Un branco di sei “smidollati” in Namibia

Prima del racconto, ecco alcuni consigli utili: • Adattatori namibiani: da comprare in loco (noi li abbiamo avuti con un welcome pack dalla nostra agenzia) • Euro: da cambiare subito in aeroporto in dollari namibiani • Acqua: è sicura e potabile in tutto il Paese • Profilassi antimalarica: non l’abbiamo fatta (anche perché è...
Scritto da: campesina
un branco di sei smidollati in namibia
Partenza il: 02/08/2009
Ritorno il: 15/08/2009
Viaggiatori: fino a 6
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Prima del racconto, ecco alcuni consigli utili: • Adattatori namibiani: da comprare in loco (noi li abbiamo avuti con un welcome pack dalla nostra agenzia) • Euro: da cambiare subito in aeroporto in dollari namibiani • Acqua: è sicura e potabile in tutto il Paese • Profilassi antimalarica: non l’abbiamo fatta (anche perché è inverno) • Vestiti: consigliato l’abbigliamento a “cipolla”, il mattino e la sera sono freschi (la giacca vento è servita più volte), di giorno si può anche stare in t-shirt • Mance: sono ben accette da facchini, camerieri e guide • La guida: è a sinistra e serve molta prudenza; anche se la strada (per lo più sterrata) sembra agevole, è facile perdere il controllo sia perché è a schiena d’asino (per cui conviene sempre viaggiare al centro e spostarsi a sinistra solo quando arriva un’auto dalla corsia opposta per evitare i sassi che si sollevino da terra), sia perché gli animali possono attraversare la strada. Fondamentali due ruote di scorta. • Cellulare: non prende ovunque ma nelle cittadine e nei lodge quasi sempre Questo branco di sei smidollati, ci piaceva chiamarci così, tenuti a bada da una fantastica guida, ha macinato in 12 giorni di tour ben 3.600 Km di viaggio su strade per lo più sterrate e sconnesse. Abbiamo attraversato paesaggi che ci hanno lasciato senza fiato; respirato l’aria con i suoi particolari odori e profumi; ascoltato i grandi silenzi e ammirato i molteplici colori. Questa la nostra grande avventura in una terra straordinaria… la Namibia. Si parte! 2 Agosto – Il viaggio aereo per arrivare a destinazione prevede più scali: Milano-Zurigo, Zurigo-Johannesburg, Johannesburg-Windhoek. Nonostante abbiamo iniziato a cercare i voli con grande margine, già a marzo quelli della compagnia di bandiera, l’Air Namibia, erano tutti prenotati per le date da noi scelte. Abbiamo quindi dovuto fare uno scalo aggiuntivo in Sudafrica. Una cosa positiva è che da Milano i bagagli vengono spediti direttamente a destinazione in modo che a Johannesburg non occorre fare nessun riconoscimento o un nuovo check-in. Comunque il viaggio con la Swiss per le prime due tratte è andato bene, ogni posto aveva i televisori singoli e le 10 ore di volo sono passate tra film e giochi.

3 Agosto – Il volo della South African Airways per Windhoek invece ha avuto un discreto ritardo (quasi un’ora su due effettive di volo) ma per fortuna tutto bene, visto che quando il pullmino ci ha lasciato davanti alla scaletta dell’aereo… c’era un omino con un bel manuale di istruzioni che lavorava su uno dei motori! L’aeroporto di Windhoek è contornato da una distesa piatta dal colore dorato; è molto piccolo ma funzionale. Ad aspettarci al controllo passaporti troviamo dei rigorosi funzionari con la mascherina per paura del contagio da influenza suina. Ritirati i bagagli avevamo, come tutti gli anni, il terrore di uscire e non trovare nessuno ad attenderci. Infatti abbiamo organizzato un viaggio con un tour operator locale (Goldwing Tourism, ottima organizzazione e tempi di viaggio perfetti) in quanto siamo convinti che oltre a risparmiare un po’ di soldini rispetto ai tour operator italiani, c’è anche una maggiore attenzione e flessibilità e soprattutto siamo riusciti ad avere un tour con guida e driver italiano (per goderci la vacanza al meglio) solo per 6 persone: io, mio marito con una coppia di amici ed un’altra coppia italiana tutta da scoprire. Per fortuna i nostri timori sono stati fugati dal cartello riportante il mio nome e una faccia sorridente pronta a darci il benvenuto. Una volta conosciuti anche gli altri due componenti del gruppo, siamo partiti alla volta della capitale namibiana per un veloce tour della città. Sosta in albergo (il Windhoek Country Club Resort) e poi pronti per la cena. Il primo contatto con il cibo namibiano è stato a dir poco entusiasmante (soprattutto per i miei compagni di viaggio che amano la carne). Il locale è assolutamente da provare, Joe’s Beer House (la prenotazione è fondamentale): spiedini di carne mista (kudu, springbok, zebra), filetto di orice, t-bone di manzo e da bere birra, il primo assaggio di vino Sudafricano, il mitico cocktail rock shandy e per finire… Amarula, che faranno da accompagnamento ai nostri pasti quotidiani. 4 agosto – Con la nostra Land Rover 4×4, con carrellino a seguire per i nostri bagagli, iniziamo il nostro viaggio. La giornata prevede il trasferimento verso Sersriem e il Namib Desert, uno dei più antichi deserti al mondo, attraversando l’Altopiano Centrale. La strada, prima asfaltata, diventa sterrata e incrociamo enormi macchinari che passano per spianarla e renderla più agevole. Essendoci stata una stagione delle piogge molto intensa come non succedeva da anni, il paesaggio non è completamente desertico ma si presenta con un rigoglioso manto erboso dorato dal sole in cui abbiamo potuto vedere i primi animali liberi: mucche, pecore, struzzi, springbok e orici. Per strada abbiamo avvistato anche alcuni babbuini ma molto spaventati dalla nostra presenza. La prima cosa che abbiamo notato poi è stata la varietà di paesaggio. Su un tragitto di parecchi chilometri (350!), il mondo circostante era in continuo cambiamento rendendo il viaggio per niente noioso ma ricco di sorprese per arrivare a quella più bella; arrivati in cima a una salita, abbiamo chiuso gli occhi come ci ha suggerito la nostra guida e… ci siamo trovati davanti all’immensa distesa del deserto del Namib. Abbiamo proseguito per Solitaire: rifornimento benzina e sosta per il pranzo al Solitaire Country Lodge dove abbiamo potuto gustare la famosa e deliziosa torta di mele del grande (in tutti i sensi) Moose McGregor! Da provare. Ben rifocillati, siamo ripartiti per Sossusvlei e durante il percorso ci siamo fermati per una sosta all’Hammerstein Lodge & Camp. Qui, abbiamo avuto la fortuna di conoscere degli ospiti molto ma molto speciali. L’interesse da parte nostra era tanto… ma tanta anche la paura: siamo entrati in recinti in cui c’erano rispettivamente: due linci del deserto (che si sono lasciate un po’ a desiderare visto che dormivano beate all’ombra di un grande albero); un leopardo, Lisa, che davanti alla nostra guida come un’innamorata ha iniziato a fare fusa molto sonore!; infine tre fratelli ghepardi. Abbiamo anche avuto l’onore di accarezzarne uno: è un’animale dall’aspetto esile ma che comunque mette timore e soggezione. Dopo questa incredibile esperienza con questi animali che rimangono comunque selvatici (sono stati salvati dalla savana perché rimasti orfani e quindi quasi certamente sarebbero andati incontro alla morte) siamo ripartiti con destinazione il nostro lodge, l’Hoodia. La caratteristica principale di questo, come poi della maggior parte dei lodge, è che si inoltrano a chilometri di distanza dalla strada principale per cui una volta entrati nel cancello di proprietà ci vogliono parecchi minuti prima di giungere a destinazione. Il vantaggio è di essere in zone esclusive e soprattutto appartate, immersi nella natura e senza rumori. In particolare questo lodge è posto vicino alle rive del fiume Tsauchab e si compone di un corpo centrale e diversi bungalow indipendenti (ognuno con anche un bagno all’aperto, molto suggestivo) arredati con ottimo gusto e ricercati in ogni minimo dettaglio. Dopo un rinfrescante cocktail di benvenuto e una presentazione molto singolare del manager, ci prepariamo per la cena che sarà accompagnata da canti e balli tipici molto coinvolgenti. Terminiamo la serata seduti nel lounge davanti ad uno scoppiettante fuoco con un bicchiere di amarula a chiacchierare con un’altra coppia di italiani scambiandoci le prime impressioni di viaggio. Ci avviamo verso i nostri bungalow accompagnati dall’arietta frizzante e pungente della notte sotto un cielo tappezzato di stelle luminose. Alla sera, a letto, fatichiamo ad addormentarci: abituati come siamo ai rumori, siamo quasi concentrati nel percepire ogni singolo movimento o suono che ci possa essere intorno a noi. A farci compagnia con i nostri pensieri notturni, un simpatico geco che ci osserva.

5 agosto – Ripartiamo per esplorare un nuovo ed affascinante luogo: il deserto di sabbia con le sue dune più alte e più vecchie del mondo. Avvicinandoci, ammiriamo i diversi colori delle dune che vanno dal rosso, al crema, all’arancio che risaltano in cielo azzurro e terso. Paghiamo l’accesso al parco e ci dirigiamo verso la famosa Duna 45. Incrociamo anche una mongolfiera che sta terminando il suo viaggio a lato strada con qualche problema nell’atterraggio! Arrivati alla Duna 45 siamo pronti per la “scalata”. Per fortuna non c’è molta gente e possiamo godere a pieno di questa meraviglia. Fa ancora freddo e la giacca a vento è fondamentale. La camminata è un po’ impegnativa ma alla fine raggiungiamo un bel punto panoramico: sembra di essere immersi in un mare di onde rosse. Ammiriamo la maestosità e l’imponenza delle dune a contrasto con l’effetto del morbido e sinuoso delle forme; ritornando un po’ bambini, corriamo come pazzi giù dalla duna riempiendoci le scarpe di sabbia. Ci spostiamo verso la “Valle morta”, pronti per una nuova camminata. Si presenta davanti ai nostri occhi una secca bianca e piana che spicca dal rosso delle dune circostanti; è punteggiata da scheletrici tronchi di antiche acacie che desolati spuntano quà a là. Nonostante il nome triste, la sensazione è di pace e tranquillità. Al ritorno incrociamo non poche jeep insabbiate che i soccorsi stanno cercando di liberare (l’attenzione non è mai troppa). Partiamo alla volta del Sossusvlei Lodge per il pranzo (bello e con un ottimo buffet ma a mio avviso una struttura troppo grande per godere al meglio l’Africa). Riprendiamo il viaggio verso il Sesriem Canyon, inciso nel tempo dal fiume Tsauchab, dove si può ammirare sulle pareti rocciose lo scorrere del tempo. Di nuovo in macchina verso il Solitarie Guest Farm Desert Ranch, una struttura familiare in cui veniamo accolti dalla padrona con i suoi tre cani, uno springbok e diverse galline e pavoni. Scopriamo che per due coppie è disponibile un alloggio in mezzo alla loro riserva ai piedi delle Rand Mountains ed io e mio marito con l’altra coppia di amici vi veniamo accompagnati in jeep. A parte il fatto che le stanze sono … “comunicanti” (nel senso che la costruzione è tipicamente namibiana con il tetto di paglia a punta e quindi le due camere non hanno il soffitto che regala un po’ di privacy…) la vista dalla terrazza è spettacolare: si spazia dal Namib Desert alle Naukluft Mountains baciati da un tramonto infuocato e avvolti da un silenzio quasi surreale. Aspettiamo che la jeep torni a riprenderci per portarci a cena al ranch: la luna è piena e talmente luminosa che viaggiamo a fari spenti. Aspettando che la cena sia pronta, chiacchieriamo davanti al fuoco che riscalda la serata e gli animi. Dopo cena ci divertiamo giocando a biliardo. Ammiriamo nel cielo stellato la Croce del Sud, Alfa e Beta Centauri e la piccola e grande cintura di Orione.

6 agosto – La mattinata è dedicata al trasferimento (310 km) attraverso il deserto del Naukluft Park verso l’Oceano Atlantico passando per due passi di montagna, il Gaub Pass ed il Kuiseb, molto suggestivi. Durante il tragitto ci fermiamo per una sosta al Tropico del Capricorno. Il paesaggio cambia diventando sempre più desertico e con dune alte e dorate; avvicinandosi alla costa poi si vedono i primi insediamenti umani, le prime fabbriche e abitazioni. Dopo giorni abituati al nulla, fa strano ritornare alla civiltà. Inoltre l’aria è molto umida e fredda e per noi che eravamo abituati al clima secco del deserto la sensazione è strana. Percorriamo la Skeleton Cost su una lingua d’asfalto che lotta tra l’oceano e la sabbia del deserto, da Walvis-Bay a Swakopmund, arrivando in tempo pranzare al Light-House Restaurant (finalmente a base di ottimo pesce, aggiungo io) e per un po’ di shopping nei mercatini artigianali dove vige la regola della contrattazione! Cena con prenotazione obbligatoria al The Tug Restaurant. Assaggiamo per la prima volta le rinomate ostriche namibiane e sono davvero buone! Prendiamo anche salmone, gamberi e totani leccandoci i baffi per la bontà! Nanna a Villa Margherita, molto caratteristica, realizzata con un mix tra lo stile italiano e coloniale, con stanze ampie (c’è addirittura la zona lounge) e ben arredate (anche se bisogna essere delicati nei movimenti; ho rischiato di ritrovarmi con in mano un’antina di una credenza e la maniglia di una finestra!).

7 agosto – Il mattino si presenta avvolto nella nebbia causata della corrente fredda del Benguela che corre lungo la costa. Abbiamo in programma la crociera sulla laguna di Walvis –Bay in catamarano (dura circa 4 ore); all’improvviso eccolo che spunta dalla nebbia e noi siamo subito pronti a saltare su (nel vero senso della parola!). Immersi in questa strana atmosfera e circondati da strane ed enormi meduse rosse partiamo seduti a prua per goderci le sorprese della giornata. Ci fermiamo poco dopo e a seguito di alcuni fischi della guida… compare Spotty: è un’otaria che sale sulla barca intrattenendo gli ospiti in cambio di pesce fresco. Travolgendo tutto quello che incontra sul suo cammino (piedi, zaini, puff), arriva vicino alla guida ottenendo in cambio un bel pesciolino. Inizia così il suo show: chi vuole si siede e gli viene messa una copertina sulle gambe e poi Spotty arriva. Io non mi sono tirata indietro e mi sono trovata 300 kg di otaria che mi guardava e… alitava, in cerca di carezze. A parte una piccola sensazione di pesantezza alle gambe, è stata una bella esperienza. Abbiamo proseguito fino all’allevamento di ostriche e alla baia con le otarie e i delfini. Verso pranzo ci è stato servito a bordo un menu a base di ostriche a volontà, spumante e stuzzichini. Per fortuna il sole ha iniziato a far capolino scaldando l’aria e ravvivando i colori. Verso il molo, siamo stati accolti da un tripudio di pellicani e gabbiani che volteggiando sopra la barca aspettavano la loro parte di pesce. Per il pomeriggio abbiamo prenotato un’escursione con Pelican Tours sulle dune di sabbia di Sandwich Harbour (70 euro a testa per circa 4 ore in jeep). Durante il tragitto si vedono colonie di fenicotteri rosa, vari uccelli marini e le saline. La parte più divertente è il sali e scendi dalle dune del Naukluft Park, alcune veramente alte che non hanno nulla da invidiare alle montagne russe; la parte più bella invece è proseguire nel parco e vedere le dune avanzare fino ad toccare l’oceano. La sabbia qui è finissima e ricca di ferro, tanto che con un magnete si vede la parte ferrosa muoversi come per magia. Verso metà pomeriggio abbiamo fatto una sosta merenda in mezzo alle dune ammirando nella sabbia le impronte di un leone… Scendendo da una duna la guida ha spento il motore e nel completo silenzio abbiamo sentito il suono sordo che il peso della jeep crea affondando nella sabbia. Nel complesso è stata una bella gita ma col senno di poi pensiamo che il costo sia un po’ sproporzionato. Alla sera ceniamo a Walvis Bay a The Raft, un ristorante in riva al mare, buono ma The Tug Restaurant, merita sicuramente di più.

8 agosto – Si riparte, destinazione montagne dell’Erongo (265 km). Dopo qualche ora di macchina, arriviamo finalmente al Cervino d’Africa, lo Spitzkoppe. Entrati nel parco, vediamo i dipinti rupestri degli antichi boscimani raffiguranti animali e uomini a caccia. Il monolite sembra fatta di pongo, le forme sono morbide e sinuose; il colore rossastro dato dal granito viene risaltato dal giallo oro intenso della savana e dall’azzurro del cielo terso. La sensazione che dà questo posto camminando tra le enormi e imponenti formazioni rocciose è di sentirsi piccoli e indifesi. Proseguiamo il nostro viaggio: ai lati della strada vediamo bancarelle con bambini che vendono le pietre del luogo e pastori che portano al pascolo le loro piccole mandrie. Pian piano il paesaggio cambia; si lascia il clima desertico per un terreno via via sempre più verde e rigoglioso in cui spuntano qua e là enormi termitai di terra rossa. Arriviamo così all’Omaruru Game Lodge: molto caratteristico perché immerso negli alberi, ha però le camere dei bugalow che non sono particolarmente belle. Un punto a favore invece è avere la sala da pranzo che si affaccia sulla pozza d’acqua dove gli animali della riserva vanno ad abbeverarsi; si ha così l’opportunità di vederli veramente da vicino e alcuni poterli perfino toccare. Dopo pranzo siamo pronti per il nostro primo game drive con il ranger (20 euro a testa). Ci inoltriamo nella riserva su una jeep aperta e cominciamo a girare tra la vegetazione alla ricerca del raro rinoceronte nero. Troviamo invece quasi subito un bel gruppo di giraffe: alcune mangiano tranquille, un cucciolo riposa seduto sotto un albero e il maschio ci controlla fermo immobile al lato della strada. Che emozione, sono così alte ma così aggraziate ed eleganti, con occhi dolci e le buffe corna pelose! Proseguendo la nostra ricerca veniamo chiamati mediante il ponte radio da un altro ranger che ha trovato degli elefanti. Andiamo in quella direzione e poco dopo… sono proprio davanti a noi! Mamma, papà e piccolino. Vengono dalla nostra parte e io che ho visto un sacco di documentari prima di partire so che se il maschio ti viene incontro bisogna spostarsi e lasciargli strada e invece… il nostro ranger prosegue nella sua direzione! Ho il cuore in gola e sinceramente anche paura. Alla fine quando sono ad un metro da noi il ranger scende e va dietro la macchina per prendere una balla di fieno fresco di cui sono golosi. Proprio vero che nessuno rinuncia al mangiare buono e facile, umani o animali che dir si voglia! Più tranquilli ci godiamo lo spettacolo di questi giganti “quasi” buoni che a pochi passi da noi mangiano soddisfatti. La cosa più esilarante è stata vedere il cucciolo cercare di mangiare con la proboscide come la mamma gli stava insegnando ma era talmente piccolo (aveva solo due settimane) che non la sapeva ancora utilizzare e dopo vari e inutili tentativi ha fatto la cosa più divertente: si è buttato per terra per cercare di mangiare il fieno con la bocca. Non soddisfatto del risultato, ha capito che la cosa più facile era quella di prendere il latte della sua mamma. Abbiamo proseguito vedendo springbok, kudu, orici, zebre, gnu, eland, col solito coro di “Che belli!”- io, e “Che buoni”- i miei amici, ma dei rinoceronti neanche l’ombra. Dopo una rapida e faticosa salita a piedi su per un colle che ci ha ripagati con una stupenda vista della valle al tramonto africano, abbiamo proseguito in jeep verso il lodge accompagnati dal veloce tramonto, ritrovando la nostra famigliola di elefanti. La sera, dopo cena, ci soffermiamo sui divanetti ad ammirare gli animali che vanno ad abbeverarsi alla pozza. Poi dal nulla ecco che compare una coppia di rinoceronti che vanno a mangiare: tutti gli altri animali si spostano come al suono di un comando silenzioso. Stiamo bevendo l’immancabile amurula godendoci lo spettacolo quando… compare un ippopotamo. I ragazzi del lodge ci dicono che è scappato da una riserva vicina il giorno prima, infatti non è consigliabile averli nella stessa riserva. All’inizio sembra che tutto prosegua normalmente fino a quando… Hyppo e Rhino (così li abbiamo soprannominati) decidono che non c’è posto per tutti e due. Hyppo deve essere abbastanza giovane, è grande ma non ancora adulto. Nonostante le dimensioni differenti, Hyppo va verso Rhyno. Si fronteggiamo e a seguito di una carica di Rhino, Hyppo scappa nella pozza più piccola. Cocciuto e testardo, esce dalla pozza in cui è stato confinato e va verso Rhino: inizia così una “danza” fatta di piccoli passi, code che scodinzolano e movimenti del corpo con indietreggiamenti di uno e avanzamenti dell’altro e viceversa. Dopo mezz’ora, (sembrava di essere immersi in un documentario della National Geografic) Hyppo, incitato da tutto il personale del lodge, sembrava aver messo in un angolo Rhino. Ma la sua dolce metà, andando via indignata, ha risvegliato il suo orgoglio ferito ed è partito alla carica di Hyppo che si è trovato ad un certo punto con le gambe all’aria nella pozza. Il nostro shock era palpabile, eravamo col fiato sospeso fino a che abbiamo visto Hyppo girarsi e indietreggiare sconfitto. Il terrore era che fosse stato ferito alla pancia; abbiamo aspettato che uscisse dalla pozza. Camminando, o meglio zoppicando, è andato mesto mesto nell’altra pozza più piccola. Siamo andati a letto consci di aver assistito ad uno spettacolo per pochi privilegiati: questi animali, nonostante siano nelle riserve, vivono allo stato selvaggio con tutto il loro istinto che li fa vivere o, a volte, morire.

9 agosto – Partiamo verso Twefelfontain (298 km); per strada ammiriamo le donne Herero nei variopinti abiti tradizionali che confezionano bamboline e souvenir. Arriviamo in tempo per pranzare al Twefelfontain Country Lodge; è molto suggestivo perché posizionato ai piedi delle montagne e progettato per rendere minimo l’impatto visivo con l’ambiente circostante. Le stanze sono in stile etnico, molto Africa! Il pomeriggio abbiamo un safari prenotato con il ranger del lodge (20 euro a testa) alla ricerca dei rari e famosi elefanti del deserto chiamati anche “Elefanti di fiume”. Saliamo su un unimog (una jeep gigante aperta), con anche la nostra guida, diretti verso il letto di un fiume in secca per seguire le impronte di questi animali. Ed ecco che un gruppo di elefanti spunta in mezzo alle frasche degli alberi; sembrano cinque o sei ma poi spostandoci pian pianino vediamo che sono una dozzina con anche dei piccoli. Mangiano tranquillamente, per nulla infastiditi dalla nostra presenza. Ci avviciniamo sempre di più fino a esserne quasi circondati. Ci godiamo questo momento con il sorriso stampato sulle labbra, assaporando la loro forza e la loro leggerezza nei movimenti nonostante la mole imponente; sembrano quasi fermi mentre camminano e invece un loro passo vale quanto quattro dei nostri! Riprendiamo il cammino e poco più avanti troviamo un maschio solitario veramente grosso che quasi sradica un albero per mangiare. Proseguiamo per una pausa rinfrescante con bibite fresche: ed è così che tra una birra, un savanna e una coca il nostro amico elefante compare silenzioso da dietro un albero. Il ranger ci fa salire veloci sull’unimog… peccato che c’è una scaletta per 8 persone! Siamo pronti a scappare ma l’elefante non ci degna neanche di uno sguardo, prosegue il suo cammino dietro di noi fino alla pozza di acqua poco distante. Ragazzi che paura! Tornando verso il lodge vedo delle piccole chiazze scure che si confondono con gli alberi al tramonto e invece, sono altri elefanti! Un altro gruppo di tredici elementi! Il ranger dice che siamo stati molto fortunati perché era da mesi che non succedeva di vederne e così tanti. Li osserviamo incamminarsi verso una pozza d’acqua con il sole che cala dolcemente regalandoci un senso di pace infinita. Nuova sosta ammirando il tramonto nella savana sorseggiando spumante fresco e poi dritti al lodge prima che faccia veramente buio. La cena scorre tranquilla tra chiacchiere e canti tipici.

10 agosto – Ci alziamo col canto degli uccellini e i versi dei gechi del deserto. Mio marito oggi compie gli anni e a colazione riceve un buon compleanno cantato dal personale del lodge in inglese, afrikaans, in lingua Damara e… italiano! Partiamo e dopo pochi minuti arriviamo al sito Patrimonio dell’Unesco dei graffiti boscimani, visitabile solo con una guida da assumere all’ingresso: questa galleria d’arte rupestre rappresenta animali ma anche piccole orme di piedi umani. Proseguiamo fino alle Organ Pipes, una serie di colonne perpendicolari di dolerite, dalle diverse sfumature cromatiche, alla base del letto di un fiume ormai secco. Ripartiamo per il Kaokoland (340 km) e a pranzo ci fermiamo al Fort Sesfontein. Dopo un’intera giornata di trasferimento cercando per strada di evitare di investire famigliole di facoceri e mandrie di caprette, oltrepassiamo un blocco della polizia (che fa soprattutto controlli alimentari) e arriviamo a Opuwo, che nella lingua locale significa “la fine “. Infatti è l’ultima piccola cittadina del nord-est della Namibia, nell’Africa nera. Ci rechiamo all’Ohakane Guest House e facciamo una breve passeggiata per il paesino sentendoci a dir poco dei pesci fuor d’acqua; qui la presenza del bianco è inesistente e siamo un po’ soggiogati dall’ambiente che è un esempio vero del mondo africano e della sua gente. Per strada c’è una mistura di culture e tradizioni, si va dalle donne e uomini Herero, agli Himba e a chi si veste “all’occidentale”. Al termine della cena illuminata dalla luce soffusa e delicata di una lampada a olio, arriva una torta al cioccolato deliziosa con tanto di candeline accompagnata da un nuovo canto di buon compleanno non solo del personale del lodge ma anche da un simpatico gruppo di ospiti olandesi.

11 agosto – La mattina, dopo un tempo interminabile passato ad aspettare di fare il pieno nell’unico benzinaio (con la benzina) di Opuwo, e dopo aver comprato una nuova ruota per il carrellino (la nostra si è “sbucciata” nel viaggio), passiamo al supermercato a prendere del cibo per un villaggio Himba. Gli Himba sono un fiero popolo di pastori. Con una guida locale (che prima deve chiedere al capo villaggio se abbiamo il permesso di visitarlo), veniamo introdotti in questa realtà così distante da noi e entriamo in contatto con il loro stile di vita, i loro usi e costumi. I tratti dei bimbi e delle donne sono bellissimi e molto dolci; sono ricoperte di una mistura di ocra rossa e grasso che le rende uniche al mondo. Alla fine per ringraziarli dell’ospitalità compriamo quello che è il loro artigianato: collanine, braccialetti e statuine. Lasciamo anche penne, matite e quaderni per i bimbi che vanno a scuola. Dopo questo tuffo nel passato, ripartiamo per Kamanjab. Per pranzo ci è stato preparato un box lunch che consumiamo godendoci la vista di un passo di montagna, mentre la guida cambia la ruota del carrellino. Arrivati all’Hobatere Lodge, dopo un salto nelle camere spaziose e ben curate con un romantico letto a baldacchino ed un pranzo delizioso, ci prepariamo per un nuovo safari con il ranger. Partiamo e subito vediamo un branco di babbuini, molti springbok, zebre, kudu, giraffe, dei simpatici scoiattoli (che con la coda sopra la testa si riparano dal caldo), orici per poi avvicinarci a due enormi elefanti. Proseguiamo con la vista di sciacalli, struzzi, buceri dal becco giallo e l’uccello del segretario. Ritorniamo al lodge e dopo una cena squisita riscaldati da un allegro fuoco scoppiettante andiamo alla pozza per vedere se c’è qualche animale. Vediamo solo un orice che si abbevera stando all’erta e poi dobbiamo andare in camera, qui alle 10 di sera si spegne tutto e si rimane completamente al buio! 12 agosto – Veniamo svegliati dal ruggito di un leone. Rimaniamo immobili nel letto pensando di vederlo passare da un momento all’altro fuori dal nostro balcone; poi ci rassicuriamo dicendo che sarà sicuramente stata la nostra guida a farci uno scherzo mettendo su il cd con i versi degli animali… ma non è così, era proprio vero! Dopo questo singolare risveglio, partiamo alla volta del Parco Etosha; per fortuna abbiamo ottenuto il permesso di passare dall’Otjovasandu Gate per guadagnare tempo e iniziare subito un nuovo safari. Qui a ogni pozza, ma anche sulla strada, passeggiano indisturbati gli animali della savana: zebre, giraffe, gnu, springbok, orici, kudu, eland, facoceri, elefanti e impala ma anche gli uccelli quali bucero, struzzi, stornello blu, avvoltoi e l’otarda di Kori, il più grande uccello volatore del mondo che nonostante le dimensioni vola leggiadro nel cielo. Quello che però noi cerchiamo è il leone. Pranzo all’Okaukuejo Rest Camp (cibo pessimo). Proseguiamo tutto il pomeriggio girovagando per il parco ma del leone neanche l’ombra. Godiamo però della vista degli altri animali, ognuno particolare e caratteristico e vediamo i rari steenbok, dik dik e cobra. La sera, appena arrivati all’Halali Resort (il cancello chiude alle 18.00), ci rechiamo subito alla pozza (abbiamo fatto richiesta specifica all’agenzia per avere un resort dentro l‘Etosha per godere questo privilegio). Il sole è ormai tramontato ma come sempre c’è un faro che illumina la pozza. Siamo spettatori silenziosi tutti accucciati sulle rocce cercando di scorgere il minimo segnale tra gli arbusti o cercando di interpretare i versi della savana. E dal nulla compare un leone che guardingo va verso l’acqua; poi un altro e un altro ancora fino ad arrivare a sette. Finalmente! L’arrivo di un rinoceronte però mette subito in chiaro chi comanda e in un attimo i leoni scompaiono dietro i cespugli. Nuovamente, sorpresi dal loro silenzio, arrivano altri due rinoceronti con un cucciolo. Che emozione! Felici andiamo a cena per ritornare subito dopo.

13 agosto – Riprende il safari. Visitiamo diverse pozze e ammiriamo le sfilate dei vari animali che vanno a dissetarsi. Arriviamo all’Etosha Pan, un’immensa depressione salina dalle sfumature bianche e verdastre, un tempo lago salato. Proseguendo scorgiamo tre leonesse accucciate sotto gli alberi per ripararsi dalla calura. Pranzo al Namutoni Rest Camp, un vecchio fortino tedesco. Sosta in altre pozze con tanti animali e dopo pranzo purtroppo ripartiamo per Windhoek, ma abbiamo la cena prenotata da Joe’s che rende il rientro un po’ più piacevole! 14 agosto – Oggi si torna a casa. Shopping per il centro e poi via verso l’aeroporto. Purtroppo il nostro volo della British Airways fa overbooking e dopo ore di discussioni veniamo messi su un volo Air Namibia per Francoforte.

15 agosto – Arrivati a destinazione, scopriamo però che ci hanno bloccato i posti su un volo Lufthansa ma… senza pagarli e dopo vari litigi siamo costretti a comprare nuovi biglietti per Milano. A casa, ritroviamo un po’ di Africa nei finissimi granelli di sabbia che ricoprono e riempiono le nostre valigie! Adesso devo ammetterlo: sono stata molto indecisa se scrivere o meno il racconto di questo favoloso viaggio. A differenza degli altri anni, infatti, le emozioni e le sensazioni che si provano in questa terra meravigliosa che è l’Africa sono molto difficili da raccontare e la paura di sminuire le bellezze namibiane è tanta. Spero però di essere riuscita a trasmettere con le parole almeno una piccola parte di quello che abbiamo provato con questo indimenticabile viaggio. Probabilmente è vero quello che dicono: il mal d’Africa esiste! La nostalgia che noi tutti proviamo al ritorno è immensa…



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