Turisti per sbaglio
Il protagonista è il Messico, i due comprimari io (Rocco) e un mio amico (lo chiameremo Aldo), che abbiamo deciso il 5 Gennaio di partire entro la prima settimana di Febbraio…Un po’ improvvisata! Tante cose sono successe in quei giorni e tante cose abbiamo visto e imparato, di noi stessi, l’uno dell’altro e del mondo che ci circonda. Per questo voglio salutare e ringraziare tutte le persone che abbiamo conosciuto in quel periodo, anche se probabilmente mai leggeranno queste pagine. Alcune sono menzionate nello svolgimento, altre no. Ma almeno per quanto mi riguarda vorrei nominare particolarmente i due svedesi (loro ci sono) e, soprattutto, la “mia” Luz…non ho bisogno di questo diario per sentirli vicini a me.
Giovedì 6/2 Giorno 1 Più o meno siamo ancora sopra Amsterdam, con un’ora di ritardo sulla precisione tedesca, su uno splendido 747 ma ai primi posti della fila.
Il primo volo è andato liscio, a parte qualche minuto di TURBULENZ (come direbbero i Broncoviz) con relativi urli dei giapponesi dietro di noi. Fuori splendido fino al Piemonte, poi un unico tappeto di nuvole, ora invece ci stiamo proprio dentro.
12 ore di viaggio…Sono appena cominciate e dureranno un po’ (i sedili ci vanno un po’ stretti ai fianchi). Neanche le cuffie di questo Boeing funzionano, ma a parte che il simil-pollo era buono, abbiamo accanto un messicano simpatico, Horacio, con cui stiamo chiacchierando. Ci ha anche offerto ospitalità (vicino a Xochimilco) e comunque ci rivedremo.
Non so ora dove siamo, ma sono 3 ore che dall’oblò si vede solo pack, un’immensa distesa di ghiaccio totalmente piatta e ininterrotta, non so se è il Canada, non credo. Penso sia la Groenlandia ed è uno spettacolo. Però affiorano i primi dubbi: avremo sbagliato aereo noi o è il comandante che non sta bene? Sono più di 5 ore che sorvoliamo solo distese di ghiaccio senza niente che faccia pensare a tracce di civiltà…Bello, bellissimo, ma…È giusto? E’ possibile? e soprattutto, che cacchio di posto è? MAIL: Dopo tutte le trafile all’aeroporto siamo andati da questa amica di titti che, poverina, e’ stata gentilissima e carinissima, con una casa bellissima a Xochimilco, un quartiere abbastanza lussuoso nonostante le apparenze. E’ che su di lei aleggia un alone un po’ triste da vetero-comunista, identica a titti seppur diversissima, interessante e piacevole quando ci parli. Anche la guida le accomuna, solo che lei arriva alla terza e per spezzare un’arancia a suo favore guidare bene qui in città e’ impossibile: le strade sono veramente una giungla infernale anche a piedi.
La città, o D.F. Come la chiamano qui.
Orrenda, e’ questa la prima sensazione che abbiamo avuto entrambi a prima vista e che per il momento più o meno continua, a parte ovviamente alcune cose meravigliose, ma qui a 2100 metri l’aria e’ rarefatta per lo smog, la città e’ immensa, bassa, povera, sporca e spaventosa per chi non la conosce e pensa di starci poco come noi: uno dice “oggi facciamo questo” e ti trovi a fare conti con distanze chilometriche e chiedere informazioni e’ una fonte di divertimento inesauribile, poliziotti svogliati, col loro sombrero di ordinanza(giuro pure su questo), che coi tempi loro -tanto che ripeti la domanda- ti rispondono il contrario di quello che c’e’ sulla cartina.Il trucco credo sia chiedere a tre persone e poi fare la media! Qui siamo in estate, hace mucho calor e non si può bere ne’ tanto meno prendere una di quelle invitantissime granite a ogni pizzo della strada.
La sensazione stranissima e’ di non riuscire a dare una forma ala città:tutte uguali le zone, sono però diversissime le persone, anche proprio fisicamente; le macchine (un fiorire di maggiolini che e’ uno spettacolo!) vanno da quelle anni’50 tipo Cuba, ai macchinoni nuovissimi e costosissimi, tutti però categoricamente taroccati (da napoletani emigrati in germania?)…Insomma, bho?, pieno di contrasti e veramente tanto tanto eterogeneo.
Domani andiamo a Tehotihuacan, a un’oretta dal d.F., torniamo al nostro fichissimo alberghetto con portico soleggiato a 4 minuti dallo zocalo, la piazza centrale che è veramente enorme, in cui ciononostante SVETTA la bandiera più grande del mondo, e poi ce ne andiamo verso Malinalco per poi proseguire verso Taxco.
Venerdì 7/2 giorno 2 Seconda giornata. Si, anche se sta volgendo al termine nonostante non sia poi tardissimo, ma evidentemente il fuso ancora incombe.
Non è andata male però. Stamattina ci siamo alzati abbastanza presto e dopo una doccia rigenerante abbiamo affrontato il caldo allucinante di Città del Messico, attraversandola nel suo ancor più allucinante traffico. Abbiamo fatto un giro a Xochimilco in macchina, con delle barche coloratissime, procacciatori di clienti da tutte le parti e una chiesa veramente molto carina: tutta rossa sbiadita dal tempo, con un muro di cinta che circondava il bel giardino che la circondava. Le strade invece sono piene di dossi per la velocità altissimi, che ogni volta (aiutati anche dal peso non indifferente di me e Aldo e degli zaini -il mio soprattutto-) raschiavano via buona dose di marmitta.
Ooh, siamo all’alberghetto. Posiamo la roba, un “rapido” descanso, e poi un giretto allo Zocalo. La piazza di Città del Messico è immensa. Ciononostante al suo centro, prima ancora della cattedrale e dell’enorme palazzo del governo, SVETTA la bandiera, la più grande del mondo. Impressionante.
Rapido giro all’interno della cattedrale, caldo, fame, tardi…Andiamo a mangiare. Ok fatto. Ora però caldo e sonno. Vogliamo andare al Museo Nacional de Antropologia, ma un simpatico quanto sveglio poliziotto che sembrava uscito, anzi no, ancora dentro una pubblicità dell’ estathé non sa la strada e ci dice che ce n’è un altro qui vicino…Ringraziamo, ridiamo e lasciamo perdere.
Museo delle Belle Arti. C’è una mostra non male su Barragan per il suo centenario. I murales di Tamayo, Riveira e Siqueiros, con tanto di foto di un particolare di Marx da consegnare a babbo.
Usciamo distrutti e ci appoggiamo 20 minuti alla panchina del parco accanto, con una bottiglia d’acqua che finisce in un nanosecondo.
Ci ricordiamo di esserci dimenticati di cambiare il volo di ritorno. Cavolo, cavolo…Andiamo a cercare internet. Trovato, do le mie prime notizie, un paio di sms, facciamo tutto di fretta, usciamo. Passano 26 metri e bum…Ci ricordiamo di esserci dimenticati del CTS, ma ormai è tardi: mañana.
Albergo, malandato ma carino con un bel cortile simil-patio al centro, il bagno in camera (ma proprio in camera! E’ stato ricavato dopo quasi al centro della stanza). Mi levo le lenti, Simpson in spagnolo e riusciamo per andare a mangiare.
Per farla breve mi mangio l’enchiladas con mole poblano, che ero curioso di assaggiare. Ha un bellissimo aspetto ma…Già al primo boccone stucca. Una bomba dal sapore importante che forchettata dopo forchettata mi porta all’affanno, fino a lasciare l’ultima.
Sabato 8 Giorno 3 Sono circa le sette di stasera, e io sto cercando di carpire un po’ di fresco per le mie carni ben rosolate color rosa-porchetta. Viso, collo e braccia. Ci siamo guadagnati questa cottura da muratori a Teotihuacan, sotto un sole veramente spaventoso, per nulla mitigato dall’ambiente desertico che lo circonda. Il posto però è bellissimo, un po’ brullo e monocolore, ma intatto e ben conservato. Ci siamo arrampicati sulle migliaia di scale a pendenza incredibile sulla via principale (la “Calzada de los muertos”) per arrivare ad abbarbicarci sulle due piramidi, quella della Luna (in fondo) e quella del Sol. Bellissima, altissima, inospitale e la terza più alta del mondo. Guardandola dal basso hai l’impressione che cerchi di dirti”…Guarda…Non è il caso, lascia stare…È tante la strada” per scoraggiarti, ma alla fine non è poi così malvagia. In più dall’alto c’è una vista su tutta la zona archeologica impressionante.
Lo stesso vale per quella della Luna, che compensa la minore altezza con dei gradini alti fino al mio ginocchio (io sono 1,90), ma ne vale decisamente la pena.
L’autobus del ritorno sembrava finto, calato in un film sul Messico. Un vecchio “Greyhound”-rivisto come solo i messicani sanno fare- che, guidato con una certa disinvoltura, attraversava paeselli spogli, assopiti e polverosi, con l’ombra di qualsiasi cosa occupata da almeno un cane sonnolento.
In tutto ciò abbiamo fatto tardi e abbiamo trovato l’agenzia di viaggi chiusa.
A quel punto ci siamo consolati facendo finalmente pranzo alle 5:30 con un ottimo panino (“torta”) che però a Aldo non è andato molto giù: io il mio l’avevo chiesto piccante ma l’hanno dato a lui…
Giretto allo Zocalo, ora albergo, e poi di nuovo zocalo, dove ci vediamo con Horacio.
Abbiamo finalmente (nel senso di definitivamente)capito che chiedere informazioni può essere molto deleterio, chiederle a uno solo una pazzia. Il trucco sta nel chiederle a tre persone e fare una media. Un vecchietto del patacchino informazioni ci ha depistato per spillarci 500 pesos (ma ha fallito), una ragazza ci stava mandando all’aeroporto…Con un po’ di ingegno è meglio fare da soli.
MAIL: Stasera invece siamo usciti con quel ragazzo che abbiamo conosciuto in aereo. Ci ha portato un po’ in giro, facendoci vedere una piazza meravigliosa piena zeppa di mariachi. Sembrava un film comico, ma in realtà tutti i vari mariachi si trovano lì per mettersi in mostra in attesa che qualcuno li assuma per una serenata privata da qualche parte o anche solo per strimpellare due canzoni lì. La cosa fichissima e’ che la piazza (grande, come tutte le cose qui in Messico) straborda di questi tizi vestiti in quel modo osceno, e ognuno diverso dall’altro: ci sono quelli di Veracruz, quelli del nord, quelli di Messico (città), con abbigliamenti, strumenti e repertori diversi: una confusione di stili impressionante. E tutti i locali della piazza mandano in giro scagnozzi a procacciarsi clienti, uno stress che abbiamo superato brillantemente anche grazie a questo Horacio che con uno spagnolo ovviamente più fluido del nostro li liquidava amabilmente.Poi siamo andati alla ricerca di una cantina, dove prendere qualcosa da bere con “botanas” gratis. Le botanas sono stuzzichini (ma parecchio ignoranti) che ti danno per strozzare la birra, sia chiaro.Visto che era tardi e erano finite, l’oste ci ha allungato un paio di tacos a testa. Come nella migliore tradizione un tipo un po’ alticcio ci ha attaccato bottone, sedendosi al nostro tavolo e tirando fuori Cocciante, Aznavour, la Pausini e Nicola di Bari (giuro!), e chiedendoci che ne pensavamo del Messico, dei messicani eccetera eccetera. Un tipo pittoresco e simpatico, che ci ha pure offerto il secondo giro.
A conti fatti ho passato il sabato sera bevendo tre birre, mangiando ottimi tacos spedendo 25 pesos, ossia due euro e mezzo!!!.
Poi la giornata è finita in un irreale riverbero rosa che permeava il buio della stanza, emanato dalle nostre carni abbrustolite.
Domenica 9 Giorno 4 Siamo in autobus ora, stiamo lasciando il D.F. Non proprio a malincuore. Abbiamo un po’ cambiato i nostri improvvisatissimi programmi, stiamo andando a Taxco, una delle capitali dell’argento, dove arriveremo in serata e da cui poi Martedì ci risposteremo per andare a Malinalco e poi sul Pacifico, se le cose restano come sono adesso.
Oggi abbiamo stabilito un record, visitando il Museo Nacional nel giro di 4 ore, aiutati dal fatto che un paio di grandi sale (ma è meglio dire ali) erano chiuse, compresa una che invece avremmo voluto vedere (la “Maya”, per Palenque).
Io ho finito il primo rullino, facendo in tempo per fortuna a meterci il “calendario azteco”, che è in realtà la “Pietra del Sol” dei Maya, penso la più famosa immagine messicana, che sta pure sui 10 pesos.
Ora basta così, ance perché questo autobus –più comodo dell’aereo- sta facendo un’autostrada bella, ma con più curve della strada per Scansano, compreso qualche tornante! Siamo arrivati a Taxco. “Bellissimo!” esclama subito Aldo, e in effetti lo è: un paesino di 50.000 abitanti tutto in perfetto stile coloniale, abbarbicato su un monte.
Andiamo a prendere una stanza su al centro, prendendo un “pesero”, un furgoncino Volkswagen che fa da autobus per 14 persone. Arriviamo allo zòcalo, dove da sotto un patio posto al centro e rialzato suona un’allegra orchestrina. C’è movimento. Tra un maggiolino e l’altro arriviamo all’albergo. Riusciamo per fare un giro, sono circa le sette e mezza e ci accorgiamo che anche qui l’andazzo delle informazioni è lo stesso, ma qui non hanno la giustificazione della grandezza. Ci accorgiamo anche del fatto che se i 2/3 delle macchine sono maggiolini, qui i ¾ dei negozi sono “platerias”, negozi di argento. Infatti la città vive di questo, anche ora che le miniere sono esaurite.
Andiamo a mangiare e io chiedo qualcosa di piccante. Non arriva. Ancora non sono riuscito a soddisfare il mio desiderio di sputare fuoco.
Altra serata tranquilla, con una birra tra discorsi filosofici e pseudo-tali e una caffetteria che non serve caffè (!).
Lunedì 10 Giorno 5 Taxco.
La mattina comincia con l’ennesima brodaglia spacciata per caffè. Continua con un giro in teleferica per cui ci rubano 30 pesos, che paghiamo tranquilli in attesa di una vista mozzafiato. Che però non arriva. Per non tornare subito indietro e dare così un sapore completo di sconfitta alla mattinata cominciamo a vagare per vicoli e salite, fino all’ombra che ingentiliva l’unico pezzo verde di un campo da golf in disarmo.
Riscendiamo, facciamo l’ennesimo giro per le informazioni, passando da un’agenzia di viaggi che ci dice che per arrivare a Acapulco dobbiamo tornare a Città del Messico e prendere un aereo (!). Ok, grazie, come no! Alla stazione degli autobus ci dicono tutt’altro, tanto che decidiamo di partire subito. Fugone all’albergo a prendere gli zaini, paghiamo solo una notte e via, all’autobus.
Chiedo per scrupolo se c’è un autobus per Malinalco (ormai mi rode il cervello come un tarlo), nonostante molti ci abbiano detto di no o cose più assurde che per Acapulco. “Certo, parte tra 40 minuti” ci dice un vecchietto, di sicuro il più competente che abbiamo incontrato finora.
Per decidere dove andiamo facciamo testa o croce davanti alla biglietteria: vince Malinalco…evvai! Per ingannare caldo e attesa mi concedo un po’ di frutta a uno di quei baracchini per strada. E poi voglio capire che roba è quella polvere rossissima che ci mettono sopra, non può essere peperoncino! E invece si…non ci credo, è chile. E pure piccante. Anzi, finora la cosa più piccante che ho mangiato è la frutta! Partiamo alla volta di Ixtapan de la Sal, da dove proseguiremo per Tenancingo e quindi finalmente per Malinalco.
Troviamo ancora una volta un autista con la “guida sportiva”, ma non è per quello che la polizia ci ferma proprio di fronte al niente e al buio più totale, pregando los caballeros di scendere con gli zaini. Speriamo che non ci facciano disfare quelli grandi giù nel portabagagli, non c’è niente di compromettente, ma sarebbe una bella palla.
Scendiamo dalle scale e vediamo che stanno prendendo i nostri zaini. Attimi di terrore ma alla fine non ce lo disfano, ci chiedono cosa c’è qui? “ropa”, e qui? “ropa sucia”. Forse si spaventano per questo e ci lasciano andare, ma non prima di confrontare mezzora le foto del passaporto, della carta d’identità e della patente.
Alla fine arriviamo in mezzo al nulla, risaliamo sull’ autobus che ci lascia vicini a un albergo. Sull’autobus, subito prima di scendere la “hostess” dice all’autista che c’è una cucaracha e con molta calma lo schiaccia per bene in un angolo.
Il posto è desolato, mangiamo, ci prendiamo una birretta e l’oste chiacchiera con noi e ci offre un giro di Mescal, che da qui in avanti sarà la bevanda di Aldo.
Martedì 11 Giorno 6 Ora come ora siamo a Malinalco, io a bere un caffè in un ristorante molto carino e molto fresco, ricavato da una vecchia casa coloniale.
Il paese è molto carino, ma il santuario che eravamo venuti a vedere (io in realtà) è stato abbastanza deludente. Paradossalmente è stato il posto finora più deludente ma al tempo stesso più bello che abbiamo visto.
In più sono stai tutti molto gentili, abbiamo lasciato gli zaini in questo ristorante a-gratis, ci siamo presi un caffè per sdebitarci ed è stato il più buono in questi 6 giorni e ora Aldo sta anche sfruttando il loro bagno… Con un autobus sgangherato lasciamo questo paesello di poche anime. Ci fermiamo in salita (pendenza free-climbing) per aggiungere acqua al radiatore, ma questo autobus del ritorno è niente in confronto a quello dell’andata: una baracca polverosa col pavimento corroso dal tempo che faceva vedere la stada e il semiasse e, ancora peggio, diffondeva all’interno quell’inconfondibile odore di gas di scarico. Praticamente si reggeva con fil di ferro e preghiere, ma solo perché in Messico sono cattolici, in Turchia si sarebbe retto con sputo e bestemmie! Comunque, con una tappa nella desolante Tenancingo, torniamo a Ixtapan. Da qui, dopo un’attesa di due ore e mezzo ci muoviamo verso Acapulco, ma sarà solo un’altra tappa per prendere subito l’altro autobus per Puerto Escondido. Per un totale di 6 ore più altre 9. Praticamente ci aspetta un’altra trasvolata, ma domattina saremo al mare!
Mercoledì 12 Giorno 7 Siamo arrivati a Puerto Escondido.
Fa un sacco caldo, ma il posto promette molto bene. Troviamo un ostello a 40 peso$ a notte (4 Euro) molto vicino –sarebbe vicinissimo se non avessimo sbagliato strada- a una delle spiagge più belle della zona a sentire la guida. E in effetti così è: scendendo una rampa di scale si arriva a una caletta (“Carizanillo”), dove le onde oceaniche non si fanno vedere (ma la risaccas si), lasciando il posto a una sabbia gradevolissima, una decina di rapaci che volteggiano bassissimi e una serie di passaggi di pellicani e fregate, che ogni tanto si lanciano in picchiata a mangiare. Fantastico, solo che fa veramente troppo caldo. L’ostello, molto (ben) frequentato, è fatto da una serie di grandi capanne in muratura con tetti di foglie di palma, ma nonostante il ventilatore acceso e il mio letto sopra (è a castello), non si muove una paglia! Ciononostante riusciamo ad appennicarci. Stiamo entrando nella vera mentalità messicana, e ne siamo fieri! Dopo questa bella pennica riscendiamo alla stessa spiaggia della mattina, che è anche la più vicina. L’impressione non cambia: meraviglia. Il Sole picchia ancora però.
Andandocene assistiamo a un tramonto in linea con tutta la spiaggia, peccato che qua accanto ci sia Aldo (e viceversa).
Calcoliamo malissimo i tempi e ci facciamo un giro prima per il centro (due case diroccate) e poi per il lungomare, pieno di bancarelle e negozietti con un sacco di bella roba. Tiriamo sui prezzi ma non sempre funziona, e ci accorgiamo dopo che un acquisto salta per un euro e mezzo…che purciari bisognosi che siamo!
Giovedì 13 Giorno 8 Ci svegliamo, come tutti i pomeriggi….
No scherzo. A questi livelli ancora no, ma oggi almeno abbiamo tirato fino alle 9 e un po’. Anche perché per fortuna alla fine si respirava, anzi ha fatto addirittura fresco! (dopotutto è Febbraio…hahaha).
Con tutta la calma del caso riscendiamo al paradiso di ieri, quasi come per avere la conferma che esista.
Ci arriviamo prima oggi, e gli animali sono molti di più, anche se gli stessi di ieri. In compenso oggi ho la maschera! Me la metto per arrivare agli scogli ma non serve, già sulla sabbia ci sono un sacco di cose (compresi 50 pesos) da seguire: pesci gialli e neri, piatti, a forma di pesce…arrivo agli scogli e ne vedo di blu fosforescenti, altri colori incredibili e forse anche una cernietta, torni su a prendere aria e vedi i pellicani….Senza parole. Marci, penso che verrai qui due giorni dopo il mio racconto! Tutto il giorno qui oggi, con una macedonia a 2 € in spiaggia, in un baracchino dove vendono anche ostriche appena pescate da alcuni pescatori che stanno in fondo alla caletta. Stanno lì, pescano e a un fischio arrivano al baracchino con un piatto già pronto.
E’ apparso anche un ibis adesso.
Va detto che stiamo entrando appieno nello spirito del luogo, nella “messicanità” più totale: cambiamo i programmi troppo faticosi (tipo “saliamo in ostello e poi riscendiamo”) e la nostra unica attività qui in spiaggia dopo il bagno, è stata quella di entrare in armonia coi movimenti celesti e seguire il movimento dell’ombra, per ben sette ore oziosamente sdraiati a quattro di spade, mentre Aldo combatteva una sua personalissima lotta con delle formiche, sostenendo che erano sleali perché due contro uno. Velo pietoso.
Di ritorno in ostello tentiamo di farci capire da due compagni di camerata, una coppia norvegese che avevamo incrociato anche a Teotihuacan. Parlano un inglese molto difficile da capire (pe me poi…) e molto svelti. In più lui, Söndra (pronuncia sondra, detto Sandro), si mangia tutte le parole bofonchiando.
E’ dura, ma loro sono simpatici e ci impegniamo a vicenda. Un dialogo tra sordi.
La sera conduciamo un sondaggio su dove sia più buono il Cuba Libre nei locali di puerto escondido, tutti che fanno la “hora feliz” col 2 x 1.
Sondiamo un vasto campione (per la cronaca ha vinto il Barfly) e torniamo all’ostello, dove impudicamente ricominciamo a chiacchierare con Söndra e Lillian, e qualcosa di carino riesce anche a venire fuori, finché il sonno ha la meglio su tutti. Anche a causa di un gallo-mannaro che rompe le palle a tutti dalla sua postazione privilegiata a un metro dalla camerata, cominciando a ululare il suo “chicchirichì” alle quattro di notte, a intervalli regolari di 47 secondi.
Venerdì 14 Giorno 9 I due norvegesi ci svegliano alle 10 (ci può stare), ma comunque non ci dicono di andare a fare colazione con loro e le loro due amiche molto carine…pazienza.
Andiamo a un’altra spiaggia oggi, “Manzanillo”. Non riesco a crederci, ma è ancora più bella dell’altra! Ho fatto bene a non giocarmi subito il 10 e lode con la prima (9e1/2). Questa raggiunge il 10-, che piano piano diventa pieno.
E’ tutto un incrocio di traiettorie di decine di pellicani, gabbiani e rapaci (avvoltoi?). Aspettiamo che intruppino tra loro, ma non accade. Vediamo invece i pellicani tuffarsi in acqua a pescare a pochi metri da noi!! Che spettacolo.
Per la fretta mi metto la crema (che Aldo ha comprato NON impermeabile, pensavo che neanche le facessero più) molto approssimativamente e con maschera e boccaio mi fiondo in acqua. La spiaggia è un po’ scogliosa (tipo Seychelles), e sotto ci sono un sacco di bellissimi pesci. Ne ho visto uno nero, grosso tutto a pois bianchi. Altri blu e arancioni fosforescenti.
C’è uno scoglio un po’ a largo, su cui stanno appollaiati 6-7 pellicani. Mi ci avvicino piano piano e non scappano. Continuo ad avvicinarmi e restano lì. Ormai mi fermo a un metro (vero!) da loro, che mi guardano così come io guardo loro (magari con l’aria un po’ più tonta), ma non si spostano, anzi si avvicinano e uno di loro si stiracchia la pappagorgia. Torno indietro e mi imbatto in un enorme banco di pesci, tutti intorno a me a muoversi all’unisono.
Ne soffro, ma tutto il pomeriggio lo passo all’ombra, visto che sento la schiena già farmi male. Ma comunque è bellissimo anche da fuori, tra una pennica e una foto.
Torniamo in ostello, dove noto con piacere che la collana fatto il suo dovere su quelle “ciocie” che m’ha dato Marci, che sono durate due giorni. Cena con un chili con carne che, come al solito, non è piccante ma in compenso è una palla di fuoco. Continuiamo a monitorare che la qualità dei cuba libre resti perlomeno costante nei locali, allargando il campione. Anche perché veniamo bloccati da un italiano (…di Brescia…) che Aldo aveva conosciuto il giorno prima. Ci offre un altro giro e chiacchieriamo anche con lui (dopotutto è più facile che coi norvegesi). Fa il pompiere e ci racconta un po’ di cose.
Dopo un ricco giro e un ancor più ricco hamburger (ooooh…questo si che è piccante! Mi ci ha messo due manciate di jalapeño) ce ne torniamo all’ostello, dove con le nostre carni ben abbrustolite come piace a noi (ma non rosa Barragan…strano) ci mettiamo a dormire su quei letti lillipuziani con le lenzuola altamente abrasive e il gallo mannaro a pochi passi da noi…buonanotte.
Sabato 15 Giorno 10 I norvegesi si preparano per partire, ci precedono a Oaxaca (pr. Ua-aca) di mezza giornata. Chissà se li ribecchiamo? Facciamo gli zaini anche noi e andiamo a fare colazione insieme. Sta anche diventando più fluida la conversazione.
Loro poi scappano a prendere l’autobus (secondo me l’hanno perso) e noi scendiamo in paese (con un caldo allucinante), facciamo acquisti e ci areniamo sotto una palapa sulla spiaggia dei surfisti, che oggi non ci sono. Aldo si è imbozzolato in una amaca, io ora sto aggiornando questo quaderno, in attesa di tornare a prendere la nostra roba e l’acqua del Pacifico per Marci, in questo che sarà l’ultimo giorno a Puerto Escondido (per questo viaggio almeno).
Dopo qualcosa come 2 ore ci arrivano le cose che avevamo ordinato –direttamente lì per fare prima, in teoria-, mangiamo e ce ne andiamo in taxi (20 peso$). Scopriamo che abbiamo tutto il tempo per un’altra capatina alla prima spiaggia.
Butto l’acqua che avevo preso per marci e la riempio qui, la spiaggia è moooolto più bella. Dobbiamo ingannare il tempo fino alle 10:30, così classica mezzora su internet e cena in una “pozoleria” che ci hanno consigliato Sandro e Lilli. In effetti è il mio miglior pasto da quando sono qui. Mi hanno portato una dozzina di intrugli al limite del commestibile uno più piccante dell’altro e io li ho provati tutti: risultato una bocca termo-nucleare per le ore a venire.
Continuo a leggere il mio libro sull’ Australia continuando a sentirmi un po’ tonto, ma non è un problema. Il problema è che alla stazione degli autobus incontriamo un tipo di Arezzo che in tutta la sua antipatia ci attacca bottone.
Alla fine partiamo, col solito autista che tenta di battere ogni tipo di record, compreso quello delle valigie fatte cadere a ogni curva. E con Aldo spaparanzatissimo che contribuisce alla mia veglia forzata.
Domenica 16 Giorno 11 Siamo arrivati a Oaxaca. Solo che sono le 5:30 di mattina e fa un freddo agghiacciante, tanto che prendiamo i golf dagli zaini e io mi metto a sognare le terme…La stazione dà l’idea che non ci siano più blatte e scarafaggi solo perché se ne sono andati schifati. Ho il pessimo bisogno e la pessima idea di fare un salto in bagno e credo di aver assistito a una proiezione realistica dell’inferno, avendo poi ancora vivo negli occhi il paradiso di Puerto Escondido. Ancora assieme all’aretino, aspettiamo che sia un’ora decente per andare in ostello.
Finalmente ce ne andiamo, e dopo aver trovato l’ostello completo ne troviamo uno anonimo ma comodissimo e lindo. Ci riposiamo un pochino del viaggio e ci facciamo un giretto per il centro.
Lo localo sta a un tiro di schioppo, e tutta la città è molto carina: tutta bassa e colorata, con le strade in pietra e abbastanza strette. La piazza invece è enorme e molto alberata, col classico patio al centro.
Nella nostra peregrinazione tocchiamo anche il mercato, dove io non sono contentissimo di andare per terrore delle “chapulines”.
E infatti eccole. Ceste e ceste, tonnellate di cavallette fritte tutte attorno a me, giuro che respiro a fatica! Finalmente ce ne andiamo, e dopo esserci informati decidiamo di andare a Monte Alban.
Partiamo verso le 4 e attraversiamo una baraccopoli con Chevrolet parcheggiate fuori.
All’ingresso troviamo Lilli e Sandro, che però stanno andando via (di corsa come al solito). Riesco a ricordarmi il “come stai?” in norvegese (tipo “duru ai duda?”), e ci diamo una punta per la sera.
Monte Alban non è come l’aspettavo, ma molto bello lo stesso. Peccato una triste scoperta che abbiamo fatto: scavalcando un ambiguo cancelletto in un angusto pertugio, vediamo che una decina di lapidi e pietre giusto là fuori sono solo sagome in vetro-resina rette da palanche di legno…senza parole.
Dopo un’oretta c’eravamo più o meno rotti le pa**e, nonostante all’inizio ci lamentavamo per le sole due ore e mezzo a disposizione.
Dopo una tappa in ostello riusciamo per vederci con Lilli e Sandro, ma ci aspettiamo per una mezzora a vicenda in due posti diversi…alla fine ci vediamo e visto che loro hanno già mangiato ci andiamo a prendere qualcosa da bere. Chiacchieriamo amabilmente in un inglese sempre più scorrevole, seppur con dei problemi strutturali di fondo non indifferenti. Di musica, visto il mega revival ’80 del locale, io e Lilli; gli altri “deformati professionali” di ingegneria. E poi basta, serata tranquilla e a letto presto, visto che tutti abbiamo cambiato i programmi decidendo domani di vederci (presto, troppo presto) e di unire le due cose in ballo: Mitla (loro) e Hierve el Agua (noi pelandroni).
Ci offrono uno dei loro orologi spaziali per svegliarci, ma non sapremmo usarlo.
Lunedì 17 Giorno 12
Ci aspetta una grande giornata oggi. Lo scrivo perché lo speravo prima e perché lo so: sto scrivendo che è Martedì! Ci facciamo chiamare alle 7, tappa in bagno, doccia e sono operativo. Aldo ha di nuovo perso la sua battaglia con le coperte.
Riusciamo ad arrivare con un ritardo accettabilissimo all’appuntamento, tra l’altro non è ancora arrivata Lilli, che fino alla sera faceva la spavalda: piccola rivincita! Scopriamo che il giro è praticamente tutto per noi, almeno per la prima parte, e abbiamo un furgoncino con autista a nostra disposizione. Ci sentiamo tutti più comodi, ma ancor di più ci sentiamo “gringos” in vacanza. Ma almeno sappiamo che non è così (e poi…per una volta!).
Dopo una strada…messicana è il termine migliore, arriviamo a Hierve el Agua, che tradotto in italiano è “l’acqua bolle”.
E’ un posto stupefacente, una formazione calcarea tipo grotte .A all’aperto, che sembra veramente una cascata pietrificata o di ghiaccio. Immensa (circa 50 metri) e in mezzo al deserto.
Ci facciamo un bel sentiero che ci porta fin lì sotto.
Scattiamo tutti una marea di foto (le merita tutte) e poi risaliamo, fino alle PISCINE NATURALI LI’ SOPRA.
Sono un po’ inquietanti ma meravigliose: delle piscine che sembrano artificiali, a raso con un paesaggio dietro di montagne, dirupi e campi interi di Agave e Maguey, infatti questa è una delle principali zone di produzione del Mescal.
Ci facciamo uno splendido bagno nell’acqua che, a dispetto del nome, è gelida. Tanto che fa prevalere la metà messicana della norvegese Lilli, che decide di non fare il bagno.
Altre foto di rito e attimi di terrore, quando dopo aver chiesto a due italiani (anche qui?!) di scattarne una non trovavamo più le macchinette, ma tutto a posto.
Dopo una sosta più o meno forzata in un ristorante in cui non mangia nessuno, nemmeno l’altra coppia che è con noi, facciamo cambio di furgone e la comitiva si allarga. Andiamo a Mitla, che è un sito archeologico piccolo ma importante e singolare nell’archeologia messicana per alcune sue caratteristiche storiche e architettoniche (tipo che è sempre stata “attiva”, non fu mai abbandonata nel periodo della sua civiltà). Stiamo lì più o meno un’oretta, visitando tutti i palazzi e cunicoli, abbracciando una colonna per la quale avrei dovuto essere morto durante la giornata e entrando in una tomba dove ho capito di essere claustrofobico.
Finora è tutto molto carino e molto piacevole, soldi spesi bene. Ma ci accorgiamo di quel qualcosa in più che mancava solo quando questo arriva: visita a una distilleria di Mescal con degustazione (parecchia) gratuita e obbligatoria. Dopo aver visto due-tre lavoranti distrutti da una vita spesa tra i fumi della lavorazione, con uno che prova blandamente a infastidire Lilli, arriva il momento della degustazione. “Il sapore lo senti dopo il quarto”, ci dice il gran Cesar del D.F., con cui abbiamo scambiato 5 parole finora. I tipi sono decine, e io credo di averne saltati al massimo 4, ma concedendomi circa 6 giri di quello all’arancia…ottimo! Bevo accorgendomene solo dopo anche quello col “gusano”, il verme, ma per fortuna sta solo nella bottiglia.
Dopo il decimo, almeno credo che lo fosse, ho cominciato a bere senza mani, col bicchiere in bocca rovesciando la testa all’indietro. Tutto questo sotto gli occhi divertiti del gran Cesar e quelli allibiti di una giapponese (anche qui?!): non pensavo fosse fisicamente possibile per un giapponese sgranare così gli occhi! Invece si, piano piano, gradualmente, ma alla fine sembrava iper-tiroidea, ovviamente per lo spettacolo offerto da tutti e non solo da me.
Purtroppo mi era sfuggita la regola della casa per cui il visitatore che se ne va ubriaco vince una bottiglia. Io avevo equivocato e pensavo di diverne comprare una, così dopo il 17° ho messo un freno…(!).
Una del gruppo l’ha vinta, più che meritatamente.
Io invece ho dato prova della mia lucidità (anche se non totale) facendo da traduttore simultaneo per Lilli e Sandro dallo spagnolo all’inglese per la dimostrazione di un artigiano tessitore di tappeti. E’ andata abbastanza bene.
Sull’autobus del ritorno diciamo che l’atmosfera si era fatta più amichevole, abbiamo fatto due chiacchiere con Cesar e gli abbiamo fatto firmare il nostro quaderno. Un altro, che giuro si chiama Luis Miguel, ci ha offerto ospitalità a Jalisco… Dopo aver portato tutti a casa, una a braccia, siamo tornati in ostello a levarci di dosso la polvere del Messico e i fumi del Mescal, giusto una mezzora, prima di uscire di nuovo coi norvegesi. Dopo una camuffa cena vaghiamo in cerca di un posto dove congedarci con una biretta, visto che loro partono domattina e noi la sera. Non troviamo un posto dove consumare un “caminero”, il nostro “bicchierino della staffa”, ma restiamo comunque a lungo in giro a sparare cavolate un po’ tutti.
Alla fine ci salutiamo con le solite promesse inviti, ma stavolta non sono di circostanza anche se forse non si avvereranno.
Comunque un po’ mi dispiace.
Martedì 18 Giorno 13 Nel gergo ciclistico si direbbe una “tappa di spostamento”, e infatti ci aspetta un lungo viaggio stasera: l’ennesima trasvolata.
Impegniamo la mattinata a zonzo per Oaxaca, visitiamo la cattedrale e il museo annesso, dove incontriamo – o meglio – Aldo incontra Luis Miguel, visto che io avevo fatto un altro giro perdendomi in quel labirintico museo.
Imbuchiamo qualche cartolina, classica capatina alla posta virtuale.
Perdiamo tempo per andare a chiedere informazioni per l’autobus ridiscendendo all’inferno della stazione di arrivo, che di giorno fa tutto uno stesso effetto, anche peggio. Tutto questo perché non ci siamo fidati della ragazza dell’ostello:…scusa, veramente scusa:scusissima.
Torniamo sui nostri passi, biglietto, giretto ozioso e poi ci muoviamo per andare a prendere gli zaini e andare in stazione.
Andando a Aldo sembra di vedere Lilli, guarda meglio e dice “no, non è lei!”. Due minuti, arriviamo all’ostello e ci dicono che 5 minuti prima due persone ci avevano cercato…erano loro! Affardellati dagli zaini (zaino…il mio veramente è un baule, come dice mio fratello) fino allo localo per vedere se li troviamo, ma niente. Peccato.
Arriviamo alla stazione con un autobus che ha un soffitto alto solo 3 centimetri più di me e la porta da cui non entrava il mio zaino. Mi guadagno così gli sguardi divertiti che diventano risate di una bambina e di sua madre.
Ci imbarchiamo, soliti controlli ferrei delle borse (!) e ci prepariamo a queste ennesime 12 ore di viaggio (dovremmo fare un bilancio della durata totale del viaggio e il tempo effettivo).
Mercoledì 19 Giorno 14 Siamo praticamente a metà.
Dopo un lungo viaggio e una quasi soddisfacente dormita (per me), siamo a San Cristobal de las Casas, CHIAPAS! E si vede. Subito ci passa accanto un tizio con una maglietta di Marcos-Zapata-Che.
Nonostante i 2100 metri di altitudine si sta bene e anzi il sole scotta.
Prendiamo posto all’ostello un po’ frettolosamente, infatti non è dei migliori e la nostra stanza senza finestre puzza di muffa.
Ci facciamo un giro per il paese. Prima in un mercato di artigianato che entrambi avremmo svuotato avendone la possibilità, poi in quello normale. Io finalmente sento di stare in Messico: è questa l’immagine che avevo davanti agli occhi prima di partire e mi piace molto. Aldo è un po’ scoglionato per il viaggio e per un caffè veramente tossico che oggi ci hanno propinato Nel mercato abbondano quelle brutte statuette zapatiste come quella che ci diede Titti, magliette (alcune splendide) di Marcos e altre cose analoghe. Aldo col suo gusto vagamente sűd-tirolese nota tutte le chincaglierie in legno…de gustibus… Pranzo e poi ci dividiamo: Aldo in ostello, io a fare acquisti al mercatino.
Sulla via del ritorno vengo sorpreso da un diluvio, tanto che sono costretto a rifugiarmi in un ristorante a prendere un caffè (eccomi qui…) perché non posso attraversare la strada: ci saranno almeno 30 cm di acqua che viene giù con una forza che fa arrancare anche le poche macchine che si avventurano.
Passa un’ora e mezza, vedo che ora l’incrocio forse è guadabile e provo ad attraversarlo saltando nella scia di una macchina. Risultato: mi inzuppo totalmente fino a metà stinco. Faccio un isolato e, porca miseria, mi trovo al punto di prima. Vedo scorrere a valle un sorcio che ha fatto la sua propria fine, quando dopo un quarto d’ora di attesa, insieme a altri tre ragazzi, saltiamo sul cassone di un pick-up che ci da un passaggio di 30 metri…(c’è bisogno di commento forse?). Arrivo in ostello pregustandomi una doccia calda, ma manca la seconda componente e rinuncio. Mi accontento di cambiarmi, mettermi addosso qualcosa di caldo e di asciutto e la roba bagnata ad asciugare fuori dalla stanza, sperando che stavolta non mi rubino niente.
Stiamo un po’ in ostello e poi ci andiamo a fare un giro: fa un freddo cane.
Scendendo in piazza passiamo davanti a una ventina almeno di agenzie di viaggi e decidiamo di informarci per escursioni a Palenque e/o Agua Azul.
Scopriamo che costano un voato. Però costa un po’ di meno per il Cañon del Sumidero, per il quale tra l’altro Aldo si è fissato (anche se non come per il Pulque) e in effetti dalle foto promette bene.
Io non sono contentissimo di spendere un sacco di soldi per una gita in barche da 15 persone…mi sembra molto americano, ma va bene: ¡orale! Prendiamo il pacchetto, appuntamento domani alle nove e continuiamo a girare per San Cristobal. Andiamo a mangiare qualcosa e poi in un locale per il quale abbiamo una consumazione gratis (o almeno così pensavamo). Ci fanno quella che finora è stata la perquisizione più accurata che abbiamo subito.
Il locale però è vuoto e decidiamo di tornare dopo. Aspettiamo che si faccia un’ora decente per tornare e quand’è subiamo le seconda perquisizione e ci prendiamo una simil-sangria a-gratis, era quello il free-cocktail.
La musica dal vivo non è male, ma dopo un po’ ci cala la palpebra e decidiamo di andarcene.
L’ostello ci accoglie con la stessa puzza di muffa di prima, e il mio letto è totalmente zuppo di umidità.
Giovedì 20 Giorno 15 Ci svegliamo presto, io nella stessa posizione di quando mi ero addormentato, visto che il resto continuava ad essere zuppo.
Andiamo in agenzia e dopo un po’ arriva il nostro accompagnatore: si va in macchina perché siamo solo 4.
Dopo un’ora e mezzo e 370 curve circa (è vero, non è un’esagerazione) arriviamo a destinazione, il Cañon del Sumidero.
Ovviamente ci becchiamo l’ultimo posto della barca, ben stretti nei nostri giubbotti di salvataggio. Il traghettatore (lui si fa chiamare guida) va a tutta manetta per il primo pezzo, quello di avvicinamento al Cañon. Già qui vedo decine di aironi, sia in volo che in rassegna lungo le sponde.
All’interno del Cañon per fortuna rallenta un po’ la marcia, fermandosi si quando in quando. La prima volta per indicarci un gruppo di scimmie-ragno, poi per le particolarità del Cañon, che purtroppo però un po’ perde in questa stagione secca: non c’è traccia di tutte le cascate e cascatelle disseminate nei 35 km di tragitto che avevamo visto in foto. Ma poco male: nonostante l’acqua sia un po’ sporca infatti il posto è molto bello, con centinaia di avvoltoi in volo e no, picchi delle pareti di più di 1000 metri di altezza, decine di aironi, di cormorani e, di ritorno, anche i coccodrilli. Eh si, 4 per la precisione.
Il primo riesco vederlo solo dopo mezzo minuto, nonostante sia su un tronco a non più di 5 metri da noi, con la bocca spalancata. Resta immobile, tanto che pensiamo sia finto, vista anche la sicurezza della “guida” quando ha puntato su quest’insenaturina.
Però più in là ne vediamo altri: uno crogiolarsi al sole su un tronco galleggiante tipo sul materassino; un altro mimetizzato nello zozzo; e l’ultimo bello godurioso al sole che non ha gradito la nostra presenza, spostandosi poco più in là (arrivando così a 3 metri e mezzo).
Sulla via del ritorno ci fermiamo in un paesino inutile, crolliamo dal sonno in macchina e quando arriviamo decidiamo di partire subito per Palenque, senza aspettare l’auto dell’1:30.
Biglietteria chiusa. Un minuto su internet (vero!), giro al mercato, caffè…biglietteria aperta.
Ok partiamo subito allora. Accompagnati dal solito filmaccio orrendo sull’autobus ma con un paesaggio meraviglioso fuori…vince il secondo, e vediamo angoli stupendi di Chiapas.
Con il miraggio di una notte in amaca sotto questo splendido cielo, ci avventuriamo in un ostello qui a Palenque, fuori dalla città a solo 400 metri dalle rovine.
Il posto è meraviglioso, ma altrettanto assurdo: sembra una comune piena di giovani alternativi che “scrivo, non scrivo; penso, non penso: un po’ zingaro un po’ peones”. L’immagine che mi viene in mente è la comunità hippy di Verdone (quella de “le spade di fuoco”, ma descritta da Moretti…ho reso l’idea?).
Dopo aver vagato al buio per cercare posto dove accamparci, passando per “palapas” abitate tutto l’anno, con altarini new-age, pietre, allevamenti di polli, tappeti e quant’altro, comunque tutti organizzatissimi, troviamo un tetto. Ci facciamo prestare una candela all’ingresso e me la faccio accendere da due degli innumerevoli italiani qua, mentre l’ingegnere monta le amache. Ecco, adesso siamo entrati in comunità del tutto! Io arrivo a malapena sulla mia, tanto Aldo le ha montate alte, ma dopo vari tentennamenti per i dubbi sulla resistenza della capanna, ci culliamo al fresco. In lontananza (a parte i soliti Djambé e Digiridù (?)) si sentono un sacco di versi strani e rumori della foresta qui attorno. Splendido.
Per fortuna il cielo stellatissimo non lo vedevamo, così abbiamo evitato lo scroscio che è venuto giù poco dopo.
E mentre un incapace totale cerca di imitare un altro col Djambé, ci addormentiamo.
Purtroppo ci risvegliamo nottetempo perché fa un freddo “ de puta madre”.
Venerdì 21 Giorno 16 Al risveglio Aldo non è contento della notte in amaca, se l’era immaginata diversa. Invece fa finta che cominci a piacergli l’ostello (figuriamoci: uno che ha un paio di ciabatte apposta per il bagno…).
Ci prendiamo un caffè e andiamo alle rovine a piedi. Dopo il freddo totale della notte, boccheggiamo per il caldo atroce e per l’umidità ancora peggio. Finora però è il posto più bello, anche più di Hierve el Agua. Le rovine spuntano da in mezzo alla foresta, versi stranissimi ti accompagnano nel giro e è pieno di verde soffocante tutto attorno: è per questo che l’ “impatto scenico” è molto migliore rispetto a Teotihuacan o Monte Alban.
Con tutta la calma del caso ci giriamo il posto e ci godiamo una splendida cascata all’interno del sito e saliamo le ennesime scale, a volte accodandoci a guide di altri (solo una in italiano). Dopo circa 4 ore torniamo in comunità, zuppi fradici schifosi di sudore. Ci riposiamo, ci prepariamo e andiamo in paese, dove un gruppo di danesi ci blocca per chiederci di parlare con l’agenzia visto che hanno avuto dei problemi e non spiccicano una parola di spagnolo. La cosa si fa lunga, cominciamo a chiacchierare finché ci dicono che dobbiamo tornare dopo. Così ci diamo un appuntamento e finalmente ci andiamo a fare una meritatissima doccia, in un albergo alquanto precario, che però ha sul soffitto un provvidenziale ventilatore, anche se ha un disegno di una spirale e girando diventa molto ipnotico.
Ci rivediamo coi danesi e alla fine rimaniamo che domani andiamo insieme (ci fanno pure lo sconto) a fare un giro a Misol-Ha, Agua Clara e Agua Azul. Nel frattempo s’è fatta l’ora di cena e andiamo tutti in un posto dalle porzioni molto abbondanti. Siamo con dei danesi, e infatti subito la buttano su una serata birresca, ma è il paese a non offrire molti spunti. Alla fine giriamo solo un paio di locali e con noi vengono anche un paio di ragazzi italiani, anche loro alla ricerca di qualcosa da fare.
Sabato 22 Giorno 17 Con molte difficoltà ci svegliamo alle 8, per fare gli zaini e farci trovare alle 9 per partire.
Troviamo due antipaticissime italiane sul mini-van, romane (ma evidentemente laziali…) e dall’aspetto inacidito tipico delle professoresse frustrate. Ma sono solo illazioni e alla fine ‘sti cavoli.
Il primo posto è molto carino: Misol-Ha. Una cascata, alta, con un percorso che le passa dietro e nel mezzo del verde tropicale.
Agua Clara è un po’ deludente: un fiume di un blu incredibile (bellissimo!) con un ponte alla Indiana Jones sopra, ma abbastanza inutile. Il pezzo clou è Agua Azul, che effettivamente è spettacolare: 1 chilometro di cascate dello stesso fiume blu, trasparentissimo…splendido. Ci facciamo un ricci bagno, sfidando la corrente in alcuni tratti, seguendola in altri e piazzandoci sotto cascatelle abbordabili che fanno uno splendido massaggio cervicale (altro che Saturnia!). Ce ne andiamo da questo spettacolo, e sulla via del ritorno la palpebra si fa parecchio pesante, così non ricordo nulla fino all’albergo. Albergo da cui via senza docciarmi, per andare a prendere il biglietto per Tikal, Guatemala. Mi dicono che c’è un’altra cosa da pagare; sono titubante, faccio testa o croce e per tre volte esce Tikal: ho vinto! Soddisfatto e alleggerito mi presento all’appuntamento che abbiamo con gli altri e qualcun altro conosciuto stamattina. Dopo aver sfiorato una vera figuraccia con una israeliana che non avevo riconosciuto (tipo “ciao, io sono Rocco e tu?”), ci dirigiamo tutti in un ristorante-ostello italo-messicano, dove mangiamo bene e a poco. Il posto è carino e l’alcool scorre. La conversazione è in inglese purtroppo e a tratti con qualcuno in spagnolo. Dopo il terzo giro di rum il mio inglese migliora, e mi fermo a parlare due ore con un brasiliano un po’ di tutto, dal calcio (ovvio: un brasiliano e un italiano…) fino a Lula. Lui è simpatico, e io sono contento del mio inglese. Un po’ meno del fatto che alle 5 devo partire e alle 2:30 siamo ancora lì. Per il ritorno cerchiamo da un’altra parte, finché ci carica uno con un furgone Wolksvagen.
Un’ottima serata nel complesso. Più costosa di quanto avrei voluto ma dopotutto è sabato(!).
Domenica 23 Giorno 18 Mi vengono a prendere in albergo, ma è fucking presto! Non è facile dormire sul pulmino, troppo piccolo e così sonnecchio più che altro. Arriviamo alla frontiera e dopo aver pagato per uscire dal Messico, l’autobus ci lascia su una sponda del fiume, dove non c’è nulla che faccia pensare a un minimo di organizzazione. Anzi, dove non c’è proprio nulla. A parte delle barchette che ci indicano: dobbiamo andare con quelle. Nell’attesa comincio a scambiare due parole con due ragazzi svedesi, con cui alla fine resterò per tutto il tempo qui in Guatemala e saranno una vera salvata.
Dopo 20 minuti di navigazione alla cieca, il pilota ci fa scendere incagliandosi su uno scoglio: non c’è traccia di nulla neanche qui, solo un famigerato autobus guatemalteco, che facendomi rimpiangere quelli messicani ci porta fino a Flores, ma solo dopo 3 ore di strada sterrata bianca. Tre ore in cui parlo con gli svedesi e un cinese logorroico; decidendo di farci il viaggio insieme (senza il cinese). Arrivati a Flores prendiamo un taxi fino a “el remate”, a metà strada verso Tikal e con splendida vista sul lago, che comincia dall’altro lato della strada e continua per chilometri. Andiamo a mangiare qualcosa alle 6:30 (loro sono abituati così), una partitella a biliardo in mezzo a tanta bella gioventù (però tutti cordiali e sorridenti) e poi andiamo in albergo, a 20 Quetzales a testa (meno di due euro e mezzo). Io ho quasi finito i miei soldi, visto che non sono riuscito a prenderli al bancomat, ma mi hanno detto di non preoccuparmi perché in un paio di posti funzionerà. Intanto comincio a fare buffi con Eric e Gūnnar, i due svedesi. Tra due chiacchiere in inglese, e le reciproche classiche lezioni di lingua-madre cala il sonno entro le 11. Sonno durante il quale i due mi dicono che ho parlato, e in inglese per di più…! Comunque andiamo a letto, visto che abbiamo preso accordi per il “taxi” per Tikal alle 5:30 di domattina.
Lunedì 24 Giorno 19 Ci svegliano con mezz’ora di anticipo e partiamo per Tikal. Pago il taxi, l’ingresso e ho finito i soldi: ora sono a ricasco di Eric e Gunnar, a partire dalla colazione.
Tikal è meravigliosa, potrei evitare di scrivere, so che tanto mi ricorderò tutto, ma ormai ho cominciato…Per cominciare sul sentiero d’ingresso vediamo un Capibara, ma non è niente. Non sono ancora le 6 di mattina, è praticamente tutto per noi, che ci sentiamo e siamo ospiti della Giungla. Arriviamo alla fantastica Plaza Mayor del sito, scalando un paio di templi e inchiodandoci lì un’oretta: da ogni parte veri stranissimi di uccelli. Ai piedi dei templi e ai nostri decine di strani procioni. Spostando lo sguardo verso l’alto il cielo è solcato continuamente da coloratissimi pappagalli (inseparabili?), uccelli altrettanto belli e TUCANI. Da ogni dove si sente il loro bellissimo verso, quando finalmente ne appaiono 3-4, volando o appollaiati sui rami o dettando da un albero all’altro. Non ho parole. E’ fantastico anche vedere il loro volo, disturbato e condizionato da quell’incredibile becco.
Anche le rovine sono meravigliose, così come il fatto di attraversare la foresta e vedere decine di collinette ricoperte di terra, vegetazione e alberi sotto ai quali si vede benissimo il profilo di vecchie costruzioni… Andando avanti nell’“esplorazione” vediamo anche scimmie urlatrici e scimmie ragno con relativi piccoli al seguito: sono quasi commosso dalla bellezza e dall’armonia di questo posto.
Saliamo sulla costruzione più alta, che in realtà lo è perché eretta su un’altura, ma ciò la rende visibile da centinaia di chilometri. Facendo il giro dei quattro lati si vede solo foresta a perdita d’occhio, fitta e inestricabile! Incredibile.
Io mi sento come in gita, una scampagnata di due giorni in Guatemala che suona come una vacanza nella vacanza.
Ma come tutti i bei sogni, il brusco risveglio è dietro l’angolo.
Verso le tre e mezzo siamo di nuovo a Flores, dove lascio lo zaino a Eric e Gunnar e vado in cerca di un bancomat che accetti questa mia pessima carta di credito, il tutto insieme a un tizio dell’agenzia che mi deve vendere il biglietto per Chetumal, Messico, a 300 e passa pesos messicani.
La brutta sorpresa è che nessuna accetta la mia carta. E io non solo ho dei buffi e ho finito i soldi, ma ancora non so come tornare il Messico. Dopo aver peregrinato per un’ora vado direttamente in agenzia a vedere se posso fare in qualche modo, magari pagando all’arrivo. Solo che troviamo un ragazzino (fatto di colla?) in agenzia col quale avevamo mezzo litigato il giorno prima, e non sembrava disposto a trattamenti di favore. Alla fine riesco a spuntarla, e con i soli ultimi 200 pesos che mi erano rimasti pago il biglietto poco più della metà. Solo che l’autobus è domattina alle cinque. Contento e un po’ rinfrancato torno dagli svedesi, che mi vietano di dormire alla stazione dei bus (non è sicuro qui) e mi ospitano nella loro camera d’albergo, pagando un sovrapprezzo e cedendomi un materasso nonostante il mio rifiuto: veramente splendide persone.
Ci rilassiamo un po’ in albergo, chiacchierando anche con un fattissimo cubano che lavora per la Lonely Planet, finché ci vediamo con un irlandese, una norvegese e un tedesco, tutti amici degli svedesi e nello stesso albergo per andare a cena, anch’essa gentilmente offerta da Gunnar e Eric. Tirando tardi a parlare andiamo a dormire verso l’una, e io ho chiesto la sveglia alle 4e30.
Martedì 25 Giorno 20 Mi sveglio alle 4:30 per andare a prendere l’autobus, e dopo aver lasciato un biglietto ai due compagnoni mi avvio, ricaricando una bottiglia d’acqua a uno di quei boccioni in agenzia: non ho un soldo con me e devo tirare a campare.
Comincia l’ennesimo grande viaggio di 13 ore fino a Tulum, per arrivare al quale attraverseremo due frontiere, due stati e quattro dogane con relativi timbri: Guatemala, Belize e Messico.
Per entrare e uscire dal Belize ho bisogno di 10 dollari, e me li presta un gentile ma non simpaticissimo ducatista italiano, al quale li restituirò in Messico. Il viaggio dura più del previsto, anche perché tra Guatemala e Belize il bus buca e l’autista smonta la ruota e PAM!, se ne va a farla aggiustare tipo ruota della bici impiegandoci un’ora. Mentre noi aspettavamo bloccati in un limbo tra i due stati, in compagnia solo di un cane rognosissimo che non ha mai ricevuto affetto (e si vede) e mai lo riceverà (e si capisce perché). Dopo questo estenuante viaggio dopotutto andato a buon fine, arrivo nella costosissima Tulum, dove trovo Aldo in compagni dei due italiani di Palenque e altri dodicimila italiani sparsi per tutto il “campeggio”. Composto di capanne sulla spiaggia bianca e finissima con amaca e rumore del mare in sottofondo…non male! Dopo una cena costosa quanto deludente e la pessima notizia dei voli che leggo da Marcello comincia a calare la palpebra, visto il viaggio, il molto sonno arretrato e la tensione accumulata in questi giorni: rimanere bloccati senza soldi in Guatemala non è piacevole. Però ne è valsa la pena: Tikal è stato il posto più bello che abbia mai visto. Sono contento di questa avventurosa scampagnata.
Mercoledì 26 Giorno 21 Mi sveglio presto visto che ieri sono andato a dormire prima delle 11. La mia amaca è veramente grande e pure comoda, la temperatura della “cabaña” addirittura freschina e le zanzare hanno martoriato solo Aldo…ottimo! Me ne vado in spiaggia: bella, lunga, compatta e bianca scintillante. Mi aspetto di scottarmi i piedi, invece è anche piacevolmente fresca, e per tutto il giorno! Il mare è turchese, e a circa 200 metri dalla riva le onde si infrangono sulla barriera corallina…devo continuare? Aggiungo solo che l’acqua è troppo trasparente e la sabbia mescolata con una strana polvere rossa, secondo me sono frammenti di corallo. Guardandoti attorno vedi qualche sporadico pellicano e le rovine di Tulum a circa 500 metri e proprio a picco sul mare, con 200 metri prima un faro molto carino. L’ennesima cartolina.
Non fosse che guadagno anche l’ennesima scottatura sarei più felice. E non fosse anche che il mare è bello ma…qui a riva non offre niente.
Il tempo passa oziosamente, fortunatamente senza nessun nudista che fa footing sulla spiaggia (come invece ci avevano detto), finché verso l’ora di pranzo ci muoviamo per andare alle rovine. Mi vado a fare una doccia e scopro di essere circondato dalle iguane, grosse come iguane grosse, che popolano questo posto. Soprattutto lo spazio tra il bar e il bagno. Un po’ perplesso ma ancora tranquillo mi appropinquo al pessimo bagno, ma lì la più grande delle iguane stava beatamente prendendosi il sole spaparanzata sul davanzale. Lì la mia tranquillità ha iniziato a vacillare, e dopo una pantomima di 20 minuti decido di andare (dopo aver consultato anche le mie stanche ascelle).
Diciamo che è andata bene anche se non è stata la doccia più rilassante della mia vita, complice anche un’altra iguana che ha fatto capolino alla finestra.
Arriviamo alle rovine, molto belle come posizione ma non particolarmente di per sé. Con una caletta in mezzo ai palazzi e almeno un centinaio di iguane in ogni dove, anche se nessuno sembrava curarsene. Dopo aver ascoltato qualche guida inventare storie per turisti, siamo andati al paese per informazioni sull’autobus e internet. Cena (ottima e economica) lì e di ritorno ci ritroviamo nel nulla: niente e nessuno da nessuna parte. Così dopo qualche simil-discorso simil-impegnato andiamo a dormire ancora una volta presto (ancora ci manca una “notte brava”).
Giovedì 27 Giorno 22 Ci alziamo con la nostra solita flemma, Aldo si conta i pizzichi delle zanzare e io comincio la mia lotta giornaliera con le iguane azzardandomi a andare in bagno. Mentre io finalmente disinfesto i calzini facendomi uno scomodissimo bucato a mano, Aldo va a informarsi per le immersioni. Visto che costano meno di quanto avevamo capito l’altra volta decidiamo che si và. In fretta arriviamo fino a lì, ma essendoci il mare mosso l’istruttore ci rimanda a domani. Noi pensavamo di andarcene domattina, ma sperando che il tempo migliori cambiamo il nostro programma (ma si può poi chiamare così?), avviandoci verso un pranzo prematuro e un pomeriggio, tanto per cambiare, ozioso.
Ozioso si, ma andiamo addirittura a un matrimonio! C’è una compagnia di inglesi che sta facendo il matrimonio in spiaggia. Ci avviciniamo speranzosi di trovare un rinfresco, ma ciccia: dopo la cerimonia fuggono subito.
Così decidiamo di sfidare lo spazio-tempo e arrivare in paese a piedi, con il sole che sta già tramontando e 8 km davanti. Per fortuna uno scassato maggiolino ci carica, ma sono già in tre e a me e Aldo tocca andare dietro (con già una persona). Dopo una capatina su internet ci dirigiamo al posto dove abbiamo un appuntamento a cena con i due ragazzi italiani di Palenque e una masnada di svizzeri che non sono proprio l’apice della simpatia. L’unico che non parla italiano ce lo troviamo accanto noi: un tipo inquietante ma simpatico identico a Bruce Dickinson con qualche segno in più degli anni. La cena va sul pesante, con un dottore svizzero che ordina bottiglie di vino a ripetizione, dopo aver ordinato lui da mangiare. Finita la cena, dopo il primo giro offerto dalla casa, ordina a getto continuo tequila per tutti. Il conto che viene fuori rende molto difficile ricacciare in gola l’urlo che nasce spontaneo, ma ciccia così.
La compagnia poi si sposta in una malfamata discoteca mentre io, un po’ per la mia bisognosità un po’ perché comunque proprio non mi andava, torno in campeggio con altre due persone, che tra l’altro devono svegliarci presto domattina. Aldo risponde alla chiamata, e torna lesso poco prima del far del sole. Sarà cotto tutto domani.
Venerdì 28 Giorno 23
Ci svegliamo, frettolosamente prepariamo gli zaini tra mille difficoltà e li lasciamo là per andare a fare il “buceo”, l’immersione nel “campeggio” vicino. Il corso teorico consiste nella lettura delle prime 70 pagine del manuale, integrate con un paio di cavolate tra noi. Arriva poi il momento della prima immersione di prova, ma pensiamo che dopo le difficoltà della vestizione nulla può spaventarci. Indossando il “G.A.V.” con la bombola Aldo quasi caracolla indietro, io sono abituato al mio zaino che è molto più pesante…La prima prova passa, non particolarmente brillantemente, ma è per cominciare a prendere confidenza con l’attrezzatura. Aspettiamo, ancora una volta, che arrivi l’ora di quella vera e quando arriva ci dicono che non si va sulla barriera corallina. In effetti la corrente si sentiva anche prima. Un po’ ci dispiace. Ci dirigiamo quindi a “El Cenote”, uno specchio d’acqua dolce e limpidissima, con alcune confluenze d’acqua salata. Nonostante la guida poco sciolta di Victor (un assistente del “dive-master”) arriviamo, ma con un clamoroso ritardo sulla tabella di marcia, che alla fine ci farà perdere l’autobus per Chichen-Itzà.
L’immersione è grandiosa e la felicità sale poco a poco: usciamo inizialmente leggermente delusi per la povera vita subacquea (a parte un piccolo barracuda!), ma poi ripensando capisci che il posto è veramente meraviglioso: cunicoli, grotte, anfratti e strettoie sotto un tappeto di mangrovie! Anche troppo poco rassicurante come prima immersione. Tocchiamo la profondità di 7 metri, e le mie orecchie ancora rispondono. Alla fine del giro, con l’aria già in riserva, entriamo in un buco nero, con bolle d’aria imprigionate sul soffitto: spettacolare! Al ritorno tutti contenti, con Aldo dolorante a un orecchio e la guida di Victor ancor più legnosa (si appennica a un incrocio.
Dopo un’abbondante porzione di patatine fritte come premio, visto che ormai l’autobus è andato, ci avviciniamo in paese e andiamo a dormire davanti alla stazione dei bus.
Ci appoggiamo al letto dieci minuti, con i vestiti e tutto solo per riposarci un attimo prima di andare a procacciarci la cena quando, come per uno strano strappo spazio-temporale, o più probabilmente per un infame sortilegio, ci svegliamo 12 ore dopo che è già mattina!
Sabato 1 Marzo Giorno 24 Freschi e riposati dopo le 12 ore di sonno (ci stiamo portando avanti per smaltire il fuso), prendiamo il biglietto dell’autobus per Chichen-Itzà (facendo un giro particolare per cui abbiamo speso meno con meno tempo di viaggio!!!) e aspettiamo (è una costante) che si faccia l’ora chiacchierando con un ragazzo in ostello.
Finalmente arriviamo a Chichen-Itzà (passando da Valladolid), facciamo un salasso per il biglietto d’ingresso e…bello, ma un po’ deludente…manca qualcosa, nonostante ci siano cose veramente meravigliose. Ci facciamo un ricco giro del parco e poi torniamo a Valladolid dove, baule in spalla, raggiungiamo l’ostello (veramente troppo bello) e guadagniamo la doccia.
Nello stesso ostello ci sono 3 ragazze spagnole che Aldo aveva incrociato a Tulum quando io ero a Tikal. Due chiacchiere, cena e poi usciamo tutti insieme per le vie festanti del carnevale di Valladolid (eeehhhh, festanti poi…). Ci sentiamo un po’ come due papponi: vengono tutti a offrirci da bere, arruffianarsi e chiedere se possono ballare con loro. Tutto il tempo così: una processione continua tra l’altro di mostri in gara per un ballo. E così ci sentiamo un po’ papponi un po’ guardie del corpo. Per fare uno spot della Corona dei ragazzi tracannano birra e la regalano a chiunque vada a chiedergliela…dopo il terzo giro però ci fermiamo. Insomma, alla fine torniamo in ostello ad accompagnare le ragazze, e come due piccoli carciofi ce ne andiamo a fare un altro rapido giro, ma ci troviamo in mezzo al niente, e così ripieghiamo all’ostello.
Siamo costretti dagli eventi a queste serate tranquille.
Domenica 2 Giorno 25 Dopo un lungo giro per trovare un posto dove prendere un caffè e una capata su internet, ci dirigiamo appesantiti dagli zaini alla stazione degli autobus, per andare verso Merida, che ci hanno detto tutti essere bellissima.
Il viaggio è di sole 4 ore, ma stranamente le accusiamo più delle 15 per Puerto Escondido. Io elaboro la teoria che in questi casi il sonno ti colpisce come auto-difesa: non è necessario e sul letto non ti addormenteresti, ma il sub-conscio prevale e ti fa piombare nel sonno.
Il taxi ci dice che dobbiamo farcela a piedi, perché per il carnevale la strada è chiusa. E così ci facciamo un paio di chilometri con quella zavorra, fino ad arrivare all’ostello e alla strada che ovviamente è trafficata (anzi, dalla finestra entra un macello…).
Lasciamo giù tutto e ci andiamo a fare un giro. Il grosso del carnevale c’è già stato, restano solo un paio di concertini e centinaia di ubriachi barcollanti un po’ per loro stessi un po’ per evitare o per aver inciampato su gente stesa per terra, più ubriaca di loro.
Ci godiamo un concertino ska, finché non ce ne andiamo scortati da due tipiche bellezze messicane, il cui nome per entrambe potrebbe essere il “Nunzia” di abatantuoniana memoria, fino ad arrivare allo localo. Di qui torniamo verso l’ostello, fermandoci a fare la spesa: oggi cuciniamo e abbiamo deciso che dopo 25 giorni può starci una pasta.
Il tempo che faccio una doccia e l’impegnatissimo (in tutti i sensi) Aldo sta chiacchierando con una canadese vicina di letto, invitandola alla nostra frugale cena. Io mi metto ai fornelli e, nonostante le condizioni sfavorevoli il risultato è commestibile. Arrivano anche qui le tre spagnole, ma poi se ne vanno per cavoli loro, mentre noi insieme alla canadese cerchiamo tracce se non di festa almeno di vita per le strade di Merida. Invano. Infatti qui il carnevale finisce alle 7 di sera, poi restano solo montagne di immondizia ovunque. E mentre “vaghiamo, cercando di ricordarci CHI ci aveva parlato bene di questa” città, arriviamo di fronte a un bar aperto, al cui interno purtroppo c’è una pista di salsa. Qualche giro di birra, un po’ di conversazione con altri avventori e niente più, ma alla fine andiamo a dormire che sono le 3, ritrovandoci in questa stanza caaaaldissima e rumorosissima. Aspettiamo domani, che dovrebbe essere più vivo: decidiamo quindi di non partire.
Lunedì 3 Giorno 26
Il caldo soffoca, ma con una forza di volontà invidiabile riesco a dormire fino alle 10.
Con tutta la calma del caso ci rendiamo operativi e raggiungiamo Vanessa, la canadese che insegna in Giappone, in una caffetteria promettente, e infatti è buona. Carburiamo piano piano, e poi passiamo tutto il giorno a camminare e a cercare amache, che qui a Merida sono un prodotto tipico. Arriviamo in una casa-laboratorio dove le vendono, in cui il padre parla la lingua Maya, e il lavoro della figlia consiste nel prendere le amache e sdraiarcisi sopra per fare una dimostrazione: si avvicina di molto al lavoro della mia vita! Dopo un lungo giro con sosta in una cantina (non per soli uomini, ma in cui Vanessa era la sola donna) dove finalmente abbiamo “botañado” qualcosa con sottofondo di Abba e altre vaccate ’80, torniamo a quel negozio, dove alla fine cediamo tutti e tre e prendiamo 3 amache. Con questo acquisto credo ora di sforare i 40 chili di zavorra.
Torniamo in ostello e ci fermiamo un po’ lì, finché decidiamo di mangiare lì e io vado a fare la spesa, facendo un altro giro di peppe interminabile senza neanche trovare quello che cercavo. Alla fine prendo le cose per improvvisare un riso. Ne viene però una cofana e invece che in 3 ci mangiamo in 6, avendo invitato un cino-brasiliano, la ragazza della reception e una sua molto svagata amica. Non è buono, ma nessuno sembra farci caso.
Decidiamo di uscire tutti insieme per le strade piene di gente, questa volta si, per il carnevale, anche se abbiamo perso la parata anche oggi.
Io sfoggio i miei nuovi pantaloni, che riscuotono molto successo. Passo diciamo buona parte della serata con Luzhelly, la ragazza della reception, forse la prima messicana carina (molto) che abbiamo visto finora. La serata va così, liscia e divertente tra un concertino e “una” birra, finché però ci perdiamo quei due “sanapizza” di Liao e Flor, che verremo a sapere dopo combineranno un casino che è meglio tralasciare, impiegherei troppo tempo per descriverlo. Niente di troppo grave comunque.
Media comincia a piacerci e così decidiamo di restare anche domani, anche perché per Veracruz sono rimasti forse due posti e con 17 ore di viaggio ci perderemmo l’ultimo giorno del carnevale: tanto vale farselo qui.
Martedì 4 Giorno 27 La mia forza di volontà ha di nuovo la meglio (sono proprio stoico), ma mi alzo dopo aver finito le pile comprate 2 giorni fa del walkman. Giretto, caffè, bucato e ora sto qui, debilitato dal caldo allucinante, a aspettare qualcosa. E senza walkman.
Arriva la chiamata: tra poco a 100 metri da qui passa una sfilata di carnevale. Andiamo a vederla sfidando il caldo atroce che opprime questa città, e neanche ne vale la pena.
Dopo una mezz’ora lascio lì Aldo e Vanessa, sosta all’ostello e poi esco per cercare internet. Sono un po’ stanco e sfavato oggi, anche per il veramente troppo caldo.
Torno all’ostello e alla fine mi fermo lì, tra chiacchiere tranquille e discorsi più impegnativi. Finché non si fa l’ora di cena e metto qualcosa sotto i denti per la prima volta oggi. Aandiamo a cena fuori io, Liao e con noi viene Ninfa Luzhelly. Stiamo tutta la sera insieme, continuando a chiacchierare e ad affrontare discorsi più impegnativi anche lì. Saluto Luz, domani parto prima che lei arrivi al lavoro.
Non ho fatto niente oggi, ma arrivo a letto spossato.
Mercoledì 5 Giorno 28 Sarà una lunga giornata oggi, ci aspettano 17 ore di bus fino a Veracruz.
Alle 9:30 finisco anche le pile di Aldo, così comincio a prepararmi e mi stupisco di come compongo la roulotte (ormai quello è diventato il mio zaino) e sono pronto per l’autobus delle 10:30. Solo che Aldo non si vede.
Faccio colazione con uno zabaione, visto che due uova fritte a quest’ora mi disgusta solo pensarle. Solo che Aldo non si vede.
Alla fine arriva, ma abbondantemente in ritardo. Così molto lentamente ce ne andiamo dall’ostello (prima che arrivi l’una e mezzo), molto lentamente mangiamo, molto lentamente stiamo mezzora su internet (?!), finché arriviamo in stazione. E così al viaggio si aggiungono 5 ore di attesa.
Non ne posso più, e già prima non ero poi così in palla.
Giovedì 6 Giorno 29 Sono quasi le 18, e questo giorno deve ancora cominciare.
Siamo arrivati più o meno alle 4, dopo 19 ore di autobus, due film e 24 ore totali, sommando le 5 ore di attesa ieri. Qui a Veracruz non c’è un ‘ostello, così siamo in un alberghetto vicino allo localo e al porto, circa a 200 metri da entrambi. Dopo una generosa doccia ci attiviamo. Consumiamo un casereccio aperitivo camminando sul molo principale, dando un’occhiata a bancarelle e al passeggio. Andiamo poi a fare un giro verso lo localo, che è molto carino: piccoletto, pieno di alberi e di portici con bar e tavoli tutti fuori. Passa gente a vendere sigari e noccioline sfuse agli avventori dei bar. C’è ancora un palco in mezzo alla piazza, che verrà usato anche stasera: per questo i tantissimi suonatori ambulanti di marimba, i mariachi e altri musicisti si danno molto da fare già ora. Internet, cena con bevuta gratis da “Burger King” (per una volta…) e torniamo alla piazza, con una birretta in mano a buttare un occhio al concerto che nel frattempo è cominciato. Siamo tutti e due ancora un po’ storditi dallo spostamento, e così dopo il secondo giro battiamo in ritirata. All’albergo vivo momenti di puro dispiacere, non riuscendo più a trovare il mio quaderno-diario. Dopo averci pensato un po’, esco al volo facendo più o meno a ritroso i nostri passi e litigando a distanza con un imbecille del burger king, senza trovarlo. L’ultima speranza è l’internet point, ma non ci spero troppo. Domani andrò a controllare.
Sta per finire qui, lo sappiamo e lo sentiamo anche. Cominciamo anche a fare dei bilanci, che tutto sommato per entrambi sono positivi. Tanto da cominciare a pensare più o meno seriamente a fare un’altra scappata entro breve (Aldo ha anche fatto richiesta per una borsa di studio, nel caso…). Anche se, per una lunga serie di motivi, non ultimo il fatto che siamo a ridosso del ritorno, il nostro viaggio sembra cambiato da qualche giorno a questa parte.
Venerdì 7 Giorno 30 Dopo aver portato panni sporchi in una molto pittoresca lavanderia, la prima cosa è andare a recuperare il quaderno. Per fortuna lo ritroviamo all’internet point.
Colazione volante, lascio le foto da sviluppare e andiamo verso l’acquario di Veracruz. Non è male, pensavo meglio ma non è male, con un sacco di pesci, tartarughe e pure squali, con passaggi sotto alle piscine e quindi loro che ti nuotano sopra.
Torniamo in centro, prendo le foto che sono venute malissimo e consumiamo un buon pasto purciaro, prendendo la roba in un forno. Mangiamo in piazza, e dopo aver finito un panino al prosciutto che sapeva di tramezzino al tonno, da un albero vola a terra un pappagallo grande come un tacchino. Che si fa avvicinare e addirittura accarezzare(!), anche se poi prova a tirare qualche beccata! I nostri (blandi) programmi per il pomeriggio saltano, così ora non sappiamo bene che fare. Vivacchiamo in giro, facendo un lungo giro per trovare la posta (chiusa) e poi fermandoci per un aperitivo. Torniamo in albergo a docciarci, per prepararci per la serata. Che però non offre molto: andiamo in un posto dove con 6 birre e 60 pesos promettono ricche “botanas”, ma non scrivono che è fino alle 6. E così dobbiamo prendere a “portar via” dei tacos e mangiarli lì, più che raddoppiando la spesa. Ci spostiamo da quello squallido localino, dove anche i camerieri erano alticci, prendiamo un panino e andiamo in cerca di qualcosa. Tra violetti scenografici e carini, arriviamo davanti a un locale con musica dal vivo, ma di dubbio gusto. Aspettiamo un po’ per entrare, visto anche che è a pagamento, e vediamo una processione di non più che diciassettenni “fighetti” che ci scoraggia un po’.
Alla fine tra due chiacchiere, pensieri e primi bilanci decidiamo ancora una volta di ritirarci sconfitti nei nostri alloggi. Dove io purtroppo mi trancio una mano con quel rotore che abbiamo sul soffitto invece del ventilatore.
Sabato 8 Giorno 31 Lasciati gli zaini in hotel e spedite le cartoline alla posta, ci dirigiamo al forte “San Juan de Ulua”, un forte difensivo del 1500 che presidia il grande porto di Veracruz. Con la flemma di chi non ha molta voglia di fare una cosa, completiamo la visita del forte. Per tornare al centro ci affidiamo a un autobus, il cui autista parla e scoppia a ridere, si ferma e fa l’urlo di Tartan per chiamare un pellicano…un personaggio che rapidamente scala molte posizioni in classifica. Solito internet, mangiamo e poi giretti per negozi. Compreso il “mercato dell’artigianato” e un altro sul molo, che sembrava un’enorme esposizione del prossimo assortimento degli autogrill: barbie vestite di cozze; cristi crocifissi su conchiglie, portachiavi a forma di chiappe e, giuro, piramidi con testa di faraone che giri e scendono monetine simil-oro…americane! Dopo un caffè (io) e un briustel (il crucco), ci dirigiamo alla stazione, da dove dopo un’altra lunga attesa marceremo verso Città del Messico, per questi ultimi due giorni di festa. Il viaggio sarà abbastanza duro anche stavolta, anche se SOLO 7 ore.
Domenica 9 Giorno 32 Arriviamo a Messico presto, troppo presto. Zaino in spalla prendiamo la metro per arrivare all’ostello dietro lo localo. Ci sdraiamo per un paio d’ore a dormire. Aldo si sveglia con un’emicrania delle sue, per cui resta in ostello mentre io vado allo zoo. Dopo una lunga scarpinata, di fretta per cercare di entrare nei tempi dell’appuntamento, arrivo allo zoo. Enorme. Cerco come un disperato i panda, ma vedo comunque un sacco di animali bellissimi, compresi due canguri cui do appuntamento nel loro habitat naturale. C’è anche un’enorme voliera in cui puoi entrare trovandoti in mezzo agli animali liberi: ho avuto un contatto ravvicinato (meno di 1 metro) con un tucano.
Mentre il tempo comincia astringere, io ancora non ho visto i panda. Alla fine, ho fatto un giro per cui erano –giustappunto- alla fine del giro: per chiudere in bellezza! E infatti sono uno spettacolo, seppure rinchiusi in uno zoo.
Torno “alla base”, dove raggiungo Aldo e dove, mentre stiamo su internet, incontriamo anche due svizzere che stavano alla tavolata a Palenque. Nonostante le apparenze sono anche simpatiche, ma non ci scambiamo più di 4 chiacchiere.
Tra giri turistici e giri più da “italiani medi” in un negozio di articoli sportivi, si fa l’ora di pensare alla cena. Visto che in ostello c’è la cucina, ci penso io (“ghe pensi mi”, come dice il “nostro” premier). Dopo la spesa però le possibilità sono piuttosto scarse. Anche a causa della penuria dei mezzi in cucina, l’amatriciana che viene fuori è una delle più sacrificate della mia vita, ma comunque mangiabile. In più la cena guadagna dalla sala da pranzo dell’ostello: una splendida terrazza subito dietro la cattedrale con magnifica vista sulla stessa cattedrale illuminata e sullo localo.
Scendiamo a prendere un caffè e conosciamo due italiani di Udine, Tommaso e Paolo, con cui parliamo un po’ e andiamo a prendere una (più o meno) birra alla piazza dei mariachi (Garibaldi). La birra diventano 4 o 5, con avventori abituali e avventrici ancor più abituali che vengono a chiacchierare con noi, fino a crollare addormentati sul nostro tavolo. Ma è sempre meglio del locale per gay e trans in cui eravamo entrati per sbaglio prima di arrivare qui.
La serata va per le lunghe, ci fermiamo a parlare anche davanti alla porta dell’ostello fino alle 4:30. Rimaniamo poi che ci vediamo domani a pranzo qui sotto per fare un po’ di giretti insieme, anche se noi nel pomeriggio dobbiamo partire.
Lunedì 10 (L’Ultimo) Giorno 33 Stranamente ci svegliamo presto. Dopo aver carburato con la colazione continuiamo la nostra (vana) ricerca di una cartina del Messico, ma sembra quasi merce proibita. Dopo un’altra lunga camminata per comprare il peperoncino, torniamo in ostello, dove nel tempo che scriviamo le ultime cartoline arrivano Tommaso e Paolo, coi quali andiamo a pranzo.
Andiamo anche nel “Palazzo del Governo”, dove ci sono molti murales di Riviera. Dopo un giro per gli ultimi acquisti, compreso un negozio di articoli sportivi (…ebbene si), ci offrono la salita sul campanile della cattedrale. Veramente bello, così come la vista che offre sulla piazza.
E così spendiamo le nostre ultime prime ore messicane, finché quasi ci si fa tardi per andare all’aeroporto, visto che Aldo deve ancora vedere se può tornare oggi.
Arriviamo all’aeroporto con una metro affollatissima, comodamente indossando i nostri zaini (in teoria sarebbe vietato) e alla fine Aldo riesce a partire con me, anche se non viaggeremo insieme: io sto bloccato da una coppia di tremendi e s*****i marchigianelli veraci, mentre lui sta 10 file indietro.
Ma forse è meglio così: almeno in questo viaggio relativamente breve (12 ore) non ci faremo sopraffare dai ricordi, nel bene e nel male. Non subito almeno.
Ancora non siamo pronti per tornare e questo aereo, quasi a farlo apposta, corre più di quello dell’andata, toccando i 1050 km/h.