U.s. Virgin Islands: il Caribe a stelle e strisce

(by Luca, Sabrina e Federico) Mercoledì 23 Marzo: In fuga dallo stress del lavoro, questa nuova avventura che ci apprestiamo ad intraprendere ha inizio con il suono della sveglia, che riecheggia nella nostra stanza alle 4:00 del mattino (chissà per quale motivo non si riesce mai a partire alle 9:00!). Ancora un po’ assonnati completiamo i...
Scritto da: LucaGiramondo
Partenza il: 23/03/2005
Ritorno il: 06/04/2005
Viaggiatori: fino a 6
Spesa: 2000 €
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(by Luca, Sabrina e Federico) Mercoledì 23 Marzo: In fuga dallo stress del lavoro, questa nuova avventura che ci apprestiamo ad intraprendere ha inizio con il suono della sveglia, che riecheggia nella nostra stanza alle 4:00 del mattino (chissà per quale motivo non si riesce mai a partire alle 9:00!).

Ancora un po’ assonnati completiamo i preparativi e poco prima delle 5:00 si presentano, di fronte al cancello di casa, i nonni, che sono venuti a prenderci per accompagnarci all’aeroporto. Alle 4:58, così, ha inizio il viaggio vero e proprio: ci avviamo per strada con Federico, nostro figlio, che smaltiti i fumi del sonno ora, raggiante più che mai, ci mostra tutta la sua felicità, e un quarto d’ora più tardi imbocchiamo l’autostrada a Faenza.

Cercando di sfruttare l’attuale debolezza del dollaro abbiamo deciso di andare in un pezzetto degli States situato nel cuore dell’amato Caribe: le U.S. Virgin Islands. Sono tre isole principali: St. Thomas, St. John e St. Croix (l’unica che non visiteremo perché troppo distante), contornate da una manciata di scogli e isolotti per lo più disabitati e situate ottanta chilometri ad est di Puerto Rico. Formano, in compagnia delle sorelle British Virgin Islands, un vasto arcipelago che deve il suo nome, come quasi tutti i luoghi di quest’area geografica, a Cristoforo Colombo, che vi approdò nel 1493 durante il suo secondo viaggio nel Nuovo Mondo. Il grande navigatore, colpito dalla bellezza e profusione delle isole, le battezzò “Las Once Mil Virgines”, prendendo spunto dalla leggenda di Sant’Orsola e delle undicimila vergini.

Le U.S. Virgin Islands, danesi fino al 1917, furono acquistate dagli Stati Uniti per venticinque milioni di dollari con lo scopo di creare una base nella zona per difendere il Canale di Panama. Col tempo sono però diventate anche un’ambita meta turistica, che oggi gli americani amano definire “Our Paradise in the Caribbean” (il nostro paradiso nel Caribe) … Quel paradiso tuttavia per noi è ancora molto lontano, perché sono le 5:50 di una fresca mattinata primaverile e ci troviamo di fronte all’Aeroporto Marconi di Bologna: salutiamo i nonni e diamo il via ad un lunghissimo viaggio aereo, che prevede ben due scali intermedi.

Imbarchiamo le valige (direttamente per St. Thomas … speriamo bene!), facciamo colazione e ci mettiamo in attesa alla porta numero 14. Non dobbiamo attendere tanto e ben presto ci troviamo allacciati alle poltroncine dell’Airbus A319 dell’Air France che, identificato come volo AF 1029, stacca da terra alle 7:44 con destinazione Parigi.

Saliamo sopra alle nuvole di una cupa giornata di marzo e, poco dopo, dalla grande distesa ovattata emerge una cima innevata … il Monte Bianco, oserei dire … poi le nubi si dissolvono mentre sorvoliamo la Francia, con la sua ordinata geometria di campi coltivati, fin quando non atterriamo all’aeroporto Charles de Gaulle, nella capitale transalpina, con le lancette dell’orologio che segnano le 9:03.

All’aeroporto di Parigi siamo ormai di casa e in tutta tranquillità ci trasferiamo dal Terminal “F“ al Terminal “A” e dopo ripetuti controlli (compreso un sorta d’interrogatorio riguardo le valigie) c’imbarchiamo, finalmente, sul volo AA 63, che decolla in direzione di Miami alle 12:12.

Il Boeing 767 dell’American Airlines sale rapidamente di quota e quando vira ci troviamo Parigi al nostro cospetto … Federico può così individuare, felicissimo, la Torre Eiffel e l’Arco di Trionfo, ma lo scorcio panoramico è di breve durata, infatti, poco più tardi, entriamo, fra mille turbolenze, dentro ad un grosso corpo nuvoloso e ne usciamo solo in pieno Atlantico.

La trasvolata oceanica, della durata di oltre dieci ore, è caratterizzata da tante nubi e dalle lamentele del piccolo, spazientito dalla lunga attesa, poi finalmente, dopo aver volteggiato chissà per quale motivo diverse volte sulla zona, atterriamo all’aeroporto internazionale di Miami: sono le 16:46 locali e siamo in leggero ritardo sulla tabella di marcia.

Sbarchiamo e con sollecitudine ci presentiamo ai complessi controlli doganali americani: sembra che manchi una di quelle inutili e ridicole dichiarazioni, così recuperiamo il modulo, lo riempiamo scrupolosamente e ci ripresentiamo allo sportello … ci fotografano, ci prendono le impronte digitali, ma non basta! … ci chiedono anche il passaporto di Federico, che non esiste, perché ha otto anni e, come prevede la legge italiana, è registrato sui nostri documenti. Lo facciamo notare al doganiere, ma questo, stizzito, insiste: «Non si entra negli Stati Uniti senza passaporto!».

Un funzionario ci accompagna in una stanza attigua dove si trovano ammassate altre persone (per lo più neri e portoricani) e dove, oltre un bancone, lavorano a ritmo pachidermico diversi agenti. Ci dicono di aspettare mentre, a quanto pare, stanno facendo un passaporto temporaneo per il piccolo che, ci dicono, è obbligatorio da ottobre 2004 (a giugno dello stesso anno siamo entrati senza problemi negli States e prima di partire né l’agenzia né tanto meno la Questura ci hanno avvertiti di questo cambiamento … strano) … Intanto il tempo passa: il nostro volo per St. Thomas parte alle 18:25 e ormai manca solo mezzora, in più vengo a sapere che le valige, essendo quello che resta un volo interno, sono state scaricate e non spedite direttamente alle Isole Vergini … è assurdo! L’agitazione cresce in maniera esponenziale col trascorrere dei minuti, poi, finalmente, alle 18:15 ci consegnano quel benedetto foglio e ci danno via libera! Corriamo verso l’area bagagli e lungo il corridoio incontriamo, per caso, un inserviente che trasporta tranquillamente le nostre valigie su di un carrello: gliele strappiamo letteralmente di mano e con quelle ci rivolgiamo al primo imbarco bagagli che incontriamo, ma l’addetto dopo una breve telefonata allarga le braccia … troppo tardi! … Sono riusciti a farci perdere l’aereo! … Mi sono sempre chiesto cosa sarebbe successo in tal caso … ed ora lo saprò: sono furioso, con la salivazione praticamente azzerata per la tensione nervosa e pieno di rabbia, alla faccia della rilassante vacanza.

Affrontiamo, neri in volto, una lunghissima coda che porta al banco dell’American Airlines … La nuova attesa, se non altro, funziona come una camera di decompressione e placata l’ira possiamo scegliere fra le due possibilità che ci vengono offerte: o mettersi in viaggio questa sera stessa per Puerto Rico e all’alba fare il breve volo per la vicina St. Thomas, oppure partire domani alle 12:39 da qui direttamente per le Isole Vergini … Non volendoci complicare ulteriormente la vita scegliamo ovviamente la seconda soluzione, anche perché siamo a pezzi e abbiamo assolutamente bisogno di riposo: ci facciamo così segnalare un hotel nella zona dell’aeroporto, consapevoli del fatto che in questo modo dovremo, in pratica, detrarre un giorno dalla nostra vacanza.

Con l’ausilio di una navetta gratuita raggiungiamo il Wyndham Hotel, dove ci viene assegnata la stanza 501 e dove la gentilissima ragazza della réception ci fa un grosso favore telefonando al Best Western di St. Thomas (prenotato fin da casa) per far sapere del nostro inevitabile giorno di ritardo.

A Miami sono ancora le 21:00, ma senza neanche indossare il pigiama, che si trova in fondo a chissà quale valigia, ci trasciniamo stancamente a letto … e non certo il letto nel quale pensavamo di trascorrere la prima notte di questo movimentato viaggio.

Giovedì 24 Marzo: Per effetto del fuso orario ci svegliamo prestissimo, poi, a rate, riusciamo a restare fra le lenzuola fin quasi alle 8:00 quando, stanchi di rigirarci, ne usciamo definitivamente fuori.

Poltriamo ancora un po’ in camera e poi scendiamo a far colazione prima di riprendere il nostro interminabile viaggio … che, visti gli sviluppi, ci porta ad avere qualche preoccupazione anche per il ritorno, con solo un’ora e mezza di sosta a New York.

Sembriamo partiti da tempo immemorabile quando lasciamo il Wyndham Hotel a bordo della navetta (condotta da Bruno, di chiare origini italiane) per tornare, questa volta in grandissimo anticipo, all’aeroporto internazionale di Miami.

Cerchiamo il banco giusto, etichettiamo le valige e le imbarchiamo: ci chiedono se sono chiuse a chiave e in tal caso di aspettare che passino il controllo del metal-detector. Le consegniamo all’addetto e in un batter d’occhio spariscono … non ce ne capacitiamo: le cerchiamo nell’ammasso di bagagli tutt’intorno, ma senza risultato … Federico, tutto preoccupato, si mette anche a piangere, mentre un po’ angosciati ce ne andiamo con la speranza che le abbiano imbarcate a tempo di record.

Ci rechiamo al Terminal “E”, come indicato sui biglietti, ma il nostro volo non risulta sui terminali, allora chiediamo informazioni: lo hanno spostato al Terminal “D” … sembra un incubo! Cammina, cammina, arriviamo al terminal e alla porta giusta, e successivamente, se Dio vuole, sopraggiunge anche l’aereo: un Boeing 757 dell’American Airlines.

Attraverso le vetrate assisto a tutte le operazioni di scarico e carico, durante le quali mi sembra di riconoscere le nostre valige, così, poco dopo, un po’ più rinfrancati, saliamo sul volo AA 671, che stacca da terra alle 13:00 in punto con destinazione St. Thomas … Ciao Miami, e speriamo di rivederci prima o poi, ma, se possibile, con uno stato d’animo completamente diverso! Appena saliti di quota scorrono sotto di noi alcune bellissime isole coralline: sicuramente le Bahamas … peccato solo per la densa foschia. Il volo procede tranquillo e finalmente alle 16:17 locali (un’ora in più rispetto alla Florida e cinque in meno rispetto all’Italia), atterriamo al Cyril E. King Airport di St. Thomas, nelle U.S. Virgin Islands, dove splende un bel sole, e poco più tardi riabbracciamo anche le nostre valigie … tutto è bene ciò che finisce bene! Con soddisfazione appuriamo il buon funzionamento del telefono cellulare, così possiamo subito tranquillizzare tutti a casa, poi ci mettiamo in fila al banco della Budget per noleggiare l’auto e poco dopo ci vediamo consegnare una Kia Rio bianca (targata TBU 697), con la quale percorriamo il brevissimo tratto di strada (poche centinaia di metri) che ci dividono dal Best Western Carib Resort, dove alloggeremo per l’intera durata delle vacanze.

Ci consegnano le chiavi della camera numero 109 (che domani dovremo cambiare!) e lì, finalmente, possiamo posare le nostre cose. C’è ancora un’ora di luce, così indossiamo i costumi e corriamo a rilassarci sui bordi della piscina, che però è già finita nell’ombra … poco male: la temperatura è gradevole e la vista di fronte, sulla Baia di Lindberg, discreta, in questo modo trascorriamo piacevolmente il tempo che resta per arrivare a sera, mentre il solo Federico non resiste all’idea di consumare un primo refrigerante bagno.

All’imbrunire ci sistemiamo e usciamo per trovare qualcosa con cui cenare: vaghiamo un po’ disorientati per le strade dell’isola e arriviamo a Charlotte Amalie, la piccola capitale delle Isole Vergini Americane. Troviamo un locale della catena Pizza Hut e, su richiesta del piccolo, lì consumiamo il nostro primo pasto a St. Thomas, poi, stanchi, facciamo ritorno al Carib Resort e ci trasciniamo in camera: il letto non è ancora quello giusto, ma almeno l’hotel sì … e più tranquilli possiamo scivolare beatamente nel mondo dei sogni.

Venerdì 25 Marzo: Doveva essere il secondo giorno alle Isole Vergini e invece la sorte ha voluto che sia il primo.

Dopo una sostanziosa colazione, compresa nel prezzo della stanza, partiamo alla scoperta di St. Thomas che, estesa per 72 chilometri quadrati, è poco più piccola di Pantelleria e misura 21 chilometri di lunghezza per 5 di larghezza. Siamo a tutti gli effetti in territorio americano, ma si viaggia sul lato sinistro della strada e la cosa curiosa è che anche il volante di tutte le auto (provenienti dagli States) è collocato a sinistra, per cui ci si trova a guidare sul ciglio della carreggiata anziché al centro … è strano, ma dovremo farci l’abitudine.

Oltrepassiamo Charlotte Amalie, nel cui porto sono ormeggiate due colossali navi da crociera, e proseguiamo lungo la Strada numero 30 che, a vertiginosi saliscendi, segue la costa sud-orientale dell’isola, quindi, dopo un paio di soste per acquistare alcune cibarie, giungiamo a Red Hook, la località più ad est di St. Thomas e luogo di partenza del ferry per St. John, l’altra Isola Vergine americana che visiteremo … non oggi però.

Presa qualche informazione ci avventuriamo lungo la strada che s’inoltra nella penisola a sud dell’abitato e, vista la scarsità o meglio la totale assenza d’indicazioni, dopo diversi tentativi riusciamo a trovare l’insenatura di Secret Harbour. Il luogo è interamente occupato da un residence, ma la spiaggia, accessibile a tutti, è carina, bordata di palme e bagnata da un invitante mare calmo e trasparente, tanto che, sistemate le nostre cose all’ombra, non resistiamo alla tentazione di consumare immediatamente un primo accattivante bagno tropicale.

Finalmente, dopo i disagi sopportati nel lungo e travagliato viaggio, possiamo tranquillamente rilassarci tra i flutti cristallini e crogiolarci al sole del Caribe … per far questo avremmo preferito di certo una spiaggia più selvaggia, ma per cominciare va benissimo anche questa.

Assieme a Federico vado in esplorazione con maschera e boccaglio: c’è qualche sparuto corallo qua e là, ma nulla di speciale … Dal punto di vista naturalistico la cosa più bella che vediamo nella baia è lo spettacolo di un infallibile pellicano che pesca a pochi metri dalla riva, sotto gli occhi attenti di un’iguana appostata al sole sul vicino pontile. All’ombra delle palme, in questo contesto, pranziamo … e se ne va rapidamente la prima parte della giornata.

All’inizio del pomeriggio lasciamo Secret Harbour e ci mettiamo alla ricerca di un’altra spiaggia, nella quale trascorrere le ore che mancano per arrivare a sera. Tornando lungo la Strada numero 30 verso Charlotte Amalie ci fermiamo a Bolongo Bay: una rapida occhiata ci fa capire che il piccolo arenile non è all’altezza delle nostre aspettative. Proseguiamo allora lungo la litoranea e ormai in vista della capitale deviamo in direzione del mare alla ricerca di Morningstar Bay, che raggiungiamo, non senza problemi, dopo aver oltrepassato un po’ timorosi il cancello di un grande complesso turistico, e lì decidiamo di fermarci.

Accolti da una grossa iguana sistemiamo le nostre cose in riva al mare, che in questo posto non è calmo ma è caratterizzato da grandi onde, e accaldati ci concediamo un bagno in quell’acqua comunque bella e temperata.

Concludiamo pigramente la giornata a Morningstar Bay e quando il sole è ormai prossimo alla linea dell’orizzonte saliamo, seguendo una strada tutta curve, che parte nei pressi di Havensight (dove attraccano le grandi navi), a Paradise Point, uno spettacolare punto panoramico, al quale i croceristi giungono con l’ausilio di una funicolare, posto a 210 metri d’altezza, su di una collina, a dominare la baia di Charlotte Amalie.

Ci godiamo un infuocato tramonto e poi facciamo rientro al Carib Resort, dove ci consegnano le chiavi della nostra nuova e definitiva camera (la 217). Ci rassettiamo e usciamo per cena alla Green House, un simpatico locale situato sul lungomare della capitale, poi rientriamo velocemente perché Federico, distrutto dai bagni e dal fuso orario, chiede con insistenza un letto nel quale coricarsi.

Concludiamo così questo primo scorcio di vacanza a St. Thomas: non una delle migliori giornate caraibiche che ricordi, ma confidiamo prossimamente di recuperare appieno, con panorami e spiagge all’altezza della notorietà delle isole.

Sabato 26 Marzo: Ci alziamo con calma: in previsione c’è la visita a Charlotte Amalie e come abbiamo potuto constatare ieri, transitandovi, fino alle 9:00 è tutto chiuso.

Partiamo dopo colazione, senza gl’ingombranti zaini per il mare, e poco più tardi parcheggiamo di fianco al verde Legislature Building e al rosso Fort Christian, storiche costruzioni che testimoniano la vecchia dominazione danese, in particolare quest’ultimo, eretto fra il 1666 e il 1680, risulta essere uno degli edifici più antichi d’America.

A piedi ci dedichiamo al giro turistico della cittadina e ci dirigiamo verso Government Hill, una collinetta costellata di graziose case private ed interessanti edifici pubblici e religiosi. Arriviamo così di fronte alla caratteristica Frederick Lutheran Church che, collocata in cima ad un’irta scalinata, spicca fatta tutta di mattoni rossi.

Salendo ulteriormente giungiamo al cospetto della bianchissima Government House, residenza del Governatore, con tanto di garitta rossa sul fronte (ma la guardia manca all’appello chissà da quanto tempo). Il pregevole edificio neoclassico si trova su Kongens Gade, la strada da cui parte anche la scalinata detta 99 Steap (ma in realtà i gradini sono 103) che, costruita con le pietre usate come zavorra delle navi provenienti dall’Europa, sale, nel punto più alto della collina, al Blackbeard’s Castle, il castello di Barbanera.

Il maniero (in realtà solo una torre), che ci accontentiamo di vedere esclusivamente dall’esterno, è la più antica costruzione delle Isole Vergini e, forse, la più rappresentativa: l’arcipelago, infatti, è passato alla storia come uno dei più famigerati covi di pirati che si ricordi. Furono i Bucanieri i primi coloni europei delle isole, soppiantati poi dalle più svariate ciurme, fra le quali quelle dei leggendari Barbablu e Barbanera, appunto, per arrivare a Francis Drake (il cui nome è ancora legato a numerosi luoghi), terrore dei galeoni spagnoli e per questo nominato addirittura Sir dalla regina britannica, che ne sosteneva indirettamente le imprese.

Scendiamo nuovamente nella parte bassa della cittadina e, dopo una sosta in Crystal Gade alla Sinagoga, la seconda per antichità dell’emisfero occidentale (il cui pavimento è ricoperto di sabbia per ricordare l’esodo dall’Egitto), percorriamo Main Street, la strada principale di Charlotte Amalie, tempestata di negozi duty-free e souvenir: irresistibili trappole per le migliaia di croceristi che ogni giorno sbarcano, ignari, nel porto di St. Thomas.

In fondo alla via cerchiamo il vecchio mercato coperto (segnalato su tutte le guide), ma troviamo l’area transennata con al suo interno il solo basamento che reggeva la struttura in ferro … crollata nel 2003 (è prevista la sua ricostruzione, ma chissà per quando).

Digerita la piccola delusione ci facciamo brevemente irretire dalla sfilata di negozi e, dopo una lunga fila alla posta per acquistare alcuni francobolli, concludiamo nel variopinto parcheggio dei taxi la visita a Charlotte Amalie, che, a tratti, ci ha saputo offrire scorci tutto sommato interessanti.

Quando torniamo in hotel il mezzogiorno è già passato da un po’, così ci fermiamo a pranzare nella terrazza della camera, allietati dalla vista che spazia sulla Baia di Lindberg, e poi riprendiamo la strada protesi verso la seconda parte della giornata.

Seguiamo il nastro d’asfalto che, percorrendo irte vie, sale sulle alture situate alle spalle della capitale e arriviamo al cosiddetto Mountain Top, sulla vetta della St. Peter Mountain (474 metri), dove c’è un locale nel quale si dice sia stato inventato il Banana Daiquiri, un noto cocktail, e da dove si dovrebbe godere anche di una bella veduta … nulla di eccezionale per dir la verità. Riprendiamo allora la strada e arriviamo, questa volta, al Drake’s Seat, uno spettacolare punto panoramico sulla costa nord dell’isola, dal quale si dice Sir Francis Drake controllasse le navi che incrociavano al largo del suo piccolo regno. Ai piedi di questo balcone naturale si trova Magens Bay, la più bella insenatura di St. Thomas e, a detta dell’illustre National Geographic, una delle dieci migliori spiagge del mondo (ma il metro di giudizio è molto americano).

Dopo una foto, d’obbligo, del mirabile scorcio scendiamo proprio a Magens Bay: paghiamo il biglietto d’accesso al luogo, parcheggiamo l’auto e ci avviamo a piedi in direzione dell’arenile … Sabbia bianca, palme rigogliose e acqua cristallina … non c’è che dire, Magens Bay è il più classico dei paradisi tropicali … peccato solo per l’eccessivo sovraffollamento, che non riesce, comunque, a sminuire l’irresistibile richiamo di una mare finalmente come Dio comanda … Così ci precipitiamo subito fra quegli straordinari flutti a consumare il primo, sospirato, bagno della giornata.

Per la gioia del piccolo gonfiamo anche il materassino e ci attardiamo in acqua, mentre gli statunitensi, che in linea di massima sono abituati a cenare presto, pian piano cominciano a sfollare, donando nel contempo crescente tranquillità e bellezza al luogo … Restiamo così a goderci Magens Bay, in compagnia, più che altro, d’un gruppo superstite d’americani che, in festa, consuma (donne comprese) una quantità d’alcol impressionante, e solo quando il sole esce di scena tramontando lasciamo la spiaggia, dopodiché, valicando nuovamente la dorsale dell’isola, facciamo ritorno al Carib Resort.

Per cena ci rechiamo da Wendy’s, un fast-food situato nelle vicinanze di Havensight, ma il cibo proposto non entusiasma né Sabrina né, tanto meno, Federico … nulla di grave però: subito dopo torniamo in hotel e ci ritiriamo in camera, concludendo una giornata più che positiva.

Domenica 27 Marzo: E’ la domenica di Pasqua e tutti gli abitanti di St. Thomas si riverseranno sicuramente sulle spiagge, così ne approfittiamo per scappare, mettendo in atto, per la prima volta, l’operazione che ci porterà a St. John, la più piccola e meno popolosa delle Isole Vergini Americane.

Consumata la solita colazione partiamo seguendo la costa meridionale dell’isola e dopo una sosta a Compass Point Marina per prendere informazioni circa un’escursione in barca a Jost Van Dyke, un isolotto delle Vergini Britanniche, giungiamo, intorno alle 9:30, a Red Hook … Il nome di questo luogo (Uncino Rosso) è tutto un programma, visto che siamo nell’isola che fu il regno dei pirati, è chissà da cosa deriva … Saliamo sul primo traghetto disponibile, che parte alle 10:00 e purtroppo rientra alle 17:00 (troppo presto), oppure alle 19:00 (troppo tardi): la prossima volta cercheremo di arrivare prima, così da prendere quello dell’altra compagnia, che propone orari nettamente migliori.

Mezzora dopo la partenza attracchiamo nel porticciolo di Cruz Bay, il pittoresco capoluogo di St. John che, estesa per 40 chilometri quadrati (poco meno di Ischia), misura 14,5 chilometri di lunghezza per 6,5 di larghezza ed è abitata da poco più di tremila anime.

Appena scesi su questo piccolo lembo di terra vulcanica ci avviamo lungo la Strada numero 20, che segue la costa settentrionale dell’isola e giungiamo, a brevissima distanza, in vista di Caneel Bay, la magnifica insenatura sulla quale prospetta l’omonimo e lussuoso resort.

Osservata inizialmente la spiaggia dall’alto di un punto panoramico varchiamo il cancello dell’hotel che fu del miliardario americano Laurence Rockefeller … per dir la verità quasi tutto il territorio nei dintorni era di sua proprietà, ma lo donò nel 1956 al Governo degli Stati Uniti a condizione che diventasse parco, e ciò fu probabilmente la salvezza di questa minuscola isola caraibica, attualmente inglobata per due terzi della sua superficie entro i confini del Virgin Islands National Park.

Parcheggiamo l’auto e, tralasciando la bella ma organizzata Caneel Bay, a piedi, in pochi minuti, raggiungiamo la meravigliosa Honeymoon Beach: sabbia bianca accecante, cielo terso e acqua azzurra che pare una piscina … ora sì che siamo nella paradisiaca spiaggia tropicale che avevamo da tempo sognato! Sistemiamo le nostre cose sotto alle fronde degl’alberi e corriamo a goderci idilliaci bagni, mentre le lancette dell’orologio corrono inesorabilmente e mezzogiorno arriva in un batter d’occhio.

Addentiamo i nostri sandwich al prosciutto con di fronte la sublime vista di Honeymoon Beach e ci sentiamo come piccoli Rockefeller, perché poter riempire gl’occhi di tanta bellezza vuol dire accumulare quelle inestimabili ricchezze personali che sono i ricordi, il cui valore mai potrà essere sostituito da una qualsiasi somma di denaro.

Dopo pranzo e dopo un altro bagno mi reco, in compagnia di Federico, a vedere anche la vicina e nascosta Salomon Bay: pure questa molto bella, con la presenza di qualche palma che contribuisce a dare un aspetto ancor più esotico al luogo. Al ritorno ci dedichiamo poi, brevemente, allo snorkeling, ma ad una trasparenza eccezionale dell’acqua non corrisponde un fondale particolarmente interessante, come del resto c’immaginavamo che fosse … Intanto il tempo passa, implacabile, e quando riemergiamo in pratica è già l’ora di lasciare Honeymoon Beach, allora riordiniamo a malincuore le nostre cose e, riguadagnata l’auto, torniamo a Cruz Bay in tempo utile per salire sul traghetto delle 17:00.

Il natante si stacca dal molo in perfetto orario e subito dopo ci troviamo a navigare in direzione di St. Thomas, mentre su quest’ultima si vanno addensando grossi nuvoloni grigi … niente di preoccupante però, solo un temporale di passaggio.

Sbarcati nuovamente sull’isola principale ci mettiamo alla ricerca di altre informazioni utili allo scopo di organizzare una benedetta escursione in barca, ma senza grande successo (sembra impossibile che debba essere così difficile!) … Giunti in hotel chiediamo aiuto anche alla réception, ma è troppo tardi e se ne riparlerà solo domani.

Per cena, visto il giorno iper-festivo, troviamo diversi locali chiusi e ci rifugiamo da Pizza Hut a consumare un buon piatto di pasta … poi di corsa a letto: domani vogliamo tornare a St. John, che, in fatto di spiagge, ha dimostrato, oggi, di essere una spanna al di sopra della sua sorella maggiore, e vogliamo a tutti i costi arrivarci col traghetto delle 9:00, in modo da avere molto più tempo a disposizione … Così, con negl’occhi ancora l’incantevole mare di Honeymoon Beach, scivoliamo dolcemente nel mondo dei sogni.

Lunedì 28 Marzo: La sveglia suona ancor prima delle 7:00, mentre il sole, che filtra ormai da tempo attraverso le tende, lascia presagire un’altra buona giornata dal punto di vista meteorologico. Ci prepariamo con sollecitudine a tornare sull’isola di St. John e, dopo aver lasciato istruzioni alla réception per prenotare la sospirata escursione a Jost Van Dyke (speriamo bene!), ci avviamo lungo il nastro d’asfalto che corre verso est e quindi verso Red Hook.

Mezzora prima delle 9:00 siamo già in coda sul molo prospiciente l’imbarcadero, in compagnia di alcuni mezzi pesanti e di qualche raro turista, quindi, oltrepassato lo stretto braccio di mare che divide le due isole, giungiamo a Cruz Bay, come previsto, un’ora prima rispetto a ieri (e potremo rientrare un’ora dopo!).

Appena scesi dal traghetto imbocchiamo la Strada numero 10, meglio conosciuta come Centerline Road, che attraversa l’intero territorio passando, appunto, per le alture centrali, con l’intenzione di raggiungere l’estrema punta sud-orientale di St. John. Ci arrampichiamo, una curva dopo l’altra, a circa trecento metri d’altezza, sulla dorsale dell’isola, attraversando la verdeggiante foresta sub-tropicale, che ha letteralmente cancellato le oltre cento piantagioni di canna da zucchero che un tempo caratterizzavano il luogo e, osservando gli strepitosi panorami che abbracciano in lontananza le Isole Vergini Britanniche e lo stupefacente Drake’s Channel, giungiamo, scendendo nuovamente a livello del mare, nel minuscolo villaggio di Coral Bay: il secondo agglomerato urbano di St. John … ma non mi risulta ve ne sia un terzo! Evitiamo, onde non perdere tempo prezioso, di raggiungere l’estrema punta nord-orientale, che si vede ad occhio nudo in lontananza, dove pare risiedano, tuttora, gli ultimi coloni danesi e anziché seguire la East End Road percorriamo la Strada numero 107 che si dipana a sud dell’abitato e, dopo numerosi saliscendi lungo la costa, termina in quello che sembra il più remoto lembo di terra di St. John.

Ci fermiamo in un parcheggio sterrato, dove sono già altre auto in sosta, e a piedi conquistiamo la solitaria Salt Pond Bay. L’insenatura, col mare calmo e trasparente, non è bordata dalle classiche palme ma da una bassa e rada vegetazione, che le fa perdere un po’ di sapore esotico, ciononostante non si può certo dire che sia brutta … tutt’altro: ci ritagliamo un pezzetto d’ombra nel quale lasciamo gli zaini e corriamo subito a goderci i classici, straordinari, bagni di acqua cristallina. Sul lato sinistro della baia pare anche si trovino alcune conformazioni coralline e, con Federico, vado in esplorazione … infatti qualcosa c’è, ma nulla di entusiasmante (col Mar Rosso negl’occhi del resto non è facile soddisfare le nostre esigenze, seppur consci dell’improponibile paragone in tema di fondali).

Il sole scotta e pranziamo rintanati alla base nel nostro alberello, poi, a piedi, mi avvio lungo il sentiero che costeggia il suggestivo stagno rossastro di Salt Pond e, attraversando un promontorio, arrivo al mare nell’agitata Drunk Bay. Consumo così dieci piacevoli minuti di passeggiata, immerso nella natura, durante i quali posso ammirare svariate specie di piante grasse, fra le quali spiccano numerosi esemplari di Cactus Intortus, particolarmente curiosi causa la grossa protuberanza rossa (sulla quale spuntano i fiori) che gli è valsa, nelle Antille Francesi, l’appellativo di “Cactus Testa d’Inglese” … prima d’ora li avevo infatti incontrati solo a Guadalupa, sull’isola de La Desirade.

Al ritorno, entusiasta, consiglio il breve trail anche a Sabrina e Federico che, con piacere, accolgono il suggerimento e a loro volta si avviano lungo il sentiero, mentre il sottoscritto cerca il giusto refrigerio in mare.

Giocando fra le trasparenti acque di Salt Pond Bay si fan quasi le 17:00 e dobbiamo andare: recuperiamo due noci di cocco (che apriremo nei prossimi giorni) in un boschetto di palme nei pressi di Coral Bay, attraversiamo nuovamente tutta l’isola percorrendo la Centerline Road, ci fermiamo a scattare una foto con la giusta luce sul Drake’s Channel dal punto panoramico detto Coral View e arriviamo a Cruz Bay in perfetto orario per salire sul ferry delle 18:00.

Col buio rientriamo al Carib Resort e per cena usciamo a Frenchtown (un sobborgo di Charlotte Amalie) dove ceniamo al Tuscan Grill, che offre una buona cucina … ma nulla a che fare con la sublime arte culinaria toscana. Chiudiamo così un’altra buona giornata di mare, con la certezza di aver trovato in St. John un piccolo paradiso a portata di mano.

Martedì 29 Marzo: Avuta la conferma dalla réception che giovedì mattina si andrà in escursione a Jost Van Dyke (e per questo si renderà necessaria una levataccia), partiamo per trascorrere una giornata in tutta tranquillità a St. Thomas.

Attraversiamo l’isola e ci rechiamo, nella costa settentrionale, al Coral World: un parco marino e tropicale.

Poco dopo le 9:00 siamo di fronte all’ingresso: paghiamo il biglietto e varchiamo il cancello. Subito, sulla nostra sinistra, incontriamo una vasca che ospita diversi squali di piccole dimensioni, poi, dopo la cosiddetta vasca tattile (nella quale si possono toccare alcuni abitanti del mare), entriamo in un padiglione che ospita diversi acquari, sui quali brevemente ci soffermiamo.

Quando usciamo una nuvola passeggera lascia cadere qualche innocua goccia di pioggia, mentre cominciamo a renderci conto della mediocre consistenza del parco … ma il piccolo, questo è l’importante, sembra apprezzare e, cartina alla mano, ci guida verso un’altra serie di acquari (per fortuna più belli dei primi).

Dopo il necessario lasso di tempo riemergiamo nuovamente all’aria aperta, con il sole che intanto è tornato a splendere alto in cielo, così seguiamo il “Tropical Nature Trail”, all’interno di una minuscola foresta tropicale (davvero poca cosa), e successivamente raggiungiamo l’attrazione principale del parco: l’Undersee Observatory. E’ un fabbricato costruito in mezzo al mare, a poche decine di metri dalla riva, che si raggiunge per mezzo di un pontile, dai cui piani inferiori si può osservare direttamente l’ambiente sottomarino della zona … un’esperienza tutto sommato originale. Ci sarebbe anche la possibilità di fare una sorta di trekking subacqueo con l’ausilio di un’attrezzatura, tipo palombaro, messa a disposizione dalla direzione del parco … e la cosa sarebbe piaciuta a Federico (e anche al sottoscritto), ma tutte le escursioni della giornata sono già prenotate e dobbiamo rinunciarci. Così in poco più di un’ora completiamo la visita del Coral World e subito dopo andiamo, come fan tutti, nell’attigua spiaggia di Coki Beach.

L’arenile, con sabbia bianchissima e acqua cristallina, è strepitoso, forse il più bello di St. Thomas, solo, causa la vicinanza con il parco, è un vero e proprio carnaio … sembra di essere in Sardegna in pieno agosto! Ci sistemiamo nella parte più lontana dal Coral World (lì si respira) e ci godiamo il fantastico mare. Andiamo anche in esplorazione con maschera e boccaglio: la fauna ittica è abbondante, un po’ meno quella corallina.

Pranziamo e passiamo anche tutto il pomeriggio a Coki Beach, dove, per la prima volta da quando siamo partiti, sentiamo pronunciare qualche parola di italiano, dalle labbra di quattro ragazzi sbarcati probabilmente da una crociera … infatti anche loro se ne vanno poco prima delle 16:00, quando la spiaggia in brevissimo tempo si spopola … allora sì che si sta bene, e ci godiamo letteralmente il luogo: noi non abbiamo fretta (non dobbiamo nemmeno prendere il traghetto) e resteremo sul posto fin quando la presenza del sole ce lo permetterà.

In completo relax consumiamo altri bagni in quel magico fluido, fino a sera, quando, dopo uno spauracchio per la presunta perdita di pinne e maschere (raccolte erroneamente da un locale prospiciente la spiaggia, che le affitta), chiudiamo la più che positiva giornata di mare e con calma facciamo rientro al Carib Resort.

Dopo esserci sistemati a dovere usciamo, come al solito, per cena e subito dopo rientriamo in hotel (del resto tutti i negozi sono chiusi e non c’è altro modo di passare la serata) … è preferibile riposare e poi alzarsi presto al mattino, così da riuscire a godere quanto più possibile della giornata che verrà (soprattutto se vissuta nella ben più tranquilla e selvaggia St. John).

Mercoledì 30 Marzo: Ritirati alla réception anche il luogo di partenza ed il mone della barca con cui faremo, domani, l’escursione ci avviamo in direzione di Red Hook. C’è parecchio traffico questa mattina e restiamo a lungo imbottigliati intorno a Charlotte Amalie, con il rischio di perdere il traghetto delle 9:00 … per fortuna poi recuperiamo nell’ultimo tratto di strada e giungiamo all’imbarcadero in tempo utile per salire sull’imbarcazione. Mezzora più tardi siamo a Cruz Bay e, con un cielo leggermente velato sulla testa, ci avviamo lungo la costa settentrionale di St. John. Oltrepassiamo il Caneel Bay Resort e dopo una serie di saliscendi giungiamo, dall’alto, in vista di Trunk Bay: una sublime striscia di sabbia bianchissima, bordata da una fitta vegetazione e bagnata da uno strepitoso mare turchino … a detta di molti la più bella spiaggia del mondo … peccato solo per il sole che, latitante, non ne accende a dovere gl’incredibili colori.

Scendiamo alla spiaggia e vi accediamo pagando i quattro dollari richiesti, perché l’arenile è sorvegliato e protetto. C’incamminiamo lungo il bagnasciuga verso la parte più lontana e presumibilmente meno affollata, bordeggiando il mare che, nonostante la mancanza di un sole splendente, sprigiona i suoi incantevoli riflessi, mentre una sfilata di verdeggianti palme si erge a naturale quinta sullo sfondo dell’accecante bagliore emanato dalla candida e soffice sabbia. Ci sistemiamo all’ombra di una scilla e corriamo a crogiolarci tra i flutti, con il cielo azzurro all’orizzonte che nel frattempo avanza … lentamente, ma avanza! Poco prima di mezzogiorno il sole vince la sua battaglia ed esce prepotentemente allo scoperto, così, in compagnia di Federico, mi avvio con tutto l’occorrente per fare snorkeling attorno all’isolotto prospiciente la spiaggia. Il fondale è sufficientemente ricco di pesci e vi si trova anche una sorta di percorso turistico, con tanto di cartelli descrittivi circa le varie specie ittiche e coralline presenti … una vera e propria … americanata! Quando torniamo da Sabrina la baia, con tutti i colori mirabilmente accesi dalla straripante luce del sole, è un vero e proprio spettacolo. Il piccolo, pimpante più che mai, accompagna la mamma a vedere la vita subacquea di Trunk Bay e poi ci godiamo idilliaci bagni fino a sera, quando, poco dopo le 17:00, dobbiamo lasciare la spiaggia per non rischiare di perdere il traghetto … Arrivederci bellissima Baia di Trunk, indiscusso paradiso tropicale, macchiato unicamente dalla presenza di troppi bagnanti … e oggi c’erano “solo” tre navi ancorate nei porti di St. Thomas e St. John.

Saliamo sul traghetto delle 18:00 e, mentre il sole si avvia al tramonto, salpiamo alla volta di Red Hook, dove sbarchiamo, naturalmente, mezzora più tardi.

Prima di tornare all’hotel ci fermiamo nella vicina Sapphire Beach Marina per cercare la New Horizon, l’imbarcazione con la quale domani mattina andremo in escursione. La troviamo: è un grosso motoscafo (avremmo preferito un catamarano, o comunque una barca a vela) e nei pressi troviamo anche un opuscolo pubblicitario con descritto l’itinerario … che, a quanto pare, non toccherà solo Jost Van Dyke, ma anche altre tre isole sparse fra le Vergini Britanniche … Acc…!!! Avevamo chiesto un’escursione a Jost Van Dyke e i piccoli cays (isolotti) che la circondano e ci ritroviamo con la prenotazione di una gita a larghissimo raggio, nella quale c’è materiale per un’altra vacanza! … E tutto questo in un solo giorno! … Non è un’escursione, è una gara di Off-shore! Ci pensiamo a lungo sulla via del rientro al Carib Resort e poi decidiamo di rinunciare alla giornata in barca … Prenderemo una scusa e andremo a Jost Van Dyke con il traghetto che salpa nel week-end da Red Hook. Solo Federico, che già sognava di cavalcare le onde, non sembra condividere molto la scelta, ma poi si convince … Anzi è felicissimo già qualche ora più tardi, quando per cena lo portiamo da Pizza Hut, il suo posto preferito.

Chiudiamo così una memorabile giornata, nella quale abbiamo avuto l’onore di passare indimenticabili momenti di vita balneare nella fantastica Trunk Bay … è difficile stabilire che un luogo sia o meno il più bello del mondo, ma in fatto di spiagge questa baia merita senz’altro le zone più alte di quell’ipotetica ed incerta graduatoria.

Giovedì 31 Marzo: Apro gli occhi ancor prima che suoni la sveglia e vedo passare l’ora della partenza prevista, dall’hotel, per l’escursione: inutile rimuginare, ormai così abbiamo deciso … Poco più tardi, quando scendiamo a far colazione, mi reco alla réception portando una banale giustificazione … certo, se solo avessimo parlato un po’ meglio l’inglese tutto questo, probabilmente, non sarebbe accaduto … e ripromettendoci, per l’ennesima volta, di studiare appena tornati a casa, possiamo dare il via anche a questa giornata, il cui programma è stato naturalmente rivoluzionato.

Memori dell’eccessivo affollamento che caratterizza quasi tutti i lidi di St. Thomas, ci dirigiamo anche oggi verso Red Hook e quindi verso St. John.

Mentre, a bordo del traghetto, navighiamo sul Pillsbury Sound, il braccio di mare che divide le due isole, notiamo all’orizzonte grossi nuvoloni carichi di pioggia: il vento, che ha cambiato la direzione da cui spira (brutto segno da queste parti), le sospinge inesorabilmente verso di noi e repentinamente cambiano le condizioni meteorologiche … Ci lasciamo sfuggire a tal proposito qualche imprecazione, ma subito ci ravvediamo: in escursione sarebbe stato, in effetti, molto peggio! Quando arriviamo a St. John tutto è nell’ombra, ma non ci perdiamo d’animo e andiamo nella vicina Hawknest Bay, situata fra Caneel e Trunk Bay, con la speranza che prima o poi torni il bel tempo … Apparentemente più poi che prima, infatti non è una buona giornata e, dopo l’iniziale illusione dovuta a qualche timido raggio di sole, peggiora ulteriormente … Comincia anche a piovere e ci rifugiamo sotto la fitta vegetazione, poi smette ma il grigiore continua a farla da padrone: che peccato, il posto sarebbe anche bello.

Ci approssimiamo a mezzogiorno mentre continua, sulla nostra testa, la sfilata di corpi nuvolosi e possiamo ritenerci fortunati perché su St. Thomas, che vediamo all’orizzonte, imperversa la pioggia ininterrottamente da parecchio tempo … Più ad est, invece, si notano ampi sprazzi di cielo sereno e dopo pranzo lasciamo Hawknest Bay, andando proprio in quella direzione, alla ricerca di un po’ di sole.

Oltrepassiamo Trunk Bay e Cinnamon Bay (che visiteremo nei prossimi giorni) e arriviamo in vista dell’ampia Maho Bay, che in lontananza fa un gran figurone. La spiaggia, come speravamo, è soleggiata ed il mare tranquillo, anche se non meraviglioso, ma dobbiamo accontentarci.

Ci godiamo alcuni bagni e qualche ora di sole, con il cielo che pian piano si ripulisce quasi completamente dalle nuvole. Il pomeriggio trascorre così in maniera dignitosa e ci consente di recuperare l’esito di una giornata non proprio positiva, che però riesce ad incupirsi nuovamente prima di sera, quando sulla via del ritorno all’hotel il cielo quasi si copre completamente, facendoci temere anche per l’indomani.

Usciamo per cena a Frenchtown e mangiamo finalmente buon pesce, mentre le stelle brillano alte in cielo, confermando l’estrema variabilità del tempo, che speriamo si ristabilisca al più presto.

Venerdì 1 Aprile: Splende il sole e, ormai innamorati di St. John, partiamo anche questa mattina in direzione di Red Hook … Rischiamo di essere monotoni ma, nell’arco della vacanza, contavamo di andare qualche volta anche sugl’isolotti intorno a St. Thomas, certi che vi fosse un servizio di barche … invece non c’è (a parte Water Island, che però non ci convince, causa la sua vicinanza con il porto), oppure non abbiamo trovato i canali giusti, perché questa disorganizzazione sembra alquanto strana … Comunque sia dobbiamo “accontentarci” e, come capita ormai quotidianamente, ci ritroviamo sul traghetto ad attraversare Pillsbury Sound, mentre, esattamente come ieri, appaiono puntuali all’orizzonte i primi grossi nuvoloni grigi … è una disdetta! Giunti a Cruz Bay ci avviamo lungo la strada costiera e in breve arriviamo a Cinnamon Bay, con il sole che, nascosto dietro alle nubi, ogni tanto fa capolino. Qualcosa è cambiato negl’ultimi due giorni, ora il vento soffia da nord-est e non più da sud-est … risultato: odiosa nuvolaglia e mare leggermente mosso, a scapito della trasparenza dell’acqua, che, comunque, quando filtra il sole mostra i suoi deliziosi riflessi verdazzurro.

Cinnamon Bay, ugualmente bella, sarebbe incantevole con le condizioni meteo ottimali … ci consoliamo guardando, in lontananza, St. Thomas, sulla quale imperversa senza tregua il maltempo, mentre qui almeno non piove e saltuariamente ci delizia pure della sua presenza un sole furtivo, che ci dà l’opportunità di consumare qualche gradevole bagno.

Pranziamo, ci concediamo una buona noce di cocco e lasciamo correre via il tempo, durante il quale vado anche in esplorazione con maschera e boccaglio sul vicino Cinnamon Cay: qualche pesce ed alcuni isolati coralli … un’esperienza senza infamia e senza lode.

Poco dopo le 16:00, finalmente, il disco solare esce completamente allo scoperto e scotta ancora sulla pelle. Ci godiamo così quasi un’ora di questa nuova, piacevole situazione e poi dobbiamo andare per non rischiare di perdere il traghetto … che invece parte più tardi del solito e finiamo per sbarcare a St. Thomas con l’oscurità totale.

Ceniamo alla Green House e subito dopo torniamo in camera perché domani mattina è prevista la sveglia in anticipo rispetto al solito, per andare a Jost Van Dyke … confidando, possibilmente, sulla clemenza del tempo.

Sabato 2 Aprile: Ore 6:30: suona la sveglia. Ancora assonnato mi alzo e vado a scostare le tende: i soliti grossi, indisponenti nuvoloni mi appaiono all’orizzonte. Torno fra le lenzuola a dormire un altro po’ … questa Jost Van Dyke non ne vuole proprio sapere di farsi vedere! Ci alziamo con calma e dopo colazione, ironia della sorte, il cielo si apre e vien fuori il bel tempo, con il vento che sembra sia tornato anche a spirare dalla parte giusta! Ovviamente, appurate ormai le caratteristiche e la qualità delle due isole, partiamo anche oggi per St. John, nonostante le lamentele del piccolo, che comincia a stancarsi dell’inevitabile traghetto. E’ sabato e manca parecchio traffico locale, così l’imbarcazione, che attende invano il pieno carico, parte in forte ritardo e arriviamo a Cruz Bay che son quasi le 10:00.

Seguiamo tutta la strada costiera e arriviamo alla Annaberg Plantation: luogo storico, dove si trovano le rovine, risalenti al primo Ottocento, del mulino, del magazzino e delle baracche in cui vivevano gli schiavi impegnati nella lavorazione della canna da zucchero. Il sito, in sé e per sé, non sarebbe nulla di eccezionale, se non fosse per la sua spettacolare posizione panoramica a dominare la vista sull’incantevole Leinster Bay, dagli incredibili colori ed infinite sfumature, che la fanno assomigliare ad un quadro di Van Gogh, ma balnearmente non praticabile causa il suo scarso livello d’acqua.

Ci godiamo un po’ il paesaggio e poi andiamo in spiaggia nella vicina Francis Bay, che non è bordata di palme ma è caratterizzata da un bellissimo mare azzurro e trasparente che pare una piscina … lì naturalmente piazziamo il nostro “campo base” e, tanto per cominciare, corriamo in acqua a consumare un interminabile bagno.

Le condizioni meteo, in barba ai nuvoloni del primo mattino, oggi sono quanto di meglio si possa desiderare ed il tempo vola, così dopo pranzo mi reco, con Federico, a percorrere un tratto del Francis Bay Trail, un sentiero che si dipana fra la vegetazione ed una laguna alle spalle della spiaggia. Niente di particolare, ma osserviamo le tane di alcuni grossi granchi di terra e impressionanti termitai sugl’alberi, poi il ronzio delle zanzare ci fa desistere dal cammino intrapreso.

Al ritorno ci dedichiamo allo snorkeling e andiamo in esplorazione sulla costa rocciosa a sinistra della baia: osserviamo un piccolo barracuda e mi ferisco leggermente ad una spalla urtando un corallo … solo un graffio, ma come al solito tarderà a rimarginare.

Il pomeriggio trascorre piacevolmente e si fa l’ora di lasciare Francis Bay in un batter d’occhio.

Riguadagniamo Cruz Bay e saliamo sul ferry che, semivuoto, arriva a St. Thomas col sole già sceso da tempo sotto la linea dell’orizzonte. Il Carib Resort, lo abbiamo ampiamente appurato, non si trova in una posizione felice rispetto ai punti di maggior interesse e vi giungiamo col buio completo … si fa sempre più tardi e finiamo di cenare che son quasi le 22:00 … poco importa, perché in alternativa non c’è altro da fare.

Dopo un paio di giorni non proprio speciali mettiamo così la parola fine su di un’ottima giornata … Molto meno buono è l’esito di questo 2 Aprile per Sua Santità, il Papa Giovanni Paolo II, che (lo apprendiamo dall’edizione straordinaria della CNN) è deceduto … pace all’anima sua … e buona notte a tutti noi.

Domenica 3 Aprile: La sveglia suona di nuovo alle 6:30: non filtra tanta luce attraverso gli spiragli delle tende. Mi alzo e guardo fuori della finestra: ci sono i soliti grossi nuvoloni all’orizzonte, ma, sfidando le avversità, decidiamo di andare lo stesso a Jost Van Dyke, perché questa è l’ultima possibilità che ci resta per farlo.

Con la speranza che il tempo migliori facciamo una striminzita colazione in camera (al Carib Resort non la servono prima delle 7:00) e ci avviamo in direzione di Red Hook. Venti minuti prima delle 8:00 giungiamo così nei pressi del porto, parcheggiamo l’auto e ci mettiamo alla ricerca dell’imbarcazione giusta: la troviamo, acquistiamo i biglietti e mentre ci apprestiamo a salire a bordo scoppia un violento temporale … la nostra fiducia resta però intatta, perché in lontananza risaltano, azzurri, ampi sprazzi di cielo sereno.

Prendiamo il largo e una manciata di minuti più tardi sbarchiamo a … St. John, con Federico preoccupatissimo di aver sbagliato barca. In parte, infatti, ha ragione, perché ci trasbordano su di un’altra e con quella, finalmente, partiamo alla volta di Jost Van Dyke. In poco più di mezzora attraversiamo quindi una invisibile linea di confine ed entriamo nelle British Virgin Islands, che, molto più numerose delle sorelle americane, sono politicamente una colonia della Corona Britannica. Noi ne visiteremo solo una, Jost Van Dyke, appunto (le altre, forse, in un altro viaggio). L’isola, che ha un’estensione di appena otto chilometri quadrati, deve il suo nome all’omonimo pirata olandese, che la occupò nel XVII secolo, ed ha una popolazione di appena 130 abitanti.

Quando arriviamo nel capoluogo, Great Harbour (che è tutto fuorché “great”), piove, ma continuiamo ad essere fiduciosi.

Espletate le modeste formalità doganali e messo piede a terra, incarichiamo un tassista di accompagnarci alla nota White Bay, in pratica l’unica spiaggia dell’isola. Imbocchiamo una strada, la sola asfaltata del posto, che si avventura lungo la costa con fortissime pendenze e giungiamo su di un’altura, col motore del fatiscente mezzo sul quale viaggiamo completamente imballato: l’autista, per nulla intimorito dalla situazione, ci fa notare lo spettacolare panorama sulla baia sottostante, che risalta, nonostante l’assenza del sole.

Scendiamo in “picchiata” su White Bay e quando mettiamo piede nell’arenile il disco solare lo inonda mirabilmente di luce. Ci sistemiamo sotto le palme e, infinitamente lontani dalla nostra vita quotidiana, ci godiamo letteralmente il luogo, quindi, prima di mezzogiorno, vado anche in esplorazione con maschera e boccaglio sul banco corallino al largo della spiaggia … è un vero e proprio paradiso: coralli cervello, a corna d’alce, gorgonie (coralli ventaglio) e miriadi di pesci di ogni forma e colore, sicuramente il miglior posto per lo snorkeling di tutto il viaggio. Mi trattengo a lungo fra queste meraviglie, poi torno a riva e accompagno Federico nello stesso posto, per farlo godere delle medesime emozioni.

Pranziamo mentre arriva, dopo aver già visitato altre tre isole, la New Horizon: si ferma mezzora (non di più) e subito riprende il largo … assurdo, non condividiamo affatto quel tipo di turismo “mordi e fuggi”! … Ma il tempo, purtroppo, vola anche per noi e ben presto arrivano le 14:30: l’ora prevista per il ritorno.

Dopo aver atteso con un po’ di apprensione l’arrivo del tassista col quale ci eravamo messi preventivamente d’accordo, torniamo al porto e pochi minuti dopo le 15:00 lasciamo Jost Van Dyke e la sua meravigliosa White Bay. Arriviamo nuovamente a St. John, dove dobbiamo espletare, questa volta, le formalità doganali di rientro negli Stati Uniti … non proprio formalità: il doganiere trova un cavillo e c’inchioda al bancone per una buona mezzora a riempire moduli (ma quante complicazioni inutili nei metodi americani e quanta poca elasticità mentale da parte dei doganieri!). Assieme a noi perde tempo anche la barca, con la conduttrice del natante che, per fortuna, interviene in nostro aiuto (almeno lei è stata gentile). Quando finalmente torniamo a bordo abbiamo gl’occhi di tutti i passeggeri puntati addosso e cerco di sdrammatizzare affermando a voce alta: «We are Italian terrorist!» … qualcuno capisce e accenna un sorriso, qualcun altro no, e partiamo in forte ritardo verso St. Thomas.

Sbarchiamo a Red Hook nel pomeriggio inoltrato e andiamo a goderci gl’ultimi raggi di sole a Coki Beach, ma non vi restiamo a lungo perché Sabrina, colpita da qualche giorno da un’enigmatica sfogazione cutanea o da un’infinità di fastidiose punture d’insetti (invisibili quanto famelici), ha l’impressione di venire assalita e, intimorita, preferisce far rientro in hotel.

Con calma possiamo così prepararci ad uscire per cena: il locale nel quale volevamo andare è chiuso e ripieghiamo sulla Green House, poi torniamo in camera a rammentare i numerosi aspetti positivi di una giornata che, per molti versi, è stata anche travagliata … ma la vacanza volge quasi al termine e, nella globalità, il suo scontato buon esito prevarica ormai qualsiasi isolato evento dalle sfumature meno brillanti.

Lunedì 4 Aprile: E’ l’ultimo giorno di vacanza nelle U.S. Virgin Islands e decidiamo di passarlo nella spiaggia indubbiamente più bella: Trunk Bay a St. John.

Più che mai abitudinari ci svegliamo, come al solito, in tempo utile per riuscire a prendere il traghetto in partenza alle 9:00 da Red Hook e già prima delle 10:00 siamo beatamente “polleggiati” all’estremità sud-occidentale dell’insenatura.

Il mare è un po’ più mosso della prima volta, a leggero scapito della trasparenza dell’acqua, ma è un po’ come cercare un difetto in Miss Mondo: Trunk Bay è uno spettacolo e i suoi colori sono impareggiabili … la sfilata di palme retrostante completa poi il mirabile quadretto tropicale. Completamente immersi in questo contesto ci godiamo spensieratamente la mattinata consumando innumerevoli bagni, poi con Federico, mi reco a terminare le foto subacquee … sempre sorvegliati dall’immancabile ranger che spicca, vestito di rosso, con la tavola da surf ed il cappello da cow-boy in testa, sull’azzurro del mare. Pranziamo e poi trascorriamo nell’ozio più completo anche tutto il pomeriggio: è inutile dire che si sta divinamente bene, fra l’altro le navi da crociera ancorate in porto oggi sono davvero poche e, di conseguenza, l’affollamento è gradevolmente scarso. Si fanno però anche le 17:00 e, con rincrescimento, dobbiamo lasciare il luogo: ciao … o meglio, arrivederci incantevole Trunk Bay.

Ci lasciamo alle spalle l’ennesimo pezzetto di cuore, mentre sull’arenile, nella calda luce del tardo pomeriggio, si sta consumando addirittura un matrimonio: un uomo, una donna, un sacerdote, un fotografo e due invitati … poco più in là, su di un tavolo, una piccola torta, due calici e una bottiglia di champagne … sono incredibili questi americani! Arriviamo a Cruz Bay e, sorseggiando una piña colada a bordo del traghetto, nell’attesa di salpare per l’ultima volta, ci apprestiamo a salutare anche St. John, probabilmente una delle isole più belle del Caribe.

Arriviamo a St. Thomas con l’oscurità e corriamo in hotel. Ci rassettiamo a dovere e ceniamo, per la gioia del piccolo, da Pizza Hut, poi torniamo in camera a sistemare le valigie, perché domani ci aspetta il lungo e faticoso viaggio di rientro in Italia.

Martedì 5 Aprile: Usciamo dalle lenzuola con meno fretta del solito: non c’è da prendere il traghetto per St. John, in compenso ci aspetta l’aereo che darà il via al nostro viaggio di ritorno nel Bel Paese.

Facciamo colazione e poi, con i teli, andiamo a goderci gli ultimi caldi raggi di sole caraibico sui bordi della piccola piscina del Best Western Carib Resort … le 10:00 però arrivano in fretta e dobbiamo tornare in camera per fare una doccia, uno spuntino e a chiudere le valigie.

Poco prima delle 11:00 saldiamo il conto, restituiamo le chiavi e lasciamo l’hotel, che ha svolto degnamente il suo ruolo, quindi, un minuto più tardi, ci presentiamo di fronte all’aeroporto internazionale Cyril E. King di St. Thomas.

Consegniamo l’auto a noleggio , la mitica Kia Rio, con la quale in due minuscole isole abbiamo percorso la bellezza di 375 miglia (600 chilometri) e ci mettiamo in fila per imbarcare i bagagli. Per fortuna (se è vero) ci spediscono le valigie direttamente a Bologna … e con questo peso in meno, memori dell’andata, cominciamo la nostra avventura.

Oltrepassiamo tutti i macchinosi controlli, compreso l’obbligo di assistere all’apertura e alla perquisizione di una delle nostre due valigie, e alla fine approdiamo da veri trionfatori nella sala delle partenze. Da qui, poco più tardi, attraverso la porta numero 3, saliamo a bordo del Boeing 757 dell’American Airlines, che, identificato come volo AA 412, alle 13:16, quasi in perfetto orario, spicca il volo con destinazione aeroporto JFK di New York.

Saliamo di quota e in breve St. Thomas è ai nostri piedi con, ben visibili, la baia di Charlotte Amalie e Water Island … poi solo mare e nuvole ovattate lungo la rotta.

Atterriamo al JFK alle 16:58 e scendiamo dall’aereo con l’incubo di riuscire a prendere, nella striminzita ora a nostra disposizione, il volo successivo per Bruxelles, così quando ci accorgiamo di essere sbarcati alla porta 48 (con i biglietti già in mano) e di doverci imbarcare, senza ulteriori controlli, alla 46, in un aeroporto grande come una città, non ci sembra vero e, increduli, chiediamo conferma al banco informazioni. Alla fine ci ritroviamo con tanto tempo in più a disposizione e troviamo anche il modo di spendere gli ultimi spiccioli di dollaro rimasti, poi saliamo sul volo AA 172 e dopo un’interminabile fila sulla pista per il decollo, con davanti a noi, in lontananza, lo sky-line dei grattacieli di Manhattan, il Boeing 767 dell’American Airlines si stacca da terra, virando subito in direzione dell’Europa.

E’ un peccato che le luci della sera abbiano già preso il sopravvento e i grattacieli siano ormai nell’oscurità, in compenso le calde tonalità del tramonto inondano magistralmente di colori la foce dell’Hudson River, che scorre sotto di noi.

Risaliamo la costa del New Jersey, disseminata ormai di tante piccole luci artificiali, poi ci lasciamo alle spalle l’America e prendiamo a sorvolare l’oceano … sincronizzo l’orologio sul fuso orario d’arrivo e in un attimo è … … Mercoledì 6 Aprile: Avanziamo nella notte atlantica e riusciamo a dormire anche un po’, poi comincia ad albeggiare.

E’ una mattinata piena di nuvole in Europa: cominciamo a scendere di quota ed entriamo nella fitta coltre bianca sotto di noi … Quando ne emergiamo appare la scacchiera della campagna belga e poco dopo, in leggero ritardo, alle 8:12 (ora locale ed italiana) atterriamo all’aeroporto di Bruxelles.

Fila via tutto liscio: troviamo il terminal e la porta giusta, così c’imbarchiamo anche sul volo SN 3123, un Avro RJ 100 (mai avevamo preso questo tipo di vettore), della Brussells Airlines (ex Sabena), che spicca il volo in perfetto orario per Bologna.

Saliamo nuovamente sopra alle nuvole, che poi pian piano si dissolvono, sorvoliamo le Alpi innevate (e fa impressione vedere tanto ghiaccio al ritorno dai tropici), poi cominciamo l’ultima discesa e tocchiamo terra all’aeroporto Marconi di Bologna alle 11:11, con largo anticipo sull’orario previsto.

Ritiriamo le valigie e siamo dunque noi a dover attendere l’arrivo dei nonni, che, come al solito, sono venuti a prenderci. L’attesa è breve e di lì a poco si presentano: li salutiamo e ci avviamo sulla via di casa parlando del più e del meno, ma soprattutto del viaggio e della scomparsa del Papa. Alle 12:30 siamo a Faenza e poco più tardi, alle 12:43, concludiamo felicemente anche questo viaggio.

Che cosa dire delle U.S. Virgin Islands, il “Caribe a stelle e strisce”: amiamo particolarmente quest’area geografica, così come gli States, ma l’unione delle due cose, forse, non è felicissima. In sostanza il metodo di vita americano, applicato a questi luoghi, ha un po’ sminuito e tolto sapore all’ambiente caraibico come noi lo intendiamo. Soprattutto St. Thomas è penalizzata, con i suoi immensi residence, i fast-food, i negozi duty-free, le colossali navi da crociera e l’inevitabile caos che da tutto questo ne deriva. St. John è un discorso a parte, più genuina, e per fortuna facilmente raggiungibile: grazie al suo Parco Nazionale, che la occupa quasi per intero, è un piccolo paradiso tropicale e da sola ha fatto sì che anche quello che si è appena concluso sia stato un meraviglioso viaggio.

 Dal 23 Marzo al 6 Aprile 2005



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