Tunisia tra miraggi e realtà
DOMENICA 7. Partenza dall’aeroporto di Catania in mattinata con volo Mistralair e arrivo a Monastir dopo 40 minuti. Fa caldo, ma in Sicilia ce n’era altrettanto. Dopo il disbrigo delle formalità doganali, ad attenderci c’è Madi, autista italo-tunisino. Di italiano in realtà ha solo gli occhi azzurri e il padre, come ci spiega in uno stentato italiano. Col suo pullman vecchiotto ci dirigiamo verso il nostro hotel a Tunisi. Di ottimo umore, per strada saluta molti e molti altri manda a quel paese. Dietro l’orecchio ha un mazzetto di gelsomini che ogni tanto annusa. Ogni volta che si ferma ad un casello autostradale discute col casellante e poi traduce per noi: “E’ stanco, ha fame”. Da qualche giorno è infatti iniziato il Ramadan: non si mangia, non si beve, non si fuma dall’alba al tramonto. Poi sì, ma “poco”. Ci spiega il suo “poco”: datteri, zuppa, brik, cous cous, a volte spaghetti, e naturalmente i tipici dolci fritti del Ramadan. Alcol mai (è piuttosto praticante). Dappertutto campeggia la foto in varie pose dell’attuale presidente, Ben Ali, immagine che incontreremo costantemente per il resto del viaggio.
L’arrivo a Tunisi ci lascia un po’ delusi: l’albergo è periferico e comunque la città non sembra un granché. L’addetto alla reception ci annuncia per giunta che l’accompagnatore arriverà solo l’indomani. Dopo una rinfrescata in camera, io e Sabrina optiamo per una passeggiata in attesa della cena. Ma siamo subito scoraggiate dal gran caldo pomeridiano e da un dipendente dell’hotel che ci indica le borse che portiamo a tracolla. Riceviamo subito il messaggio e facciamo dietrofront. La cena è a buffet, per fortuna. In questo modo ci è stato facile evitare le insalate e i cibi crudi (prima di partire ci siamo documentate e la prudenza non è mai troppa). Scegliamo pollo, patate a forno, riso piccante alle erbe e dei dolci che somigliano vagamente a piccoli muffins.
LUNEDI’ 8. Visita della Medina di Tunisi. La guida locale, Sami, ci farà anche da accompagnatore per tutta la durata del viaggio (il nostro gruppo è formato da una ventina di persone). Odori, sapori e colori ricordano certe atmosfere di fiere e mercati siciliani, ma sono ancora più intensi. Sotto un sole cocente, visitiamo poi le rovine dell’antica Cartagine. Pranziamo in un quartiere denominato “piccola Sicilia”, con costruzioni che ricordano alcune case italiane del Sud. Menu: brik (pastella fritta ripiena d’uovo) con contorno di insalata (te pareva…), triglie arrostite e riso con un condimento giallo (forse curry). Nel pomeriggio raggiungiamo Sidi Bu Said, il paese dalle case bianche e azzurre, strapieno di negozietti di souvenir. Carino, sì, ma ci aspettavamo di più. Acquistiamo un piccolo narghilè e fotografiamo un vecchio venditore di gelsomini, che ce ne vende un mazzetto per un dinaro. Il narghilè vero e proprio lo fumiamo la sera in un bar di Tunisi. Ha un aroma di mela (ne esistono svariati gusti) ed ogni fumatore è provvisto di un proprio bocchino usa e getta. Provata per cena la famosa “harissa”, salsa piccantissima (ho chiesto conferma al cameriere che tutto contento ha annuito: “Harissà, harissà!”). Ma la vera sorpresa è stata trovare nel buffet un delizioso ragù piccante alla bolognese.
MARTEDI’ 9. Partiamo da Tunisi diretti a Sousse, dopo aver visitato il museo del Bardo, che contiene una vasta collezione di mosaici di epoca romana. La visita, a dire il vero, sarebbe stata molto più piacevole se il museo fosse stato dotato di aria condizionata. A Sousse assaggiamo finalmente il cous cous, condito con uno sgombro e con zucca e patate lesse. Visitiamo il Ribat, un’antica fortezza (quello di Monastir era chiuso per il Ramadan), e partiamo per Monastir, per la visita del Mausoleo di Bourguiba, fondatore della Tunisia moderna. Caldo afoso ad El Jem, dove scattiamo qualche foto all’arena, simile al Colosseo di Roma. Qui notiamo per la prima volta grosse formiche con zampe più lunghe del normale, che si muovono a scatti (fallito ogni tentativo di immortalarle). Arriviamo a Sfax in serata. In questa città, ci ha spiegato la guida, le donne non escono mai di casa se non per andare al lavoro e passano il tempo guardando telenovelas… L’albergo (un 3 stelle) è mediocre, la camera ha i vetri sporchi ed è afosa, l’aria condizionata non funziona a dovere.
MERCOLEDI’ 10. Al mattino visitiamo la Medina di Sfax. Nel mercato il lezzo del pesce è nauseante, tantissime le bancarelle che vendono spezie. Incrocio lo sguardo di una donna anziana velata con gli occhi azzurri…Chissà qual è la sua storia. Lasciamo Sfax e proseguiamo verso il sud arrivando prima a Gabes, dove in un mercato acquistiamo delle spezie confezionate, e poi a Matmata, alle porte del Sahara. Qui il deserto è ancora roccioso, man mano che ci addentreremo diventerà sabbioso. Arriviamo in un villaggio berbero dove una donna in ghingheri, fotografata come una star, ci mostra la sua abitazione, costituita da tanti piccoli anfratti scavati nella roccia. L’interno è fresco e arredato con stuoie e utensili. Ci offre tè alla menta e pane schiacciato, con qualche mosca che gironzola intorno. Qualcuno mangia e beve… Sarà vero, poi, che questa gente vive qui o si tratta solo di un posto di lavoro come un altro? Mah… In un antico albergo troglodita ristrutturato (bellissimo), scegliamo un delizioso cous cous piccante e una specie di zuppa di fagioli, peperoni e cipolle, altrettanto buona. Arriviamo a Douz per il giro di rito sul dromedario. Omar, il dromedarista, studente universitario di economia e finanza, è molto gentile. Si offre di scattarci alcune foto e ci raccoglie un po’ di sabbia e una piccola rosa del deserto. Gli auguro bonne chance dandogli 5 dinari. Al sud la gente è più simpatica e il paesaggio decisamente più interessante. La sera assaggiamo una zuppa ottima di colore arancione con dentro del cous cous.
GIOVEDI’ 11. Percorriamo il Sahara in pullman. Qualche volta incontriamo gruppi di dromedari, qualche altra oasi giovani o vecchie. Queste ultime, morenti, hanno le palme ingiallite e senza foglie (vivono fino a 700 anni!). Facciamo una sosta per fotografare il lago salato El Chott. Acquistiamo due rose del deserto da un giovane venditore. Prezzo: due dinari e una matita (ci aveva chiesto una penna o qualcosa dell’Italia). Dal pullman lo guardiamo mentre contento ci fa un cenno di saluto e annusa la matita come se fosse qualcosa di pregiato.
Abbiamo scoperto cosa sono i treni di Tozeur cantati da Battiato: si tratta di miraggi. Guardando nel deserto all’orizzonte vediamo in effetti come dei vagoni che si muovono tirati da una locomotiva, per poi scomparire a poco a poco. A Tozeur visitiamo il museo di arte popolare e lo zoo, ma lo spettacolo del dromedario che beve la coca cola ad uso e consumo dei turisti non ci entusiasma. Interessante la volpe del deserto (qui simbolo ecologista), un animaletto dalle orecchie lunghissime.
Nel pomeriggio facciamo un’escursione in Land Cruiser alle oasi di montagna, arrivando quasi ai confini con l’Algeria. Notevole il gran canyon, set del film “Guerre Stellari”. Dopo una sfacchinata sotto il sole, non proprio necessaria ma “panoramica”, arriviamo ad una cascata d’acqua con una laghetto (non pulitissimo) nel quale facciamo il bagno. La sera spettacolo folk-turistico di fachiri, cavalli e cavalieri. Noi preferiamo guardare e fotografare un dromedario seduto, con la gobba tutta agghindata, che mangia erba di buon appetito. Ceniamo, tra musica e balli, sotto un grande tendone stile berbero, con chorba (zuppa) di agnello, cous cous, dolci fritti e vino a volontà. Rientriamo in albergo attraversando in pullman strade poco illuminate. Davanti alle case c’è atmosfera di festa: gli uomini fumano il narghilè comodamente sdraiati su tappeti e i bambini giocano. venerdi’ 12. In mattinata, con Gioacchino e Vittoria, due amici del nostro gruppo, decidiamo di andare al mercato di Tozeur in taxi (tre dinari all’andata, due al ritorno). Nell’attesa, osserviamo alcuni uomini che arrampicati su una palma raccolgono datteri. Chiediamo di acquistarli ma loro, gentili, ce ne regalano un po’. Al mercato, odori sgradevoli, teste di capre e mucche in bella vista davanti alle macellerie, frutta esposta al sole e alle mosche, oggetti vari. Come al solito, appena ti mostri minimamente interessata a qualche souvenir non ti mollano più. Ma chi l’ha detto che in questi posti si offendono se non mercanteggi? Se pagassimo da subito, senza discutere sul prezzo, sarebbero ben felici! Pomeriggio di relax nella bella piscina dell’albergo. Una nota sugli hotel: anche gli alberghi 5 stelle, per quanto esteticamente splendidi, non superano gli standard europei dei 3 stelle, soprattutto per quanto riguarda i bagni.
SABATO 13. Ci spostiamo a Kairouan, quarta città sacra dell’Islam, per visitare la Grande Moschea e il Mausoleo del barbiere. Per legge in Tunisia è vietato ai non musulmani entrare e ci siamo quindi limitati a dare un’occhiata dall’esterno: colonne, lampadari e sul pavimento stuoie d’estate e tappeti d’inverno. Immancabile una tappa presso dei venditori di tappeti (qui se ne tessono di pregiati), che ci vengono mostrati in una stanza dotata di aria condizionata (che bello…). Anche qui ci viene offerto l’immancabile tè alla menta. Dedichiamo il pomeriggio a gironzolare per la Medina, con una scusa che ripetiamo ad ogni venditore insistente: “Ultimo giorno, non abbiamo più soldi…”, anche se pochi sembrano crederci.
La sera si scatena un temporale. Poco male, domani si riparte per l’aeroporto di Monastir alle 5 del mattino!