U.S.A.: Una Straordinaria Avventura nel West

Viaggio in U.S.A.: California, Nevada, Utah e Arizona – Davide e Alessandra, Val di Susa, Torino Altri itinerari pubblicati: LA VERA CRETA 2-16 settembre 2007 TAPPE -Los Angeles -Costa Pacifica e San Francisco -Yosemite Nat Park -Bodie Ghost Town -Death Valley -Las Vegas -Zion National Park -Bryce Canyon -Capitol Reef -Canyonlands...
Scritto da: Agenzia Cereale
u.s.a.: una straordinaria avventura nel west
Partenza il: 02/09/2007
Ritorno il: 16/09/2007
Viaggiatori: in coppia
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Viaggio in U.S.A.: California, Nevada, Utah e Arizona – Davide e Alessandra, Val di Susa, Torino Altri itinerari pubblicati: LA VERA CRETA 2-16 settembre 2007 TAPPE -Los Angeles -Costa Pacifica e San Francisco -Yosemite Nat Park -Bodie Ghost Town -Death Valley -Las Vegas -Zion National Park -Bryce Canyon -Capitol Reef -Canyonlands National Park -Arches National Park -Monument Valley -Antelope Canyon -Grand Canyon National Park -San Diego + Mexico -Los Angeles ———————————- Resoconto Dopo un anno passato a distanza, fatto di viaggi e di nostalgie, nasce la voglia di fare qualcosa di veramente diverso. Il mare sarebbe bello, ma fuori dal mediterraneo pare difficile trovare qualcosa di veramente affascinante, e quindi decidiamo che, nel caso si trovasse una occasione, si farà il viaggio della vita.

Comincia così la nostra avventura. A inizio luglio scopriamo della possibilita di raggiungere Los Angeles da Milano, nel mese di settembre, con circa 700 euro a testa a/r. u.S. Airways è la compagnia, e Philadelphia lo scalo designato. Prenotiamo il volo con ebookers.Ch, dato che, lavorando in Svizzera, è conveniente pagare in franchi.

In molti commenti si dice abbastanza male della U.S. Airways, ma noi abbiamo dovuto constatare un ottimo trattamento. Il pasto a bordo era, oserei dire, ottimo, con buona qualità del cibo. 1 giorno:Los Angeles Dopo 15 ore di traversata, nella quale purtroppo New York si riesce solo ad intravedere, arriviamo a L.A. Alle 5 del pomeriggio. Abbiamo prenotato dall’Italia un’auto con Expedia, una compatta. La compagnia è la Alamo, e lo dico non per farle pubblicità, quanto per rimarcare l’intenzione di truffarci.

Il bus della compagnia di rent-a-car ci porta alla agenzia suddetta, dove un messicano trapiantato ci accoglie. Già dai primi approcci si capisce che vuole a tutti i costi rifilarci qualche spesa extra, proponendoci auto di livello decisamente superiore e dicendo che con una compatta difficilmente si arriva fino in Utah. Dato, comunque, che la compatta negli USA equivale a una extra large in Europa, insistiamo che non ci serve un’auto superiore. Sfortunatamente, leggiamo in una riga minuscola nel contratto di prenotazione Expedia che, per ritirare la macchina, servirà la carta di credito del pilota designato. Io, essendomi da pochi giorni licenziato dalla Svizzera, ho perso la carta di credito nominativa, e solo il guidatore può dare la carta di credito. D’altronde, la Postepay no funziona assolutamente in USA. Alessandra ha una carta di credito, ma essendo a suo nome lei dovrebbe poi risultare il guidatore, cosa che comporta un sovrapprezzo di circa 200 dollari causa età sotto i 25 anni. In pratica, da quel momento quest’uomo ha cercato ogni stratagemma per scucirci 200 dollari, e noi sapevamo benissimo che ci sarebbe riuscito anche perchè non avevamo altro modo per ottenere un’auto. Alla fine, ci incastra sul fatto di non poter usare la carta di credito come garanzia e quindi ci fa sborsare 600 dollari di cauzione. Di questi 600 dollari, pero, ci dice che solo 400 verranno resi qllq riconsegna, perchè 200 confluiscono nella assicurazione aggiuntiva che, senza dirci, ci ha aggiunto. Riuscito nel suo intento, sembra felice e noi, sapendo di non avere scampo, accettiamo la becera truffetta. In cambio, ne ricaviamo pero un’auto di livello superiore, e capiamo che tutte queste manfrine erano legate al fatto che auto compatte non ce n’erano, e neppure economiche, e che quindi potevamo prendere solo un’auto di 2 livelli superiore. Si poteva scegliere tra barconi quattromilaedue di cilindrata lunghi 6 metri, pontiac e via dicendo, ma noi ripieghiamo su un vecchio amore mai sopito, una Chrisler PT cruiser.

Ditsrutti dal viaggio, cerchiamo l’albergo prenotato per la prima notte. È un discutibile travelodge hotel all’aereoporto, con camere in una specie di capannone e un quindi un caldo bestiale, sopito a malapena da un rumorosissimo condizionatore.

Andiamo a dormire alle 20.00 circa, con un sonno incredibile, e ci risvegliamo, come tutta la prima settimana, alle 4.30. Passiamo un’ora a capire dove siamo, poi partiamo per una mezza giornata a L.A. Alle 6 non c’è anima viva in giro, ma un’alba californiana ci accoglie piacevolmente. Passiamo quindi nei vari quartieri di Bel Air e Beverly Hills prima di andare alla Hollywood Boulevard, dove si trova la camminata delle star. La passeggiata è degna della periferia di Busto Arsizio, vale a dire: insignificante. Il pavimento è ognora rattoppatto, talora mancante, a volte le piastrelle di marmo con inciso il nome sono doppie (credo di aver letto Harrison Ford almeno 3 volte). Arrivati al centro di tale area, nella quale si staglia un monumento simil-cinese molto ben (ri)fatto, ci sono le famose impronte dei VIP: una serie di battuti di cemento portland, con le mani e i piedi di Nicholas Cage, Al Pacino, Stallone, eccetera. Fa un po’ impressione il fatto di mettere la mano in quella di Tony Montana di Scarface, ma tutto lì. La inaccessibile scritta Hollywood, sulla collina poco lontano, dona piacevoli sensazioni di deja-vu (tipo sigla di Willie il Principe di Bel-Air). Troppo poco, comunque, per rimanere piu di mezza giornata a L.A. Finiamo infatti il giro, passando per la downtown abbastanza suggestiva, e per chinatown, che ancora adesso mi chiedo dove fosse. Costa del Pacifico Dunque ci dirigiamo verso S. Monica e Malibu, dove un bagno a temperatura fresca ma sopportabile ci fa sentire come in Baywatch. Eccezionali le casette sull’oceano che riportano a Beverly Hills, quando Brenda e Kelly sorseggiavano un aperitivo con gli amici.

Una coda interminabile si pone ad ostacolo sul nostro cammino, che mira a raggiungere San Francisco in un giorno passando per la mitica “Autostrada 1”, che corre per un 200 km a strapiombo sul pacifico.

Arriviamo a Santa Barbara, e fa piacere vedere le case in stile Missione Spagnola, che sono state, chiaramente, recentemente ricostruite. Sulla costa è fantastico vedere, oltre agli strapiombi mozzafiato, l’incredibile alternarsi di nebbie e squarci di sereno, con il sole alle spalle, e un tramonto affascinante. Dopo diverse ore di viaggio arriviamo nella meta preposta, cioè Salinas, nella baia di Monterey. Un consiglio a chi affitta l’auto: i primi giorni è meglio prevedere tappe corte, perchè la stanchezza dovuta al jet-leg è disarmante… Infatti sono arrivato a Salinas alle 21 rischiando 4-5 volte il colpo di sonno. Anche qui avevamo prenotato un albergo super-economico, che pero si rivela molto confortevole a dispetto dei 27 dollari spesi a cranio. Spicca, tuttavia, la presenza di un cartello che rivela della presenza di scorie potenzialmente cancerogene nell’intera area, e la felicità per aver trovato un ottimo rifugio lascia il posto alle domande sul tipo di inquinamento presente nella zona. Comunque, ne usciamo riposati, anche se svegliandoci alle 4 dobbiamo passare le prime ore a guardare i telefilm americani tipo Bayside School. C’è da dire che in ogni hotel c’è sempre una scelta di canali tv invidiabile, e che a qualsiasi ora del giorno e della notte si trovano film molto belli e telefilm storici e ultime uscite. E’ proprio vero, allora, che la TV negli Stati Uniti è fantastica (beh, rispetto alla TV italiana, quale non lo sarebbe?).

2 giorno- San Francisco Il giorno seguente partenza alle 7 per San Francisco. Un po di traffico sulla autostrada, e scopriamo tardivamente di avere diritto a transitare nella corsia riservata ai gruppi (car pools). L’albergo (Hayes Valley Inn) è con bagno in comune ma pulitissimo, gestito da cinesi e in stile mandarino a prezzo ragionevole per San Francisco e nemmeno troppo lontano dal centro, sebbene in zona non troppo suggestiva.

Market Street è la via dei grattacieli e dei commerci, ma si rivela la via dei tossici che non importunano ma neanche riempiono di gioia. Al porto troviamo un’aria frizzantina e un sole timido, per essere a Settembre e tanta bellissima frutta da degustare e acquistare. Procediamo verso il Pier 39, trovando l’attracco dei mezzi per Alcatraz. Ci facciamo un pensierino, ma il costo della crociera (oltre 25 $) sembra sproporzionato per la distanza da compiere (l’isola è a circa 1000 m dalla costa, veramente vicina, tanto che con un buon obiettivo si potrebbero vedere i carcerati dalle finestre, se ci fossero!), e quindi alla fine non vi andremo (sebbene un po’ di rimpianto resti). Il Pier 39 è un molo turistico molto piacevole da visitare, con molti europei. Circa 50 leoni marini si danno battaglia per permanere sulle piattaforme in legno e suscitano l’ilarità della gente con i loro versi e le loro lotte.

La specialità gastronomica, il bread bowl, una gustosissima zuppa di cipolle e granchi versata dentro una biova scoperchiata e svuotata della mollica, è forse l’unico cibo made in USA che ci resta davvero nel cuore. Da qui parte il mitico Cable Car, il tram funicolare, ed è veramente piacevole assistere alla rotazione della vettura effettuata dal conducente grazie all’ausilio di un passeggero, su una piattaforma rotante in legno. Il mezzo è l’unico che sale sulle ripide colline della città, quelle per intenderci nelle quali sono ambientati i film (ultimo “Alla ricerca della felicità”). Il Golden Gate è veramente maestoso, ci andiamo il mattino seguente prima dell’alba, e prendiamo anche il Bay Bridge, scendendo alla prima isola (Treasure Island), da dove la notte si può godere di un meraviglioso panorama dello skyline. Durante il giorno visitiamo ancora Chinatown, che è veramente caratteristica (almeno 10 volte quella di Londra, per chi ci è andato).

3 giorno- Yosemite Molto soddisfatti della città, partiamo nel tardo pomeriggio alla volta del parco di Yosemite. Per la prima volta dobbiamo cercarci una sistemazione, e a tal scopo ci eravamo segnati a tavolino una destinazione plausibile, molto vicina al parco stesso: Big Oak Flat. Il problema, come ci succederà altre volte, è che sulla carta (un Atlas molto dettagliato) sono indicati anche i villaggi più sperduti, e la nostra meta si è rivelata una borgatella di 4 case senza uno straccio di Motel. Proseguiamo entrando già nella foresta di Yosemite, trovando un piccolo ma grazioso villaggio di Groveland. Il primo Hotel è sopra il budget di molto e ci demoralizziamo. Sono ormai le 21 e troviamo un motel davvero fatiscente, con casette tipo bungalows in legno, a un prezzo tutto sommato ragionevole. Accettiamo, a malincuore. Per fortuna Yosemite è a 30 km, e vi arriviamo di prima mattina, molto speranzosi. Acquistiamo la carta Annual Pass per i parchi nazionali degli USA, che copre per soli 80$ il veicolo, e una intera famiglia (fino a 5 adulti e numero illimitato di bambini sotto i 10 anni). Avvistiamo il primo orso della nostra vita (due orsetti, in verità), e qualche cervo-mulo. Purtroppo, la cascata Yosemite, la più alta del Nord America, è completamente secca. La cascata velo di sposa, invece, ha un filo d’acqua ed è molto suggestiva e silenziosa. Il resto del parco non ci emoziona più di tanto, abituati alle montagne come siamo. Un po’ delusi, prendiamo la via di uscita del parco in direzione est. Bodie, la città fantasma Se c’era tempo, ci eravamo ripromessi di passare dalla città fantasma più grande di California, segnalataci da due amici. La deviazione è di circa 40 km, costeggiando il Mono Lake, un ex lago vulcanico ridotto, grazie alla sete d’acqua di Los Angeles, a un salmastro acquitrino, in uno spettacolo desolante quanto interessante, con guglie di calcare emergenti dalle acque. Bodie si raggiunge con una strada di montagna, i cui ultimi 3 km sono in sterrato pessimo. Il villaggio è visitabile a pagamento (3 $), ma ne vale completamente la pena. Le case sono in perfetto stato di conservazione, e acquistando la brochure si ha la mappa con le informazioni su ogni edificio, veramente molto interessante. Il paese è sorto a metà dell’ 800 nel pieno della febbre dell’oro, e una grande miniera era prospicente al villaggio. In quegli anni la ricchezza data dall’oro ivi trovato ha fatto sviluppare in modo impressionante il villaggio, posto a oltre 3000 m di quota e, a quanto si dice, veramente glaciale in inverno. Il villaggio fu in seguito abbandonato nel 1930 una volta esaurito il filone aurifero. La vecchia miniera è visitabile con guida. L’atmosfera desolata mette un po’ paura, e non osiamo restarvi una volta calato il sole…Una visita alla città è secondo noi strettamente consigliata, se non altro per sentirsi un po’ a casa quando si vede in TV un western degli anni 30.

Riprendiamo la rotta verso Sud, avevamo previsto sosta a Lone Pine, ma troviamo a Bishop un ottimo Motel 6 e così ci fermiamo circa 50 km prima. Cena in un buon ristorante messicano e il giorno dopo partenza per la valle della Morte.

4 giorno- Death Valley La strada per raggiungere la valle della Morte da ovest rende più che mai l’idea di ciò che si affronterà: due catene montuose separano la civiltà da questa landa desolata. Alle 9 circa siamo già dentro la valle, e i 35°C lasciano presagire una calda giornata. Il primo punto d’interesse sono le dune del deserto, un’area di 36 kmq ricoperta da dune tipo Sahara, e la cosa strana è che sono come nate dal nulla, nel senso che tutto intorno il paesaggio è completamente differente. Entusiasmante. Proseguiamo per le miniere di Borace, dove una colonia di cinesi già nei primi del 900 era stata assoldata per lavorare 18 ore al giorno in questa “amena” vallecola. Furnace Creek –un nome un programma- è il campo base, con un interessante (e climatizzato) museo. Alle 10 raggiungiamo i 39°C. Ci dirigiamo verso lo Zabriskie point, che è male indicato (basta tuttavia svoltare a sinistra, come per uscire dalla valle, quando si arriva al resort, e salire per circa 3 km). La vista è assolutamente disarmante, degna di un paesaggio marziano. In seguito andiamo verso il Golden Canyon (nulla di particolarmente entusiasmante, forse sarebbe stato altra cosa visto al tramonto), e poi verso l’Artist’s Palette (tavolozza dell’artista), dove i colori delle rocce sono incredibili, spaziando dal verde al porpora al giallo all’azzurro. Una visita a Badwater, il punto più depresso del contintente americano, con suoi 85,5 m sotto il livello del mare e i 48°C a mezzogiorno. L’ultima visita, purtroppo fallita, al natural Arch, dove una folata di oltre 50°C ci fa desistere prima di giungere all’arco. Ne vedremo poi nei giorni successivi a volontà.

Infine, una volta risaliti verso est uscendo dalla valle, una sosta a Dante’s view (deviazione di circa 13 km) per ammirare la distesa di sale della valle della Morte da una quota di circa 2000 m, con i vantaggi termici che ne conseguono (circa 32°C, decisamente sopportabili). Usciamo dalla valle veramente impressionati, ma al contempo distrutti per gli sbalzi termici subiti. Da ripetere magari in Gennaio… Dietro le montagne, subito il Nevada.

Las Vegas Il Nevada è nullo. Solo deserto e sale da gioco. Il paese di Pahrump è una buffonata: solo Gambling Casino e case mobili su ruote!!! Meglio soprassedere, dirigendosi verso Las Vegas. Sapevamo a cosa andavamo incontro, e non restiamo delusi: il trash allo stato puro. La Strip è deserta nel pomeriggio, visti i 40°C costanti, il nostro hotel, Circus Circus, è all’estremo nord della stessa. L’hotel consta di 5 dependences e un LUNA PARK COPERTO!!! Si, proprio così: una cupola in vetro nasconde un Gardaland in miniatura, dove tutto è concentrato. Un po’ superficialmente, vengo convinto o raggirato da Alessandra a salire sulle montagne russe. Penso che siano le più impressionanti del mondo: in circa 30 secondi, due giri della morte, continue minacce di schiantarsi contro i vetri della cupola, e velocità mostruose. Da evitare per i deboli di cuore.

La camera d’albergo, sebbene costasse poco (prenotata dall’Italia), era stata pulita solo superficialmente: alle lenzuola pulite facevano da contrasto il paio di slip leopardati femminili trovati sul copriletto… Di Las Vegas ci resterà impresso il gran caldo all’esterno, e il suono alienante che, prodotto dalle stesse slot machines, provoca una sensazione onirica o forse ipnotica indimenticabile. Estremamente belli, tra gli hotel, il Venetian (complimenti per essere riusciti a replicare, migliorandoli, alcuni angoli di Venezia), e Parigi, laddove spicca la Tour Eiffel in scala 1:2 e l’Arc de Triomphe. Dentro il Planet Hollywood, una passeggiata tra i negozi arabeggianti, con il cielo azzurro anche di notte (la volta è stata dipinta, nuvole comprese), mentre i grattacieli di New York New York hanno sapore di fittizio. Di Las Vegas resterà anche l’idea dell’unica città USA dove si esce la sera per le strade, laddove si trovano modelli, puttane, cravattari, DJ e riccastri in limousine. Per il resto è una bufala, comprese le coppie che escono raggianti dalle Wedding Chapel collocate giusto dopo la ennesima Slot Machine. Comunque va vista.

5 giorno- Zion National Park Il mattino dopo, recuperato finalmente il fuso orario grazie alla notte brava di Las Vegas, dopo una visita all’outlet (comprate tutto quello che potete: prezzi irrisori per Levi s, Lacoste, Nike…) ci dirigiamo verso lo Utah, passando per un tratto in Arizona. Lo spettacolo del paesaggio cambia radicalmente, dal deserto al rosso delle rocce. In quel tratto, davvero, si prova per la prima volta l’emozione di essere in una meraviglia del mondo. Il pranzo in una steakhouse a St. George è squisito. Il primo parco da visitare è Zion, consigliato da un amico iraniano e ottimo avamposto per iniziare ad entrare nell’ottica di ciò che ci aspetta senza però cambi troppo radicali: infatti, è collocato a una certa quota, cosa che implica una vegetazione folta, che stride con il rosso delle rocce, ma da ancora idea di essere sulla terra. Qualche breve escursione anche grazie ai preziosi consigli della guida in perfetto italiano donataci dal ranger, e in un pomeriggio visitiamo la gran parte delle bellezze del parco, compresi i giardini pensili e le cascate. La sera alloggiamo a Cedar City, in un motel super 8 dotato di piscina interna. E’ un po’ piu caro del motel 6, ma offre una lauta colazione e sembra più confortevole.

6 giorno – Bryce Canyon Il giorno dopo partiamo per il Bryce Canyon. Lungo la strada ci imbattiamo nel piccolo ma spettacolare Red Canyon, dove ammiriamo alcuni degli angoli naturali più surreali della nostra vita, con contrasti inimmaginabili tra arbusti verde smeraldo, rocce rosso scarlatto e cielo blu cobalto. Sapevamo che il Bryce Canyon fosse uno dei posti più impressionanti, e non ci delude affatto. Prima di tutto, la grande organizzazione del parco (navette gratuite, carte dettagliate e museo interno con sala di proiezione), come del resto abbiamo visto in Zion e vedremo in quasi tutti i parchi. Il parco è in effetti semplicemente costituito da una serie di punti di vista su questa valle composta da migliaia e migliaia di guglie rossastre, davvero impressionante, soprattutto al tramonto e all’alba (purtroppo per noi). La valle fu abitata, tra i primi, dai malfattori che svaligiavano le banche dello Utah, i quali trovavano un luogo sicuro ove non farsi trovare. Tra l’altro, il primo abitante ufficiale della zona, dedito all’agricoltura e alla pastorizia, ammise che il canyon era di fatto “il posto più facile dove perdere una mucca”… Come dargli torto! Tutto il giorno a ammirare il paesaggio di punto in punto, senza stancarsi, in una giornata di cielo coperto e di pioggia. Mangiamo una zuppa all’interno del parco, entrando davvero nell’ottica della vacanza nei grandi parchi americani. Vediamo anche il cane della prateria, un roditore ormai quasi estinto ma veramente simpatico. Capitol Reef Un lungo percorso ci aspetta prima di arrivare negli altri parchi dello Utah, e la via più conveniente ci fa transitare per un parco nazionale poco citato nelle guide, il Capitol Reef. Così chiamato perchè ha il colore della barriera corallina, e perchè la struttura è maestosa come la Casa Bianca, resta il paesaggio più incredibile mai visto nella nostra vita. Forse il fatto di arrivarvi verso le 19, quindi al tramonto, con i colori rossi che si accendono di una luce ancor più particolare, ma l’impressione è stata di aver goduto della vista di una delle meraviglie più incredibili della Terra. Assolutamente consigliato il transito per tale zona al tramonto, e d’altra parte è anche la strada più comoda passando dal Bryce Canyon a Arches National Park. Assolutamente inedito il frutteto a ingresso libero, dal nome “Pick me”, dove ognuno può servirsi di mele e altra frutta pesando la stessa e pagando il corrispettivo nella cassetta, completamente incustodita, lasciata al di fuori del recinto. Cala la sera e ci dirigiamo verso nord, trovando il villaggio di Green River, dove un motel 8 ci ospita.

7 giorno- Canyonlands & Arches Il settimo giorno Dio creò il Gran Canyon… La mattina dopo circa un’ora di marcia arriviamo, senza troppa convinzione, nel parco di Canyonlands, indicato dalla guida ma senza troppa enfasi. In pratica, è un punto di vista sul Grand Canyon da Nord. Spesso tale viewpoint è chiuso per neve, ed infatti il posto non si rivela molto turistico. Per contro, il panorama che si gode è indimenticabile e presto si dimostrerà anche superiore ai panorami visibili da Sud… La grandiosità dell’incisione del Colorado e del Green River è incredibile. Inoltre, seguiamo una lezione da parte di un simpatico Ranger in pensione, sull’importanza dei licheni sulla conservazione di paesaggio flora e fauna, per la loro capacità di trattenere l’umidità ed impedire l’erosione. Molto soddisfatti dal parco, passando per una serie di torri di arenaria che già introducono al paesaggio della Monument Valley, dopo un lauto pranzo a Moab (deludente città stile indiana-western scenario di numerosi film), ci inoltriamo nel Parco Nazionale di Arches, laddove si possono ammirare oltre 280 archi naturali di roccia. Consci del fatto che tutti e 280 sarebbero impossibili da visitare, ci dedichiamo alla scelta dei più importanti e significativi: North and South windows, Double Arch, Landscape Arch (il quale resisterà solo per pochi anni ancora ed è il più grande arco naturale del parco, con 88 m di arcata). La sera si appresta ad arrivare e ci è stato consigliato di vedere il Delicate Arch, simbolo dell’intero Utah, al tramonto. Il percorso, ripido e faticoso, è di circa 60 minuti a passo svelto… Arriviamo in cima stravolti, ma in tempo per assistere a uno spettacolo grandioso: l’arco cambia gradualmente di colore, fino a raggiungere un arancio acceso… Centinaia di persone lo circondano con apparecchi foto e vediamo anche parecchia gente nel fondovalle per ammirarlo… E’ un arco enorme, alto circa 40 m e largo 80. Sicuramente avrà, a suo tempo, rivestito una enorme importanza religiosa per gli indigeni, dal momento che risulta impossibile all’occhio che la natura abbia potuto generare un’opera simile.

Ritornando per il sentiero, facciamo un’ultima deviazione, quando ormai è l’imbrunire, per visitare una grotta dove gli indigeni hanno scolpito dei petroglifi con scene di caccia e di allevamento… Un ritorno alla preistoria veramente affascinante! Tuttavia, i petroglifi sono datati 1800, dato che raffigurano cavalli mentre questi sono stati introdotti dagli spagnoli dopo la scoperta dell’america. Ma, considerando che la scrittura non era patrimonio degli indiani, e che la preistoria è definita come era precedente alla scrittura, essa è a tutti gli effetti preistoria! Ripartiamo che ormai è notte, mangiamo una gustosa pizza da Pizza Hut a Moab, e ci dirigiamo verso sud… L’indomani ci tocca la Monument Valley! L’entusiasmo è alle stelle, e troviamo anche un motel in tempi brevi a Monticello, sebbene non strepitoso. Ma è economico e sulla strada…

8° giorno – Monument Valley Da Monticello, circa 1h30 di auto e siamo nella storia del cinema, e non solo: la Monument Valley. Una sosta nel punto panoramico Monument Pass (il punto dove la dritta strada entra nella valle, presente su tutti i libri della Monument Valley e dell’Arizona) e, dopo un pranzo a base di frutta e fajitas indiane, e dopo aver pagato un onesto biglietto di ingresso ai Navajos della riserva, ecco che lo spettacolo più bello di tutta la vacanza ci si prospetta davanti: le tre torri in arenaria che compongono la Monument Valley, dal vivo, con una giornata di sole e di nuvolette molto in stile indiano. Uno spettacolo maestoso, indimenticabile, un luogo che da solo merita il “mazzo” fatto e i soldi spesi. Il percorso interno al parco è su uno sterrato a detta degli indiani impraticabile con mezzo proprio, ma impariamo che gli indiani sono un po’ troppo di parte, soprattutto quando c’è da ricavarci qualche dollaro… Infatti loro propongono il tour con fuoristrada scassato a “soli” 40 euro. Data la mia abitudine allo sterrato, e alla nostra riluttanza ai viaggi organizzati, di qualsiasi durata e dimensione essi siano, decidiamo di prendere la nostra Chrysler. Il diavolo non è poi così brutto come lo si dipinge, ed infatti il percorso non è poi molto differente dai nostri sterrati di montagna. Pare che gli indiani col fuoristrada fingano di impantanarsi nella sabbia e facciano spingere i turisti… Ci siamo risparmiati anche questa buffonata…

Nel percorso si vedono molte altre bellezze naturali, e molti chioschetti navajos con i soliti paraculi indiani. Alessandra svaligia una intera bancarella, felice per l’inaspettata mercanzia presente. Prezzi comunque non da riserva indiana, ma piuttosto da mercatini di Natale.

Il John Ford point, dove il regista traeva ispirazione per i propri film con John Wayne, è molto suggestivo, ma anche solo fermandosi alla balconata presente al visitor center, appena entrati, si gode appieno delle bellezze naturali presenti. Provare per credere. Le tre torri che, nel pomeriggio, si accendono e si spengono alternatamente grazie all’ombra generate dalle nuvole è qualcosa che resta nel cuore!!! Il cartello “sand storms” ci aveva inizialmente lasciato indifferenti, fino a quando nel tardo pomeriggio, la tempesta di sabbia si scatena contro la Monument Valley… La fuga è la sola soluzione, anche perchè gli indiani hanno ritmi piuttosto svizzeri e alle 1630 il visitor center chiude i battenti! Fuggendo, ci godiamo il breve ma intenso temporale dall’auto, e ci dirigiamo verso Page, convinti di trovarvi rifugio.

L’obiettivo è infatti di andare a vedere il Grand Canyon il giorno seguente, e Page risultava essere l’unica città presente. Al confine Utah-Arizona, ed all’estremo ovest della regione Navajo (grande come il Nord Italia e completamente disabitata se non da pochi indiani nomadi!!!!), Page ha veramente strane peculiarità: la si vede da 50 km, grazie a uno scintillio, che poi si scopre essere una centrale Navajo a carbone, un vero eco-mostro con tre ciminiere in cemento alte 50 m. Inoltre è proprio affacciata sul Lake Powell, cioè nel Grand Canyon. L’unico ponte nel raggio di centinaia di km che attraversi il gran canyon passa sul coronamento della diga che individua il lago stesso. Arrivandoci di notte, la città fa veramente paura… Ad aggravare la nostra posizione, scopriamo che non esiste un solo posto letto in tutta la città, anche i motel sono prenotati mesi prima e quindi siamo abbandonati a noi stessi. La scelta è di tornare in Utah o scendere in Arizona verso Flagstaff, che dista oltre 100 miglia. Proviamo entrambe le vie: la prima in Utah, non trovando nulla nell’unica città a portata decidiamo di non allontanarci troppo dalle mete previste e quindi ritorniamo a sud, dove fino a Flagstaff non si scorge l’ombra di un motel libero. All’una di notte, dopo rischi incredibili di colpi di sonno, finalmente arriviamo nella città storica e, al primo motel (un super 8), ci trasciniamo in camera, l’unica rimasta, disgraziatamente per fumatori…

A Flagstaff, tra l’altro, bisogna fare attenzione alla posizione scelta: la ferrovia è ancora a vapore e il treno, chissà per quale motivo, fischia ogni 4 secondi. Considerando inoltre che circola un treno ogni 5 minuti, anche di notte, è assolutamente necessario, per fare sonni tranquilli, trovare un hotel distante dalla ferrovia stessa, al contrario di ciò che abbiam fatto noi. Ma bella grazia che abbiam trovato un rifugio! In Arizona, attenzione all’ora: sebbene sia nel fuso orario dello Utah (cioè 8 ore indietro rispetto a noi), in estate essi non adottano l’ora solare, e quindi l’ora è la stessa della California. Attenzione, quindi, a dare appuntamenti il giorno in cui entrate in Arizona e non avete regolato gli orologi, tantopiù che la TV non aiuta dato che le reti trasmettono in diversi fusi contemporaneamente…

9° giorno- Antelope Canyon La mattina ci ridirigiamo nella riserva Navajo, a Page, per apprezzare un’altra meraviglia indiana, sebbene molto costosa: Antelope Canyon. Paghiamo sia il parcheggio sia la guida che ci porta con una 4×4 di fronte all’inresso dell’Upper Antelope Canyon, il più visitato e più suggestivo dei due. Il momento ideale per visitarlo è a mezzogiorno quando la luce del sole è alta nel cielo e penetra nelle rocce del canyon creando un gioco di luce meraviglioso. La guida Navajo, per motivare la ingente spesa sostenuta, inizia a mostrarci figure animali e di paesaggi create dal semplice gioco di luci ed ombre e di riflessi prodotti sulle rocce di arenaria scolpite e levigate dalle piene improvvise che colmano il canyon. Alcune figure, come l’orso, il coyote e il tramonto indiano, si vedono veramente e sono molto suggestive. Dopo circa 20 minuti raggiungiamo l’altro capo del canyon e poi, il ritorno, in circa 1 h si visita molto bene il canyon e resta il tempo per le foto. L’impressione è quella di essere dentro una conchiglia. Gli indiani, come al solito un po’ paraculi, pur di farti vedere le figure mitiche della storia indiana si prestano a effettuare le foto al posto tuo. Imperdibile il vecchietto con la macchina foto compatta che, a differenza di tutti gli altri, non fa una sola foto guardabile, facendo solo scatti o troppo scuri o troppo mossi. Gli altri fotografi invece, escono tutti soddisfatti dal canyon, che si rivela ancor più bello in foto che dal vivo. Esserci entrati, sia per il costo che per la bellezza del luogo, è un lusso che in pochi si sono potuti permettere, c’è quindi da esserne estremamente orgogliosi e soddisfatti.

Visita fugace al Lake Powell, grazie all’annual Pass, ma esso si rivela nient’altro che un molo da VIP dove partire per una regata nel grand Canyon. In auto rende poco o nulla.

Tornando a Flagstaff, dove, pur insoddisfatti, abbiamo preferito pernottare un’altra notte al Super8, facciamo due piccole deviazioni: la prima ci consente di vedere delle impronte originali di dinosauro perfettamente conservate (e di dare 5 dollari all’ennesima donna indiana che si è offerta di guidarci, e che molto maccheronicamente, per mostrarcele vi versava dentro acqua con una borraccia); la seconda è per andare a vedere il tramonto al Grand Canyon, in uno dei punti di vista più defilati dello stesso, ma tra i migliori: desert view.

La sera, una bistecca da Outback (non tra le migliori) pagata profumatamente, è il solo neo della fantastica giornata.

10° giorno – Grand Canyon Avevamo ricevuto qualche avvisaglia che non si sarebbe trattato di nulla di sconvolgente, rispetto a quanto già visto, dagli italiani incontrati a Yosemite, di ritorno da un itinerario opposto al nostro. In effetti, rispetto agli altri parchi, non risalta. Anzi, sembra che l’ente parco creda che il canyon risplenda di luce propria e quindi la gente non si preoccupi delle mancanze riscontrate. Invece, bisogna dire che per qualità del servizio offerto, esso è nettamente inferiore a Bryce Canyon e molti altri parchi. Il panorama da Grand Canyon Village è spettacolare, sebbene l’ora del giorno non sia ideale (il sole è già alto e smorza i toni) e una foschia leggera perturbi la visuale. Il parco è dotato di servizio navetta, con tre diversi bus che servono le diverse zone. La navetta più ad est è ben servita, ma i punti di vista sono piuttosto monotoni (in linea di massima uguali al primo)… La navetta ad ovest, invece, porta ai punti di vista più belli ma è estremamente mal servita, con pochissime navette e moltissima gente in attesa, e considerando che non permettono alla gente di stare in piedi, siamo rimasti veramente delusi dal servizio. Il visitor center è poco interessante, e il cinema 3d, peraltro a pagamento, è decentrato dallo stesso. Detto ciò, abbiam fatto qualche foto e siamo andati via, decisamente delusi dal parco che doveva essere il più bello. A dire il vero le foto risultano, viste a posteriori, davvero entusiasmanti. Nel pomeriggio una visita alla Route 66 a Williams (gli hamburger migliori del viaggio nel Grill bar Route 66), con acquisto di souvenir, e nella serata, rotta verso il sud dell’Arizona, passando per Sedona, città rossa circondata da rocce rosse. La sera, rimaniamo impressionati dalla enormità di Phoenix (circa 50 km x 50 l’area industriale) e dal calore esterno (40°C alle 21), e vediamo i primi (e ultimi) cactus giganti. Ci fermiamo a dormire in un Travelodge pieno di scarrafoni del deserto a Gila Bend, al confine col deserto di Sonora. Col senno di poi, un giorno nel deserto si poteva ricavare, ma date le attese da S. Diego non ci soffermiamo nella zona.

11°giorno- S. Diego e Messico Il mattino seguente, partenza alle 8 dopo una disgustosa colazione al Travelodge, rotta verso S. Diego. Conservavo molte aspettative su Yuma, cercando di vedere il famoso “Treno per Yuma”. Non ho visto nè il treno nè la città, ma solo una landa desolata circondata da carceri, probabilmente piene di messicani. Abbiamo il tempo di ridere sulla presenza di due paesi attigui al confine USA-Messico, dai nomi molto fantasiosi: Mexicali e Calexico!!! Superata la catena montuosa dietro la costa del Pacifico, ecco che il deserto lascia spazio alla costiera, molto verde e molto temperata della California del Sud. Pranzo al messicano ad Alpine, un paesino di montagna a est di Los Angeles, e rotta verso S. Diego, con l’idea un po’ incosciente di entrare in Messico… Così posteggiamo a San Ysidro e a piedi ci dirigiamo verso il confine. Nessun controllo, e molta paura attraversando i tornelli senza ritorno, e ci addentriamo per la prima volta nella vita in Messico. Tijuana è una città di 1,5 milioni di abitanti. Impressionante la quantità di farmacie che vendono viagra e ogni altro tipo di farmaco a prezzi irrisori, ma rimarrà impressa l’olezzo fastidioso delle merci esposte al mercato e le api che si cibavano del chorizo venduto dai mercatari… Un’altra cosa che rimarrà per sempre impressa nei ricordi è la sensazione di insicurezza che la città fornisce al turista sprovveduto, e l’aggressività dei mendicanti. Ritorniamo, dopo aver acquistato due souvenir, alla frontiera, dove il controllo è decisamente più capillare, ma passiamo indenni. Il tardo pomeriggio è consacrato allo shopping nell’enorme outlet costruito per evitare la fuga di capitale in Messico. La serata la passiamo a S. Diego, che si rivela essere un emerito pacco, e quindi ci dirigiamo verso Nord, per tornare a L.A.. Purtroppo, facciamo molta fatica a trovare un motel per l’ultima notte, e alla fine ripieghiamo su un caro ma ottimo “Quality Inn Hotel” in una graziosa cittadina storica, Temecula.

12° giorno – Temecula e L.A.

L’ultimo giorno visitiamo la carina Temecula nella mattina, e verso le 11 partiamo per L.A., dove alle 4 di mattina dobbiamo essere all’aeroporto. Non vale la pena di trovare una camera d’albergo, e quindi passeremo una notte all’addiaccio all’aeroporto. a l.A. Cerchiamo di entrare agli Universal Studios, ma siamo bloccati prima da una coda di circa 2 ore, e poi dall’orario di chiusura, che la domenica è alle 18. I parcheggiatori ci sconsigliano di comprare i biglietti (60-70$ a cranio) per due ore di visita. Così, un po’ delusi, torniamo a L.A. E, dopo un’altra coda, ci ritroviamo a Venice Beach. Una delusione assoluta, abbiamo riscontrato la stessa gente e la stessa puzza trovata in Messico… L’ultima serata è trascorsa in un altro outlet, e finita in uno Starbucks cafè, poi direzione aeroporto, dove rendiamo la macchina e aspettiamo il volo. Un volo piacevole, ma estremamente lungo, ci riporta, distrutti, a Malpensa. Mi raccomando di non cambiare i dollari residui al change interno all’aeroporto, perchè il tasso di cambio è davvero da usuraio. Dopo circa una settimana dedicata a recuperare il fuso orario, torniamo alla normalità, molto stanchi, ma decisamente soddisfatti dalla visita a un posto mitico sotto tanti punti di vista.

Consigli finali 1. Comprare la carta telefonica Columbus di Telecom in Italia, basta per tutta la vacanza.

2. Attenzione alle carte di credito: la postepay non ha alcun valore e per qualsiasi problema la carta di credito è l’unica salvezza.

3. Evitare sempre e comunque i fast food: il migliore (sembra incredibile) è McDonald’s, molto indietro il Burger King. Assolutamente da non entrare nei vari KFC, Wendy’s, Jack in the Box, Denny’s eccetera. Forse si salva Subway, ma non lo abbiamo provato. In caso di fame, cercare un hamburger in una steakhouse o una bistecca, sennò una pizza, che in generale è molto buona. Altrimenti c’è il messicano, che, sebbene sugnoso, si rivela piacevole il più delle volte. Purtroppo il kebab quasi non esiste.

4. Prenotare dall’Italia gli hotel nelle grandi città, a Las Vegas se si va nel weekend (da evitare comunque per i prezzi elevati), e soprattutto nei dintorni della riserva Navajo, notoriamente a Page. 5. Attenzione ai fusi orari, che cambiano stato per stato.

6. Attenzione a non farsi gabbare dalla Alamo rent a car.

7. Jet leg: se riuscite, cercate di non dormire fino al sopraggiungere della notte in america, e anche al rientro in Europa. Noi non ci siamo riusciti.

8. Se si ipotizzano itinerari di viaggio, evitare tappe troppo lunghe i primi giorni.

9. Scartare Los Angeles (a parte gli Universal Studios, penso) dalle mete di visita, e prevedere minimo due giorni per San Francisco. Per noi 1 giorno e mezzo è stato troppo poco. Per Las Vegas una sera è abbastanza, ma bisogna essere sufficientemente freschi per visitare l’intera strip, che è lunga circa 3 km. Costi Per avere fatto il giro che abbiamo fatto, non si è speso troppo: circa 3600 euro in due, comprensivo di tutto, souvenir inclusi. L’aereo, prenotato a giugno per settembre, è costato meno di 700 euro tutto compreso. L’albergo, qualora prenotato da booking.Com, è in generale molto economico. Quando proprio non si può prenotare dall’Italia per incognite legate al tempo di visita dei luoghi, il costo può andare da 70 dollari per un onesto motel 6, a 80 per i super 8, a oltre 100 per i Quality Inn o Best Western, ad aumentare il sabato sera. E’ comunque molto poco rispetto alla media europea. Conclusione Il viaggio si è rivelato anche più stancante del previsto: 6400 km in 12 giorni non sono pochi, ma le strade son piacevoli e la gente è molto tranquilla ed educata sulle strade. Gli americani si sono rivelati molto disponibili ed aperti, e l’organizzazione soprattutto di alcuni parchi è veramente encomiabile. Ineccepibile la segnaletica stradale, occorre tuttavia munirsi di mappa. Non abbiamo mai sbagliato strada in 12 giorni. La valle della Morte richiede molta attenzione, per le alte temperature che debilitano persone (prevedere 5-6 litri di acqua per persona al giorno) e le auto (spegnere il condizionatore in salita, o il radiatore esplode).

Tutto sommato, il viaggio si è rivelato estremamente positivo. Siamo consci di aver visto delle meraviglie naturalistiche incredibili, e che forse non le rivedremo più. A parte San Francisco, le città lasciano a desiderare. Onestamente, dopo due settimane in una terra infinita, con auto enormi, gente enorme, strade enormi, negozi enormi, si sente un po’ il bisogno di ritornare nella bella Europa, che si riesce ad apprezzare ancora di più pensando allo stile di vita dei poveri americani. Un viaggio comunque da non rinnegare mai e da consigliare. Le 50 foto più significative sono visibili alla pagina web http://dadodave82.Spaces.Live.Com/photos .



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