Un incontro ad Arequipa

E' domenica mattina presto, bella giornata. Vedo i tetti rossi delle case di Cuzco dall'alto della collina. Sono seduto su uno dei pietroni di Sacsahuaman, e mi sto fumando una sigaretta guardando la citta' e la valle che la contiene. Anzi, mi sto facendo una canna. L'erba che mi hanno regalato a Lima un paio di settimane fa e' scura e odora...
Scritto da: KillingTime
un incontro ad arequipa
Viaggiatori: da solo
E’ domenica mattina presto, bella giornata. Vedo i tetti rossi delle case di Cuzco dall’alto della collina. Sono seduto su uno dei pietroni di Sacsahuaman, e mi sto fumando una sigaretta guardando la citta’ e la valle che la contiene. Anzi, mi sto facendo una canna. L’erba che mi hanno regalato a Lima un paio di settimane fa e’ scura e odora leggermente di ammoniaca – il che vuol dire che ci hanno pisciato i topi mentre seccava in qualche soffitta – ma mischiata con la Camel si puo’ fumare, e da’ un colpo immediato al sensorium. Gomito appoggiato al ginocchio guardo la citta’ attraverso il teleobiettivo della macchina fotografica. Le due chiese sulla Plaza de Armas (che una volta si chiamava Plaza Mayor) mi sembrano due pastori erti drammaticamente in mezzo al gregge di case bianche a due piani. Buona quest’erba. Alzo la mira e lontano nella valle distinguo l’aeroporto. Lo guardo fisso per un po’, aspetto che parta l’aereo solitario in mezzo alla pista. Non distinguo la livrea, neppure col 200mm, ma so che e’ un volo Aeroperu’ per Lima, e su di esso c’e’ Veronique che se ne torna a casa, vacanze finite. L’ho incontrata quattro giorni fa ad Arequipa, disperata perche’ non trovava alloggio, gli alberghi riempiti da un convegno di ingegneri peruviani. Abbiamo trovato una camera doppia e abbiamo deciso – dopo notevoli discussioni – di dividerla, visto che era l’unica in tutta la citta’. Parlando in un bastardissimo misto di italiano inglese spagnolo e francese (che io non so) abbiamo negoziato per almeno mezz’ora alla reception dell’albergo. – Dividiamo camera e costo ma letti separati. E io: – Va bene. Non abbiamo scelta. – Hai capito, vero? – Si, stai tranquilla, e’ solo per convenienza. – Guarda che io sono in vacanza da sola ma non voglio storie. – Va benissimo ho detto. Tanto io domani parto per Puno. – Puno? Anche io vado a Puno. Ma per stanotte dobbiamo essere chiari. – Tranquilla, sono qui per vedere il Peru’ non per cercare storie. – Bene. Io ho deciso d’impulso di venire in Peru’ perche’ ho litigato con il mio ragazzo a Parigi. – Non mi devi spiegare niente… – Sappi che comunque sono lesbica. – Allora posso stare tranquillo…e anche tu. – Si ma e’ meglio essere chiari… – ….Piu’ chiaro di cosi’… La notte passo’ senza eventi, e l’indomani mattina, con cautela reciproca decidemmo di andare a vedere lo sterminato convento di Santa Catalina. Fu una giornata piacevole, e la sera ci ritrovammo sulla stessa corriera per Puno ed il lago Titicaca. La notte fu durissima, per il freddo. La corriera si arrampico’ tutta la notte sui gradini della cordigliera, e a mano a mano i passeggeri, quasi tutte donne locali in bombetta aggiungevano strati al vestiario. Noi avevamo giubbotti e maglioni ma non bastavano. Fuori c’era solo l’altopiano, terroso e rosso. Alla fine, durante una sosta notturna durante la quale la pipi’ gelo’ prima ancora di arrivare a terra, Veronique si arrampico’ sul tetto, tiro’ fuori il saccoletto dal suo zaino, e lo usammo come coperta per entrambi, riuscendo a sopravvivere. A Puno prendemmo alloggio al vecchio hotel Ferrocarril, di fronte alla (singola) linea ferroviaria. – Possiamo dividere una camera doppia se vuoi, ma valgono le stesse regole. – Va bene per me. – Non pensare che avere diviso il mio saccoletto sul pullman ti autorizzi a considerarti amico intimo. – Non ci penso nemmeno! E’ stato un fattore ambientale a costringerci a stare vicini. Dopo avermi fissato aggrottosamente dal basso in alto con quei grandi occhi blu decise che forse poteva fidarsi. – Ricordati che sono lesbica. – Non potrei MAI dimenticarlo. Cenammo nell’albergo stesso. Un paio di tavoli con locali, qualche turista, e una tristissima banda andina che suonava El Condor Pasa a ritmo di veglia funebre. Quella notte stetti male. Molto. Qualcosa nel cibo, passai la notte abbracciato alla tazza del cesso. Stavo cosi’ male che non mi preoccupavo nemmeno della figura che stavo facendo. L’indomani mattina Veronique usci’ presto, mentre io, sfatto, deliravo nel dormiveglia. Be’ forse ‘deliravo’ e’ eccessivo. Torno’ poco dopo con il pacchetto del farmacista all’angolo. – Mate de coca. Eccellente per lo stomaco. Ti fara’ bene, vedrai. – Ahhhhhhhhh…..(“voglio morire”). Fu un’infermiera perfetta. Fece il mate a piu’ riprese, me lo fece bere, mi toccava la fronte per vedere se avessi febbre, rimboccava le coperte, mi trovo’ dei limoni da succhiare per ristrizzare l’intestino in condizioni normali. Funziono’. Lo stesso pomeriggio stavo gia’ meglio, e uscimmo per andare a vedere le Chullpas a Sillustani. Ci arrampicammo sulle torri in rovina, facemmo foto, chiacchierammo. Sembrava felice che stessi meglio e io non sapevo come ringraziarla per la gentilezza. Quella sera decisi di non cenare per sicurezza, e continuai a bere mate per reidratarmi. Veronique ando’ a mangiarsi una pizza da qualche parte in citta’, ma torno’ subito. – Volevo essere sicura che stessi bene. – Sto benissimo ora, grazie. Sarei potuto uscire ma sai, per sicurezza preferisco rimanere vicino al bagno.. – Bene. Come la prima notte ad Arequipa ando’ in bagno a spogliarsi, torno’ con una lunga maglietta per pigiama e pudicamente si corico’ nel letto accanto. Io andai a farmi una doccia per liberarmi dell’odore di sudore e di febbre. Ci misi molto tempo, e poi silenziosamente mi coricai. Devo essermi addormentato quasi subito. Ma poco dopo mi sveglio’ il suo odore. Era nel letto con me. Confuso, allarmato, stavo quasi per cadere dal letto dalla fifa (“cosa ho fatto?”) ma lei mi tenne con la mano sul braccio. – Cosa succede? – Je….avec vous. – Ma tu hai detto che… – Sshhhhh…étreignez-moi… L’indomani andammo a Copacabana, in Bolivia, giusto dall’altra parte del confine, un oretta di minibus. La situazione in quel paese era brutta. Soldati ovunque, scritte contro il governo sui muri ancora di piu’ e la moneta cosi’ svalutata che la gente al bar pagava con mattoncini di banconote legati con lo spago, estraendoli dal cestino della spesa o dalla sporta. La banca mi diede mezzo milione di pesos, in mattoncini legati con lo spago, per un dollaro. E un dollaro non bastava di certo. Considerammo la possibilita’ di comprare una carriola per portare i soldi con noi, ma sarebbe costata svariati milioni di pesos e non avevamo fisicamente dove metterli: chili e chili di carta. Ce ne tornammo a Puno, al Ferrocarril. – Ma non avevi detto di essere lesbica? – Je suis une….quand I want to…pourquoi demandez-vous? – Oh… (damn) Je suis très…confuso? – Non ti piaccio? – Oh, si… ……… – Vieni a Cuzco con me? Col treno? – Sono gia’ stata a Cuzco. Devo tornare a Lima, and je partirai pour Paris en trois jours. – Ohhh…torna a Lima da Cuzco – Non mi bastano i soldi. – Te li do’ io….poi me li ridai. – J’aime cette idée… Questo fu due giorni fa, credo. Il treno era pieno di viaggiatori in zaino come noi che andavano a Cuzco, l’ombelico del mondo. La ferrovia e’ qualcosa di speciale: finita nel 1908 raggiunge i 4000 e passa metri fra Puno e Cuzco, e nel vagone ristorante avevano le sogliole…appena arrivati Veronique ando’ a farsi il biglietto dell’aereo, e stamattina mi ha salutato e se ne e’ andata. Io sono salito a Sacsahuaman. L’aereo decolla, sale lontano, poi gira e gia’ in quota mi passa sopra. Gli faccio una foto contro il cielo blu. Poi finisco la canna, raccolgo la borsa con la camera e me ne scendo in citta’. Devo organizzarmi per il sentiero degli Inca. Non l’ho mai piu’ rivista.


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