Tunisia in moto: un viaggio lungo 15 giorni tra ulivi e palme nella porta settentrionale dell’Africa

Scritto da: mronz
tunisia in moto: un viaggio lungo 15 giorni tra ulivi e palme nella porta settentrionale dell'africa

Perché tornare in un Paese già visitato altre volte in passato? Le ragioni potrebbero essere molte ma credo che la più attendibile sia il richiamo che quel Paese ha su di te. Ed è questo il motivo per cui siamo tornati in Tunisia per la terza volta. E non sarà l’ultima. Il tema di questo viaggio è stata la calma. Niente tapponi chilometrici per arrivare a sera cotti dopo 10 ore di moto ed avendo visto passare la Tunisia attraverso la visiera del casco. Quindi tempi elastici con spostamenti relativamente brevi, possibilità di visitare oltre che guardare, strade minori e secondarie da gustare non solo da percorrere. Abbiamo anche cercato di diversificare quanto più possibile le sistemazioni, spaziando tra il classico, il moderno, lo stiloso, il tradizionale, lo storico, l’esagerato ed il modesto, per vivere appieno la tipicità del Paese. Volete fare un bel giro in moto in Tunisia? Allora venite con me.

Tunisia in moto. Il diario di viaggio

Giorno 1 – Tunisi

Sbarchiamo dal grosso ferry della G.N.V. nel porto La Goulette di Tunisi alle nove del mattino. Siamo solo io e Mauro perché Paola e Tina, per problemi di lavoro, arriveranno domani sera in aereo. Le formalità di frontiera tutto sommato sono abbastanza comprensibili e se proprio non capisci c’è sempre qualche cortese funzionario che ti da una mano. Qualche timbro, cambio euro-dinari, assicurazione per la moto di Mauro e un’oretta dopo stiamo percorrendo la lingua di terra che separa il porto dalla capitale. È una bella giornata di sole e la temperatura è discretamente torrida. Come al solito il primo alloggio arrivati in terre straniere è l’Ibis Hotel, sia perché ha standard ancora europei sia perché le sue enormi, rosse e luminose insegne si vedono da chilometri di distanza e ti guidano quasi anche senza navigatore. Dovendo attendere il check-in, ne approfittiamo per buttare i primi litri di sudore passeggiando nei dintorni, ancora con stivali e pantaloni da moto. Seduti fuori da un bar, sorseggiamo Coca-Cola fresca guardando scorrere la vita delle città tunisine con il proprio caos organizzato, i mille taxi gialli che danno punte di colore al traffico e la sua gente indaffarata che dribbla i rifiuti di marciapiedi e strade. I locali dove puoi bere quasi di tutto tranne birra o assaggiare la saporita cucina tunisina sono molti più di quanti sembrerebbero servirne ma inspiegabilmente sono tutti affollati soprattutto da uomini con davanti il loro immancabile caffè forte e denso o con gli occhi fissi agli schermi che proiettano incessantemente partite di calcio. Liberatici dei pesanti indumenti da moto, inizia l’esplorazione di Tunisi. In taxi percorriamo l’Avenue Habib Bourguiba, il grande viale centrale dedicato al primo presidente della Repubblica. Superiamo la Torre dell’Orologio e la Piazza Indipendenza con la Cattedrale di San Vincenzo de’ Paoli, una delle poche chiese in tutta la Tunisia, costruita sull’antico cimitero degli schiavi cristiani. Ci facciamo lasciare in Place de la Victoire dove svetta la Bab el Bahr, la Porta del Mare, una grande porta di epoca coloniale ispirata all’Arco di Trionfo parigino. Oltre quel punto si estende la città vecchia. Da qui si dipartono strette vie che conducono alla medina ed al Mercato Centrale. Mentre la medina ed il suo souk (il labirintico agglomerato di botteghe) sono affollati sia da tunisini che da frotte di turisti, il mercato viene visitato praticamente solo dalla gente del posto per fare la spesa o gli acquisti per la famiglia. I microscopici negozietti dei vicoli o i banchi all’interno di padiglioni coperti in stile coloniale, vendono frutta, verdura, pesce, carne, pane, formaggi, ma anche artigianato, ceramiche e souvenir, oli essenziali e prodotti cosmetici, tessuti pregiati, abiti tradizionali, articoli in pelle, oggetti d’antiquariato e gioielli, molti dei quali realizzati a mano con tecniche tramandate di generazione in generazione. E non fa niente se ad un tratto ci si ritrova persi in un labirinto ingombro di mercanzie odorose, coloratissime e pacchiane. Ci sarà sempre qualcuno che ti indicherà come uscire, magari offrendosi in un italiano più o meno corretto di accompagnarti prima a visitare questo o quello. Se accetti sappi che non sempre sarà gratis. Ti verrà magari chiesto in modi pittoreschi di contribuire con un obolo alle finanze della famiglia, comprare farmaci per l’anziana madre malata o anche solo per una bibita ed un panino per brindare alla tua salute. E così, dopo aver vagato nel souk, mentre cerchiamo di raccapezzarci con Google Maps per andare verso la Place du Governement, centro politico della città, una donna si offre di accompagnarci. Manco a dirlo la  piazza è dalla parte opposta della medina. Dato che la strada è lunga, ci fa da guida portandoci dapprima alla Moschea al-Zaytuna, il più grande luogo di culto di Tunisi. Dopo aver coperto le nostre nudità da infedeli (le gambe dal ginocchio in giù), entriamo nel cortile di marmo bianco circondato da un porticato sorretto da colonne che provengono dal sito archeologico di Cartagine e dove svetta un minareto alto oltre 40 metri decorato con piastrelle di ceramica. Mentre usciamo dalla moschea, il Muezzin intona la chiamata alla preghiera ed è un momento affascinante. Continuiamo a camminare mentre la donna, in perfetto inglese, ci racconta le bellezze e le curiosità della sua città e della sua gente. Sfiliamo poi la Moschea di Sidi Youssef con il minareto turco a pianta ottagonale più antico di tutta la medina ed il Mausoleo col meraviglioso tetto ricoperto da tegole verde smeraldo. Finalmente sbuchiamo nella Place du Governement. Qui nacquero le agitazioni della Primavera Araba a seguito del gesto disperato di un fruttivendolo che il 17 dicembre 2010 si diede fuoco per protestare contro i maltrattamenti ed il sequestro della propria merce da parte della Polizia, cui seguirono manifestazioni represse duramente. Il dissenso popolare si allargò a diversi Paesi del Mondo Arabo. In Tunisia sfociarono nella Rivoluzione dei Gelsomini che portò alla caduta del vecchio regime ed all’attuale struttura governativa del Paese. Al centro della piazza si trova il moderno Monument Place de la Kasbah, circondato dalle bandiere del Paese. Non ci siamo nemmeno accorti di aver passato oltre un’ora con la donna, arricchiti dai suoi racconti e dalla sua cordialità. Ci saluta dicendoci che non potrebbe stare lì in quanto ha il divieto di avvicinarsi alla piazza avendo partecipato a dimostrazioni per il lavoro femminile. La cosa più bella è il sorriso con cui ci ringrazia di essere stati con lei, rifiutando qualsiasi cosa da noi e correndo via. E non sappiamo nemmeno il suo nome.

Giorno 2 – Biserta

La notte è stata particolarmente dura per me. Dopo la pantagruelica cena di ieri sera, Mauro il mio compagno di stanza ha russato tutta notte come un bimotore ad elica, al punto che ho dovuto dormire in terra chiuso in bagno con i tappi per le orecchie. Sarebbe stato meglio dormire in garage con le moto accese. Abbiamo a disposizione l’intera giornata dato che Paola e Tina arriveranno verso le 23:00. Le moto sono impazienti di fare strada. Per prima cosa facciamo il pieno. Ma che bello vedere che la benzina costa meno di 0.80 euro. La cartina Michelin 744, che non può mancare, dice che se vogliamo andare a Biserta dobbiamo salire verso nord lungo la statale P8. Detto fatto. La strada non è molto interessante almeno finché non raggiungiamo la costa del Mediterraneo dove lo sperone roccioso di Cap Blanc si distende tra acque turchesi. Biserta è la città più settentrionale d’Africa. Fu fondata intorno al 1000 a.C. dai Fenici e, nonostante l’indipendenza concessa alla Tunisia nel 1956, è stata l’ultima città a restare sotto il controllo francese fino al 1963. Oggi cittadina moderna, mantiene una kasbah circondata da possenti mura, con all’interno la Ksiba, una piccola fortezza, l’immancabile souk ed una Grande Moschea. Su strade minori costeggiamo poi il Lago di Biserta e a seguire il Lago Ichkeul, che con le circostanti paludi offre l’ambiente ideale per centinaia di migliaia di uccelli migratori provenienti dall’Europa. Sarà che dobbiamo ancora abituarci, ma il caldo africano si sente, eccome. Ci fermiamo per pranzo poco prima di Mateur, una sonnolente cittadina considerata un importante punto strategico durante la Seconda Guerra Mondiale. Si trova al centro di una fiorente regione agricola e ogni venerdì e sabato vi si tiene un importante mercato di bestiame e grano che richiama produttori ed acquirenti da tutto il Paese. È la prima vera occasione di testare il cibo di strada tunisino in uno spiazzo sterrato occupato da tettoie di paglia e tavolini. Il fumo ed il profumo che salgono da una griglia promettono bene. Parcheggiamo sulla rotonda (e dove sennò?) e ci avviciniamo. La cordialità dei gestori ci convince ancor di più. E allora vai di polletto e pesce alla griglia, patatine fritte e acqua e limone. Spesa? 9 euro in due. A pancia piena torniamo a Tunisi su una P7 poco coreografica se non per un breve tratto collinare. Il panorama intorno a noi è brullo tranne per alcune macchie di ordinati uliveti. La sera passa attendendo l’arrivo di Paola e Tina che completano il gruppo a mezzanotte.

Giorno 3 – Nebeur

Usciamo da Tunisi in tarda mattinata. Avevamo tutti bisogno di riposare un po’, fare una buona colazione ed organizzare bene i bagagli perché le moto sono cariche come se stessimo facendo un trasloco. Abbiamo programmato un tour antiorario della Tunisia con già tutte le tappe stabilite e prenotate. Si, lo so che è un pò banale, ma avendo provato altre soluzioni in passato, abbiamo preferito così per non avere sorprese sugli alloggi e risparmiare tempo una volta giunti alle destinazioni serali. Attraversare la città è abbastanza impegnativo. Anche qui il traffico del lunedi mattina dice la sua. Percorriamo l’ampia Avenue Bourguiba e ci infiliamo in vie strette ed affollate prima di lasciare la periferia lungo il piattone giallo e brullo della P5 verso sudovest. La temperatura sale in breve da 30 a 37 gradi mentre ci avviciniamo a Testour. costruita da musulmani ed ebrei in fuga dalla Spagna dopo la riconquista cristiana del XVII secolo. Tra monumenti storici in stile moresco ed arabo si trova la Grande Moschea famosa per il suo orologio che gira al contrario. Dopo esserci rinfrescati un po’ in un piccolo locale di un paesino dove siamo l’attrazione del giorno, arriviamo a Dougga (o Thugga) considerata la città antica romana meglio conservata di tutto il Nord Africa. Il sito domina i dintorni dall’alto di una collina, tra distese di fichi d’india. Vi si trovano i resti del Capitolium o tempio capitolino, eretto al tempo dell’imperatore romano Marco Aurelio nel II secolo d.C. e dedicato a Giove, Giunone e Minerva, il Mausoleo libico-punico, il Teatro ed il Tempio di Saturno. Siamo gli unici visitatori. Lasciamo le rovine accompagnati da un forte vento che alimenta lontani incendi. La strada secondaria C74 che da Teboursouk collega la P5 alla P17 nel frattempo ha iniziato a regalare spunti più panoramici scorrendo tra colline ricoperte da macchie di ulivi. Arriviamo a Nebeur, un paesotto che non offre nulla se non la vicina diga di Mellegue e raggiungiamo l’albergo di stasera. È una maison d’hotes dal nome fin troppo esotico (1001 Nights Palace) posta alla fine di un breve tratto sterrato in salita, nascosta tra le colline e con un’ospitalità veramente eccellente. Il titolare è molto cordiale e premuroso e le camere semplici ma accoglienti. Qualche goccia di pioggia ci porta a sera, con un’incantevole vista dalla terrazza sulle valli e sul tramonto. Ceniamo lì anche perché non ci sarebbero state alternative, ma la cucina è ottima e varia e ci è stato anche chiesto di scegliere con quale servizio di piatti volevamo mangiare. Assaggiamo la shakshuka, un piatto tipico della cucina maghrebina con cipolla, aglio, pomodori, peperoni verdi, uova, patate, pepe nero, paprika, cumino e curcuma.

Giorno 4 – Nebeur, Sbeitla

Dopo una breve occhiata al Barrage di Mellegue, raggiungiamo la vicina El Kef, fagocitati dal casino del suo centro. El Kef sorge sul luogo dell’antica città romana di Sicca Veneria, così chiamata per un tempio dedicato a Venere dove veniva praticata la prostituzione sacra. Con il cortese e disinteressato aiuto di un uomo, entriamo nella grande corte con alti bastioni della kasbah, la fortezza ottomana che un tempo proteggeva la frontiera con l’Algeria. Pochi chilometri oltre Le Kef, guidando sulla P17 verso sud, arriviamo ad uno dei tanti posti di blocco della Polizia dove ci vengono controllati i passaporti. Ripartiti veniamo affiancati e fermati da un’auto della Garde Nationale, nata nel 1956 per sostituire la Gendarmeria francese dopo la fine del protettorato. Su richiesta riferiamo da dove veniamo e dove stiamo andando, mostrando l’itinerario impostato sui navigatori e la prenotazione dell’albergo serale di Sbeitla. Inspiegabilmente ci dicono di seguirli che ci avrebbero accompagnati, per cui non ci resta che metterci ordinatamente dietro di loro. Da quel momento in poi siamo stati scortati da altre 5 diverse pattuglie che si sono alternate per oltre 150 chilometri portandoci fin dentro il cortile dell’albergo. E facendoci fare un itinerario più diretto rispetto a quello che avevamo in mente di fare. Il motivo della scorta? Continuavano a dirci che era per la nostra sicurezza. Sappiamo solo che da Tunisi a Sbeitla non abbiamo incrociato auto o moto europee. Appena entrati nella hall del Sufetula Hotel, la Polizia ha pure chiamato per avere conferma che eravamo lì. Ma non è finita. All’ora di cena decidiamo di uscire a piedi verso l’abitato distante circa un chilometro. Al cancello del cortile dell’albergo veniamo fermati da due uomini. Dove state andando? In paese. A fare cosa? A mangiare qualcosa. Perché non cenate qui in albergo? Perché vogliamo andare da un’altra parte, ma che problema c’è? Nessuno, ma state attenti. Riluttanti ci fanno uscire. Ed ecco apparire un’altra auto della Garde Nationale. Dove andate? Perché? Cosa volete mangiare? Sembrava la scena di Benigni e Troisi nel film Non ci resta che piangere. Per farla breve abbiamo dovuto sederci nel primo localino raggiungibile e cenare osservati dagli agenti parcheggiati in auto di fianco al marciapiede. Appena finito uno di loro è venuto a dirci di tornare subito in albergo. Ma perché? Perché la zona è molto pericolosa. Non ci sentivamo in pericolo ma accettiamo di accontentarli per finire la menata. Ci hanno poi seguiti fino all’albergo. Ma ci hanno regalato due mele.

Giorno 5 – Sbeitla, Gafsa 

Sbeitla ha più l’aria di un luogo di passaggio che di sosta. L’albergo si trova proprio a ridosso del solitario sito archeologico romano di Sufetula, tra palmeti ed uliveti. Quando lo lasciamo, un’auto della Garde Nationale ci accompagna fin fuori città, con tanto di attesa mentre facciamo benzina. Poi finalmente soli. Seguiamo la P13 verso est fino ad incrociare la P3 che prendiamo affondando nel Paese tra siepi di fichi d’India, carcasse di pecore appese in attesa di essere cucinate ed ulivi a perdita d’occhio. Incrociamo tanti pick-up col cassone pieno di donne che tornano dai campi. Il cielo è grigio ma la temperatura non ci mette molto a salire a 32 gradi. A circa due terzi del lungo rettilineo che scende a sud prendiamo una deviazione a sinistra che passando da Sened Gare, Sakket ed El Guettar ci porterà a percorrere un semicerchio fino alla tappa serale di Gafsa. La strada è stretta, sporca e tortuosa ma il panorama è spettacolare. Attraversiamo gruppi di semplici abitazioni, piccoli paesini e centri pieni di attività e traffico. Arriviamo a Gafsa accolti da un temporale preceduto da un forte vento che in lontananza solleva polvere e sabbia. Dda oltre un secolo la città è un centro dell’industria estrattiva di fosfati e pertanto non ha particolari attrattive se non lo strano laghetto formatosi spontaneamente una decina d’anni fa in un’area desertica. Inizialmente con acque limpide e turchesi, è presto diventato verde, torbido e limaccioso per le alghe. Nonostante le autorità sconsiglino la balneazione, resta un’attrattiva irresistibile per la gente del posto. L’Hotel Jugurtha Palace è imponente, quasi faraonico, ma tanto trasandato e trascurato. L’articolata piscina è vuota e sporca, i percorsi del giardino chiusi o pieni di foglie e rifiuti. Alla mente vengono i fasti e la bellezza di un passato glorioso che si è perso negli anni, lasciando un’eredità di abbandono che mette tristezza. E capita spesso.

Giorno 6 – Gafsa, Tozeur

La C201 corre sulle splendide montagne dell’Atlante, la catena montuosa chiamata in berbero Adrar n Dern, che significa il Monte dei Monti. Incornicia l’Africa nord-occidentale per 2500 chilometri partendo dal Marocco, attraversando l’Algeria e terminando qui in Tunisia. La strada ci lascia guidare ammaliati dal panorama, sebbene attenti a dove mettere le ruote. Sparuti gruppi di dromedari punteggiano il paesaggio. Il confine algerino si avvicina mentre superiamo Moulares e raggiungiamo Redeyef. Siamo nel cuore di una regione semidesertica abitata in passato da popolazioni nomadi dedite all’agricoltura ed all’allevamento, trasformatasi in uno dei più importanti bacini minerari di fosfato al mondo. La sosta è d’obbligo. Da qui parte il tracciato della famosa Pista di Rommel, un percorso opera del generale tedesco dell’Africa Korps durante la Campagna d’Africa della Seconda Guerra Mondiale. Fu creata con lastroni in cemento per evitare che i mezzi sprofondassero nella sabbia, consentendo alle truppe di muoversi, evitare le linee nemiche e sfuggire all’accerchiamento da parte delle forze Alleate. Ci portiamo quindi nella periferia di Redeyef e ne attraversiamo la discarica, affacciandoci da un immenso balcone di roccia sulla sottostante vallata che spazia fino al Chott El Jerid, il grande lago salato. Qui inizia la pista. Il chiaro tracciato sterrato che scende il pendio è invitante ma non abbiamo intenzione di percorrerlo essendo a moto cariche e con passeggere. Ci basta spegnere i motori, ascoltare il vento e lasciare correre lo sguardo e la mente. La vista è a dir poco spettacolare. Una pelle quasi intatta di un serpente, residuo della sua muta, si muove leggera nel vento. Quando riavviamo le moto, il loro rumore sembra assordante. Ripartiti da Redeyef ci portiamo tra le palme verso le oasi di montagna ed arriviamo a Tamerza. Mentre stiamo decidendo il da farsi, ci raggiunge Faruk, un tizio che abbiamo poi scoperto essere una celebrità del web come guida locale (a pagamento), che ci invita a visitare il canyon. L’oasi di Tamerza è un’esplosione verde in un paesaggio di roccia e sabbia. Le fitte palme crescono spontanee rivelando la presenza di acqua nel sottosuolo e danno datteri dolcissimi. Il canyon, che percorriamo lasciando le moto in un piccolo spiazzo sterrato, è una stretta ferita scavata dallo scorrere del fiume che in alcuni punti ricorda il siq di Petra. Faruk parla a raffica in un buon italiano e sciorina perle di geologia, storia e curiosità che vanno dalla composizione delle rocce, all’alluvione del 1969 che spazzò via un intero villaggio, ai punti dove Indiana Jones affrontò i nazisti. Dopo una bella oretta di scarpinate e arrampicate, ci meritiamo una fresca doccia sotto una provvidenziale cascatella apparsa dal nulla, prima di rimetterci in modalità moto e riprendere la strada. Presa la P16 e passata Chebika, invasa da turisti accaldati che non vedono l’ora di risalire sulle 4×4 climatizzate che li hanno portati lì, la P3 ci porta a Tozeur. Prendiamo alloggio al Dar Fatima, una residenza privata trasformata con stile in un piccolo eccellente albergo. Tozeur è una chicca architettonica inserita in una gigantesca oasi di palme da dattero con oltre 400 000 alberi irrigati dall’acqua di 200 sorgenti. Le facciate degli edifici sono realizzate con mattoni ocra disposti a formare suggestivi disegni geometrici. Il nome della regione è Jerid, cioè il Paese delle Palme. Nata come insediamento berbero, poi snodo delle tratte carovaniere trans-sahariane, frequentata dai cartaginesi, colonizzata dai romani poi centro del commercio dei datteri e degli schiavi, divenne infine musulmana e vi furono costruite due moschee. La sera ci vede passeggiare tra la gente e le botteghe della via centrale dove si apre una delle porte finemente decorate dell’immenso palmeto. Da una fontana partono mille raggi di mille luci natalizie a formare un tetto luminoso che rischiara a giorno la piccola piazza. È bello essere qui.

Giorno 6 – Tozeur, Douz

Oggi per l’Islam è un giorno particolare. Il venerdì è il Giorno dell’Assemblea, in quanto la preghiera e la meditazione del Profeta Maometto alla Mecca avvenivano alla chiusura  del grande mercato. I fedeli si recano alla moschea per la preghiera comune e per assistere al sermone su temi di vita quotidiana, sociale o politica, appuntamento obbligatorio per gli uomini e solo consigliato alle donne. Le attività spesso si fermano o rimangono attive soprattutto laddove vi sia un discreto afflusso di gente, ed in questo il turismo ha il suo peso. Prima di spostarci a sud, guidiamo sulla P3 verso il confine con l’Algeria fino a Nefta. Un rettilineo di oltre 20 chilometri dritto come un righello termina sotto una bella porta che indica l’ingresso alla città. Patria spirituale del Sufismo, una branca mistica dell’Islam, ancor oggi Nefta è meta di pellegrinaggio. Trovandosi a ridosso del confine, è stata un punto strategico di sosta per le carovane provenienti dall’Algeria. Oggi è una tranquilla cittadina con una zona nuova ed una antica. Un’altra buona decina di chilometri ed ecco le dune del deserto algerino che si stagliano all’orizzonte. Manca davvero pochissimo ad Hazoua ed alla frontiera, ma è tempo di ritornare sui nostri passi e proseguire il viaggio. Ci prendiamo il tempo per percorrere l’interno del grande palmeto che lambisce Nefta prima di avviarci a Tozeur, girare anche nel suo palmeto, risalire a Degache e prendere la P16 che attraversa il Chott El Jerid, un lago salato che si estende per oltre 5.000 chilometri quadrati e la cui caratteristica più sorprendente è il costante cambiamento. In inverno si ricopre di uno strato d’acqua che riflette le montagne circostanti, mentre in estate si prosciuga trasformandosi in un deserto bianco di sale, punteggiato da pozze colorate che vanno dal rosso, al verde, al viola. Il paesaggio è ipnotico e spettacolare. Guardando verso l’orizzonte sembra che la strada tagli in due uno specchio, effetto ottico detto della Fata Morgana provocato dall’alta temperatura della superficie del lago. A circa metà strada ci fermiamo presso un gruppo di baracche con delle improvvisate toilettes. Facciamo un po’ di conversazione con un uomo e le sue due bimbe che tengono in braccio un fennec, la piccola volpe del deserto con le enormi orecchie, chiamata Folletto del Deserto dai nomadi per la sua capacità di scomparire in un baleno dentro le tane scavate sotto la sabbia. Quando lasciamo alle spalle il lago arriviamo a Kebili, un’oasi in cui vivono arabi, berberi e mori, accolti da una porta che raffigura due dromedari stilizzati uniti a formare un grande arco. Da lì alla meta serale sono solo una trentina di chilometri sulla C206. Douz è un villaggio tipico del deserto, un gioiello incastonato tra dune di sabbia e palme. Conosciuta come la Porta del Sahara, è l’oasi più antica della Tunisia, dove a fine dicembre si svolge il Festival annuale del Sahara, una celebrazione della cultura beduina e del patrimonio nomade. L’El Mouradi è un albergo molto bello ma l’acqua dei rubinetti delle camere non è potabile. Comunque apprezziamo molto la sua piscina rinfrescante. Anche oggi abbiamo sudato quanto basta.

Giorno 7 – Douz, Matmata

A pochi passi dall’albergo si distende il deserto, il cui limite è l’orizzonte. Qualche palma solitaria e sparuti ciuffi di vegetazione lo rendono ancora pià coreografico. Il suo richiamo è molto forte. Ancora una volta il modo migliore di approcciarsi a certi luoghi è il silenzio. Oggi il trasferimento non richiede molti chilometri per cui ce la prendiamo con calma. Prima di uscire da Douz facciamo una sosta al La Rosa-Les Palmiers, un caffè-ristorante celebre per le migliaia di adesivi e fotografie di ogni sorta di motociclisti e fuoristradisti 4×4 che hanno calcato quelle strade e quelle piste, sia per puro viaggio che per raid. La C105 corre da ovest ad est tagliando in un primo momento una zona desertica. Incrociamo il primo motociclista solitario proprio a metà strada e poco dopo il percorso inizia a salire verso le montagne. I cespugli lentamente lasciano il posto a sparuti alberi e solitarie palme ed i rettilinei a morbide curve. Nel panorama brullo delle montagne il Diar Amor Restaurant Café Musee, apparso all’improvviso, è una disabitata botta di colore con piante e fiori. Ci fermiamo per una sosta. Il giardiniere subito si offre di prepararci uno spuntino e di dissetarci. Pessima idea. Ci viene servito pane con formiche e pollo avariato cotto in una giara. Il maldestro tentativo di coprirne il cattivo odore con erbe di montagna non gli è  riuscito. Ovviamente non tocchiamo cibo e tiriamo brutte parole al ristoratore. Meno male che almeno la Coca Cola era chiusa. Da lì a poco eccoci a Matmata, un assonnato villaggio incastonato tra le montagne. Location di uno dei set di Sar Wars, da cui deriva la sua relativa notorietà, è caratterizzato dalla presenza di antiche abitazioni troglodite berbere scavate nel terreno, con un cortile centrale a cielo aperto profondo 6/7 metri su cui si affacciano le stanze ricavate nelle pareti con temperature costanti sia in estate che in inverno. Molte sono andate distrutte ma alcune sono ancora utilizzate come case o poche come alloggi. Il B&B Au Trait d’Union è uno di questi. Per raggiungerlo attraversiamo l’abitato, con sosta doverosa al punto panoramico indicato da una grande scritta da cui la vista spazia a 360 gradi. Lasciati i bagagli e con un abbigliamento più leggero, ritorniamo in paese per giracchiare un po’. Ci viene indicato l’Hotel Sidi Idriss come museo di Star Wars, dato che è stato utilizzato per le scene interne della casa di Luke Skywalker, e lo troviamo abbastanza pacchiano ma curioso. Scambiamo qualche parola con un venditore di souvenir che parla bene italiano. Non è insistente nel proporci la sua merce. Sembra abbia solo voglia di comunicare con qualcuno che lo tolga dalla monotonia delle ore trascorse ad aspettare che venga sera. E così ci racconta un po’ di lui e ci consiglia di percorrere la strada che da lì scende verso Toujane. Gli diamo retta. Bellissima, con curve e controcurve. Nella calda luce del pomeriggio, il paesaggio è davvero lunare come ci aveva anticipato. Guidiamo poi volentieri a ritroso per tornare a Matmata e fermarci in un caffè della piccola piazzetta alberata a bere qualcosa ed osservare la placida vita del posto. Il nostro alloggio è al termine di un brevissimo tratto sterrato. Le moto riposano tranquille all’aperto. L’atmosfera è particolare e non ci sembra nemmeno poi così strano vedere una famiglia che occupa una vicina abitazione troglodita, intenta a stendere i panni o pregare in direzione della Mecca. Per scendere nel grande incavo circolare su cui si affacciano le camere, dobbiamo attraversare corridoi scavati nella roccia dove si aprono piccoli vani con tappeti e luci soffuse. Prendiamo posto nelle nostre accoglienti stanzette, dove tutto è di pietra compreso il letto ricoperto da un buon materasso. Accettiamo volentieri di cenare lì, non solo perché non ci sono grandi alternative, ma per il piacere di trascorrere la serata in un luogo così particolare. Siamo gli unici ospiti e ceniamo all’aperto nella corte interna su cui si apre un cielo stellato. Ci viene servita la tipica salade tunisienne con verdure varie e tonno, il brik, una specie di calzone triangolare di sfoglia fritto e ripieno di uovo, formaggio, verdure e tonno o pollo o carne macinata, accompagnato dall’immancabile harissa, la rossa e piccante salsa. Portata principale un cosciotto di agnello con verdure. Il tutto innaffiato da birra tunisina. Cosa volere di più?

Giorno 8 – Matmata, Tataouine

L’umidità della notte ha bagnato le moto, ma si asciugano in fretta appena il sole sposta le ombre delle montagne e le riscalda. Ridiscesa la bella C104 e superata Toujane, prendiamo a destra la C114 verso Bayra. Ci stiamo avvicinando alla zona degli ksour (plurale di ksar), i caratteristici antichi villaggi fortificati berberi del sudest del Paese, chiusi tra mura e costruiti su punti sopraelevati per difendersi dalle tribù nomadi. Le modeste costruzioni, realizzate con fango e mattoni, erano raggruppate e sovrapposte a più piani a formare coreografici alveari che in alcuni casi raggiungevano le dimensioni di piccoli villaggi. La maggior parte degli ambienti erano camere lunghe e strette con tetto a volta dette ghorfas, adibite a granai o depositi alimentari. Avevano un’unica piccola apertura anteriore e potevano contenere grosse giare in cotto a volte più grandi delle aperture stesse, proprio ad evitare che venissero sottratte. In un’alternanza di pianure e montagne sfiliamo Ksar Hallouf che vediamo fare capolino dalla cresta di una collina, primo dei tanti ksour che si susseguono sulla C207. Decidiamo di fermarci presso lo Ksar El Farch. Il posto è deserto. Un solitario anziano ci invita ad entrare e ci racconta che questo è il più vasto della regione, con oltre 200 ghorfas, un frantoio, un pozzo ed una moschea. Purtroppo le condizioni dello ksar sono precarie, con un diffuso stato di abbandono. Qualche palma è l’unica forma di vita all’interno della corte. L’uomo ha un piccolo baretto dentro una ghorfa e non ci è difficile comprargli quattro bibite e fargli i complimenti per il locale. Su un treppiede decine di cartoline sbiadite e piegate dal sole, a testimonianza del tempo che in certi luoghi non trascorre mai. L’Hotel Darkianus di Tataouine appare poco prima dell’ingresso alla città, una bella struttura isolata lungo la strada con semplici camere ed una piscina, purtroppo con acqua stagnante. Ci alleggeriamo da bagagli ed abbigliamento tecnico per riprendere la strada ed andare allo Ksar Ouled Soltane, una ventina di chilometri più a sud, forse il più caratteristico della Tunisia e per questo molto frequentato dal turismo. Costruito su una collina dai berberi nel XV secolo, era un enorme complesso cui sono sopravvissuti solo due cortili collegati da un passaggio coperto, con ghorfas a tre piani raggiungibili da scale esterne in legno e terra. Al nostro arrivo siamo gli unici visitatori. Chiediamo a degli uomini seduti ad un tavolino di un bar se possiamo lasciare lì le moto ed è bello, al nostro ritorno, vederli chiassosamente giocare a domino. Abbiamo ancora tempo per raggiungere Chenini, 20 chilometri ad ovest di Tataouine. La strada sembra un toboga con saliscendi che presi in velocità fanno mancare il respiro. Chenini era un villaggio rupestre berbero situato su un altopiano e dominato da una collina che assomiglia ad un cammello accovacciato con la testa rivolta verso La Mecca. Salendo una ripida, tortuosa e sconnessa strada arriviamo alla Moschea dei Sette Dormienti col suo candido minareto storto, dedicata a sette cristiani qui tumulati in tombe di quasi 5 metri di lunghezza. La leggenda narra che i sette, per sfuggire alle persecuzione dei romani, trovarono riparo in una grotta dove dormirono per 400 anni, ma i loro corpi continuarono a crescere raggiungendo i 4 metri. Al loro risveglio l’Islam era l’unica religione al mondo, per cui cambiarono fede e divennero santi, guadagnando il Paradiso.

Giorno 9 – Tataouine, Djerba

Dopo esserci persi nel centro di Tataouine cercando un distributore di benzina, finalmente imbocchiamo la C111 e poi la C115, una traccia minore che ci permette di arrivare direttamente a Djerba evitando il traffico della statale per Medenine. Guidiamo tra belle colline, fino ad attraversare un piattone tra migliaia di ulivi che si interrompe solo all’avvicinarsi del Sebkhet El Melah, la depressione di un lago salato delimitata da dune che la separano dal Mar Mediterraneo. La strada è circondata dalla distesa di acqua e sale che ricorda in piccolo quella dello Chott El Jerid. In breve eccoci sulla costa mediterranea a Zarzis, dove troviamo il caos di una città di mare ma anche un bel baretto sulla spiaggia dove rifocillarci. Fa sempre un gran bel caldo e la brezza marina è piacevolissima. È strano, dopo giorni di terra, montagne e deserto, guardare il mare e le onde oleose di alghe che scivolano sulla spiaggia, con persone distese al sole o a fare il bagno. Significa che il nostro viaggio si sta inesorabilmente allontanando dalla Tunisia più tradizionale. Ma è ancora presto per essere tristi. Djerba è la più grande isola del nordafrica. Per la sua posizione subì nei secoli dominazioni ed occupazioni di ogni genere, dai romani, ai siciliani, agli arabi, agli spagnoli, ai corsari. Sembra anche che sia stata visitata da Ulisse nell’Odissea. Arrivando da sud, è collegata alla terraferma dalla C117, l’attuale strada che percorre l’antico ponte di El Kantara, un terrapieno lungo 7 chilometri costruito dai romani perché, per i bassi fondali del golfo, era loro impossibile arrivare sull’isola con grosse navi. Lo Dar Chic Yahia, il nostro alloggio serale, è un’accogliente maison d’hotes vicina alla spiaggia nei pressi di Ajim, nella parte sudoccidentale dell’isola, che raggiungiamo in breve percorrendo la stretta strada costiera. A moto scariche e vestiti più leggeri, proseguiamo il periplo dell’isola fino a Houmt Souk, il centro principale con gli inconfondibili funduk, grandi cortili con bianche arcate dove un tempo alloggiavano i mercanti di passaggio con le loro merci. Nel mercato cittadino si può trovare artigianato locale, gioielli, spezie e tessuti. Inutile dire che è anche un frequentato ed enorme posto spennaturisti. In tempi moderni, per il clima, le spiagge ed il mare cristallino, è stata aggredita dal turismo di massa, ma per fortuna mantiene ancora luoghi particolari dove, tra ulivi secolari e palme da dattero, si possono trovare storia, artigianato ed attività tradizionali come la pesca delle spugne, i cesti intrecciati, le ceramiche, le museruole di cammello fatte a mano e i cappelli di paglia, oltre ad ampie ed attrezzate spiagge tra cui quella di Sidi Mahrés dove ci concediamo un buon bagno. La sera ci raggiunge Giovanni, che lasciamo in un giusto anonimato, un radioamatore contattato da Mauro con cui condivide la passione della vela. È un uomo interessante, sincero e schietto, con un passato degno di essere il tema di un libro. Ceniamo con lui, tra i suoi racconti e la nostra curiosità ed è una delle cene migliori del viaggio.

Giorno 10 – Djerba, Sfax 

Stamattina si parte presto. Vogliamo raggiungere il vicino porto di Ajim per imbarcarci sul ferry per El Jorf e lasciare Djerba. Non abbiamo idea di cosa comporti sia come tempi che come organizzazione, per cui alle 8:00 siamo già a fare i biglietti, avendo superato una lunga coda di autovetture e furgoni. Il biglietto è solo per le moto e costa meno di 30 centesimi di euro. La traversata dura una mezz’oretta che utilizziamo per parlare con la gente, sempre molto cordiale. Appena sbarcati facciamo il pieno e imbocchiamo la C116 che in una cinquantina di chilometri ci porta ad Arram. Da lì si sale verso nord sulla P1 che viaggia parallela all’autostrada avvicinandosi alla costa, circondata dai soliti innumerevoli ulivi e colorata da venditori di datteri arancioni. La strada è abbastanza godibile almeno fino a Gabes dove veniamo inghiottiti da un traffico inaspettatamente caotico. A Gabès si trovano deserto, oasi e mare. Gran parte degli abitanti sono pescatori di tonni e coltivatori di palme da dattero. La città ha origini antiche. Fondata dai berberi, vide il passaggio dei Fenici prima di passare ai musulmani nel VII secolo. Praticamente distrutta durante la campagna di Tunisia del 1943 e ricostruita dal 1945, è stata nuovamente devastata da alluvioni nel 1962. Oggi è uno dei principali centri industriali tunisini. Oltre Gabes la statale diventa piuttosto monotona. Nei 160 chilometri successivi il paesaggio è brullo, piatto e senza particolare interesse. Ci concediamo una sosta per pranzo a Mahres, seduti su trespoli barcollanti con un tavolino appiccicaticcio ma con saporite patatine fritte ed un succulento pollo arrosto mangiato con le mani. Ed eccoci a destinazione. Sfax è un casino peggio di Gabes. Oggi città portuale di primo piano per l’esportazione dell’olio di oliva e del pesce, un tempo era la porta d’ingresso dei commercianti provenienti dall’Oriente sia via terra che via mare. Occupata nel 1942-43 dalle potenze dell’Asse (Germania, Italia e Giappone), fu bombardata dagli Alleati durante la campagna di Tunisia. La sua parte vecchia presenta la medina difesa da mura merlate, con la Grande Moschea, costruita nel IX secolo e circondata dai souk, mentre all’esterno si trovano edifici risalenti al periodo del protettorato francese e torri dall’aspetto di minareti. L’Hotel Business è proprio in centro. Per raggiungerlo dobbiamo calarci nei panni dei tunisini e guidare come loro, incuranti di precedenze, cambi di corsia e tratti contromano. Come annunciato dal nome, è un sobrio, elegante ed organizzato hotel destinato più che altro ad uomini d’affari, ma stavolta due belle moto fanno mostra di sé sotto il porticato di fianco alla reception. Non possiamo mancare un giro nella medina e nel mercato, purtroppo o per fortuna già praticamente vuoti. Stasera cena in un fast-food locale. Non vogliamo proprio farci mancare niente.

Giorno 11 – Sfax, Kairouan

Uscire da Sfax non è proprio facile, non tanto per mancanza di GPS ma per il disordine del suo traffico. Riprendiamo la P1 che anche se monotona (ulivi, sempre ulivi) lascia presto la costa per inoltrarsi nell’interno verso nord. Dopo una settantina di chilometri ecco El Jem, annunciata all’orizzonte dalla possente sagoma del suo Colosseo eretto dai romani nel III secolo d.C. L’anfiteatro era in grado di ospitare fino a 35.000 spettatori ed è considerato il terzo per dimensioni dopo quelli di Roma e Capua. Lasciamo le moto proprio di fianco all’ingresso, dribblando improvvisati parcheggiatori ed insistenti venditori ed entriamo per una visita vagando tra colonnati, corridoi, archi, sotterranei ed il grande cortile ovale dove si svolgevano gli spettacoli dei gladiatori. Lasciata la scorrevole statale, imbocchiamo la C87 verso nordovest e tiriamo dritti fino a Kairouan, meta odierna. I piccoli locali di street-food a bordo strada mostrano pelli di pecora e dromedario appese con crudeltà davanti ad animali ancora vivi in attesa di finire come spiedini sulle griglie fumanti. Fondata dai berberi nel VII secolo e poi conquistata dagli arabi musulmani, Kairouan è considerata la quarta città sacra dell’Islam dopo La Mecca, Medina e Gerusalemme. E scusate se è poco. Stavolta l’arrivo all’albergo è facile. Il La Kasbah è parte del perimetro della medina, perfettamente integrato nello stile e nella cromia, con una hall che potrebbe ospitare un campo da basket e camere spaziose con l’indicazione della direzione della Mecca sul comodino. È pomeriggio. Usciamo subito a piedi per raggiungere la vicina Grande Moschea ma ne rimandiamo la visita a domattina in quanto era aperta solo fino alle 14.00. Come al solito perdersi in una medina è facile e quasi obbligatorio. Quella di Kairouan è una delle meglio conservate della Tunisia ed è Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO. È principalmente costituita da abitazioni, con splendide porte, finestre, archi e persiane blu e verdi. I venditori si concentrano perlopiù in una parte di essa. Gira di qua, svolta di là, arriviamo alla casa del Governatore, uno degli edifici storici più iconici, una ricca residenza ora negozio di tappeti. Veniamo invitati ad entrare da un uomo che ci fa visitare le numerose sale interne, quella per l’harem, quella per la favorita, quella per gli incontri ufficiali e molte altre, tutte decorate con stucchi, legno pregiato e maioliche. Stranamente non ci chiede di acquistare un tappeto, forse perché ha fretta di chiudere. Decidiamo di cenare in un bel ristorante a due passi dal cimitero musulmano con le candide e semplici lapidi. Dalla terrazza si gode la vista sulla medina addormentata e sul minareto della Grande Moschea, illuminato da una calda luce che lo rende ancora più affascinante. Ricca cena a base di pesce con gli immancabili piatti di entreé tunisini. Spesa? 41 euro in 4.

Giorno 12 – Kairouan, Sousse 

Dedichiamo la mattinata a Kairouan, dato che oggi i chilometri sono davvero pochi. Prima tappa il pozzo Bir Barrouta, dove al primo piano di un edificio un dromedario cammina e fa girare una ruota in legno che solleva acqua dal sottostante pozzo. Come c’è arrivato un dromedario al primo piano di una casa? Con le scale, ovviamente. Si dice che chi beve quest’acqua sicuramente tornerà a Kairouan e noi non manchiamo al rito. Assaggiamo anche il forte caffè tunisino, così denso che sembra budino. È poi la volta della Grande Moschea. Ci siamo preparati alla visita indossando io e Mauro pantaloni lunghi e Tina e Paola coprendosi spalle, gambe e testa. La moschea di ‘Uqba o Grande Moschea, risalente a 670 d.C., è la più antica del Maghreb. Venne distrutta dai berberi poco dopo la sua costruzione e successivamente più volte ricostruita ed ingrandita. Ha l’aspetto di una fortezza, con imponenti mura realizzate in blocchi di pietra rinforzate da contrafforti e torri. Sei porte consentono l’accesso alla vasta corte interna pavimentata in marmo e circondata da un porticato sorretto da colonne provenienti da vari siti archeologici. Nel centro una vasca per la raccolta dell’acqua piovana ed un trespolo con un quadrante solare. Il massiccio minareto è alto oltre 30 metri. La sala della preghiera, accessibile solo ai musulmani, ospita più di 400 colonne ed il pulpito delle prediche del venerdi è il più antico ancora intatto dell’Islam. Giriamo poi nel souk della medina, lasciandoci trascinare dalla curiosità. Senza volerlo arriviamo alla Moschea delle Tre Porte risalente al IX secolo con la tipica distinguibile facciata e la sala della preghiera a cui si accede direttamente dalla strada. Riprese le moto, prima di lasciare la città facciamo una sosta alla Moschea di Sidi Saheb, conosciuta come Moschea del Barbiere, seconda per importanza a Kairouan. Si narra che al suo interno siano custoditi i resti di un compagno di Maometto sepolto con un medaglione contenente tre peli della barba del Profeta. E rieccoci in sella sulla P12, la statale che porta ad est verso Sousse. Abbiamo scelto un albergo stile Sharm El Sheikh per fermarci due notti e passarvi l’intera giornata di domani perché sarà il compleanno di Mauro. Il Sousse Palace Hotel & Spa si trova nei pressi del porto, con affaccio sulla spiaggia. Diciamo che non è proprio nello stile on the road di un motociclista. Come si addice alla tipologia, è esagerato in tutto. Piscine coperta e scoperta, centro massaggi e Spa, sala convegni, negozi, ristorante, camere con balconcino, spiaggia privata, ecc. In attesa del check-in nella grande ed affollata hall, con i caschi sottobraccio ed i bagagli impolverati, attiriamo la curiosità dei gruppi di ospiti arrivati in autobus climatizzati con le loro valigie rigide con le rotelle. Indossati abiti più consoni, ci mimetizziamo tra i turisti ed usciamo a piedi. Le moto meritano 36 ore di riposo nel garage sotterraneo. Spuntino a bordo spiaggia, bagno in mare (peccato per le alghe), risciacquo in piscina, doccia e di nuovo fuori per la cena. Troviamo un localino tipico dove si mangia bene ma dove la musica latino americana proprio non c’entra nulla. Da buoni vacanzieri ci beviamo infine una fresca birra tunisina sui divanetti in pelle della hall, prima di chiudere la giornata.

Giorno 13 – Sousse

Auguri Mauro. Oggi decidi tu cosa fare. Beh, non proprio del tutto, dato che Tina e Paola, visto dove ci troviamo, sono state contagiate dal virus del dobbiamo prendere qualche regalino da portare a casa ad amici e parenti. Quindi via nella sua medina bianca e blu a girare tra nel souk come tra gli scaffali di un supermercato. Meno male che essendo in moto, lo spazio per pacchi e pacchetti è moooolto poco. La giornata scorre proprio come scorrerebbe in vacanza, passeggiando in infradito, con un paio d’orette in spiaggia a sonnecchiare e fare un buon bagno nelle calde acque del Mediterraneo. In serata, vestiti a puntino, ci facciamo portare in taxi alla vicina Port El Kantaoui, che sembra un enorme luna park, dove ceniamo con pesce e brindiamo a Mauro con un fresco vino rosé tunisino in un ottimo ristorante della marina piena di barche a vela, yacht e catamarani.

Giorno 14 – Sousse, Tunisi

Sempre snobbando l’autostrada, saliamo sulla P1 e raggiungiamo Nabeul dove ci fermiamo per incontrare Saverio, un mio amico che da qualche anno si è trasferito lì a godersi la pensione. Nabeul non è come la più famosa Hammamet da cui dista pochi chilometri. È più tranquilla, discreta, meno frequentata ma comunque viva. Qui si producono olive, arance ed il peperoncino utilizzato per la produzione della piccante harissa, ma anche ceramiche, terrecotte, tappeti, dolci e distillati come l’acqua di fiori d’arancio usata per aromatizzare il forte caffè tunisino. Arrivare a Tunisi è ormai solo una formalità. Per il commiato da questo Paese abbiamo scelto un albergo particolare, il Royal Victoria, edificio risalente al 1600, ex ambasciata britannica ed ora hotel con uno stile unico proprio in Place de la Victoire. Per arrivarci dobbiamo fare i conti col traffico della capitale, ma ormai siamo diventati abbastanza scaltri da cavarcela alla grande. Tra la perplessità della gente e della Polizia saliamo con le moto sul marciapiede ed accediamo alla piazzetta passando sotto la Bab el Bahr, l’ingresso alla medina, parcheggiando di fianco alla porta della hall. Subito un addetto alla sicurezza circonda le moto con diversi vasi di fiori, come se bastasse a nasconderle o dissuadere malintenzionati. Già l’esterno è stupendo, ma l’interno dell’hotel lascia a bocca aperta, mirabilmente decorato con intarsi colorati a pareti e soffitti e grandi camere old-style. Il pomeriggio nel souk ci permette di osservarne più profondamente gli edifici, scoprendo splendide architetture, laboratori, atelier e gallerie d’arte nascosti tra le lunghe file di botteghe tutte uguali, i richiami cadenzati dei venditori ed i pungenti profumi.

Giorno 15 – Tunisi 

È l’ultimo giorno del viaggio. Giracchiando nel Mercato Centrale tiriamo l’ora di salutare Paola e Tina che in serata prenderanno il volo per Malpensa mentre noi copriremo gli ultimi chilometri verso il porto di La Goulette per immergerci nella complicata, estenuante e lunga attesa dell’imbarco sul ferry G.N.V.

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