Ecco la seconda parte del racconto e del viaggio … Domenica 22 agosto: Wilpena Pound NP – Clare Valley – Barossa Valley – Kangaroo Island Oggi ci aspetta uno degli spostamenti in macchina più lunghi di tutto il viaggio che ci porterà da Wilpena Pound fino a Kangaroo Island. Mentre sistemo i bagagli in macchina, mi sento osservato: mi volto e dietro di me c’è un canguro che mi fissa. Ecco quindi ribaltati i ruoli di ieri: questa volta è il canguro a guardarmi intento alle mie occupazioni !! Per raggiungere Kangaroo Island dobbiamo ripassare per Adelaide. Decidiamo però di cambiare strada rispetto all’andata: appena superata Hawker, deviamo verso sud proseguendo nell’interno. Ancora una volta attraversiamo vaste lande disabitate, intervallate da sperduti paesini. Nelle campagne compare un nuovo tipo di cacatua, bianco ma con ali e cresta rosa. Finalmente raggiungiamo la Clare Valley e subito la campagna si copre di vigneti, testimoni della sua apprezzata produzione vinicola. Facciamo un’unica sosta alle Seven Hill Cellar, l’azienda più antica della regione, gestita dai gesuiti. Dopo un’occhiata alla chiesa, passiamo alla cantina e acquistiamo la nostra prima bottiglia della giornata. Arrivati ormai ad una settantina di chilometri da Adelaide, entriamo nella Barossa Valley continuando il nostro pellegrinaggio enologico nell’area vinicola più famosa di tutta l’Australia. La regione fu colonizzata nell’ottocento da luterani tedeschi, fuggiti dalle persecuzioni religiose della loro patria. A Tanunda, il centro principale della valle, passeggiamo su Murray Street dall’impronta germanica, gettando un’occhiata ad una chiesa luterana ed al wine and visitor centre. Il paese appare piacevole ma molto turistico. Ripresa la macchina, ci spostiamo in un paio di tenute. L’edificio di Peter Lehmann, dalle guglie prussiane, si trova in mezzo ad un bel giardino; Richmond Grove è circondata da una sterminata distesa di vigneti. Approfitto della situazione per una serie di degustazioni, anche se devo limitarmi poiché dopo mi aspetta di nuovo il volante !! Naturalmente finiamo per acquistare un paio di bottiglie, un bianco “reisling” ed un rosso “shiraz”. Ad una decina di chilometri da Tanunda raggiungiamo Seppeltsfield, l’azienda vinicola più antica della zona. L’immensa tenuta, con tanto di monumentale mausoleo di famiglia ed interminabili viali di palme, appartenne a ricchi mercanti tedeschi. Non possiamo mancare il nostro appuntamento con il traghetto per Kangaroo Island e quindi, lasciata la valle, puntiamo decisi verso Adelaide. L’imbarco è fissato per le sei a Cape Jervis, sulla punta della Fleurie Peninsula. Non esiste però un percorso che consenta di evitare il traffico di Adelaide e dei suoi sobborghi: la città ha un’estensione incredibile, visto che è formata da case ad un piano, e il suo attraversamento si protrae a lungo. Finalmente le abitazioni finiscono e poco dopo raggiungiamo la penisola. Il tempo improvvisamente peggiora e ci coglie il primo scroscio di pioggia da quando siamo in Australia. Alle cinque e mezzo giungiamo a Cape Jervis, puntuali per imbarcarci sul traghetto. La navigazione dura circa tre quarti d’ora, con le oscillazioni che creano qualche imbarazzo a Stefania. Sbarcati a Penneshaw, troviamo ad attenderci, attaccata alla vetrata degli uffici ormai chiusi, una busta con le chiavi dell’appartamento prenotato tramite internet. E’ la sistemazione più lussuosa di tutto il viaggio: abbiamo a disposizione l’intero piano terra di una casa splendidamente affacciata sul mare. Cerchiamo lo stesso di non indugiare poiché vogliamo partecipare alla passeggiata serale dedicata ai pinguini. Penneshaw ospita una numerosa colonia di questi piccoli e buffi pennuti e la sera è il momento migliore per vederli. Durante il giorno se ne stanno, infatti, in acqua e solo al tramonto tornano nelle loro tane. Il visitor centre si trova vicino al molo, a fianco della spiaggia, e in macchina devo fare molta attenzione perché alcuni pinguini camminano tranquillamente sul ciglio della strada. Una ragazza ci illustra alcuni aspetti della loro vita per poi accompagnarci alle scogliere sul mare. Con una torcia illumina le tane dalle quali fanno capolino i pinguini. Nell’area attorno al visitor centre la visione è ancora più ravvicinata. Un pennuto attraversa la passerella, interdetto per la nostra presenza; rimaniamo tutti immobili e silenziosi per non disturbarlo finché, dopo molte incertezze, se ne va caracollando !! Penneshaw è un paese veramente piccolo e vista l’ora tarda non c’è più speranza di cenare in un locale. Ce ne torniamo quindi nella nostra bella casa sfamandoci con le solite scatolette accompagnate da un paio di arance condite, questa volta però seduti alla tavola apparecchiata della spaziosa cucina. Lunedì 23 agosto: Kangaroo Island Penneshaw si trova all’estremità orientale di Kangaroo Island. L’isola si estende per un centinaio di chilometri; nella nostra visita ci dedicheremo alla costa meridionale, concentrandoci sugli aspetti naturalistici e tralasciando i centri abitati di Kingscote ed American River. Alla luce del giorno la vista sul mare dal nostro appartamento è splendida e lo lasciamo quindi con un certo rammarico. Superata la Pelican Lagoon, ci fermiamo alla Prospect Hill, un’alta collina di sabbia coperta di vegetazione. Dalla cima la vista spazia sulla punta orientale verso Penneshaw, collegata al resto dell’isola da uno stretto istmo. Alcuni cartelli ricordano Matthew Flinders, il primo visitatore occidentale, che assegnò all’isola il nome attuale. Superato il bivio per Kingscote, imbocchiamo la Coast Road. Una prima deviazione ci porta a Seal Bay, dove i ranger accompagnano i gruppi sulla spiaggia per ammirare una colonia di leoni marini. Sono veramente buffi quando si muovono ciondolando sulla terra ferma. I maschi sono molto più grandi delle femmine; uno di loro è circondato dalle sue quattro femmine e quando un giovane rivale cerca di avvicinarsi lo allontana immediatamente. Tutto sommato però non è troppo da invidiare: per mantenere il suo dominio nella stagione degli accoppiamenti è costretto a starsene un mese a riva senza mangiare, azzuffandosi con gli altri maschi. Oggi invece, a parte le reazioni alle timide intrusioni del giovane rivale, se la gode standosene placidamente sdraiato tra le sue quattro compagne. Altri leoni sono in mare o si rotolano nella sabbia; alcune mamme dormono tranquille, insieme al proprio cucciolo. Terminata la visita guidata, ci tratteniamo ancora un po’ percorrendo un’altra passerella fino ad un punto d’avvistamento. Sulla spiaggia scorgiamo lo scheletro di una balena, morta alcuni anni fa durante una mareggiata; un cucciolo di leone dorme tranquillo e beato sotto la passerella. Un altro tratto lungo la Coast Road ci porta a Little Sahara: le dune sono abbastanza imponenti e dalla più alta la vista spazia su una vasta distesa di sabbia, anche se il nome appare un po’ pretenzioso. Rinunciando alla visita delle Kelly Hill Cave, proseguiamo per un tratto più lungo. Purtroppo continuiamo la nostra marcia avvistando continuamente animali morti. Le strade australiane ne sono spesso costellate ma a Kangaroo Island la strage raggiunge livelli impressionanti: poveri opossum, wallabies, canguri giacciono spappolati, facendoci venire un tuffo al cuore. Tutta la parte orientale dell’isola è protetta dal Flinders Chase NP; poco prima dell’ingresso si trova un caravan park, dove è segnalata una passeggiata dal nome accattivante: “koala walk”. Attraversiamo un boschetto d’eucalipti e, mentre scrutiamo tra gli alberi per avvistare i koala, incappiamo invece in un gruppetto di wallabies. Dopo averne visti così tanti morti lungo le strade, è una gioia incrociarli “vivi e vegeti”. Sembrano un incrocio tra degli scoiattoli giganti e dei canguri in miniatura. Dal marsupio di una mamma spunta la testa del piccolo. Proseguiamo la nostra ricerca dei koala riuscendo ad avvistarne un paio: se ne stanno sui rami alti e solo con il binocolo riusciamo a vederli più chiaramente. Finalmente raggiungiamo il Flinders Chase NP, dove intendiamo trascorrere la notte. Nel vasto prato all’ingresso, invece che dai canguri, veniamo accolti da chiassose oche grigie con il becco giallo. Al visitor centre, fiduciosi nel protrarsi del bel tempo, blocchiamo subito un campsite. La ragazza al banco non è molto prodiga di consigli: l’unica informazione che riusciamo a carpire è che la Platypus Waterhole Walk può essere raggiunta solo in macchina. Decidiamo però di dedicarci prima al sentiero che parte direttamente dal visitor centre e compie un breve giro nei dintorni. In realtà non si vedono molti animali e ci dobbiamo accontentare di un solo canguro, in lontananza. Tornati al parcheggio ecco invece la sorpresa: sto per salire in macchina quando Stefania richiama la mia attenzione. Un koala se ne sta tranquillamente su un albero lì accanto !! Ci avviciniamo per guardarlo meglio: è proprio buffo, una specie di grosso peluche. Sembra guardarci anche lui con curiosità, mezzo addormentato. Ce ne stiamo un po’ ad ammirarlo quando poco lontano spunta un’echidna. Ricoperta di spine, assomiglia ai nostri porcospini, con un caratteristico muso a punta. Quanti animali ci sono in questo parcheggio e pensare che ci siamo sforzati di cercarli in giro !! Nel frattempo il koala è sceso di qualche “piano” ed ora possiamo goderci la sua vista più da vicino. Il tempo stringe, visto che abbiamo ancora molte cose da vedere. Puntiamo quindi decisi verso il parcheggio della Platypus Waterhole Walk, percorrendo una “tranquilla” sterrata che sembra essere l’unica aperta del parco: tutte le altre sono sbarrate e ci consoliamo considerando che questa volta le quattro ruote motrici sarebbero state inutili. La passeggiata attraversa una serie di pozze d’acqua in mezzo ad una fitta vegetazione. Siamo nell’habitat preferito dal platypus (cioè dall’ornitorinco) ma il timido animale è molto sfuggente. Appostati su piattaforme di legno, seguiamo tutte le istruzioni per avvistarlo (non fare rumori, scrutare le bollicine nell’acqua) ma non si fa proprio vedere. Fallita l’impresa, torniamo quindi sulla strada proseguendo verso l’estremità occidentale dell’isola. La striscia d’asfalto si dipana con saliscendi in mezzo alla fitta vegetazione e sembra la riga posta a separare una folta capigliatura !! Il tramonto è ormai prossimo e la vista sulle Remarkable Rocks splendida: sopra un promontorio affacciato sul mare giacciono grosse rocce dalle forme curiose, quasi fossero le ossa sparse di un gigante. L’effetto ricorda un paesaggio di sculture metafisiche. Poco lontano ci aspetta l’ultima tappa della giornata, Cape de Couedic, punta occidentale dell’isola. Ormai purtroppo il sole è tramontato e facciamo giusto in tempo per vedere il faro che si staglia tra le nuvole rosse nel cielo. C’è vento e la vegetazione è ridotta a bassi cespugli; il mare tempestoso s’infrange sull’isolotto di fronte, rendendo ancora più selvaggio il luogo. Ma dove sarà l’Admirals Arch segnalato in zona? Proseguiamo lungo la passerella fin sulla punta e scendendo ecco svelato il mistero: era sotto di noi !! Una grotta si apre con un grande arco sul mare ed una colonia di foche della Nuova Zelanda ha scelto questo posto come propria dimora. Il profumino dei loro bisogni appesta tutta l’aria. Peccato soltanto che siamo arrivati un po’ tardi ed ormai stia facendo buio. Ripartiti in macchina, spuntano subito sulla strada dei wallabies saltellanti. Procedo quindi con grande prudenza per evitare di contribuire al massacro perpetuato lungo le strade dell’isola. Superato il campeggio, proseguiamo fino al Kangaroo Island Wilderness Resort dove ci godiamo una delle cene migliori del viaggio, seduti in una bella sala con caminetto. Dopo il conto, il cameriere ci raccomanda di fare attenzione poiché con il buio gli animali sono tutti in giro. Non sa però che “alloggiamo” al campeggio del parco ed il tratto di strada che ci aspetta per fortuna è molto breve. Il campeggio è deserto ma dall’unica altra tenda proviene musica a tutto volume, gradita meno che mai in questo contesto naturalistico. Martedì 24 agosto: Kangaroo Island – Port Fairy La mattina ci alziamo all’alba, speranzosi in un’altra “sessione di canguri”. In realtà non sono così numerosi come ci aspettavamo: ci dobbiamo accontentare di un esemplare bruno che si aggira alla ricerca di cibo intorno alla seconda tenda del campeggio e di un altro dal bel pelo rosso, più in lontananza. Alle dieci e mezzo abbiamo il traghetto di ritorno e decidiamo di sfruttare il poco tempo a disposizione per tornare a Cape de Couedic. Ammiriamo nuovamente, alla luce del giorno, le onde del mare che si infrangono violentemente sugli scogli; sono le acque dell’Oceano del Sud e lontano, di fronte a noi, c’è solo il continente antartico. Ridiscesi nella grotta dell’Admirals Arch ritroviamo le foche: un cucciolo dorme beato, con un’espressione simpatica, proprio sotto la passerella. Mentre torniamo verso la macchina, tra i bassi cespugli sbuca un canguro: la sua immagine con lo sfondo del mare in tempesta forma un quadretto emozionante. Ormai il tempo a nostra disposizione è scaduto e prendiamo decisi la strada del ritorno: riattraversiamo tutta l’isola e poco prima delle dieci siamo a Penneshaw, in tempo per le operazioni d’imbarco. La traversata è più tranquilla dell’andata, rattristata solo dalla vista delle povere pecore stipate in un camion che si spingono l’una contro l’altra ad ogni oscillazione del traghetto. Da Cape Jervis ci aspetta un lungo tragitto visto che vogliamo arrivare fino all’Ocean Road, nello stato del Victoria. La strada percorre il lato della Fleurie Peninsula opposto a Adelaide, fino a raggiungere Victor Harbor, il centro principale di questa zona molto apprezzata per la villeggiatura balneare. Ci affacciamo sulla bella spiaggia, collegata da una passerella all’isolotto subito al largo, e ne approfittiamo per rifocillarci (anzi rimpinzarci !!) ad un fish & chips. Superata Port Elliot, altro centro balneare con splendide case, lasciamo la costa. Per molti chilometri costeggiamo il Lake Alexandrina, un immenso lago salmastro separato dal mare da una sottile striscia di terra, finché la strada s’interrompe davanti ad un fiume e per passare dall’altro lato dobbiamo affidarci alla chiatta che fa servizio avanti e indietro. Finalmente raggiungiamo la Princess Highway, la strada di collegamento tra Adelaide e Melbourne che corre più vicina alla costa. Il traffico come il solito è inesistente. Nella regione del Coorong National Park, costeggiamo un bel complesso di lagune separate dal mare da alte dune di sabbia. Superata Kingston, con la gigantesca statua di un’aragosta, la strada piega verso l’interno proseguendo attraverso un paesaggio monotono. La città di Mt. Gambier si trova ormai a pochi chilometri dal confine con lo stato del Victoria. Nei suoi dintorni sono segnalati alcuni bei laghi vulcanici ma ormai sta facendo buio e l’Ocean Road è ancora lontana. Proseguiamo attraversando un fitto bosco, facendo la massima attenzione agli eventuali animali in giro, fino a raggiungere Port Fairy dove decidiamo di fare tappa per la notte. Ormai ci siamo affezionati alla vita in tenda e quindi ci sistemiamo nel Garden Caravan Park, vicino al fiume. Sono le nove di sera ma nonostante l’ora “tarda” ci gustiamo una delle migliori cene del viaggio nel ristorante di una romantica guesthouse, la Dublin Inn. Mercoledì 25 agosto: Port Fairy – Ocean Road – Melbourne Giornata dedicata alla Great Ocean Road, considerata una delle strade costiere più spettacolari al mondo. L’erosione del mare ha creato un paesaggio mutevole che cambia continuamente e gli scorci spettacolari si succedono uno dopo l’altro. Dopo un’occhiata alla baia, lasciamo Port Fairy proseguendo la nostra marcia sulla Princess Highway, finché superata Warnambool deviamo finalmente per la Great Ocean Road. La strada si dipana pianeggiante nascondendo alla vista la costa ma numerose deviazioni offrono vedute mozzafiato. Già alla prima fermata, Bay of Islands, il paesaggio ci appare in tutta la sua bellezza: la pianura precipita in mare formando alte e frastagliate scogliere con il mare punteggiato di faraglioni. Altrettanto bella è la successiva Bay of Martyrs. Superato il paese di Peterborough, raggiungiamo il London Bridge; nel 1990 il crollo del ponte di roccia che univa l’arco alla costa bloccò due turisti che dovettero essere recuperati con un elicottero. A pochi chilometri si trova Grotto, una bella piscina riparata da un arco di roccia. Arrivati a Port Campbell facciamo una puntata al visitor centre dell’omonimo parco che protegge questo tratto di costa. Il tizio al banco è particolarmente solerte: ci offre molto materiale e si prodiga in consigli per la prosecuzione della giornata. Il Loch Ard Gorge fu teatro nel 1878 di un famoso naufragio. La Loch Ard trasportava un gruppo di emigranti dall’Inghilterra a Melbourne e solo due ragazzi si salvarono dalla furia delle acque: il giovane mozzo riuscì a trarre in salvo una passeggera sua coetanea. La vicenda suscitò una vasta eco ma nonostante la “pressione popolare” la giovane non accettò di sposare il mozzo e dopo alcuni mesi se ne tornò in Inghilterra. Oggi è una splendida giornata ed il mare tranquillo nasconde le insidie dei giorni di tempesta. Sul posto c’è una fitta rete di sentieri: scegliamo un paio di passeggiate. La prima è dedicata proprio ai ricordi del naufragio: raggiungiamo un lookout e poi la spiaggia dove i due giovani trovarono scampo rifugiandosi in una grotta. La seconda passeggiata ci porta al Blowhole, una voragine ruggente dove le acque dell’oceano si spingono attraversando un lungo tunnel. Molti corpi dei naufragi furono spinti fin qui dalla corrente ma solo pochi poterono essere recuperati. Il lookout successivo si trova proprio davanti a Muttonbird Island; l’isolotto oggi appare deserto ma a partire dalla fine di settembre è popolato da una numerosa colonia di muttonbird, uccelli migratori che compiono ogni anno un lunghissimo viaggio per arrivare fin qui dal Pacifico del Nord. Un altro punto panoramico offre lo scorcio più bello di tutto il sito: la vista spazia su un lungo tratto di costa, con le bianche frastagliate scogliere alte sul mare. Terminiamo la visita con il Loch Ard Cemetery, dove furono sepolti i corpi recuperati dei naufraghi. I Twelve Apostles sono il simbolo della Great Ocean Road e dovrebbero essere visitati all’alba oppure al tramonto, quando c’è la luce giusta. L’area è attrezzata per sopportare il notevole flusso di turisti con un vasto parcheggio ed un moderno visitor centre. Viene offerta anche la possibilità di un giro in elicottero ma noi ci accontentiamo della vista da un paio di lookout. Nonostante il sole frontale lo spettacolo è ugualmente bello, anche se a dire il vero non si riescono a scorgere tutti e dodici i faraglioni (per una visione completa bisognerebbe ricorrere all’elicottero). L’ultima fermata di questa splendida costa è ai Gibsons Step, dove una scalinata scende sulla spiaggia, offrendo una prospettiva dal basso delle ripide scogliere. La strada piega verso l’interno, proseguendo in salita in mezzo ad una fitta vegetazione fino a raggiungere il Melba Gully Conservaton Park. Il piccolo parco protegge una bella porzione di rainforest, attraversata da un sentiero circolare. L’attrazione principale è il Big Tree, un gigantesco albero coperto di muschio vecchio di 300 anni. L’area picnic, attrezzata con tavoli di legno in una bella e soleggiata distesa erbosa, ci invita ad uno spuntino con le nostre immancabili scatolette. I soliti uccelli bianchi e neri attendono pazientemente la nostra partenza per spazzolare le briciole sparse in giro. Ripresa la marcia, entriamo nell’Otway NP: una deviazione ci porta fino all’omonimo promontorio. Nell’area si trovano alcuni edifici storici, tra cui il vecchio faro ma il costoso biglietto d’ingresso e il poco tempo a disposizione ci scoraggiano dalla visita. Tornando verso la strada principale superiamo un gruppo di mucche gravide che bloccano il passaggio (le loro pance sono veramente enormi !!). I koala, segnalati in zona, come il solito non si fanno vedere. La strada prosegue in picchiata raggiungendo nuovamente il mare ad Apollo Bay. Il paesaggio costiero ormai è completamente cambiato, divenendo più simile ai nostri: siamo sul livello del mare e una serie di montagne movimenta la costa. Proseguiamo raggiungendo il paese di Lorne, dove facciamo una puntata al Teddy Lookout per il tramonto. Verso Geelong, ormai nell’area di Melbourne, il traffico si fa intenso, con la Princess Highway trasformata in un’autostrada a tre corsie. A Melbourne ci attende una brutta sorpresa. Dall’Italia abbiamo prenotato tramite internet due notti in un ostello centrale, il Victoria Hall. La tizia alla reception dopo che ho già pagato con la carta di credito la camera con bagno, si accorge che la stanza non è più disponibile. Arriva la manager tutta in tiro confermando che lo “studio apartment”, come lo definisce lei, è “unliveable”. Senza scomporci più di tanto rispondiamo che per noi va bene anche una doppia senza bagno (naturalmente ci restituiscono la differenza di prezzo in contanti) ma la prima soluzione che ci viene proposta è veramente indecente, con le lenzuola dei letti piene di capelli. Ci spostiamo quindi in una seconda camera più piccola dove la sporcizia per lo meno è solo sulla moquette !! L’ostello appare in completo disfacimento: è popolato essenzialmente dagli studenti della vicina università ed è un vero pulciaio !! Per scusarsi del disguido ci offrono la possibilità di parcheggiare gratuitamente la nostra “small car”. Vista la situazione, usciamo in fretta e furia per andare a cena raggiungendo Lygon Street, piena di ristoranti italiani. Scegliamo Little Pasta House dove mi sparo una porzione gigantesca di tagliatelle con le melanzane (peccato siano decisamente scotte !!). Il cameriere ha voglia di fare conversazione: è originario di Siena ed è emigrato in Australia nel 1968. Ci racconta che arrivò in nave e dato che il canale di Suez era chiuso per la guerra arabo-israeliana dovette circumnavigare tutta l’Africa, impiegando 48 giorni !! E’ molto orgoglioso del livello di vita raggiunto e si dilunga nella descrizione della sua immensa casa. Al momento dei saluti sono tutti molti affettuosi, compreso un altro emigrante del Sud Italia che ricorda i bei tempi trascorsi a Roma ed in particolare le prostitute di Piazza Mazzini !! Tornati nel nostro pulciaio, stendiamo tappetini e sacchi a pelo sopra i letti cercando di ridurre al minimo i contatti !! Giovedì 26 agosto: Melbourne Giornata dedicata alla visita di Melbourne. Dopo tanti spostamenti in macchina, decidiamo di concederci una pausa cittadina, rinunciando anche alla possibile escursione a Philip Island. Il nostro fatiscente ostello per lo meno si trova in centro; percorsa Victoria Street raggiungiamo l’enorme Queen Victoria Market, dove ci divertiamo a vagare tra i banchi. Il settore gastronomico è molto ampio e siamo colpiti in particolare dai prezzi bassissimi della carne. Si trova di tutto e la gente in giro è un incredibile miscuglio di razze, comprese molte facce italiane. Ne approfitto per acquistare un boomerang ed una maglietta mentre Stefania si concentra sui regali per i vari nipotini. Proseguendo verso sud raggiungiamo Collins Street, il cuore finanziario della città. La strada presenta un’affascinante commistione di elementi ottocenteschi e ultra moderni: i palazzi dell’epoca coloniale sono rimasti al loro posto ma alle spalle sono sorti svettanti grattacieli. La Rialto Tower detiene per la sua altezza il record dell’emisfero meridionale. Dalla terrazza panoramica si gode la vista su tutta la città, fino al mare con la vasta baia. Una curiosità è costituita dai campi di tennis situati nelle terrazze sopra i palazzi. La passione sportiva della città è poi confermata dai diversi stadi che si scorgono. Proseguiamo la nostra passeggiata con una puntata a Bourke Street, il mall pedonale di Melbourne. Pranziamo con un kebab ad una tavola calda e, dopo un’occhiata alla St. Paul Cathedral e alla monumentale Flinders Street Station, raggiungiamo Federation Square. La piazza pedonale, sistemata da pochi anni, è circondata da edifici, sedi di musei e altre istituzioni, dalle curiose architetture moderne. Rappresenta il tentativo di dare alla città un punto centrale d’incontro, altrimenti assente. Ormai abbiamo raggiunto lo Yarra River che attraversa Melbourne con le sue acque grigie. Rinunciamo a passare sull’altra sponda e optiamo invece per un giro con il simpatico tram gratuito per i turisti. Da Federation Square ci spostiamo in bus a St. Kilda, il più famoso tra i sobborghi sul mare. Passeggiamo sul lungo molo godendo una bella vista dei grattacieli della city in lontananza. I gabbiani improvvisamente sembrano impazzire: fanno un gran chiasso volando tutti insieme. Uno di loro è rimasto impigliato nel filo della canna di un pescatore e gli intelligenti uccelli hanno colto la situazione. Finalmente il pescatore riesce a dipanare l’intreccio; il gabbiano riprende a volare libero mentre i suoi compagni si allontanano tranquillizzati. Proseguiamo la passeggiata lungo la spiaggia; il cielo coperto e le poche persone in giro ricordano l’atmosfera dei nostri luoghi di villeggiatura balneare durante la stagione invernale. Anche il luna park, secondo per anzianità solo a quello di Coney Island a New York, ha chiuso i battenti. Finalmente raggiungiamo Acland Street, animata da molti locali. Stefania ne approfitta per liberare spazio su una delle memory card della sua macchinetta digitale facendo riversare il contenuto su CD. Dopo una buona cena spagnola al Veludo, vorrei approfittare delle numerose pasticcerie ma l’autista di un bus di passaggio ci avverte che si tratta dell’ultima corsa e quindi saliamo al volo tornando nella city. Piove a dirotto ma le tettoie dei negozi consentono di camminare senza bagnarsi. In una pasticceria cinese recupero, parzialmente, il dolce mancato a St. Kilda. Venerdì 27 agosto: Melbourne – Brisbane – Hervey Bay Lasciato finalmente l’indecente Victoria Hall, raggiungiamo l’aeroporto dove ci aspetta il volo per Brisbane. L’ultimo stato del viaggio, il Queensland, ci accoglie con una splendida giornata di sole. Alla Hertz ci assegnano un’auto della categoria superiore: concludiamo in bellezza con un’enorme Nissan Pulsar. Raggiunta la città, lasciamo la macchina in un parcheggio a poche decine di metri dalla centralissima King George Square. La piazza pedonale è dominata su un lato dalla mole della City Hall mentre sull’altro colpiscono alcune sculture astratte in bronzo dell’italiano Pomodoro. Nel prato si aggirano buffi e voraci uccellacci dal lungo becco adunco; uno di loro strappa ad una ragazza la busta con i resti del pranzo. Ormai abbiamo capito che tutte le città australiane hanno una struttura simile: passeggiamo per il solito affollatissimo mall, la via pedonale dello shopping, piegando poi verso sud e, superati alcuni edifici “storici”, raggiungiamo gli onnipresenti Botanic Gardens. I giardini sono molto curati, pieni di gente sdraiata sull’erba, dominati sullo sfondo dai grattacieli della city. L’università sorge in pratica al loro interno, in mezzo al verde, ed in giro si vedono molti studenti. Il ponte pedonale dedicato a Captain Cook ci consente di passare sull’altra sponda del Brisbane River. Questa area, sede in passato di un’expò universale, è interamente occupata da un parco. Oltre a vari edifici funzionali non mancano le strutture destinate ad allietare la vita di tutti i giorni, compresa una bella piscina all’aperto. Le città australiane sono estremamente vivibili e Brisbane lo appare particolarmente. Guardando la gente in costume m’immagino che pochi minuti prima era in ufficio mentre ora si gode una pausa pranzo al sole. Affacciandoci sul fiume notiamo il City Cat, il popolare traghetto utilizzato come mezzo di trasporto. Le sorprese non sono finite: mentre ammiriamo un tempio nepalese regalato alla città da quella nazione, la nostra attenzione è attratta da un gigantesco lucertolone, una specie di drago in miniatura, che si aggira nei paraggi. Il Victoria Bridge ci riporta nuovamente nella city dove completiamo il nostro giro gettando un’occhiata ad un paio di chiese sovrastate da grattacieli. Questa sera dobbiamo raggiungere Hervey Bay, un paio di centinaia di chilometri a nord. Non possiamo rinunciare però ai koala del Lone Pine Sanctuary, alla periferia della città. In genere non ho molta simpatia per queste istituzioni, che mi mettono una certa tristezza perché gli animali vorrei vederli in libertà nel loro ambiente naturale. Bisogna però riconoscere che l’occasione offerta per ammirare gli sfuggenti koala è veramente ghiotta. Il parco ne ospita un gran numero; se ne stanno in bella mostra sui loro alberelli con un’espressione beata che mi fa sentire meno colpevole (in fin dei conti, mi giustifico, gli basta il loro albero e non corrono il pericolo di finire sotto una macchina !!). Una mamma avvolge il cuccioletto in una posa tenerissima, altri ci guardano con un’espressione assonnata (dormono venti ore al giorno). Un grugnito tremendo lacera l’aria; si tratta di un maschio ed è curioso scoprire che un animale così dolce sia in grado di emettere un verso così “volgare”. L’altra attrazione del parco non possono che essere i canguri: un vasto prato ne ospita un gran numero. Si può entrare nel recinto per dare loro da mangiare e persino accarezzarli, con gran soddisfazione di Stefania. Gli unici più “burberi” sono i grossi canguri dal pelo rosso: sono tenuti in un recinto a parte e non possono essere avvicinati. Il parco presenta poi molti altri animali, tipici dell’incredibile fauna australiana: l’emù (la versione locale dello struzzo), il varano (un gigantesco lucertolone), il diavolo della Tasmania (una specie di grosso criceto), il wombat (un curioso grosso marsupiale) ed il buffissimo cassowary (il secondo uccello per dimensioni del mondo, una sorta di variopinto tacchino gigante). Ormai si sono fatte le cinque del pomeriggio, orario di chiusura, e non ci resta che concludere la visita ed iniziare la marcia verso Hervey Bay. Dobbiamo attraversare l’estesa periferia della città ed il traffico è molto intenso, tanto che impieghiamo più di un’ora per venirne fuori. Proseguiamo poi verso nord lungo la Bruce Highway, finalmente sgombera di macchine come ormai ci hanno abituato le strade nelle settimane passate. Alle nove e mezzo giungiamo a destinazione; l’ostello prenotato dall’Italia, l’ottimo Fraser Roving, si trova sulla Esplanade, il lungomare di Hervey Bay. Il tizio alla reception rimane colpito dalla nostra puntualità: alcune ore prima avevo telefonato annunciando il nostro arrivo per le nove e mezzo, tirando un po’ ad indovinare. Finalmente abbiamo una camera con un bagno tutto per noi. Ceniamo al Simply Wok, ottimamente referenziato dalla Lonely Planet. L’insalata invece è lavata male ed è piena di moscerini !! Sabato 28 agosto: Hervey Bay – Fraser Island – Hervey Bay Giornata dedicata a Fraser Island, l’isola di sabbia più grande del mondo. Per la sua esplorazione sono necessarie vetture a quattro ruote motrici; tramite internet, abbiamo prenotato un tour giornaliero con la Fraser Venture, scelto perché ci sembrava il più completo anche se abbastanza “di massa”. Un pullman ci viene a prendere direttamente all’ostello, accompagnandoci alla Marina per il saldo della gita. L’imbarco invece è a Mary River Heads ad alcuni chilometri da Hervey Bay. Sul battello della compagnia trovano posto, oltre i partecipanti alla gita, anche diverse jeep di chi si avventura sull’isola per conto proprio. La navigazione dura una mezz’oretta; ad attenderci troviamo due grossi pullman a trazione integrale, opportunamente rinforzati per la marcia sulla sabbia. Dalle parole del nostro autista e guida s’intuisce subito che ci aspetta un programma molto intenso, calcolato al minuto. Sull’isola non esistono strade asfaltate ma solo piste in sabbia e mentre procediamo lentamente dietro alcune jeep, l’autista comincia a smadonnare perché il ritardo rischia di fargli saltare la tabella di marcia !! In compenso è molto prodigo di spiegazioni ed aneddoti, cercando in tutti i modi di vivacizzare l’atmosfera durante gli spostamenti. Si procede sobbalzando sulla sabbia ma per fortuna ogni sedile è dotato di cintura di sicurezza. La pista attraversa trasversalmente tutta l’isola, passando in mezzo ad una fitta vegetazione, ma purtroppo dal bus non si riesce a vedere molto. Alla fine sbuchiamo sulla costa opposta, in corrispondenza dell’Eurogong Beach Resort. Dopo una sosta per le funzioni fisiologiche, ripartiamo raggiungendo la bianca spiaggia orientale che si estende per 70 miglia fino ad Indian Head. Lo spettacolo è unico: jeep e pullman procedono spediti sulla sabbia compatta e tutto sommato si tratta della “strada” più affollata che abbiamo incrociato in Australia !! L’organizzazione è scientifica: un piccolo aereo è a disposizione di chi vuole fare un breve volo, naturalmente a pagamento. Percorriamo un bel tratto facendo la prima sosta alle Cathedrals, belle formazioni rocciose (si tratta di sabbia solidificata) dalle molteplici colorazioni. La spiaggia proseguirebbe per molti altri chilometri fino alla punta di Indian Head, oltre la quale si trova un parco, ma noi prendiamo la strada del ritorno. La seconda sosta è al relitto del Maheno che giace ormai arrugginito sulla spiaggia, colpito dalle onde. Nuova ripartenza ed ultima fermata della mattinata ad Eli Creek. Questa volta, invece dei soliti cinque minuti, abbiamo a disposizione un intero quarto d’ora !! Un percorso attrezzato su passerelle corre a fianco del ruscello, consentendo di apprezzare il suggestivo paesaggio con l’acqua dolce che scorre sulla sabbia in mezzo alla vegetazione. Qualcuno del gruppo tarda alcuni minuti e viene prontamente richiamato dagli urlacci della nostra guida. Verso l’una siamo di nuovo all’Eurogong Beach Resort per il pranzo a buffet. Con Stefania ci sbrighiamo per tornare sulla spiaggia e goderci nuovamente il suo incredibile spettacolo. Dopo pranzo ripartiamo attraversando di nuovo l’isola fino a Central Station. Una breve passeggiata attrezzata lungo il Wanggoolba Creek ci porta in mezzo alla rainforest. La nostra guida ci spiega che le numerose piante dall’aspetto di insalate giganti, che sorgono sui tronchi degli alberi, non sono in realtà dei parassiti. L’ultima visita della giornata è al lago Birrabeen, uno dei numerosi specchi d’acqua dolce dell’isola. Il colpo d’occhio è splendido e, visto che siamo stati “bravi”, ci viene concesso il tempo per un bagno, precluso in mare dalla presenza degli squali. In acqua mi cospargo il corpo con la sabbia fangosa del fondale che rende la mia pelle liscissima. La gita volge al termine e, raggiunto nuovamente il molo, c’imbarchiamo per la traversata di ritorno. Arriviamo in ostello subito dopo il tramonto, appena in tempo per una puntata sulla spiaggia di fronte con il cielo ancora rosseggiante. Terminiamo la giornata con una buona cena al Pepper’s Bistrò, un affollato locale lungo l’Esplanade. Domenica 29 agosto: Hervey Bay – crociera balene – Hervey Bay – Mackay Hervey Bay è la capitale australiana del whale watching e siamo proprio nella stagione giusta per gli avvistamenti. Le humpback whale (balene con la gobba) trascorrono l’estate nelle acque antartiche, per poi migrare l’inverno verso climi più caldi, risalendo la costa orientale dell’Australia dove danno alla luce i cuccioli. Le acque davanti a Fraser Island rappresentano una sosta obbligata nel loro tragitto. Tramite internet abbiamo prenotato una crociera di quattro ore con la Whalesong. Mentre aspettiamo il courtesy bus davanti all’ostello, scambiamo quattro chiacchiere con una signora belga in compagnia della figlioletta. E’ un’insegnante ma si è presa un anno di aspettativa per viaggiare!! Anche oggi il bus ci porta alla Marina, dalla quale salpiamo. Navighiamo da circa un’ora quando improvvisamente compaiono due balene, mamma e cucciolo (peraltro cresciutello). La barca si ferma e, per nulla spaventate dalla nostra presenza, le balene si avvicinano sempre di più iniziando a girarci intorno. Sembra proprio che vogliano giocare e si divertano a salutarci tirando fuori il muso dall’acqua. Sono proprio buffe, tutte coperte da grossi bozzi come se avessero le bolle !! Ogni tanto si rilassano appena sott’acqua facendo il morto a galla a pancia in su, con le gigantesche pinne spalancate. Mai avrei pensato di vedere delle balene così da vicino !! Con un certo dispiacere ripartiamo per raggiungere la parte nord di Fraser Island, la zona dove gli avvistamenti dovrebbero essere più frequenti. Non riusciremo invece a ripetere l’esperienza precedente e dovremo accontentarci solo di visioni da lontano. Il capitano appena avvista una balena spegne i motori ma questa volta i cetacei sono molto più sfuggenti: spesso s’inabissano scomparendo alla nostra vista. Nei paraggi ci sono altre barche ed una fortunatissima può assistere da vicino alle esibizioni di una balena che compie dei salti giganteschi fuori dell’acqua. Esaurito il tempo a disposizione, torniamo indietro; costeggiamo Fraser Island godendoci lo spettacolo dell’isola in una splendida giornata di sole. Tornati in ostello e recuperati i bagagli, lasciamo Hervey Bay dopo un buon fish&chips, puntando decisamente verso nord. La Bruce Highway corre nell’interno in mezzo a paesaggi abbastanza monotoni. Al tramonto raggiungiamo Rockhampton, situata in corrispondenza del tropico del Capricorno, ma decidiamo di proseguire fino a Mackay in modo da guadagnare tempo per domani. Questo tratto della highway è ancora più spopolato e in giro si vedono soltanto i camion. Poco prima delle dieci, giungiamo a destinazione a Mackay. Ci sistemiamo in un caravan park, il Beach Tourist Park. Lunedì 30 agosto: Mackay – Eungella NP – Cape Hillsborough NP – Airlie Beach Il tempo è decisamente cambiato rispetto ai giorni scorsi: dopo la pioggia della notte il cielo è ancora coperto e non promette niente di buono. Il caravan park è affollato per lo più da anziani australiani, probabilmente pensionati in vacanza al mare. Il campeggio confina, infatti, con la spiaggia ma a causa della bassa marea il mare appare lontano, separato da un’ampia distesa di terra e sabbia, coperta qua e là da un velo d’acqua. Uno spettacolo veramente curioso che ci ricorda l’intensità delle maree da queste parti. Oggi ci aspettano un paio di parchi e poi il trasferimento fino ad Airlie Beach. Attraversata nuovamente Mackay, proseguiamo verso l’interno lungo la Pioneer Valley. Immense piantagioni di canna da zucchero si estendono in ogni direzione; un trenino corre tra i campi per trasportare il raccolto mentre spettrali zuccherifici appestano i paesi. Lasciata la valle, una strada piena di tornanti conduce all’Eungella National Park, che protegge una fitta rainforest cresciuta intorno al Broken River, grazie al clima molto piovoso della regione. Al visitor centre raccogliamo un po’ di materiale sulle numerose passeggiate. La vera attrazione è costituita dalla possibilità di avvistare lo sfuggente platypus e quindi, dopo che averlo mancato a Kangaroo Island, ci appostiamo subito su una piattaforma di legno affacciata sul fiume. Come tutti gli animali è attivo soprattutto all’alba e al tramonto ma questa volta siamo fortunati e riusciamo ugualmente a vederlo. Per individuarlo bisogna fare attenzione alle bollicine che spuntano sull’acqua: dopo una breve attesa ecco comparirne uno che sguazza nelle acque sotto di noi, venendo periodicamente a galla per respirare. E’ proprio buffo con quel muso da papera su un corpo da castoro !! La quiete del posto finisce per contagiarci e ce ne stiamo a lungo incantanti ad ammirare le evoluzioni del nostro platypus e di un suo “amichetto” che compare dopo un po’. Le passeggiate del parco si sviluppano intorno al Broken River. Dall’area del campeggio parte la “rainforest discovery walk”, un percorso circolare che attraversa la foresta, con una serie di cartelli illustrativi sulle varie piante. Arrivati ad un’estremità dell’anello, allunghiamo un po’ il percorso raggiungendo il fiume al Granite Bend, una serie di rapide in un bel paesaggio roccioso, e proseguendo verso le Crystal Cascade, che non riusciamo però ad individuare, forse a causa della stagione secca. Tornati al visitor centre Stefania acquista un ottimo pie di formaggio e verdure, preparato da due simpatiche vecchiette. Ripresa la macchina, raggiungiamo un’altra passeggiata, la brevissima Sky Window, con un lookout dal quale si gode il panorama sulla Pioneer Valley. Sulla strada del ritorno, una fermata al Pinnacle Hotel, ci consente di gustare un altro pie, questa volta di carne; le sue dimensioni gigantesche confermano quanto segnalato dalla Lonely Planet. Il secondo parco della giornata è il Cape Hillsborough NP, sulla costa a nord di Mackay. Per raggiungerlo evitiamo di ripassare in città, tagliando per una strada secondaria. Il parco si sviluppa lungo un promontorio, collegato alla terraferma da uno stretto passaggio. Un percorso attrezzato su passerelle ci porta in mezzo ad una distesa di mangrovie. Scopriamo che questo nome indica in realtà una notevole varietà di piante adattate agli ambienti con acque poco profonde, rimanendo colpiti dal loro fitto intreccio, con le curiose radici che si sviluppano all’aperto. Raggiunto il promontorio, la strada termina davanti al resort. Nella distesa erbosa in mezzo allo spiazzo un canguro bruca tranquillamente; deve trattarsi del “canguro di casa” poiché quando cerca di infilarsi dentro il resort una signora lo allontana chiamandolo per nome !! Il tempo è notevolmente peggiorato ed è un vero peccato non potere ammirare alla luce del sole la splendida spiaggia che si estende su un lato del promontorio. La bassa marea ne accresce ancora le dimensioni; passeggiando osserviamo strani “disegni” sulla sabbia, sorta di stelle convergenti verso un forellino. Si tratta delle scie lasciate dai vermi che si sono rifugiati sotto la sabbia nell’attesa del ritorno dell’acqua. La baia è proprio bella, chiusa alla sua estremità da un isolotto collegato alla terraferma da una striscia di terra ora che c’è la bassa marea. Un sentiero s’inerpica sulle colline, fino alla punta estrema del promontorio ma Stefania preferisce godersi ancora la spiaggia e le sue curiose rocce. La vista dai vari lookout è molto bella; dalla punta lo sguardo spazia sulla costa verso Mackay, avvolta tra le nuvole. Ormai è venuto il momento di lasciare il parco: ci aspetta un tratto in macchina fino ad Airlie Beach. Arrivati a destinazione ci fermiamo a Cannonvale per fare la spesa, in vista del soggiorno alle Withsundays di domani. Il nostro centralissimo ostello, l’Airlie Waterfront Backpackers, è situato proprio sull’Esplanade. Terminiamo la giornata con una cena buona e veloce al Mykonos Cafè, una tavola calda che offre cucina greca. Martedì 31 agosto: Airlie Beach – Isole Whitsundays Le isole Whitsundays sono considerate una delle meraviglie naturalistiche dell’Australia. La soluzione migliore per visitarle sarebbe quella di veleggiare nell’arcipelago ma i prezzi sono proibitivi ed il nostro tempo a disposizione insufficiente. Molti visitatori si affidano ai costosi resort che personalmente non mi attraggono oppure a gite giornaliere da Airlie Beach. La nostra scelta è caduta invece su una soluzione più “naturalistica”: le isole fanno parte di un parco che gestisce una serie di spartani campeggi a bassissimo costo. Abbiamo quindi prenotato una notte a Whitehaven Beach (otto dollari la spesa !!) ma, per fare anche un minimo di giro dell’arcipelago, ci siamo accordati con una compagnia che organizza tour giornalieri, l’Ocean Rafting: spezzeremo il tour in due giorni (e quindi paghiamo ben 125 dollari a testa) facendoci lasciare al campeggio per la notte intermedia. Tutto sarebbe perfetto se non fosse per il tempo che decide di metterci lo zampino !! Al mattino la giornata si presenta veramente infame, piove a dirotto e le nuvole basse riducono notevolmente la visibilità. Raggiunto il molo d’imbarco con il pulmino dell’operatore, saldiamo il dovuto e, vista la giornata, decidiamo di affittare le mute. L’Ocean Rafting utilizza un’imbarcazione particolare: si tratta di una specie di gommone gigante, vistosamente giallo. Si rivolge ad un pubblico più giovanile ed il suo motto è “a lot of fun” ma forse sarebbe più adeguato “a lot of bump” !! Il gommone offre, infatti, l’indubbio vantaggio di arrivare direttamente sulle spiagge ma la velocità sostenuta necessaria per completare il lungo giro sottopone i passeggeri a molti sobbalzi. Il nostro “anfitrione” è un tipo biondo che risponde perfettamente agli stereotipi dell’australiano: è simpatico anche se un po’ furbacchione, fa un gran chiasso e gli piace atteggiarsi ad uomo rude (farà il trekking scalzo, all’aborigena !!). Il giro previsto viene modificato, ufficialmente per le cattive condizioni meteorologiche, eliminando la puntata ad Hook Island per visitare una grotta con pitture aborigene (perdita non grave visto che ne abbiamo già fatto una scorpacciata al Kakadu !!). Per proteggerci dagli schizzi ci forniscono degli impermeabili (naturalmente gialli). La traversata non è per nulla piacevole per i salti del gommone, la pioggia e la scarsa visibilità che ci nasconde in pratica le isole. La prima tappa è in una caletta di Border Island per una sessione di snorkelling. Indossiamo le mute e ci gettiamo in acqua ma la giornata non è certo adatta e il fondale deludente. Il tempo migliora un po’, smette di piovere, e ci spostiamo verso Whitsunday Island, la principale dell’arcipelago, raggiungendo Tongue Bay. Sbarcati a terra un breve trekking ci porta ad un lookout su una collina dal quale si ammira uno spettacolo magnifico: si scorge Hill Inlet una profonda insenatura dove l’acqua forma incredibili striature colorate. Sembra di essere di fronte ad una tavolozza con tutte le tonalità dal bianco, al celeste, all’azzurro. Il rammarico per l’assenza del sole è veramente grande, confermato dalle cartoline che vedremo ad Airlie Beach !! Oltre Hill Inlet si vede la striscia bianca di Whithaven Beach che si allunga in mezzo all’acqua fino all’insenatura. Nonostante l’altezza, sotto di noi avvistiamo delle meduse gigantesche. La loro “stagione” va da novembre a febbraio, periodo nel quale è impossibile bagnarsi visto che alcune specie sono persino letali (si tratta delle più piccole con tentacoli lunghi fino ad un metro). Quanto vediamo ci conferma però che le meduse sono presenti tutto l’anno, anche se ci rassicurano che queste sono grosse e quindi innocue !! Risaliti in barca, proseguiamo per l’ultima tappa fissata proprio nei pressi del nostro campeggio, all’estremità meridionale di Whitehaven Beach. Sbarcati i bagagli, consumiamo il pranzo a buffet che avevamo prenotato. Il campeggio consiste in una piccola area recintata nella fitta boscaglia che si estende subito dietro la spiaggia, con un paio di tavoli di legno ma senza alcuna protezione dalla pioggia. Unica “struttura” a disposizione è la casetta dei bagni ad un centinaio di metri. Un’altra tenda è già montata ma i suoi occupanti non si vedono in giro (in compenso i resti del loro pranzo giacciono sul tavolo a disposizione degli animali !!). Il gommone dell’Ocean Rafting riparte, lasciandoci un po’ preoccupati per la pioggia che continua insistente. Per il clima incerto inoltre non ci possono garantire l’ora in cui verranno a riprenderci domani (saranno di ritorno tra le undici e le quindici).
Whitehaven Beach è considerata la spiaggia più bella del mondo; si estende per sei chilometri con una sabbia bianchissima, fatta di granelli di quarzo puri al 99,9%. Nonostante la pioggia, il posto è incantevole e ci dedichiamo ad una passeggiata lungo la spiaggia. I turisti per raggiungerla usano tutti i possibili mezzi: una coppia si è fatta portare in elicottero e brinda con i calici, comitive di giapponesi arrivano con gli alianti; di fronte si trovano ancorati alcuni velieri ed i passeggeri sbarcano a terra in gommone. Con l’avanzare del pomeriggio, la spiaggia pian piano si spopola e alla fine rimaniamo solo noi a goderci lo spettacolo. Ormai è giunto il momento di montare la tenda. Poco dopo compaiono anche i nostri vicini: sono tre ragazzi slovacchi che, senza farsi molti problemi per il freddo e la pioggia, girano direttamente in costume (alla nostra faccia che ce ne stiamo imbacuccati nei k-way !!). Verso le sei sfruttiamo gli ultimi scampoli di luce per cenare con le provviste che ci siamo portati. Per evitare intrusioni d’animali, specialmente dei voraci corvi, chiudiamo la spazzatura in una busta e la collochiamo tra i rami di un albero. Ormai non ci resta che ritirarci nell’unico posto asciutto, la tenda, e metterci a dormire. Dopo il tramonto, in poco tempo diventa buio pesto. Verso le dieci mi sveglio e questa volta c’è una bella luce poiché è sorta la luna. Decido quindi di fare una puntata in spiaggia: rispetto al pomeriggio è dimezzata dall’alta marea ed ora capisco perché in tenda il mare mi sembrava così vicino. Mercoledì 1 settembre: Isole Whitsundays – Airlie Beach – Townsville Alle quattro del mattino siamo svegliati dalla pioggia che riprende intensa ma la nostra tenda regge perfettamente l’urto, rimanendo asciutta internamente (anche perché l’abbiamo sistemata sotto un albero). Ci alziamo svogliatamente appena fa giorno e per colazione ci affidiamo all’unica tettoia disponibile, quella che, ad un centinaio di metri dal campeggio, ripara alcuni cartelli con le spiegazioni per i turisti. Ci troviamo all’estremità di Whitehaven Beach opposta rispetto all’Hill Inlet. Nonostante la pioggia decidiamo di intraprendere il lungo percorso di sei chilometri; del resto non possiamo aspettare più di tanto un’eventuale schiarita, visto che alle undici potrebbero venirci a riprendere. Camminiamo con passo spedito lungo la spiaggia completamente deserta, in un clima grigio addirittura peggiore rispetto al giorno prima. Dopo poco più di un’ora raggiungiamo Hill Inlet, percorrendo la striscia di sabbia in mezzo all’acqua che ieri abbiamo ammirato dall’alto. Lo spettacolo non ha niente a che vedere con quello già visto: le tonalità azzurre, celesti e bianche sono sostituite da quelle marroni e grigie. Alcune imbarcazioni sono ancorate nei pressi e forse sono responsabili della schiuma che si vede in acqua. Il posto è veramente selvaggio e mi rendo conto che la natura è anche questo, non solo quella patinata delle cartoline. Stefania è intirizzita e quindi ci affrettiamo a tornare indietro. Nella sabbia si notano le impronte di gigantesche meduse, bloccate sulla spiaggia dalla bassa marea. Mentre siamo sulla via del ritorno, smette di piovere e senza preavviso il tempo comincia a migliorare: diventa tutto più chiaro e al largo compaiono altre isole, prima completamente oscurate dalle nuvole. La spiaggia comincia ad animarsi e non siamo più soli; un catamarano spara la musica degli U2 a tutto volume, disturbando l’incanto del posto. Raggiunto il campeggio, finalmente ci rilassiamo sulla spiaggia godendoci, se non il sole, almeno il chiarore e l’assenza della pioggia. Ne approfitto anche per fare un po’ di snorkelling sulle scogliere che chiudono l’estremità meridionale della spiaggia. Dopo un po’ arriva la barca della Camping Connection, la compagnia che organizza i trasferimenti ai campeggi: devono recuperare i nostri vicini slovacchi. Il proprietario s’informa con chi abbiamo viaggiato e quanto abbiamo speso. Il gommone dell’Ocean Rafting compare verso l’una con il biondo che ci saluta chiassosamente. I passeggeri scendono in spiaggia e in qualche momento spunta anche uno sprazzo di sole. I cacatua fanno un gran chiasso sugli alberi mentre un’aquila volteggia alta. Il biondo ne approfitta per un’esibizione: prende un sasso e lo tiene alto attirando l’attenzione del rapace, per poi lanciarlo in aria. Subito l’aquila si precipita per afferrare la teorica preda ma resterà con un palmo di naso. Verso le tre lasciamo Whitehaven Beach dirigendoci verso sud per completare il giro interrotto ieri. Questa volta mi siedo davanti, godendomi le isole verdissime che attraversiamo. La navigazione è molto più tranquilla del giorno prima, anche se i sobbalzi rendono difficile scattare foto. Tornati ad Airlie Beach, guadagniamo tempo partendo in macchina verso nord e percorrendo circa trecento chilometri fino a Townsville. Questa volta non abbiamo il pernottamento prenotato ma al primo colpo ci sistemiamo nella Civic Guest House, una simpatica pensione a pochi isolati dal centro. Una breve passeggiata ci porta, prima al mall pedonale ormai deserto, poi in Flinders Street East dove ceniamo in un noodle bar. Giovedì 2 settembre: Townsville – Magnetic Island – Townsville – Cairns Il programma originario della giornata prevedeva la visita delle Atherton Tablelands, la ricca foresta pluviale nei pressi di Cairns ma, dopo tante rainforest e l’amarezza per il maltempo delle Whitsundays, decidiamo di goderci un’altra giornata di mare, questa volta con uno splendido sole. Di fronte a Townsville sorge Magnetic Island, raggiungibile con mezzora di traghetto. Le varie località dell’isola sono collegate da un efficiente bus e pertanto lasciamo la macchina nel parcheggio davanti al molo d’imbarco. A Nelly Bay ci accoglie un cartello espressivo della mutevolezza del clima tropicale: la scala arriva fino all’uragano ma oggi per fortuna la freccia è ferma sul bel tempo. Sull’isola si possono compiere diverse passeggiate: scegliamo quelle che ci sembrano più attraenti, iniziando da The Forts. Scesi dal bus, affrontiamo il trail che conduce sulla cima di una collina. Durante la seconda guerra mondiale, quando il pericolo di un’invasione giapponese incombeva sull’Australia, l’area fu fortificata con tutta una serie di costruzioni in cemento. I resti oggi giacciono abbandonati e semidistrutti in mezzo alla vegetazione. La sede del comando militare in cima alla collina non è mai servita per segnalare l’avvicinarsi del nemico ma in compenso oggi costituisce un ottimo punto panoramico dal quale ammirare alcune tra le numerose baie dell’isola. Sulla strada del ritorno, come se non bastassero i cartelli “intimidatori”, due giovani australiani ci segnalano la presenza di un death adder, serpente dal veleno mortale. Procediamo guardinghi scrutando il terreno ma non scorgiamo nulla. Nemmeno i koala, la cui presenza è segnalata abbondante sulla collina, si fanno vedere; d’altra parte non è l’ora giusta e quei pigroni se ne staranno dormendo all’ombra, in mezzo alle frasche dei loro amati eucalipti !! Ripreso il bus, scendiamo al capolinea, Horseshoe Bay, la baia più ampia dell’isola con una lunga spiaggia. Un cartello ricorda il pericolo delle meduse; da novembre a febbraio il bagno è vietato, eccetto che nell’area protetta da una rete, ma il pericolo esiste tutto l’anno, tanto che una bottiglietta d’aceto viene tenuta a disposizione dei malcapitati. Da Horseshoe Bay parte il sentiero che conduce a due calette tra le più belle dell’isola, Balding Bay e Radical Bay, altrimenti accessibili solo via mare. Il percorso è abbastanza impegnativo: procediamo in salita su un percorso pieno di sassi e il caldo si fa sentire. La prima “picchiata” in discesa ci porta a Balding Bay. Il posto è molto bello, con una spiaggia chiusa tutto intorno da rocce. Ci sbrachiamo un po’ al sole, rinfrescandoci con un bagno. La spiaggia è frequentata da alcuni nudisti che si tengono discretamente dietro le rocce, eccetto che per fare il bagno. Una nuova salita e picchiata, ci portano a Radical Bay più ampia della precedente ma ugualmente piacevole. Sulla strada del ritorno ammiro nuovamente le rocce che movimentano il paesaggio: una enorme è in bilico su un’altra come se un gigante la avesse volutamente poggiata in quella posizione !! Una nuova corsa in bus ci porta ad Arcadia, il paesino (o meglio il gruppo di case) prima di Nelly Bay. Un promontorio separa le sue due baie, Alma Bay e Geoffry Bay. Nella seconda la bassa marea ha fatto indietreggiare notevolmente il mare: mi diverto quindi a camminare sul fondale marino sabbioso, trasformato ora in una serie di basse pozze. Tornati a Nelly Bay, salpiamo nuovamente per Townsville. L’unico rammarico rimane di non essere riusciti a vedere il reef che pure è segnalato in alcune baie dove siamo stati. Questa sera ci aspetta di nuovo un lungo tratto in macchina per raggiungere Cairns. Recuperato alla guesthouse il deposito della chiave (la mattina la reception era chiusa), riprendiamo la marcia verso nord lungo la Bruce Highway. Alle dieci siamo a Cairns, dove ci aspetta la camera prenotata tramite internet al Caravella Backpackers. Sono le nostre ultime due notti in Australia e ci trattiamo meglio: abbiamo un bagno privato e persino un “salottino” con tavolo e divano. In compenso la cena è la solita, a base delle ultime scatolette rimaste. Venerdì 3 settembre: Cairns – crociera alla barriera corallina – Cairns Al largo della costa del Queensland corre per migliaia di chilometri una barriera corallina, giustamente considerata una delle meraviglie del mondo, e Cairns offre un’ampia gamma di soluzioni per visitarla. La nostra scelta è caduta su un piccolo operatore che, oltre a consentirci un notevole risparmio economico, utilizza una barca di dimensioni contenute e quindi organizza gruppi meno numerosi. La Noah’s Ark Cruises non è certo una barca di lusso ma assolve in modo pienamente soddisfacente alla sua funzione. In tutto siamo una trentina di persone, tutti giovani, e quattro simpatici membri d’equipaggio: oltre al solito tipo biondo (il boss) e al pilota (che cede volentieri il timone alle passeggere), ci sono due ragazze (una bruna ed una giapponese veramente bassina ma piena di verve). Dopo un paio d’ore di navigazione abbastanza noiosa, raggiungiamo finalmente la barriera. Come alle Whitsundays anche oggi il tempo ci gioca un brutto tiro: il cielo è coperto proprio quando avremmo gradito il sole per esaltare i colori di pesci e coralli. Vista la situazione meteorologica, decidiamo di prendere le mute, che questa volta però non sono né integrali né nuove di zecca (la mia presenta due tagli sotto le ascelle). Le maschere invece sono perfette.
La barca si è ancorata proprio ai limiti della barriera; per primi si buttano i divers divisi in due gruppi (principianti ed esperti) poi tocca a noi che facciamo snorkelling. Subito la barriera ci si dischiude in tutta la sua bellezza, peccato soltanto per i colori resi meno accesi per colpa delle nuvole. I pesci sono numerosi e sembra di essere entrati nel mondo di Nemo. Tra le tante emozioni mi colpiscono le gigantesche conchiglie: respirano aprendo e chiudendo il loro grosso orifizio !! Nonostante la muta il freddo si fa sentire, e dopo un’oretta, esaurite le risorse, risaliamo a bordo. La barca riparte mentre i passeggeri tremanti si rifocillano con un pranzo a buffet (divoro letteralmente il cibo !!). Un’altra ora di navigazione, indietro verso la costa, ci porta a Michaelmas Cay. E’ veramente curioso trovare in mezzo al mare un isolotto di sabbia così piccolo, popolato da una chiassosa colonia di gabbiani. La giapponesina si getta in acqua per ancorare la barca ad una boa, mentre il biondo ci raccomanda di non sbarcare sul cay visto che è vietato e le multe sono salate. Non dobbiamo seguire l’esempio dei passeggeri del gigantesco catamarano ancorato nei pressi che se ne stanno bellamente sull’isolotto. Le grandi compagnie, ci dice il boss, se ne fregano del divieto e pagano ogni anno grosse cifre al governo del Queensland. Il biondo lancia in acqua dei pezzi di pane e subito la barca viene circondata da grossi pesci piatti con una striscia gialla sulla coda. Uno di loro afferrato per scherzo dal biondo si dibatte vivacemente. Indosso nuovamente la muta, allargando nell’operazione i tagli sotto le ascelle, e mi butto in acqua. Lo spettacolo è ancora più bello di prima: sono circondato dai pescioni ed il fondale più basso è ricchissimo di anemoni. La muta fa acqua dalle ascelle e così tengo le braccia vicine al corpo mentre pesci di tutti i colori girano nei pressi. Fedele alle istruzioni non salgo a riva ma mi avvicino soltanto dove tocco per riposarmi un po’. Dopo un’oretta anche questa volta la resistenza al freddo viene meno e risalgo in barca, attraversando di nuovo il branco di pescioni. Questa immagine è una delle ultime del viaggio e coincide con uno dei ricordi più belli. Due ore di navigazione ci portano nuovamente a Cairns. E’ la nostra ultima sera in Australia e ci trattiamo un po’ meglio, cenando all’affollato Rattle ‘n Hum. Le porzioni sono abbondanti ma la bistecca non è eccezionale. Come al solito tutto è organizzato in modo pratico: si ordina e si paga alla cassa dove viene consegnato un dispositivo che lampeggia quando il piatto è pronto. La cottura della bistecca è definita addirittura da una scala a cinque valori, peraltro non proprio rispettata da quanto mi sarà consegnato (la mia bistecca medium rare tende al medium !!). E’ venerdì sera ed i locali sull’Esplanade, il lungomare di Cairns, sono animatissimi. Nel tipico spirito delle città australiane davanti alla zona del wharf invece di una stupida ed inutile fontana monumentale, si trova una vasta piscina con tanto di spiaggia, a disposizione di tutti. In una traversa laterale ci attira un negozio di articoli aborigeni; ha una scelta veramente ampia di splendidi didgeridoo. Il ragazzo alla cassa è emiliano e si è trasferito da tre anni in Australia; si offre di farmi provare un didgeridoo spiegandomi che per suonarlo non bisogna soffiare ma fare una specie di pernacchia tenendo le labbra morbide. Effettivamente è proprio così: soffiando non esce nessun suono mentre la pernacchia sortisce l’effetto desiderato. Il negozio è pieno di cose interessanti ed alla fine acquisto un CD di musica aborigena e un dipinto su legno di un artista locale. Il prezzo è salato ma, dopo tanta economia, l’ultimo giorno bisogna pur concedersi qualche “soddisfazione” !! Sabato 4 / Domenica 5 settembre: Cairns – Sydney – Singapore – Francoforte – Roma Il nostro lungo viaggio di ritorno inizia con il volo per Sydney, fissato alle sette del mattino. Siamo quindi costretti ad una levataccia. Gli uffici della Hertz a quest’ora sono chiusi ma ci siamo già accordati per lasciare la chiave della macchina nell’apposita buca. Il volo è considerato internazionale a tutti gli effetti e pertanto ci viene timbrato il passaporto in uscita (una vera fregatura che c’impedirà di uscire dall’aeroporto di Sydney, nonostante le molte ore a disposizione). Superata la dogana, recupero il dieci per cento della “folle” spesa di ieri, facendomi restituire le tasse (la regola vale solo se si spendono almeno 300 dollari nello stesso negozio). L’attesa all’aeroporto di Sydney è lunga; la impieghiamo facendo altri acquisti e scrivendo le cartoline, seduti davanti ad una vetrata con lo skyline dei grattacieli della city che fa da sfondo agli aerei della Quantas. Stefania ne approfitta anche per gustarsi un’ultima volta gli amati noodles. Finalmente si parte alla volta di Singapore; dopo quattro ore sorvoliamo Darwin e lasciamo i cieli australiani. Tanto per allungare il viaggio abbiamo impiegato tre ore per tornare a Sydney e altre quattro per risalire fino a Darwin !! All’aeroporto di Singapore la sosta questa volta è breve e facciamo appena in tempo a scendere e risalire in aereo. Il lungo volo di dodici ore fino a Francoforte risulta più pesante che all’andata, specie per Stefania che si lamenta per i gonfiori alle gambe. Finalmente siamo in Europa e rivediamo la luce dopo tante ore notturne. Un ultimo volo di un paio d’orette e siamo di nuovo a casa, a Roma.