliziotto. Scopriremo poi che avremmo risparmiato tempo e fatica prendendo un semplicissimo e economicissimo autobus cittadino. Raggiunta l’agognata spiaggia(bei colori ma niente di eccezionale anche perché siamo nel centro di Cancun), decidiamo di fare l’ultimo pranzo d’addio. In sostanza si è rivelata l’ultima fregatura, sia come qualità che come prezzo, ma eravamo preparati a questo. E’ solo che ci dispiaceva lasciare il suolo messicano senza in qualche modo festeggiare.
Alle 15.30, stavolta con biglietti in mano, abbiamo raggiunto l’aeroporto e dopo aver speso gli ultimi pesos in cioccolata varia(tutta divorata da me per il dispiacere!) iniziamo, come dicevo prima, il nostro tragico viaggio di ritorno.
Da Cancun abbiamo volato a Miami dove la American Airlines ci ha obbligati a fare di nuovo il check-in sia del bagaglio che di noi stessi, costringendoci a fare tutta quella trafila di impronte digitali, fotografie di iride e mille altri controlli e moduli vari di cui già avrete sentito parlare. Il problema è che purtroppo noi come altri centinaia di passeggeri eravamo solo in transito e in attesa di un volo in coincidenza per Madrid, da dove saremmo volati in Italia con l’Iberia. Inutile dire che la fila era lunghissima e intasata da persone che come noi dovevano procedere in fretta per non perdere il volo successivo. Ma al personale di terra, già abbastanza isterico per quel casino infernale non gliene poteva fregare di meno. Siamo stati in fila per almeno tre ore, e quando finalmente ci siamo apprestati a imbarcare di nuovo i bagagli (operazione del tutto inutile e per la quale non farò mai più scalo negli Stati Uniti se possibile), ci hanno informati che non potevano più imbarcarli loro ma che avremmo dovuto cercare(dove?) l’imbarco con l’Iberia. Non sto a raccontare qui tutta la vicenda, che per la sua gravità destinerò ad un altro sito più appropriato, basti dire che la organizzazione americana, anzi la totale disorganizzazione degli americani a Miami ha fatto si che perdessimo non una ma due coincidenze, con le tragiche conseguenze morali e economiche che si possono facilmente immaginare. Ma lo scandalo più vergognoso di tutti è che gli americani ti costringono a pagare 14 usd di Esta anche per il solo transito nel loro paese e poi non sono neanche lontanamente in grado di smaltire le enormi e spropositate file di gente che inevitabilmente si formano a cause dei loro “famosi” controlli doganali.
CONCLUSIONI
È stato un viaggio bellissimo, molto intenso e davvero ricco di esperienze. Un mese per visitare il Messico chiaramente è poco; noi con quattro settimane siamo riusciti a toccare appena 3 regioni. Il tempo è poco soprattutto se si pensa di viaggiare rinunciando a pacchetti preconfezionati e scegliendo piuttosto i mezzi pubblici, che a volte sono alquanto scassati o lenti, ma pieni di personaggi interessanti. Per me la magia del viaggio sta nello scambio culturale con la gente del luogo, che si è rivelata sempre molto curiosa e estremamente disponibile. La gentilezza incontrata in Messico è davvero poco conosciuta nel nostro paese, così come è poco usuale da noi sorridere o salutare gli sconosciuti. Persino gli abitanti del Chiapas, notoriamente più freddi e diffidenti, si sono prodigati per rendere il nostro viaggio più interessante e confortevole. Ricorderò sempre il signore conosciuto nella sala d’aspetto del dentista di Puerto Escondido. Nonostante non fossimo proprio così capaci di comunicare in spagnolo, ha preso a raccontarci la sua vita, del fatto di essere un ex-maratoneta e ci ha anche mostrato con grande orgoglio tutti i denti, cariati e non. Insomma, nonostante la “fifa” del dentista, mi ha fatto divagare per un po’ di tempo. In fin dei conti non ci siamo mai veramente sentiti trattati come “turisti” nella sua accezione peggiore e forse un viaggio riuscito si riconosce anche dal fatto, che pur essendo all’estero, ci si sente a casa.
Maria Pia e Armando