Tutta un’altra splendida Cina
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07.10.17
Il volo diretto Air China CA950 parte puntuale alle 13,30 da MXP e procede tranquillo
08.10.17
Arrivo a PEK in perfetto orario alle 5,30. Ad attenderci c’è Dino, guida molto gioviale che parla un buon italiano; come tutte le guide del tour ci lascia il numero del suo cellulare e a nostra richiesta ci da subito disponibilità a cambiare euro in yuan. Considerato che avevamo chiesto di sostituire la colazione (già consumata in aereo) con un pranzo pic-nic e che è ancora troppo presto per avviarci alla Grande Muraglia, come prima tappa ci fermiamo a visitare una fabbrica per la lavorazione della giada. I pezzi esposti nel salone limitrofo sono molto belli, in alcune sale ci sono sete ricamate con colori fantastici. Usciamo da Pechino percorrendo le sue mega strade ad anello fra foreste di grattacieli e grandi distese di verde. I nuvoloni grigi minacciano pioggia. Per la visita della Grande Muraglia abbiamo scelto la sezione di Mutianyu perché meno affollata e meno artefatta di Badalyn; è più antica, meglio conservata e anche se restaurata da la possibilità di vedere un tratto originale non restaurato e coperto da vegetazione. I viali di accesso sono abbelliti da aiuole variopinte di zinnie. Nonostante sia la domenica in cui finisce la festa nazionale (dal 1 al 7) non facciamo code ed anche sulla muraglia ci sono pochi turisti, praticamente tutti orientali. Il clima uggioso le conferisce un aspetto davvero intrigante. Le ampie schiarite permettono di ammirare il gigantesco serpentone infinito fino all’orizzonte, dal quale dipartono alcune diramazioni, e di vedere a 360° monti coperti di vegetazione mentre solo in qualche tratto, nei fondovalle, si vedono costruzioni. Cerchiamo di vivere la Grande Muraglia intensamente, immaginando i vari periodi storici in cui è stata una fortezza con attacchi di guerrieri e popolazioni da difendere. Percorriamo prima tutto il tratto verso Est; è un continuo saliscendi, a volte ripido con scale strette. Dopo il passo Zhengguann Tai saliamo fino al Dajiao Building (dove finisce la sezione e oltre al quale non si può passare) per ammirare le parti non restaurate. Poi ci dirigiamo verso la sezione di JianKou fino alla torretta 18. Ovunque, anche ai servizi, la pulizia è massima. Quando comincia a piovigginare torniamo alla torretta 6 dove ci aspetta Dino; non possiamo scendere in slittino perché bagnato, così scendiamo nuovamente in seggiovia.
È ormai metà pomeriggio, andiamo al ristorante dove ci viene servito un lauto pasto con broccoli e bietole squisite, polpettine di anatra laccate, pollo alle castagne, listarelle di manzo con verdure, ecc. tutto fantastico, oltre a riso e bibita: altro che pic-nic! All’uscita piove copiosamente, c’è solo il tempo per un tranquillo rientro a Pechino. Durante il tragitto, fra tanto verde e strade in costruzione (ma nessuna fabbrica fumante), Dino ci racconta un po’ di Cina; all’aeroporto lo seguiamo al bancomat dove preleva per fornirci, ad un giusto cambio, gli yuan che ci servono domattina ante apertura delle banche. Il volo per Chengdu Air China CA1425 PEK/CTU 17,00/20,00 viaggia con ritardo di quasi un’ora.
09.10.17
Dormita ristoratrice e carica di energia a colazione allo Xin Liang Hotel poi usciamo da Chengdu incontrando una infinità di motorette di ogni tipo e dimensione (attrezzate di tutto punto, con fantasia e praticità). I grattacieli si susseguono alternati a zone verdi e le strade sono in ottimo stato. C’è molto traffico ma lo scorrimento è veloce. Da Chengdu fino a Dujiangyan la strada è interamente fiancheggiata da aiuole di zinnie, canna indica, dalie, ecc, oltre si vedono coltivazioni, frutteti, boschi e molti vivai con piante scultura. Shirley (guida in inglese), dopo essersi accertata che abbiamo le somme necessarie in contanti, ci informa di come si svolgerà la giornata; molto premurosa ci esorta ad avvalerci della sua collaborazione in qualsiasi momento. Arriviamo al villaggio Baima Centro di Conservazione e Ricerca dei Panda Giganti quando gli altri volontari sono già tutti all’opera. Non vengono controllati i certificati medici; paghiamo, ci vestiamo, prendiamo le targhette identificative delle attività che faremo e sistemiamo le nostre cose negli armadietti mentre Shirley prende con se alcuni nostri oggetti. Il costo, che potrebbe sembrare elevato, in realtà è un’offerta per il mantenimento e introduzione in natura dei panda. Non pioviggina più ma è molto nuvoloso. Gli addetti, tutti giovani, gentili e con buona padronanza dell’inglese, si accertano che abbiamo capito tutto e ci accompagnano con trenino elettrico allo Shuangan Garden, dandoci molte informazioni sul panda che andremo ad accudire. Con spazzoloni ed acqua puliamo prima l’esterno del recinto, mentre il panda, di cui purtroppo non riusciamo ad imparare il nome, impaziente per il nostro ritardo, batte le sbarre con il muso (che è menomato dal morso di un predatore: per questo si trova qui e difficilmente potrà tornare libero in quanto la ferita è guarita ma il muso non è più completo). Gli addetti ci forniscono la razione di bambù che posizioniamo a terra, quindi usciamo dal cortiletto, che viene chiuso per permettere al panda di entrare. Passiamo a pulire la casetta del panda e poi con gli altri volontari e gli addetti sistemiamo anche la piazza su cui si affacciano le casette dei panda, ciascuna dotata di cortile pianeggiante pavimentato e di ampio spazio verde generalmente in pendio. Mentre i graziosissimi panda con pancia all’aria si gustano la prima parte del pasto in bambù, andiamo a vedere il Panpan Garden dove molti panda vengono educati, in particolare i cuccioli, a cercarsi il cibo (posizionato in posti sempre diversi e via via meno facili da raggiungere) per allenarli a ritornare in libertà. All’ora stabilita raggiungiamo la zona dove è prevista la foto (max 20 persone al giorno) con il panda che sgranocchia bambù e carote: troppo tenero! Passeggiando lungo i viali del villaggio ritorniamo allo Shuangnan Garden per dar da mangiare ai panda. Un volontario alla volta all’interno di una casetta porge 2 carote e 1 fetta di torta all’orso, che dopo aver preso il cibo con la bocca se lo gestisce con le zampe. È questione di pochi ma intensi minuti poi tocca ad un altro volontario, mentre gli altri visitatori si accalcano alle finestre per curiosare. Generalmente si dà da mangiare al panda a cui si è fatto le pulizie ma il “nostro” è escluso per i problemi alla bocca e oggi anche il suo vicino di casa, incurante degli inservienti che lo chiamano ripetutamente per nome, se ne sta tranquillo a camminare in cima alla collinetta del suo cortile. Il villaggio/valle è una grande e bella struttura,pulita , ben organizzata ed efficiente, immersa nel verde con molti addetti anche al mantenimento/ricostruzione del verde stesso; tutti gli animali hanno spazi ampi, ben attrezzati.
Con il trenino elettrico che serve l’intera valle, raccogliendo e posando i passeggeri lungo tutto il tragitto, usciamo alla zona riservata ai panda e andiamo alla mensa posta nelle strutture di supporto al centro di ricerca. Anche nella parte esterna del parco l’ambiente è molto curato ed immerso nel verde. Il pasto con il personale (a turno in pausa pranzo) è una piacevole esperienza, il self service è frugale ma vario, il vero problema sono le bacchette. Non essendoci altre posate Shirley ci procura un paio di cucchiai cinesi indispensabili soprattutto per il riso: largamente avvertiti sul menù non turistico sgranocchiamo anche qualche crackers portato all’Italia.
Riposte le stoviglie in appositi lavatoi rientriamo nel parco per completare la visita, ci rechiamo ai Gardens Diequan e Linze, situati nella parte alta della valle, dove parecchi panda stanno ormai sonnecchiando abbarbicati sugli alberi. Lasciamo molto a malincuore questo bellissimo parco dove abbiamo vissuto una fantastica esperienza. Posati gli abiti da lavoro e ritirate attestazioni e gadget iniziamo il rientro a Chengdu mentre Shirley ci trasferisce le tante belle foto fatte col suo cellulare. Strada facendo ci fermiamo ancora per la visita del Chengdu Field Research Centre for Giant Pandas, con l’ampio ingresso ispirato a Kung Fu panda. La zona è avvolta nell’umida nebbia tipica dell’abitat naturale dei panda, il parco è bello e curato con fiori endemici (tra cui uno che cambia colore più volte al giorno) e grande abbondanza di bambù, i vari panda sono facilmente visibili ma nulla in paragone all’entusiasmante esperienza appena vissuta. Il rientro all’aeroporto di Chengdu avviene, anche oggi, sotto una pioggia copiosa. Il volo Air China CA 8926 (all’ultimo momento cambio di gate senza avvisi e nessuno parla inglese) CTU/XIY 19,30/21,00 è puntuale.
10.10.17
Dalle finestre del Tianyu Gloria Hotel si vedono un’infinità di grattacieli (i palazzi a 8 piani paiono vecchie casupole) intervallati da tanto verde. Sotto la pioggia battente, attorniati da una miriade di motorette e bici ci dirigiamo ad un laboratorio di terracotta. Oltre alle statue di tutte le forme e dimensioni la fabbrica propone anche bellissimi mobili intarsiati e laccati, coloratissime piastrelle (in particolare con le dalie portafortuna) e molti oggetti di artigianato. Dopo la breve sosta usciamo da Xi’an alla volta della cittadina che ospita la famosa attrazione. La nuova guida Jiang ci spiega che, secondo il programma del governo, quello che un paio di decenni or sono era un piccolo villaggio rurale si sta allargando unendosi in un’unica megalopoli con la città (da cui distava 40 km) e sarà di primaria importanza per l’intera nazione stante la sua centralità e la sua storia. Attraversiamo il grande parco ricco di piante di cachi (frutti più piccoli di quelli a cui siamo abituati) e raggiungiamo l’ingresso dei capannoni. La folla di turisti è inimmaginabile, prima di ogni sala Jiang ci racconta cosa vedremo, ci da indicazioni su come destreggiarci e ci suggerisce le cose da osservare con particolare attenzione. Iniziamo facendo il giro della prima immensa sala che ospita la parte di esercito schierata e tanto fotografata. Ogni statua è un capolavoro con una infinità di particolari, peccato che i colori siano svaniti poco dopo il ritrovamento. C’è da stare incantati di fronte a tanta bellezza e grandezza, pensando al lavoro svolto al momento della costruzione ma anche a quello attuale, altrettanto minuzioso e delicato, di ricostruzione. Passiamo alle sale successive dove si possono ammirare i lavori in corso e le stupende statue da vicino. Fortunatamente tutto il percorso è al coperto ed al riparo dal freddo gelido. Pranziamo in un self service adiacente agli edifici visitati, il cibo è buono e vario, il costo accessibile, il servizio non è male; solo i bagni sono impraticabili perché troppo affollati.
All’uscita ha smesso di piovere, molti banchetti vendono invitanti sacchetti di cachi secchi o freschi ed altra frutta. Sulla strada che scorre veloce affiancata da tanto verde, ma che attraversa una quantità impressionante di grattacieli, torniamo a Xi’an e cogliamo l’occasione per farci spiegare da Jiang (che parla bene l’italiano) come funziona la proprietà e la gestione delle abitazioni. Nell’attraversare la città possiamo ammirare i tanti monumenti che abbelliscono le strade e le aiuole curatissime ed arricchite da tanti strumenti musicali fatti di piante e fiori. Completato il giro della Grande Pagoda dell’Oca Selvatica, con gli edifici circostanti e la piazza della fontana musicale, ci dirigiamo alle mura passando dalla Porta Ovest, punto di inizio della via della seta. È emozionante pensare che Marco Polo sia passato di qua. Porta, mura e cinta sono perfettamente conservate. Col cielo plumbeo ma senza pioggia, passeggiamo per un lungo tratto sulle mura ammirando all’interno della cinta la città vecchia. All’esterno lo sguardo invece può spaziare oltre la striscia di verde e la selva di grattacieli per scorgere le colline che circondano la zona con le alture sotto le quali tutt’ora giacciono immensi tesori (che per ora la Cina preferisce non riportare alla luce sia in attesa di scoprire tecniche meno invasive, sia per i tempi di lavorazione molto lunghi o forse anche semplicemente perché ad oggi c’è già fin troppo turismo). Qui come ovunque la pulizia è massima: gli addetti hanno solo scopa e paletta ma sono molto efficienti. In aeroporto (moderno, ben attrezzato e dotato persino di cuccette per dormire) l’imbarco è puntuale ma, dopo poco che siamo seduti, tutti i passeggeri (ad un breve annuncio solo in cinese) riprendono i loro bagagli a mano e scendono: non capiamo e l’hostes si limita a dirci “bad weather to destination”. Tornati alla sala d’imbarco ci rendiamo conto di essere solo 6 occidentali (oltre a noi una giovane coppia ed un ragazzo probabilmente nordamericani). A lungo nessuno da spiegazioni o informazioni , qualcuno ritira al banco un vassoio di cibo, poi sul cartellone appare che il volo è cancellato: panico! A stento riusciamo a farci capire dall’unico steward di terra che parla un po’ di inglese che abbiamo un tour e che i nostri telefonini, manco farlo apposta, non stanno funzionando; lui molto gentilmente col suo cellulare spiega in cinese al nostro riferimento cosa succederà e ci fa rassicurare. Con un pullman veniamo portati in un albergo, a gesti facciamo capire che non vogliamo condividere le camere con l’altro turista perché siamo gruppi diversi. Con questo ragazzo ci scambiamo le poche informazioni che tramite internet riusciamo ad avere: a causa della grossa perturbazione tutti i voli per Zhangjiajie sono stati cancellati e anche gli aerei già partiti stanno rientrando al luogo di partenza. Al Tie Yuan Hotel le stanze hanno le finestre chiuse da blocchetti di cemento (che sono il muro di un palazzo limitrofo!) e gli impianti idraulici sono a dir poco cadenti. La notte trascorre insonne, siamo senza cena ed i bagagli sono in aeroporto.
11.10.17
Alle 6,30 alcune inservienti bussano ed a gesti ci indicano di andar a fare colazione, le scritte vicine ai cibi sono solo cinesi, riusciamo a capire che c’è un contenitore con acqua calda così, tra gli sguardi dei cinesi divertiti del nostro essere spaesati, ci facciamo del té con le bustine a disposizione nelle camere. Scendiamo in fretta ma veniamo rimandati in camera. Alle 10 tornano le inservienti e con i traduttori dei cellulari ci dicono che si parte. Mentre aspettiamo nella hall, una bambina , dopo aver chiesto il consenso ai genitori, ci offre delle caramelline e titubante ma in buon inglese ci dice “benvenuti a Zhangjiajie” così impariamo a pronunciare questo nome. Prima di arrivare in aeroporto sostiamo in un ristorante dove ci viene servito il pranzo (le stesse cose della colazione ed anche la sala ha gli stessi vistosi addobbi). Entriamo in aeroporto da una porta dedicata, rifacciamo il check in e partiamo alle 13,30. Il volo di circa 2 ore è una unica grande turbolenza che costringe le stesse hostess a stare sedute con le cinture allacciate per quasi tutto il tempo. Ad attenderci troviamo il simpaticissimo Eric, che non avendo avuto alcuna comunicazione era rimasto ad aspettarci fino a mezzanotte (se ne era andato solo quando da internet ha avuto la certezza che nessun volo sarebbe arrivato). Il cielo è plumbeo ma non piove così, visto il poco tempo residuo a disposizione, ci porta a fare un giro (non previsto) sul Baofeng Lake. Le barche partono e arrivano in continuazione cariche di turisti ma di occidentali ci siamo solo noi. A bordo una ragazza spiega in cinese le varie caratteristiche delle montagne e la storia del luogo (Eric provvede a tradurci in inglese). Lungo il tragitto, al passaggio delle imbarcazioni, una coppia in costume tipico canta la storia di 2 innamorati. L’acqua è immobile di colore verde scuro, sembra quasi non ci sia limite fra il lago e la vegetazione che ricopre le montagne in cui è incastonato. Prima di riprendere la navetta per tornare all’auto facciamo ancora una breve passeggiata per ammirare una cascata che sbuca dalla roccia e per vedere una salamandra gigantesca. A Wulingyuan ci viene offerta un’ottima cena (come scusa per il disguido climatico) in un grazioso e tipico ristorante con personale in costume tradizionale che canta e suona i tamburi all’arrivo dei clienti. Pernottiamo nel Santa Dominga International hotel sito nel villaggio immerso nelle stupende montagne della zona di Yuanjiajie che intendiamo visitare.
12.10.17
Di buonora con Eric (ma con nuovo mezzo e nuovo autista esperto del lungo tragitto previsto per oggi) raggiungiamo l’ingresso del parco nazionale. Saltuariamente pioviggina, non ci sono ancora le folle di turisti che normalmente riempiono i camminamenti regola code e quindi raggiungiamo subito la navetta. Le navette sono molte, in tutta la zona funzionano velocemente e con organizzazione perfetta. All’ascensore Cento Draghi ci siamo solo noi, in pochi minuti siamo sui sentieri/passerelle che percorrono l’intera area. Eric ci conferma che nessuno fa escursioni al di fuori dei percorsi prestabiliti, forse neanche gli abitanti del luogo che hanno comunque il libero accesso e soprattutto la conoscenza del posto. Possiamo goderci da soli questo incredibile spettacolo di pinnacoli: si elevano per centinaia di metri con i pini aggrappati, la nebbiolina che va e viene rende tutto davvero surreale. Facciamo tutto il percorso fermandoci ad ammirare i punti più suggestivi delle Hallelujah Mountains (che anno ispirato Avatar) e a fare una infinità di foto; raggiungiamo anche il tempio oltre il Primo Ponte Sotto il Cielo. Con la navetta ci spostiamo alla zona del Monte Tianzi, facciamo l’intero percorso ma lo spettacolo comincia ad essere offuscato dalla nebbia e dalla pioggia che si sta intensificando. Finite le camminate ci avviamo alla funivia, passando fra bancarelle e negozietti che scoppiano di colori, dove si vende di tutto, dall’attrezzatura antipioggia a cibo fumante ed invitante. Il tratto in funivia è semplicemente incantevole, le cabine passano a ridosso dei picchi, lo spettacolo non è solo a 360 gradi ma “a sfera” in quanto anche sotto di noi è meraviglioso. Giunti alla stazione delle navette (che ci riporteranno all’ingresso del parco) ci rendiamo conto di quanto siamo stati fortunati: nonostante ora la pioggia sia intensa la folla di turisti fra le transenne è semplicemente immensa (ma niente occidentali). Pur essendo ancora presto prima di iniziare il lungo trasferimento in auto pranziamo in un grazioso locale, anche qui come ovunque il personale è premuroso, il cibo abbondante e soprattutto le verdure squisite. Sicuramente questo paesino è reso caratteristico ed apprezzato non solo per le montagne, le case ed i manufatti in legno ma anche perché gran parte degli addetti al turismo mantiene vive le tradizioni indossando costumi tipici. Partiamo per Fenghuang con pioggia a tratti copiosa (quanto servirebbe a smorzare la siccità in Italia!), percorriamo prima la S10 poi la G65 per circa 250 km in 4 ore. Verso le 16 facciamo ingresso nella Fenix Town: il simbolo della fenice campeggia sul viale di accesso e le facciate delle porte di ingresso ben ricordano le varie dinastie Ming e Quing che qui si sono succedute. La nostra visita all’antica città inizia dalla piazza con la fontana della fenice per dirigersi subito nei vicoli pittoreschi. Le stradine traboccano di lanterne e brulicano di coloratissimi negozietti o laboratori artigianali. Spalanchiamo gli occhi per non perderci i tanti particolari delle case, delle persone di etnia Miao, degli artigiani al lavoro. Molti indossano abiti tradizionali, ma in gran parte sono turisti o guide che affittano i costumi per indossarli durante la visita, molte sono anche le turiste che si incoronano con stupende ghirlande di dalie ed altri fiori vendute da anziane donne Miao. Giunti al fiume il colpo d’occhio è davvero suggestivo , nonostante i molti turisti (ovviamente nessun occidentale oltre a noi) la cittadina si mostra in tutta la sua straordinaria bellezza. Non ci azzardiamo ad attraversare il fiume sui pilastri (dove per altro una coppia di sposi sta facendo il servizio fotografico) ma preferiamo la passerella in legno (ci sembra più stabile anche se un po’ scivolosa perché ancora bagnata e stretta soprattutto quando si incrociano altri pedoni) per ammirare interamente questo borgo davvero unico. Quando ricomincia a piovigginare ritorniamo sulle strade lastricate lungo le mura e le case antiche. Qui ci imbattiamo in una signora che con fischietto (per annunciare il suo passaggio) e carretto fa la raccolta di rifiuti letteralmente porta a porta. È inevitabile fermarsi ad acquistare sciarpe o altro vista l’enorme quantità dell’offerta. Tornando verso la G65 per continuare il viaggio verso sud, l’autista rallenta sul ponte per consentirci un ultimo sguardo dall’alto a questo angolo incantato di Cina. Mentre maciniamo kilometri sulle ottime strade cinesi osserviamo il paesaggio circostante sempre curato e coltivato. Lasciando l’Hunan percorriamo il famoso ed avveniristico ponte Aizhai che sovrasta di 336 mt la valle abitata dall’etnia Miao ed in particolare il villaggio di Dehang. Al calar della notte spiccano le città con i profili illuminati di grattacieli e di edifici tradizionali inconfondibili. Consapevoli che la strada da fare è tanta ci siamo accordati sull’evitare lunghe soste per cena; facciamo solo una breve pausa presso una stazione di servizio che sembra chiusa (in realtà è essenziale ma completa e pulita) e accettiamo alcuni snack che l’autista ci offre con insistenza. Entrando nel Guangxi lasciamo alle spalle pioggia e perturbazioni e passiamo dalla superstrada alla G321, paragonabile ad una nostra statale. L’andatura rallenta sia per il maggior traffico sia per la vicinanza ai centri abitati che sembrano tutti in festa per il grande dispiegamento di luminarie. Attraversato Longsengh valichiamo l’illuminatissima porta di accesso alla zona di Longji immettendoci su stradine di montagna. A una stazione di controllo ci viene richiesto un lasciapassare (che non abbiamo) perché ci sono stati smottamenti e frane. Per fortuna non troviamo che pochi massi ai bordi della strada, che evidentemente è già stata liberata (anche per quanto riguarda le strade l’efficienza cinese è eccezionale, ci spiega Eric che è dovuta ad un ferreo sistema di responsabilizzazione e controlli). Giunti al posteggio non troviamo personale ad attenderci e dopo qualche telefonata Eric si scusa perché abbiamo imboccato una strada sbagliata, ma in 30 minuti siamo all’ingresso del villaggio di Ping’an.
13.10.17
Mentre Eric si accorda con le portatrici per i bagagli ci incamminiamo su dei viottoli bui, illuminati solo dalle pile; occorre prestare attenzione perché la salita è ripida, i lastricati sono stretti e costeggiati da rigagnoli: è troppo buio per renderci conto dello splendore che ci attende. Il Long Ying Hotel in legno è (come tutti in questo villaggio) aggrappato alla montagna. Ci viene assegnata la doppia camera più alta (tipo superattico) vicino ai locali dove vengono stese le lenzuola. Appena in camera ceniamo con i nostri snack e la frutta delle colazioni dei giorni scorsi, sono già le 2,30 passate quando ci corichiamo, stanchi ma entusiasti per l’indimenticabile giornata vissuta.
Alle prime luci del giorno (verso le 6) siamo svegliati da un gran vociare e dalle finestre che circondano interamente le due camere vediamo in un vicolo sottostante alcuni uomini squartare e pulire un maiale appena ucciso; sono velocissimi e in men che non si dica la povera bestia è interamente lavorata. Ormai svegli, stando tranquillamente sul terrazzo antistante le nostre camere, in posizione privilegiata rispetto al villaggio e alle Seven Star Around The Moon, ci godiamo l’alba con le nebbie mattutine che si alzano dalla vallata e dalle risaie. La colazione è essenziale ma completa , cucinata sul momento con buon caffè e frutta squisita. Prima di intraprendere la strada del ritorno vengono ancora a salutarci Eric e l’autista, entrambi sono stati ottimi compagni di viaggio. Per lasciarci riposare un po’ di più l’arrivo della nuova guida è previsto verso le 10, così approfittiamo per curiosare tra i sentieri del caratteristico paesino verticale.
Ogni angolo è uno spettacolo: animali, dalie e zinnie coloratissime, pannocchie di granoturco appese a seccare, gente intenta alle attività quotidiane e molti che apparecchiano banchetti e stand per i turisti; anche il posto dove è stato macellato il maiale, ora ripulito, ospita un banchetto di souvenir. Un mulo sale le scale carico di mattoni, una donna chiude galline e anatre nel recinto sotto casa (per salvaguardarle dalle orde in arrivo), una coltiva l’orto, un’altra lava oggetti di bambù e angurie in un rigagnolo e sono tutte vestite con abiti tradizionali (l’acconciatura poi indica se sono maritate, se hanno figli, ecc). Yang ci viene a cercare, parla in corretto italiano, è piacevole il suo entusiasmo per il suo lavoro e per l’ampia tecnologia di cui dispongono a poco prezzo nel piccolo spazio del cellulare; è ben informato su tutto e sostiene (stando a quello che vediamo giustamente) che il secolo in corso è il secolo della Cina.
Durante la camminata ci spiega la cultura di queste zone ma anche le regole che permetto la buona integrazione e convivenza fra agricoltura e turismo. Il villaggio e le risaie ora sono invase dai turisti, le nebbie si sono sciolte e il sole sta conquistando spazio. La camminata è rilassante con scenari splendidi, il riso è giunto a maturazione (nel villaggio antistante è già stato tagliato), le risaie dorate e ripide sono davvero la meraviglia descritta nelle pubblicità. I tanti turisti sono sparpagliati e a parte poche concentrazioni non c’e affollamento. Al termine del bel giro lasciamo le camere dell’albergo e scendiamo lungo i viottoli che portano all’entrata del villaggio, da qui una navetta ci porta al posteggio (il tragitto con la navetta è lo stesso che all’arrivo abbiamo fatto in auto senza lasciapassare). Sulla strada per Guilin ci fermiamo per il pranzo in un ristorante di conoscenti di Yang; ancora una volta mangiamo benissimo, riso, carne, verdure, té verde ed al ginseng come bevande: tutto squisito e con poca spesa. Yang ci spiega come viene cucinata qui la verdura ma a casa sarà impossibile tentare di imitarla. A Guilin facciamo un paio di visite alla Proboscide dell’Elefante ed alla Collina Fubo per ammirare dall’alto il panorama dei caratteristici picchi. Prima di cena abbiamo ancora l’escursione della pesca col cormorano. Bella la scenografia, le illuminazioni degli edifici e dei ponti, il passaggio dei 4 laghi con le brevi danze nei vari padiglioni (fatte dagli studenti della locale accademia) ma deludente e cruenta la pesca. Sulla barca dell’escursione la suonatrice (che con le mance aggiusta la pensione) dopo le musiche cinesi e coreane suona in nostro onore “O sole mio”. Cena con snack e frutta nel salotto della camera al Guilin Park Hotel.
14.10.17
Lungo il tragitto verso il fiume Lijiang si ripresentano le scene (già viste in tutte le altre città visitate) di abbellimento delle strade, dove centinaia di persone in vari gruppi (e con molti mezzi a disposizione) piantano alberi e rifanno aiuole e siepi fra le carreggiate ed ai bordi delle strade (colpisce davvero questa grande attenzione al verde con incredibile dispiego di forze). Arrivati al fiume siamo impressionati dalla quantità di turisti: ci sono una ventina di moli, ciascuno con 5 imbarcazioni. La nostra è piena di europei. Ci godiamo la crociera come una giornata di relax (con sole splendido). Si parte alle 10, le imbarcazioni proseguono in fila e senza darsi visivamente troppo fastidio l’una con l’altra. Si vede scorrere la natura dal verde rigoglioso, qualche scena rurale, banchetti e servizi fotografici di sposi, sono frequenti le zattere degli addetti alla pulizia, sul lato sinistro transitano molte zattere vuote che hanno già ultimato l’escursione (il loro percorso più breve comprende solo la zona dove c’è la parata vera e propria dei picchi). Finita la parte più rinomata ci viene servito il pranzo (un vassoio di scatolame tutt’altro che invitante), nel frattempo la nostra barca rallenta facendosi superare da molte altre barche. Arrivati a Yangshuo, cittadina ormai votata al turismo, ci soffermiamo con l’anziano pescatore e i suoi cormorani, poi visto che sono sul nostro percorso non resistiamo a provare gli attrezzi ginnici posti un po’ ovunque negli spazi verdi o lungo le strade delle varie città. La barca ha perso troppo tempo per cui non riusciamo a fare il fuoriprogramma di salire sulla Xianggong hill ad ammirare dall’alto il panorama dei pinnacoli (col senno di poi era meglio la dinamica zattera invece della lenta crociera). Lungo la strada per l’aeroporto incontriamo la famigerata cappa di smog causata dalla vicina centrale a carbone. Il volo China Southern Airlines CZ3287 KWL/PEK 18,10/21,00 parte in orario ed il pasto è indubbiamente meglio di quello in crociera.
15.10.17
Dal nostro albergo Xizhao Temple Hotel, molto ben posizionato, raggiungiamo velocemente la nostra prima meta. Pur se domenica il traffico è intenso ma fluido; i pechinesi sono grandi utilizzatori di tutto ciò che è agile e pratico per muoversi velocemente, incontriamo infatti una quantità impressionante di persone su monoruote, scooter, monopattini, minibici, skateboard e hoverboard. Anna (la nostra gentile guida) ci spiega il sistema di circolazione a giorni, quello di rilascio di patenti e targhe (la superstizione per i numeri) e ci racconta di quanto sia diffuso l’utilizzo di Uber. Iniziamo le visite dal Tempio del Cielo. È presto, il cielo e terso, ci sono già molti visitatori ma gli spazi sono tali da non sembrare più di tanto affollati. Nel parco adiacente molti cinesi ascoltano musica, danzano, provano spettacoli, praticano Tai Chi, altri giocano a carte, dama, lavorano a maglia, o semplicemente fanno da spettatori e da tifosi a chi gareggia. Né qui né altrove ci sono mendicanti, venditori abusivi, ladruncoli ecc. All’uscita facciamo una sosta nella Tea House dove ci viene rappresentata una cerimonia con degustazione di 7 tipi di te. Anche le strade di Pechino sono piene di verde, di monumenti floreali e di belle aiuole. La tappa successiva è Piazza Tienanmen, con gli ingressi prenotati evitiamo le lunghe code passando dalle corsie privilegiate.
La piazza è immensa e a noi evoca molti ricordi: Anna sostiene di aver avuto poche notizie al riguardo e di averle scoperte per caso in Italia quando è stata nel campo scuola di Gemona. Lei come tutte le altre guide è entusiasta della sua patria, dice che i giovani cinesi hanno talmente tante opportunità che il passato non pesa più di tanto. La Piazza è presidiata da forze dell’ordine sull’attenti, con gli equipaggiamenti vicini posati a terra (tra l’altro in questi giorni in cui è in corso l’Assemblea Nazionale nell’adiacente palazzo della Grande Sala del Popolo). Nell’intera area è in servizio un vero esercito di addetti alle pulizie(spesso muniti di borsello pronto soccorso); in terra (qui come ovunque) non si trovano cicche, carta, foglie neanche a pagarle (altro che bottiglie, lattine e schifezze varie tanto frequenti da noi). La grande foto di Mao è appena stata sostituita (2 volte all’anno) e nel centro della piazza campeggia un gigantesco vaso di fiori residuo della recente festa nazionale. Dalla Piazza passiamo all’altrettanto immensa e splendida Città Proibita. Impossibile raccontare i tanti angoli, gli scorci, i particolari, le scalinate, le case, i tetti e addirittura gli alberi tutti carichi di storia. Per il pranzo Anna ci accompagna in un ristorante molto semplice e poco costoso dove servono ottimi ravioli, ne ordiniamo un tipo ciascuno poi li dividiamo in modo che ognuno riesca ad assaggiarli tutti: sono uno più squisito dell’altro! Le visite continuano con l’interessante Tempio di Confucio ed il suo rilassante giardino, poi gli Hutong traboccanti di giovani. Finiamo con un giro in una stradina di negozietti e prima di raggiungere l’aeroporto ci rilassiamo qualche ora in albergo.
16.10.17
Il volo Air China CA949 PEK/MXP 1,30/6,30 è puntuale senza particolari turbolenze. Questo che è stato davvero un gran bel viaggio ci ha permesso di visitare veramente tutta un’altra splendida Cina. Abbiamo superato tutte le diffidenze su questo grande paese e mai come questa volta vorremmo portare con noi, oltre ai ricordi di posti ed esperienze bellissime, ciò che abbiamo trovato: organizzazione, efficienza, pulizia, intraprendenza, dignità, assenza di delinquenza, fiducia nel futuro e stima del proprio paese.