Un mare di emozioni tra Oriente e Occidente
1 GIORNO. Partenza da Pisa alle ore 8.00 per Roma Fiumicino e da qui coincidenza per Istanbul, con volo Alitalia, che parte con 2 ore di ritardo: l’equipaggio non si presenta all’ora stabilita sul posto di lavoro (iniziavano i fermenti della nostra compagnia di bandiera!): Nel frattempo si rimedia un equipaggio sostitutivo appena di ritorno dalla Grecia con altro volo: questo è quanto ci è stato riferito da un assistente di volo. Caos totale all’arrivo all’aeroporto di Istanbul (si comincia bene!): Alì, la guida incaricata dal Tour Operator per l’accoglienza del gruppo, ci attende all’esterno; pertanto l’individuazione del soggetto risulta da subito difficoltosa. Ma non è tutto : ci accorgiamo che a tre componenti del gruppo hanno smarrito il bagaglio. Si fa regolare denuncia, fra mille difficoltà, presso l’ufficio competente. La guida è sempre fuori e, pur essendo a conoscenza dell’accaduto, informata da alcuni del gruppo, non si sposta di un centimetro per agevolare i malcapitati nella comunicazione. Dopo un bel po’ di tempo i nostri sfortunati compagni di viaggio, giustamente seccati, ci raggiungono al pullman. Alì li tranquillizza spiegando che la perdita di bagagli all’aeroporto di Istanbul è cosa frequente, ma generalmente si ritrovano nel giro di 24 ore! Nel frattempo si arriva in hotel intorno alle 17.00, tutti un po’ indispettiti per l’accaduto e, pertanto, disinteressati a ciò che di Istanbul si stava già mostrando ai nostri occhi. L’edificio, ubicato nel nuovo ed elegante quartiere di Taksim, è moderno ed accogliente, il personale di servizio gentilissimo. Il tempo di rinfrescarsi e subito dopo visita orientativa della città con Alì. Da piazza Taksim raggiungiamo rapidamente Tepebasi con gli alberghi della Belle Epoque, tra cui spicca il Pera Pals Oteli. La Torre di Galata cattura la nostra attenzione, ma ecco che già si attraversa l’omonimo ponte costruito tra il Corno d’Oro e il Mar di Marmara; siamo ad Eminomu, il quartiere più antico, ricco di storia e monumenti: I minareti e le cupole della Moschea Blu e di S. Sofia sono sempre più vicini e avvolti nei colori porpora-aranciati del tramonto ci regalano una visione da sogno. Si passeggia un po’ per i giardini sorti in quello che fu l’ippodromo ai tempi dell’antica Roma: qui sfrecciavano bighe e quadrighe per divertire i grandi imperatori ed i loro sudditi. L’area, ci spiega Alì, fu poi adibita a centro della vita sociale e politica della città sia dagli imperatori bizantini che dai sultani ottomani. Per la cena Alì ci propone dei piatti a base di pesce da consumare nel quartiere dei pescatori di Kumkapi. Costeggiando le poderose mura di Teodosio, raggiungiamo il luogo convenuto : un dedalo di viuzze piene di pescherie con ristoranti annessi, ma non solo… folle di turisti a passeggio, venditori di modellini di barche, contrabbandieri di caviale beluga e sigari cubani, rimediati da qualche nave di passaggio dal Mar Nero, gelatai ambulanti che mostrano la classica mantecatura a mano del gelato turco, musicisti improvvisati, ma anche molte famiglie turche e polizia. Al termine della serata tutti quanti abbiamo avuto la sensazione di una cena “sola” per turisti, ma avevamo fame e tutto è stato molto divertente. Andiamo a dormire contenti.
2 GIORNO. Sveglia di buon mattino e ricchissima colazione. Alì ci avvisa che hanno telefonato dall’aeroporto e che probabilmente hanno trovato i bagagli smarriti. Passeremo nel tardo pomeriggio a ritirarli. Tutto il gruppo sembra rilassarsi ed è pronto ad affrontare la giornata con ottimismo. In tempi brevi raggiungiamo l’imponente palazzo del Topkapi, sede dei sultani ottomani. L’imponente portone e superpresidiato, ma, prima di entrare ci colpisce la pregevole fontana situata poco prima dell’accesso sulla destra (fontana di Ahmed III, una delle più belle della città) con la funzione di offrire acqua fresca ai viandanti di passaggio. Superato il portone si accede ad un giardino bellissimo e ben curato, la corte dei Giannizzeri. Procedendo lungo il vialetto, alla nostra sinistra, un po’ nascosta, la deliziosa chiesa bizantina di Santa Irene. Si arriva al secondo portone ( Porta del Saluto o Ortakapi) che dà accesso alla Corte del Consiglio poiché qui si riuniva il Diwan o Consiglio Imperiale (Parlamento ottomano). A sinistra della Corte ci sono le Scuderie, che ospitano collezioni di armi ed armature, mentre a destra le cucine imperiali dove in alcuni locali sono ancora conservati gli utensili originari, mentre altre stanze sono adibite all’esposizione di prezioso vasellame cinese e cristalli europei e ottomani. Procedendo ancora dritto varchiamo la Porta della Felicità e qui si apre il terzo cortile, quello più prezioso : al centro al Biblioteca Imperiale, a sinistra le stanze dell’harem dagli interni di gusto raffinatissimo, con spogliatoio, bagno comune e area benessere annessi (calidarium e tiepidariun), il settore degli eunuchi, le stanze private del Sultano e del resto della corte. In fondo la terrazza delle favorite che domina sulla città. Pregevole la fontana situata al centro. Di lato un piccolo, ma preziosissimo locale : la sala della circoncisione. Ci troviamo, attraverso la terrazza, nel quarto cortile, per cui ritorniamo nel terzo, dove sul lato opposto dell’harem troviamo le sale del famoso tesoro : quattro ampi locali ospitano doni di valore inestimabile che i sultani ed i loro familiari hanno ricevuto da imperatori, re e capi di stato di tutto il mondo durante il loro dominio. Infine terminiamo la visita al palazzo entrando nelle sale del Sacro Mantello che custodiscono reliquie del profeta Maometto portate ad Istanbul dal Sultano Selim II dopo le conquiste dei territori arabi. Le stanze sono meta di pellegrinaggio da tutta la Turchia.
Abbiamo ancora del tempo a disposizione prima del pranzo, per cui ci concediamo una crociera di un’ora sul Bosforo, stretto che collega il Mar di Marmara con il Mar Nero. A bordo del battello ci godiamo il paesaggio delle due rive (europea ed asiatica) e relativi ponti di collegamento. Appena fuori dalla città si susseguono, da una parte e dall’altra, lussuose ville di quartieri residenziali e ristoranti ed alberghi di lusso per paperoni. Sorseggiamo un tè alla mela offerto dal comandante. Al termine il pranzo, veloce, e partenza per Canakalle, non prima di aver ritirato i bagagli in aeroporto. Attraversiamo lo stretto dei Dardanelli che è il crepuscolo. I colori ed il paesaggio che ci si presentano sono fantastici. Siamo stanchi, ma felici. Arrivati in Hotel, la solita rinfrescatina, cena e, dopo qualche scambio di battute, a recuperare le forze.
3 GIORNO. Quando la sveglia suona il sole è già sufficientemente alto per abbagliarci e spingerci a buttare l’occhio oltre la finestra : lo stretto dei Dardanelli di giorno; a sinistra il Mare Egeo, a destra il Mar di Marmara; qualche scatto, una colazione veloce e via, verso nuove scoperte in questa caleidoscopica Turchia. La giornata si preannuncia caldissima, per cui alle 9 in punto siamo già alla biglietteria di Troia. Prima di accedere alle rovine della città cantata da Omero, un enorme cavallo di legno, decisamente kitsch, ci dà il benvenuto. Sinceramente il sito è un po’ deludente : blocchi di pietra sovrapposti è ciò che resta delle mura imponenti ed inespugnabili; all’interno un labirinto di fondamenta di abitazioni e depositi mal riconoscibili. Attualmente il mare è lontano, ma ai tempi di Omero era molto più vicino. Volgo lo sguardo verso il mare ed immagino le navi greche, l’ingresso del cavallo prima della loro partenza, i festeggiamenti dei Troiani per la pace raggiunta, l’assalto dei Greci nella notte, l’incendio, la devastazione, le grida di Cassandra, Enea che si allontana con il padre Anchise sulle spalle ed il figlioletto per mano. Forse tutto questo ha segnato il destino dell’Italia! il caldo è diventato soffocante e ci infiliamo volentieri nel pullman dove c’è l’aria condizionata. Percorriamo la litoranea. All’orizzonte alcune isole; la più grande è Lesbo, patria della poetessa Saffo (“Saffo la bella, dal crine di viola e dal dolce sorriso…”, come recitano alcuni versi del lirico greco Alceo, suo spasimante!). E’ ora di pranzo; sostiamo nei pressi di Pergamo per mangiare e poi, in nome della cultura proveremo ad affrontare la calura (la ria non è intenzionale). Questa volta le rovine sono imponenti e ben conservate, arroccatesi una collina che si erge dominando la pianura sottostante. All’inizio della visita l’edificio che un tempo era la biblioteca, alcuni palazzi ed il tempio di Atena, ma ciò che è più emozionante è il teatro scavato lungo le pendici della collina : 10.000 posti a sedere che salgono fino ad una altezza di 50 metri dalla cavea! A seguire i templi di Dioniso e Zeus, spogli e privi di fregi e sculture : i tedeschi , che si sono occupati degli scavi, hanno trasferito tutto a Berlino dove hanno allestito un Museo apposito che porta il nome dell’antica città. Si riprende la marcia verso Kusadasi (letteralmente Isola degli Uccelli). Il percorso è lungo. Alì ci intrattiene con una lezione sul turco di base : la pronuncia, buon giorno, buona notte, arrivederci, grazie… Arriviamo in hotel, a picco sul mare, intorno alle ore 19. Dopo un paio d’ore ci aspetta una cena deliziosa in terrazza a base di cibi grigliati e a lume di candela… appena in tempo per goderci il tramonto sul mare.
4 GIORNO. Sveglia di buon mattino, un saluto all’incantevole Isola degli Uccelli e partenza per Efeso. Anche oggi il caldo si preannuncia “atroce”; fortuna che non c’è umidità! In breve tempo raggiungiamo la zona archeologica della città che all’epoca dei Romani fu la più importante provincia d’Asia, nonché sede delle rivolte più violente contro il potere di Roma; fu anche importante centro per i cristiani : vi soggiornò S. Paolo. Appena entrati ci appare l’ampia agorà e nei pressi il gymnasium delle fanciulle e le terme di Vario; ma ciò che più colpisce il visitatore è la lunga strada, spina dorsale dell’antica Efeso, un tempo sede di parate e processioni. Ai lati resti di sontuose abitazioni, il piccolo odeon scavato nella roccia, il prytaneion, municipio dell’antica città, e, di fronte, la fontana di Pollione.Lateralmente alla strada si trova l’area del tempio di Domiziano; nei pressi la via dei Cureti, sacerdoti di Artemide, divinità a cui fu dedicata la città e dove se ne celebrava il culto. Anche lungo questa strada eleganti edifici testimoniano i fasti di un tempo : il monumento di Memmio, la fontana di Traiano, , un bordello pubblico, il tempio di Adriano, altre case con affreschi dai colori vivissimi sulle pareti e con mosaici sui pavimenti ancora ben conservati.. Al termine della via dei Cureti si erge la biblioteca di Celso dall’imponente facciata; all’interno, tra le pareti, nicchie di varie dimensioni dove un tempo venivano riposti i rotoli manoscritti. Nei pressi la via dei Marmi dove sorgeva il mercato; in fondo la via del Porto che dava accesso alla città da chi proveniva dal mare: non a caso gli Efesini effettuavano i loro commerci proprio nelle vicinanze. E il tempio di Artemide…? Ciò che resta è un’insignificante colonna. Peccato! Tutto bello ed interessnte… ma che sudata! Pertanto ci infiliamo volentieri nel vicino museo archeologico (con aria condizionata) per completare la visita, ma anche per rinfrescarci! Qui ancora reperti relativi al culto di Cibele-Artemide. Segue un pranzo veloce lungo la strada che porta ad un nuovo sito archeologico: Aphrodisias. Sono le 14 del pomeriggio; per gli scavi ci siamo solo noi! Ci consola vedere che l’ingresso al sito si apre su un piazzale ombreggiato, ma appena varcato il cancello ci aspetta un assolato percorso tra resti di palazzi ed edifici pubblici a perdita d’occhio. Ci lamentiamo con la guida per l’orario assurdo; ci risponde che non c’era alternativa dato il denso programma di viaggio. Rassegnati procediamo alla visita, senza prestare grossa attenzione per il caldo massacrante : il teatro, l’agorà, le terme di Adriano, il tempio di Afrodite, ma di questo restano 14 colonne! Infine lo stadio dalla forma ellittica. Il percorso si conclude tra i curatissimi giardini che circondano il Museo Archeologico, giardini che ci sono apparsi come un miraggio dal momento che venivano irrigati con potenti getti d’acqua : molti di noi si sono letteralmente “fiondati” vestiti sotto le benefiche docce, incuranti del cartello “vietato calpestare l’erba” ; solo chi si è conservato asciutto ha potuto visitare il Museo. Rientriamo in pullman; il fresco dell’aria condizionata concilia una pennichella. Percorriamo una strada statale tra pianure e basse colline, quando davanti a noi si intravede in lontananza un’ammasso bianco lungo le pendici scure di un rilievo che ci incuriosisce : è Pamukkale, il castello di cotone. Si tratta di sorgenti di acqua calcarea tiepida che cristallizzandosi e scorrendo per secoli, hanno creato piscine naturali lungo i fianchi della montagna, una stratificazione candida con vasche piene di acqua blu-verde, che sgorga e deborda dalle vasche naturali, formando stalattiti di travertino. Ci dicono che l’acqua sia terapeutica, ma a noi poco importa : quel paesaggio insolito ci incuriosisce e ci tuffiamo volentieri in quel verde-azzurro così irreale. Al termine raggiungiamo l’hotel nelle vicinanze, che ha tutta l’aria di essere anche un centro termale. La cena è varia e gustosa, ma non abbiamo voglia di apprezzare altro… la stanchezza e la necessità di riposo hanno priorità assoluta! 5 GIORNO . La sveglia è sempre di buon mattino per evitare di visitare scavi sotto il sole cocente (vedi Aphrodisias) e ciò che ci aspetta è Hierapolys, sito archeologico dato alla luce da archeologi italiani che ancora oggi continuano a scavare. Si tratta della città dei morti, una sorta di cimitero monumentale dove tombe, sepolcri e sarcofagi, su alcuni dei quali si possono ancora apprezzare iscrizioni in latino, si succedono per più di un chilometro. Al termine del percorso ci appare il teatro romano ancora ben conservato, con a fianco i resti del ninfeo e del Tempio di Apollo che ospitava l’oracolo. Segue la visita di Laodicea, detta anche la città delle sette Chiese dell’Apocalisse, che vide l’apostolo Paolo ed una vivissima comunità cristiana. Oggi resta molto poco e gli edifici sono, pertanto, difficilmente identificabili ; l’unico monumento di cui si può intravedere una vaga parvenza di ciò che era in origine è lo stadio. Segue il pranzo con piatti tipici, tra cui l’immancabile kebab accompagnato da gustosissime verdure ben cucinate. Al termine rientriamo in pullman dove ci aspetta un percorso piuttosto lungo alla volta di Antalya. Raggiungiamo la caratteristica città sul mare intorno alle 17; l’hotel che ci accoglie è bellissimo e pieno di ogni confort, per cui qualcuno ne approfitta per fare un tuffo in piscina, altri preferiscono un hamam (bagno turco), altri ancora un po’ di attività fisica presso l’attrezzatissimo centro fitness. Alle 21 ci aspetta una suntuosa cena in uno dei curatissimi ristoranti annessi all’hotel. Al termine una passeggiata per Antalya è quello che ci vuole. La città by night è bellissima e piena di vita. Apprezziamo magnifiche cascate, peccato poco illuminate, di acqua dolce che dalla scogliera si gettano in mare; segue una estenuante scalata per i violetti verso la cittadella inerpicata sulla collina che domina il grazioso porto turistico. Bel panorama… ma che fatica questi scalini! 6 GIORNO Lasciamo Antalya senza rimpianti alla volta di Perge, una delle città più importanti dell’antica Pamphylia. Sono le 8.30 del mattino; la calura è ancora accettabile e ciò ci consente di camminare con una certa consapevolezza nell’area degli scavi : il grande teatro di Traiano e lo stadio. La visita è breve; non è rimasto molto! Alle 10 siamo già in un altro sito archeologico, e speriamo anche l’ultimo! L’amore per la cultura va bene, ma ora il tutto appare monotono… Si tratta di Aspendos di cui resta unicamente il teatro, per altro molto ben conservato, dall’acustica così eccezionale che ancora oggi è sede di spettacoli e manifestazioni. All’uscita ci aspetta lo stesso stuolo di bancarelle con artigianato locale, presenti anche all’esterno dei siti precedentemente visitati, di cui, però, non è stata data notizia per motivi di spazio! Il gruppo, vista la rapidità delle visite, si lascia intrattenere più del solito dai venditori ; si acquista di tutto: bigiotteria, borsoni in tessuto kilim, cappellini, narghilè, occhi di Allah di vario tipo e…Perfino una caffettiera turca con servizio di tazzine annesso! Alì, esausto , ci richiama alla realtà e ci invita ad affrettarci perché i chilometri che ci aspettano sono tanti. Ci fermiamo nelle vicinanze in una sorta di “masseria turca”, in piena campagna, sistemazione diversa dai soliti ristoranti che, per il fatto di non avere niente di particolare, non hanno meritato segnalazione sul diario di bordo. Alì, ci informa, come già qualcuno aveva intuito, che si pranzerà alla maniera dei contadini turchi, quindi in modo del tutto caratteristico, compreso il vino di produzione locale. Si comincia con gli antipasti (mezeler) che sono piattini di olive, melanzane, zucchine, formaggio di capra; seguono le dolma, foglie di vite ripiene di riso, già incontrate in Grecia, anche se ripiene di carne. Dopo ci presentano una tazza di çorba, ossia una zuppa fredda e molto densa a base di legumi. Ottima! Ancora spiedini di montone alla brace e un … imam bayildi, o “prete svenuto”! Non ci prendete alla lettera : è una melanzana imbottita di pomodoro e altro cotta in forno, piccante, particolare, singolare. Al termine una bella fettona di melone bianco fresco e siamo più che a posto. Si riparte ed effettivamente per arrivare a Konya la strada è lunga. Qualcuno, appesantito dal pranzo, dorme, io guardo dal finestrino : il paesaggio interno (abbiamo lasciato la costa) si presenta brullo. Di tanto in tanto passiamo attraverso piccoli centri rurali e resto colpita da tre cose che li accomunano : la pulizia delle strade, la presenza di un’antenna satellitare e di pannelli solari sul tetto di ogni casa. Il paragone con la nostra Italia è d’obbligo : ordine per le strade talvolta, antenne satellitari anche troppe, pannelli solari… una rarità! Si arriva a Konya, antica capitale selgiuchide, situata nel bel mezzo della steppa anatolica. L’hotel è un po’ decentrato ma lussuosissimo. Di fronte un centro commerciale pieno di tutto. Gran parte del gruppo decide di buttarcisi in picchiata, magari dopo cena, visto che la chiusura è alle 24. Io preferisco una cena leggera, possibile dato il buffet, e a letto presto.
7 GIORNO. Si raggiunge Konya, capitale del regno dei Selgiudichi tra il XI e il XIV sec., ma già presente al tempo dei Romani con il nome Iconion, e probabilmente degli Ittiti che la denominarono Kawanna, trasformato in Kowania dai Frigi. Si presenta moderna e molto ordinata. Il nucleo centrale è antichissimo e ricco di moschee e monumenti insigni, tra i quali il più famoso è il convento dei seguaci di Mevlana, un mistico persiano che visse a Konya nel XIII sec. , ove istituì un ordine religioso, i Mevlaviye. Mevlana interpretò il Corano ispirandosi alla tolleranza, alla carità e all’umanità (ricorda un po’ il nostro S. Francesco), scrisse un lungo poema diventando vero maestro di vita e di ricerca della verità. Dai suoi insegnamenti i confratelli, ancora oggi, cercano di avvicinarsi a Dio, attraverso una danza circolare in cui sulle note di un flauto di canna, simbolo dell’anima mistica che rimpiange il mondo celeste ove desidera tornare, e ripetendo all’infinito il nome di Allah, cadono in una sorta di trance: sono i dervisci danzanti. Della visita al convento colpisce la tomba di Mevlana coperta da un drappo verde ricamato; circondata dalle tombe del padre derviscio, del figlio e degli altri confratelli, tutte sovrastate dal classico copricapo che portavano i santi uomini durante le cerimonie più importanti. Per quanto l’ordine religioso dei Dervisci sia stato soppresso dal sogno laico di Ataturk nel 1925, il luogo è sede di incessanti pellegrinaggi di fedeli da tutta la Turchia. All’esterno bellissimo il verde malachite del tetto del convento. Alì ci propone la visita di una moschea (camii) e noi accettiamo volentieri. La nostra guida ci fa notare che di fronte ad ogni moschea è ubicata una fontana, la cui imponenza è proporzionale all’importanza dell’edificio religioso a cui è abbinata; questa serve per la pulizia, soprattutto dei piedi, prima di entrare in un luogo sacro. Nello spazio antistante all’ingresso, la cui pavimentazione è ricoperta da tappeti, lasciamo le scarpe. Le donne si coprono la testa e le spalle. Le gambe debbono essere coperte per uomini e donne. Si entra in uno spazio circolare, rivestito di stupende maioliche multicolori in cui prevalgono l’azzurro e il verde, intervallate da scritte in arabo (forse preghiere o versetti del Corano). Un imponente lampadario penzola dal soffitto. Ci colpisce il pulpito in marmo: qui avvengono le prediche dell’imam. Di lato tante panche di legno ospitano bambini (tutti maschi) che assistono ad una lezione. Sono distratti dalla nostra presenza ed il loro maestro li richiama. Si tratta di una medrese, o scuola cranica, che Alì paragona al nostro catechismo, ma non credo sia la stessa cosa! Lasciamo Konya, non prima della solita sosta alle bancarelle, e puntiamo verso la Cappadocia. Lungo il percorso sostiamo presso il Caravanserraglio di Agzikarahan, un bell’edificio ocra di epoca selgiuchide che si apre in mezzo al deserto con un ampio portale. All’interno un immenso cortile ; ai lati ancora riconoscibili la zona adibita al ricovero degli animali, i locali per rifocillarsi (tipo locande) e fresche stanzette per riposarsi. Fa molto caldo. Ce ne andiamo dopo una visita fugace e qualche scatto. Nelle vicinanze consumiamo il pranzo : megainsalata di verdure fresche con formaggio di pecora, immancabile Kebab e delizioso stufato di verdure cotte nell’aceto (turso). Birra locale, buona, e per finire fichi della zona. Riprendiamo la marcia fino all’albergo che si erge nei pressi di Goreme, simile ad un moderno castello di cristallo in mezzo ad un paesaggio lunare. Sfiniti dal caldo ci buttiamo in piscina. Tempo e forze per cenare e tutti sentiamo il bisogno del meritato riposo.
8 GIORNO. Oggi la sveglia ha suonato per noi prima del solito. Il tour odierno inizia alle 8.00 ed effettuati i primi chilometri in pullman ciò che ci colpisce è uno “sciame” di mongolfiere alte nel cielo. Alì ci spiega che si tratta di un’attrazione turistica: la Cappadocia vista dall’alto: Fantastico ! Ce lo dici solo adesso? Alì risponde: “Potete farlo domattina, ma sveglia alle 3.30 perchè le mongolfiere si levano all’alba!” L’esperienza è da fare; ci penseremo. Distratti dalle mongolfiere non ci siamo accorti che ci troviamo nel bel mezzo dei camini delle fate della valle di Zelve (Peribaçalar Vadisi) : una miriade di coni sovrastati da cappelli di roccia meno friabile di colore più scuro; sembrano tanti grossi funghi chiodini! Qua e là, in mezzo a questo paesaggio pietrificato piccoli sentieri portano a basse vigne che interrompono la monotonia del colore chiaro del terreno sabbioso. Immancabili le bancarelle e piccoli punti di ristoro improvvisati. Qualcuno si arrampica per qualche foto singolare. I più restano sul sentiero pianeggiante risparmiandosi le forze per la prossima visita. Siamo ancora nella Valle di Zelve, ma in una zona detta propriamente Valle dei Monaci in cui i pinnacoli rocciosi hanno suggerito ad alcuni eremiti in epoca medievale soluzioni abitative idonee alla preghiera, all’isolamento e al digiuno. Il più celebre fu S. Simeone. Ancora oggi alcuni di questi alloggi primitivi sono utilizzati dai contadini come depositi o piccionaie. Qualche stravagante locale li ha adibiti ad abitazione permanente. Alcuni turisti “on the road” , muniti di sacco a pelo, le utilizzano per il pernottamento, evitando così di montare la tenda! Ci spostiamo di qualche chilometro e raggiungiamo la Valle di Goreme, notissima in tutta la Cappadocia per l’elevato numero di chiese rupestri., alcune delle quali ben conservate e spettacolari sia per la posizione sia per la pregevolezza dei loro affreschi. Ne visitiamo alcune: la Chiesa del Sandalo (çarikli kilise), la Chiesa della Fibbia (tokale kilise), la Chiesa della Mela (elmali kilise), la Chiesa del Serpente (ylanli kilise); in gran parte di ispirazione cristiano-ortodossa, conservano bellissime iconostasi. Le più semplici sono abitate. Qualcuno si è attrezzato ricavandone una sorta di bed and breakfast (affittacamere); Alì ci spiega che è tutto in regola e che, quindi, i gestori hanno ottenuto le licenze. Se questo è vero, sarebbe un’esperienza da fare! Visitiamo una casa nella roccia. Le stanze sono fresche e confortevoli; non manca niente : cucina, bagno, camere da letto, salotto con tanto di televisione satellitare, perfino una veranda ombreggiata con affaccio sulla valle dove il padrone di casa ci offre un tè alla mela (ma ce lo dobbiamo pagare); dopo una ventina di minuti la padrona di casa ci conduce in un altro locale facente parte della dimora: un bazar pieno di chincaglierie… e di nuovo a comprare souvenir! Prossima tappa Uçhisar, borgo arrocato su un grosso blocco tufaceo da dove si dominano tutte le vallate. Qui ci sono ancora abitazioni scavate nella roccia, ma anche case antiche di costruzione, molto singolari. Il paese è famoso per la lavorazione dell’onice, dell’alabastro e delle pietre dure in generale. Visitiamo un laboratorio e a questo punto lo shopping per le signore si fa serio! La sosta si protrae oltre il previsto; le signore alla fine escono con espressioni molto soddisfatte esibendo i monili appena acquistati. I mariti no! Si è fatto tardi, anzi tardissimo per i ristoratori che ci aspettano ad Avanos, la città sul fiume di argilla. Il pranzo è delizioso, ma una pietanza è particolarmente apprezzata da tutti : i guvec, ossia stufatini passati al forno in pentolini di coccio. Sono già le 15.30 e il tempo incalza. Alì ci spiega che il villaggio è famoso per la ceramica e la lavorazione dell’argilla; era prevista la visita di un laboratorio, ma ormai è tardi e ci passeremo nella mattinata di domani. Ci spostiamo ad Urgup, centro famoso per la lavorazione dei tappeti. Visitiamo una fabbrica in cui ci spiegano in italiano perfetto (nonostante l’aspetto da turco, il proprietario è italiano!) le diverse lavorazioni dei tappeti in lana e in seta. Veniamo poi guidati in un salone, fatti sedere in comode poltroncine disposte a semicerchio, e qui laboriosissimi valletti, ad un gesto del padrone, srotolano una serie infinita di tappeti, ognuno dei quali viene ampiamente descritto per la sua lavorazione e per ciò che rappresentano i colori ed il disegno. Nel frattempo ci offrono un digestivo locale. Al termine del defilè, un addetto passa tra le poltroncine per le “ordinazioni”, cioè per prendere nota di ciò che ha interessato; dopodiché ogni probabile acquirente o coppia di acquirenti viene affidata ad un valletto per le trattative. Dopo una buona mezz’ora le signore escono dalla fabbrica con espressione nuovamente soddisfatta, seguite dal rispettivo valletto recante il tappeto appena acquistato già imballato. I mariti sono sempre più a terra! Ultima tappa del giorno Cavuşin per la visita di una chiesetta rupestre dai bellissimi affreschi alla quale si accede attraverso una ripida scaletta di ferro. Per chi lo desidera Alì propone un percorso a piedi tra grotte e pertugi alla scoperta di abitazioni rupestri dimenticate e colombaie. Rimedia 6 volontari, tra cui la sottoscritta. Gli altri aspettano sorseggiando una bibita sotto un pergolato e dandosi al solito shopping, visto che anche qui le bancarelle abbondano. La giornata, oggi, non termina con la cena. Ci aspetta uno spettacolo che è più una cerimonia religiosa : la danza del cosmo dei dervisci danzanti. Per quanto la confraternita istituita da Mevlana sia stata soppressa dal Presidente Ataturk, ancora oggi i confratelli celebrano il sommo profeta del sufismo con una danza rituale finalizzata al contatto con il divino. Al suono di note avvolgenti e trascinanti i dervisci ruotano vorticosamente su se stessi e attorno ad un invisibile centro (come pianeti intorno al sole), con una mano rivolta al cielo e l’altra alla terra, fino alla tranche, ossia all’annullamento estatico di sé e di ricongiungimento a Dio. Ci troviamo nella penombra di un locale scavato nella roccia, illuminato unicamente da candele. Il suono del flauto ci trasporta lontano ed anche noi, inspiegabilmente, ci sentiamo più vicini a Dio! 9 GIORNO. Oggi si conclude il nostro tour della Cappadocia che è varia e bellissima. In tutta sincerità avrei preferito meno scavi lungo la costa egea e qualche valle in più in questa regione. Iniziamo la giornata con la visita alla città sotterranea di Kaymakli, che sconsiglio a chi soffre di claustrofobia. Attraverso uno stretto cunicolo ci adentriamo in un labirinto di gallerie strettissime e poco illuminate. Corridoi, scale, pertugi si intersecano continuamente senza chiare indicazioni, per cui, senza una guida, penso sia facile perdersi. In ogni caso sottoterra avevano pensato a tutto : cucine, canali di aerazione, pozzi, dispense, loculi per seppellire i morti, magazzini, stalle, cubicoli per dormire, cappelle. Alcune porte di pietra rotanti permettevano la comunicazione tra una zona e l’altra. Alì ci spiega che queste città sotterranee (oltre a questa ce ne sono altre nella zona) sono nate dalla necessità di nascondersi da parte delle popolazioni locali, in tempi remotissimi, per sfuggire alle frequenti invasioni e devastazioni. In seguito i cristiani perseguitati dai Romani, prima, e gli Islamici, poi, sfruttarono questi nascondigli dotati di tutti i servizi necessari per sopravvivere finché il pericolo non si fosse allontanato. Finalmente ci ritroviamo all’aperto. Se penso che la Turchia è un paese ad elevato rischio sismico, mi rendo conto del pericolo corso; ma ormai è andata! All’uscita l’ennesimo viale di bancarelle e altro ciarpame che qualcuno, ancora, ha voglia di acquistare. Dopo aver percorso una ventina di chilometri, ritorniamo nella zona di Avanos per visitare un laboratorio di ceramica. Un artigiano ci spiega in un inglese stentato le caratteristiche dell’argilla rossa della zona ed invita qualcuno di noi a lavorarla con lui. I bambini sono i più interessati all’esperienza e riescono a plasmare un vasetto davvero elegante! Si passa successivamente all’area espositiva dove si può comprare di tutto e di più : dalla mattonella souvenir con i dervisci danzanti dipinti, al servizio da tè. Il pullman è sempre più carico di pacchi e pacchetti. Speriamo che alla fine ognuno riconosca i suoi. L’ ora è tarda e lo stomaco comincia a brontolare. Ad alcuni chilometri di distanza ci fermiamo a mangiare montone stufato nei soliti coccetti e verdure in agrodolce. Tutto molto velocemente perché dobbiamo percorrere più di 300 chilometri prima di arrivare ad Ankara, la capitale. Lasciata la Cappadocia, il paesaggio si sussegue monotono e brullo; unico luogo di rilievo è il grande lago salato di Tuz. Scendiamo dal pullman, affascinati dall’immensa distesa dal colore bianchissimo … il tempo di scattare qualche foto. Si riprende ed arriviamo finalmente alla capitale. Il primo impatto è quello di una città moderna, molto diversa da Istanbul. Sorge, come Roma, su 7 colli, ma il suo vero nucleo è al centro, nella piazza (Ulus meydani) dove sorge l’imponente statua equestre del presidente Mustafà Kemal Ataturk che nel 1923 la dichiarò capitale e non è un caso che proprio qui lo si celebri a perenne memoria come “padre dei Turchi” attraverso un monumentale mausoleo che si erge maestoso su uno dei sette colli. Ankara non ha grosse attrattive turistiche a parte il Museo delle Civiltà Anatoliche che ci accingiamo a visitare; in origine era un mercato coperto con caravanserraglio annesso, trasformato per volere del presidente Ataturk in eleganti saloni e gallerie che ospitano pregevoli collezioni di reperti archeologici attraverso i quali si ripercorre tutta la storia della Turchia. Si inizia dall’epoca paleolitica, passando per gli Ittiti, i Frigi, i Romani, i Selgiuchidi fino agli Ottomani. All’uscita una visita alla cittadella, quartiere antico e popolare arroccato sulla collina che sovrasta il Museo. Stradine tortuose ci catapultano in un mondo da “Mille e una Notte”, date le costruzioni e l’atmosfera; buttando l’ occhio qua e là si scorgono deliziose botteghe di artigiani e piccoli alberghi di gusto spiccatamente ottomano. Uno sciame di bambini ci avvolge all’improvviso, ognuno di loro ha qualcosa da vendere : collanine e braccialetti di plastica, giocattolini dismessi, figurine di calciatori turchi, vecchi fumetti e cartoline. Capiamo che hanno bisogno di “vendere” ed acquistiamo volentieri qualcosa per la causa. Arriviamo in cima alla collina e ci gustiamo l’incantevole panorama dopo l’estenuante fatica… Cena per tutti i gusti a buffet e meritato riposo.
10 GIORNO. Sveglia di buon mattino e partenza per Istanbul (454 chilometri). Si arriva per l’ora di pranzo. Velocemente consumiamo kebab e verdure in un delizioso localino con vista sul Corno d’oro e via verso le moschee simbolo della città : S. Sofia e la Moschea Blu o, come dicono qui, Sultanahmet Camii. Non saprei dire quale delle due sia più bella… entrambe si ergono maestose in tutto il loro splendore, testimoniando l’ armonica fusione tra arte islamica e bizantina. Colpiscono i giochi di luce tra le ampie colonne ed i riflessi delle maioliche nei prevalenti colori del blu-turchese e verde. I mosaici bizantini lasciano senza fiato. Dal 1935, per volere del presidente Ataturk, S. Sofia non è più una moschea, ma è adibita a Museo: oltre ai pregevoli mosaici vi si possono apprezzare sculture in marmo, tra cui spiccano quelle di Artemide e di Apollo, e i sei levhas, dischi di legno che pendono dai pilastri della galleria dove i calligrafi ottomani hanno vergato i nomi di Allah, del profeta Maometto e dei primi quattro califfi, venerati sia dai musulmani sciiti che sunniti. Diversa l’atmosfera nella Moschea Blu : moltissime persone pregano inginocchiate rivolte verso La Mecca. La visita procede silenziosa. Naturalmente scalzi e vestiti decorosamente. Le scarpe aspettano fuori. All’uscita ci rechiamo, a breve distanza, presso Yerebatan Sarnici, che noi diremo “Palazzo Sommerso” , ossia L’Antica Cisterna. Sotto una delle arterie principali della città, Divan Yolu, si estende un enorme serbatoio bizantino con volte e colonne risalente all’epoca di Costantino e ricostruito poi da Giustiniano. L’ambiente è molto suggestivo: centinaia di colonne con capitelli corinzi si allineano creando incredibili geometrie e impensabili punti di vista. Tra i colonnati si nascondono 2 teste di Medusa… provate a cercarle! L’illuminazione soffusa è molto ben studiata; la visita procede piacevolmente camminando sospesi sull’acqua mediante un sistema di passerelle e ascoltando musiche di Mozart, Vivaldi e, se si è fortunati, anche la voce del nostro compianto maestro Pavarotti. Appena fuori da quel luogo irreale ci incamminiamo verso il Kapali Carsi, il Gran Bazar. Nel cuore di Istanbul una città mercato dove è impossibile non trovare ciò che si cerca. Ogni genere di mercanzia ha il suo piccolo quartiere, la sua strada, il suo corridoio, la sua piccola piazzola. Unico rischio… perdersi. Un consiglio: non perdere mai di vista un’arteria principale quando ci si immette nelle viuzze laterali. Non si tratta di un centro commerciale! Per fortuna la struttura ha mantenuto i suoi originari connotati : basta dirigersi verso la zona degli han, gli antichi caravanserragli dove alloggiavano le carovane cariche di merci per respirare le atmosfere dei mercati descritti ne “Le mille e una notte”. Per rendersi conto della vastità del luogo occorre qualche numero : 4000 botteghe, 60 strade e vicoli, 5 Moschee interne, fontane, ristoranti e vecchi caffè, un Banco dei Pegni, una casa d’Asta, banche, cambiavalute, bagno turco, uffici postali, ma anche un posto di polizia. Il mercato ha 9 porte di ingresso ed è aperto dalle 9 alle 19. Usciamo frastornati dopo un paio d’ore e con nostro sommo stupore ci accorgiamo che sta piovendo. Il vento che ci ha accompagnato durante le nostre visite pomeridiane ha portato pioggia! Corsa veloce verso il pullman e finalmente raggiungiamo l’hotel. La costruzione è bellissima in perfetto stile ottomano, sia esternamente che negli arredi interni; è nei pressi della vecchia stazione dove il mitico Oriente Express faceva capolinea… di più non posso dire! Entusiasti per l’ambiente (fino ad oggi tutti hotel bellissimi, ma estremamente moderni), ci illudiamo che sia un omaggio all’ultima notte che trascorreremo in Turchia…O forse è solo una coincidenza. Tuttavia ci piace pensare così e visto che è l’ultima sera per l’ormai affiatatissimo gruppo di compagni di viaggio e che la cena è libera, ci facciamo consigliare un ristorante tipico, ma fuori dai soliti circuiti turistici. Decidiamo di comune accordo di concederci una sintesi culinaria di tutto ciò che aabbiamo maggiormente apprezzato della cucina turca in questi dieci giorni di viaggio. Soddisfatti terminiamo la cena con l’immancabile caffè alla turca, che, secondo me, non è poi un gran che, forse perché non ho imparato a berlo dato che i fondi mi arrivano sempre in bocca! 11 GIORNO. Nell’attesa del pullman che ci porterà in aeroporto intorno alle 11, ognuno va in giro per conto proprio alla scoperta di qualcosa di interessante: chi si reca sul ponte di Galata, chi presso la Moschea di Solimano il Magnifico, chi al Mercato delle spezie; tutti , comunque, accomunati dall’incontrollabile desiderio di dedicare a questa splendida terra fino all’ultimo minuto del tempo a disposizione. Grazie, Turchia, per le emozioni che ci hai dato!