Trentacinque chili di piacere
Come la maggior parte dei viaggi che ho fatto, anche questo è maturato lentamente negli anni, leggendo libri, raccogliendo ritagli di giornale, ascoltando racconti di viaggio, ecc… Con il tempo il raggio del mio interesse si è allargato e, a poco a poco, dall’isola di Sipadan è approdato nella regione del Sabah nel Borneo, per poi estendersi fino al Saravak ed infine, perché no, anche alla parte peninsulare della Malesia: effettivamente andare fino ai lontani confini del sud-est asiatico per visitare solo un’isoletta, per quanto bella sia, sarebbe stato un delitto. Eccovi dunque le mie impressioni sul lungo viaggio che ho intrapreso assieme a Claudia nella Malesia peninsulare, Borneo malese ed infine Sipadan. TRENTACINQUE CHILI DI PIACERE La Malesia è la tipica destinazione che adoro, mi permette in un colpo solo infatti di soddisfare tutte le aspettative che richiedo ad una vacanza perfetta: oltre alle immersioni il mio viaggio deve darmi la possibilità di fare trekking naturalistico; poi deve appagare quella che Claudia chiama la nostra terza compagna di viaggio, ovvero la mia macchina fotografica; a tutto questo però bisogna aggiungere che non sono un eremita, amo conoscere la gente e nuove culture, visitando luoghi di interesse storico e gustando le più fantasiose cucine; ultima cosa ma non meno importante, deve esserci avventura, perché senza il pepe delle incognite, degli imprevisti e dei cambi di programma mi sembrerebbe di guardare passivamente un documentario in TV. Qual è l’unico svantaggio di avere a disposizione una meta che vi permette tutte queste attività? Lo conosce bene la mia schiena, tra attrezzatura fotografica, subacquea e da trekking, il mio zaino pesava 35 Kg! Claudia che ha meno esigenze fotografiche di me, comunque aveva 22 Kg di attrezzatura sulle spalle. Sono sicuro che ancora oggi ci sono vertebre lombari di tassisti malesi, che portano il segno del nostro passaggio.
IL PRIMO IMPATTO Come avrete già capito sono un amante della vacanza fai-da-te, dall’Italia ho sempre solo acquistato il biglietto di andata e ritorno, per poi affrontare l’organizzazione logistica sul posto. Quest’anno però devo confidarvi, che per i primi 30 minuti in terra malese, arrivato a Kuala Lumpur ho avuto un senso di spaesamento che non avevo mai provato nei miei viaggi precedenti. Non so come fare a spiegarvi la sensazione, immaginate di essere in piena chinatown alle 7 del mattino, l’afa vi toglie il fiato e siete circondati e pigiati fra gente di ogni sorta, uomini d’affari cinesi, santoni indiani, scolaretti malesi, donne musulmane nascoste nei loro chador neri, insomma la più svariata umanità; siete dotati della ridicola cartina inclusa nella Lonely Planet dove l’intera Kuala Lumpur è disegnata su due paginette con un’approssimazione che la rende praticamente inutilizzabile, dunque non avete la minima idea di dove siete; sui pochi marciapiedi esistenti non riuscite neanche a camminare perché sono stipati di baracchini alimentari che friggono e cuociono ogni genere di materia commestibile, violentando il vostro povero stomaco stremato dal lungo volo; odori aggressivi arrivano inoltre dai mercati e soprattutto dalle bancarelle dei macellai cinesi, dove gli animali vengono tenuti vivi fino al momento dell’acquisto e poi sgozzati prima di essere incartati; le monorotaie vi passano rumorosamente sopra la testa, stracariche di lavoratori diretti ai loro impieghi; voi infine avanzate zigzagando tra le macchine incastrate nel traffico, che per ripicca riversano lo smog nella grigia aria del mattino. Non so se sono riuscito a rendere l’idea, credetemi ne ho viste di città caotiche nei miei viaggi passati, ma questa volta appena ho messo piede fuori dal taxi che ci ha portato in città, per un brevissimo istante ho avuto voglia di correre in albergo e chiudermi in camera.
Poi magicamente ed inevitabilmente incominciate a sincronizzarvi con quel ritmo frenetico, i vostri occhi vengono attirati dagli straordinari colori che vi circondano, i passanti vi salutano sorridendovi, lanciate le prime spontanee imprecazioni contro gli automobilisti che vi sfiorano, incominciate in poche parole a far parte di Kuala Lumpur. La sregolata capitale è destinata a piacervi, il senso di spaesamento iniziale assumerà una connotazione positiva rendendo ancora più attraenti le differenze culturali che incontrerete sul vostro cammino. Con il veloce ed efficiente servizio di treni sopraelevati, potrete visitarla in tutta comodità, gustandovi contemporaneamente una veduta panoramica dall’alto. A proposito dei treni, vi anticipo una cosa che a me sulle prime ha lasciato meravigliosamente di sasso: la linea Putra non ha conducente, cioè i treni vengono guidati da un computer! Dopo due secondi di stupore ci si domanda immediatamente: e se qualcuno si avvicina troppo al bordo del marciapiede? E se cade sui binari? O se rimane impigliato in una porta? Il computer grazie ad una sofisticata rete di sensori è in grado di gestire tutte queste situazioni… Speriamo non ci sia installato Windows 95. Sostanzialmente i quartieri interessanti della città sono due e possono essere visitati tranquillamente in un paio di giornate: il Golden Triangle (Triangolo d’Oro) e China Town. Il primo è famoso per la sua architettura moderna, comprese le famose Petronas Towers ed è molto frequentato per quello che i malesi chiamano lo sport nazionale, ovvero lo shopping; China Town invece è la parte più rustica della città, i templi cinesi, indiani e mussulmani convivono con l’architettura moderna, i baracchini gastronomici vi permettono di gustare prelibatezze esotiche (di cui alle volte è meglio non conoscere gli ingredienti) e nei colorati mercati all’aperto potrete comprare un Rolex per mezzo euro o l’ultimo film del vostro regista preferito ancora prima che il suddetto regista decida di girarlo.
Un capitolo a parte meriterebbe invece il trattamento della condizione del pedone, una specie in via di estinzione che a Kuala Lumpur sopravvive per miracolo. Innanzitutto si potrebbe affrontare l’argomento “Il marciapiede questo sconosciuto”, infatti, tranne in rarissime situazioni, il marciapiede è un’entità assolutamente ignota e se c’è, è comunque invaso da bancarelle e baracchini alimentari. Il secondo paragrafo potrebbe tentare di rispondere all’intrigante domanda “A cosa serve il semaforo per i pedoni?”: il semaforo infatti viene installato negli incroci ad unico uso e beneficio degli autoveicoli, gli attraversamenti pedonali ne sono sprovvisti. Voi direte, “basta passare quando le macchine sono ferme”… A parte il fatto che le macchine non sono mai ferme, voglio proprio vedere come si fa a capire che è il vostro turno di attraversare, in un incrocio dove convergono magari 6 strade a 4 corsie! Il terzo paragrafo lo intitolerei “Centrare i pedoni aumenta i punti sulla patente”. Non c’è altra spiegazione, deve essere così, anche in Malesia hanno la patente a punti solo che da loro i punti vengono ripristinati investendo i passanti. Ho sperimentato di persona che quando attraversi la strada le macchine accelerano, ho visto automobili cambiare di corsia per riuscire a farti il pelo. Voi direte “usa le strisce pedonali”… Le stri-cosa? Concluderei infine il trattato con l’appendice “Non sei Inglese? Accendi un cero!”. A tutti i disagi sopraccitati aggiungete cioè il fatto che in Malesia guidano a sinistra, dunque le vostre probabilità di sopravvivenza si abbassano ulteriormente; quando attraverserete le strade vi verrà da guardare istintivamente dalla parte sbagliata con la conseguenza che nel momento che appoggerete il primo piede sulla strada, sentirete il classico suono prolungato di un clacson in avvicinamento, mentre verrete contemporaneamente sfiorati da una o più vetture. A poco servirà fermarsi a ragionare prima di attraversare, per capire se l’incasinatissimo svicolo verrà da lì a poco percorso da destra o da sinistra, sbaglierete di sicuro! Comunque non preoccupatevi, dopo un mese di soggiorno in Malesia alla fine ho imparato da che parte dovevo guardare prima di attraversare, infatti appena arrivato in Italia uscendo dall’aeroporto, mi ha quasi steso un tassista. LA GIUNGLA ANTICA Il Taman Negara è il parco nazionale più importante della Malesia, la foresta pluviale che vi è racchiusa è ritenuta la più antica al mondo, si sospetta infatti che non sia stata toccata nemmeno dalle ere glaciali. In termini di animali non è certo il miglior posto della Malesia dove fare avvistamenti, nonostante ciò il parco secondo me va visitato, soprattutto se nel vostro programma di viaggio non è incluso il Borneo: avrete l’occasione di vedere specie vegetali fra le più svariate e antiche, se andrete a fare qualche passeggiata di notte nella giungla la vostra torcia inquadrerà sicuramente serpenti colorati, veloci scorpioni e ragni che avevo visto solo nei film horror. Male che vada durante il vostro soggiorno conoscerete le simpaticissime sanguisughe che daranno il caloroso benvenuto ai vostri polpacci. Purtroppo però se come me avrete la “sfortuna” di andare in vacanza con una ragazza dotata di carni rubiconde e succose, le sanguisughe non vi degneranno di un solo sguardo riservando a lei tutte le attenzioni.
Ecco magari non girate per la giungla con pantaloncini corti e ciabatte infradito, ma seguite i consigli del veterano dei SAS Nick Stone: tenete due abiti, uno da usare durante il giorno, che si bagnerà e infangherà dopo i primi 5 minuti nella giungla e l’altro che indosserete la notte e che avrete avuto la cura di mantenere asciutto ad ogni costo; la mattina seguente indosserete nuovamente quello bagnato. Non cedete alla tentazione di usare quello asciutto, altrimenti dopo 5 minuti vi ritroverete con 2 vestiti bagnati.
Se avete tempo vi consiglio di passare una notte in un bumbun, la fatica e lo spirito di adattamento che dovrete avere sono notevoli ma verranno adeguatamente ripagati. Praticamente i bumbun sono dei capanni molto spartani costruiti su palafitte in mezzo alla giungla e collocati in posizioni strategiche per individuare gli animali che all’imbrunire ed alla mattina presto vanno ad abbeverarsi. Sgambetterete un po’ per arrivarci (ricordate che più siete lontani dall’entrata del parco, più probabilità avrete di avvistare vita selvaggia), vi adatterete a dormire in un sacco a pelo sopra ai duri letti a castello in legno, non essendoci né vetri alle finestre né zanzariere vi farete la doccia di repellente per gli insetti ed infine vi dovrete preparare mentalmente alla compagnia di qualche Jerry (N.D.R. Chiamarli così invece che “orrendi e schifosi ratti” potrebbe facilitarvi nell’accettarne la presenza). Vi garantisco però che ascoltare nella buia notte il concerto di suoni che proviene da ogni dove, è qualcosa di realmente magico e lo porterete nei vostri ricordi per sempre.
Per organizzare un soggiorno nel Taman Negara vi consiglio di rivolgervi a Kuala Lumpur alla NKS Travel (www.Taman-negara.Com), che ha un ufficio nell’Hotel Mandarin Pacific a China Town. Sono veramente efficienti, penseranno loro al trasferimento, all’alloggio ed addirittura al viaggio per la vostra successiva destinazione (ad organizzare tutto da soli, perderete un sacco di tempo e probabilmente spenderete di più). Ad esempio, nonostante per raggiungere successivamente Kota Baharu ci offrissero un passaggio su una veloce corriera dotata di aria condizionata, gli abbiamo chiesto di procurarci i biglietti per il Jungle Train. Ci hanno guardato come dei poveri pazzi ma ce li hanno procurati a loro spese. Se non avete fretta fatelo anche voi, il Jungle Train è un capolavoro di ingegneria, si tratta di una pittoresca linea ferroviaria che avanza pigramente per centinaia di chilometri nel folto della giungla, tagliando in diagonale quasi tutta la Malesia. Esistono due treni, uno notturno ed uno diurno. Ovviamente quello diurno è quello che vi permette di gustarvi il panorama, ha solamente il difetto che ferma in tutte le stazioni, e sono veramente tante! Nemmeno il capotreno quando glielo ho chiesto mi ha saputo dire quante fossero, non ne aveva mai tenuto il conto. Vi toccano circa 10 ore di viaggio, ma lo rifarei nuovamente senza nessuna esitazione; a parte i meravigliosi paesaggi che sfrecciano davanti al vostro finestrino, il treno è un’esperienza sociale, viaggiatori di ogni tipo si avvicendano durante il percorso, stanchi contadini di ritorno dal lavoro, eleganti donne col velo, fedeli che si recano alla più vicina moschea e battaglioni di ragazzini che escono da scuola. Potrete mangiare cucina tipica nel vagone ristorante, ma soprattutto socializzerete anche se non ne avrete voglia, donne e uomini al primo sguardo con cui li incrocerete si lanceranno con voi in conversazioni sui più svariati argomenti. Parola mia, le 10 ore di viaggio sono volate! Un’altra escursione interessante, ma per avvistamenti naturalistici molto particolari, è la navigazione notturna del Sungai Selangor nei pressi di Kuala Selangor a tre ore di autobus da Kuala Lumpur. E’ un posto “incantato” che di notte viene invaso da milioni di lucciole; utilizzando le silenziose imbarcazioni del parco si può navigare lungo il fiume luccicante, sperimentando il clima natalizio anche ad Agosto. E’ un po’ fuori mano dalle rotte turistiche, non vale certamente la pena passarci più di una notte, ma se avete tempo potrete come noi alloggiare direttamente dentro il Firefly Park Resort (www.Fireflypark.Com).
IL MINESTRONE CULTURALE Quello che sicuramente più affascina della Malesia è la convivenza pacifica degli opposti, da tutti i punti di vista, architettonico, artistico, culturale, etnico e religioso. Citando lo scrittore Andy McNabb “La Malesia è l’unico posto al mondo dove Allah, Hare, Buddha e persino Gesu Cristo possono andare assieme fuori a cena senza venire alle mani”. Se nel vostro immaginario pensate alla Malesia come ad un chiuso e riservato popolo mussulmano, siete completamente fuori strada. Innanzitutto preparatevi a salutare in continuazione, soprattutto nei piccoli paesi vi faranno un cenno o vi rivolgeranno un “hello” la maggior parte di quelli che incrocerete. Se poi avrete l’accortezza di ricambiare il saluto in bahasa, vi sarete fatti degli amici. A tal proposito mi ha sorpreso la facilità della lingua malese, non ha le declinazioni tanto odiate nel tedesco e nel latino, cioè una parola si pronuncia tale e quale in tutte le situazioni; non ha nemmeno le coniugazioni, cioè non esistono i verbi al futuro o al passato, sono tutti all’infinito, si capisce se uno sta parlando al passato o al futuro dagli avverbi che usa (ad esempio se dico “Lo scorso luglio andare in Malesia” sto ovviamente parlando al passato); per finire non esistono neanche i plurali, per dire il plurale di un sostantivo si ripete semplicemente due volte la parola (come se per dire cani dicessi canecane). In uno dei tanti centri commerciali di Kuala Lumpur, compratevi un dizionario tascabile e potrete incominciare a comprendere le insegne stradali, gli avvisi pubblicitari e, perché no, divertirvi anche a spiaccicare qualche cosa di più dei soliti monosillabi.
Tornando alla socievolezza dei malesi, dal punto di vista fotografico siete in un paradiso. Anche il più timido dei fotografi potrà tornare a casa con centinaia di soggetti catturati dalla propria fotocamera. Recatevi nel più sperduto villaggio su palafitte di pescatori e non appena estrarrete la macchina fotografica verrete circondati da gente che vuole farsi ritrarre. Se passerete con la macchina fotografica in mano accanto a qualcuno senza fargli la foto, vi guarderà offeso come per dire “Non sono abbastanza bello per le tue foto?”. Vi giuro, ho visto addirittura un peschereccio fare marcia indietro con tutto l’equipaggio che salutava, per finire nella foto del tramonto che stavo facendo.
Da un punto di vista socioculturale forse la meta più interessante è Kota Baharu: avrete modo di visitare i coloratissimi e caratteristici mercati, recarvi al centro culturale (magari utilizzando un risciò) e vedere le esibizioni di musica, ballo, arti marziali e trottole (una strana combinazione in effetti). A proposito di mercati Kota Baharu e Kuala Terengganu sono i posti migliori per acquistare i batik, ovvero le preziose stoffe di seta colorate a mano; le troverete anche in altre parti della Malesia, ma scordatevi la scelta (ed i prezzi!) di cui disporrete in questa regione. La città è anche un’ottima base per esplorare i luoghi interessanti nei dintorni: l’esotica moschea galleggiante, le grandi statue del Buddha, i villaggi di pescatori, gli artigiani che costruiscono aquiloni, i teatri di marionette, ecc…
Una curiosità! Accompagnati in un’escursione da due nativi, siamo finiti in un luogo che non era riportato sulle mie guide e di cui tra l’altro a posteriori ho trovato solo pochissimi cenni in Internet. La cosa mi sembra tutt’oggi molto strana, infatti secondo me è un posto splendido. Si tratta di un raggruppamento di 5 templi buddisti di influenza tailandese, di cui il più caratteristico è senz’altro il Wat Mai Suwankhiri, conosciuto anche come “Tempio della Barca del Drago”: come dice il nome è a forma di barca ed è collocato all’interno di una piscina fatta su misura. Nelle guide che possiedo si parla di molti templi tailandesi nel distretto del Tumpat, ma questo incredibilmente non è citato. Mistero… Interessante è anche la città di Melaka, esattamente dalla parte opposta della Malesia rispetto a Kota Baharu, ha avuto notevole importanza nella storia del paese e, per la sua posizione strategica, se la sono contesa i Portoghesi, gli Inglesi e gli Olandesi (vi troverete anche un mulino). Nonostante sia decisamente più turistica rispetto agli stati del Kelantan e del Terengganu, l’architettura del quartiere cinese è incantevole, sia all’esterno che all’interno, infatti a Melaka è molto forte la tradizione artigianale legata alla produzione di mobili e sculture. Ogni sera viene eseguito uno show di luci e suoni che racconta la storia della città: se non capite l’Inglese lasciate stare oppure portatevi un cuscino per dormire, se invece lo masticate (l’Inglese intendo, non il cuscino) potrebbe essere divertente, infatti avrete l’occasione di ascoltare una versione propagandistica e “leggermente” distorta della storia coloniale della regione.
PIRATI DA SEMPRE Dopo due settimane sul continente eccoci in volo verso il selvaggio Borneo, prima tappa Kuching, capitale del Sarawak. La cittadina è veramente piacevole, vi converge tutto l’artigianato indigeno del Sarawak, oserei dire che è forse il posto dove avrete la scelta più ampia per i vostri souvenir. Il problema è che bisogna stare molto attenti a quello che si trova e a quanto lo si paga, infatti accanto alle autentiche opere di antiquariato, troverete anche molto ciarpame prodotto in serie.
E qui ho avuto il primo rimpianto, quel genere di cose che col senno di poi avrei fatto diversamente. Sin dall’Italia, da quando leggevo i racconti di Redmond O’Hanlon tra gli Iban del Borneo, mi sono ripromesso di comprarmi in Malesia un parang, ovvero il machete rituale che i valorosi cacciatori di teste utilizzano per avanzare nella giungla, scuoiare animali, tagliare teste e affettare il formaggio. Bene ho fatto l’errore di aspettare di arrivare in Borneo per comprarmelo e purtroppo oggi non è tra gli oggetti ricordo della nostra vacanza. A Kuching troverete sì i parang, ma si tratta di chincaglieria dotata di lame scadenti. A Melaka invece (averlo saputo prima!) ho visto fabbri che battevano sugli incudini pezzi di ferro incandescente e creavano a mano bellissimi parang, ma mi sono detto “Se sono bellissimi questi, chissà che splendore saranno quelli nel Borneo!”. Carpe diem.
A Kuching potrete scatenarvi con la macchina fotografica.
Sorseggiando un succo di frutta seduti in uno dei tanti localini lungo il fiume, vedrete passare i barcaioli che con le loro caratteristiche imbarcazioni traghettano la gente del luogo da una sponda all’altra. Ma la cosa bella della città è che si trova in una posizione unica per molte escursioni nei vicini parchi nazionali, e qui non si scherza, gli avvistamenti interessanti sono all’ordine del giorno.
Il Bako National Park si raggiunge in un’ora di autobus più mezzora di barca ed è secondo me il parco più bello tra i molti che abbiamo visto. Innanzitutto è lungo il mare, dunque potrete fare il bagno in una delle tante spiagge incontaminate mentre le scimmie nasiche vi volteggeranno sopra la testa, oppure potrete dedicarvi al trekking nell’entroterra per avvistare diverse specie di primati ed una considerevole varietà di piante carnivore. A tal proposito devo annotare il nostro secondo rimpianto, ad aver saputo prima la bellezza di questo parco, invece di tutti quei giorni nel Taman Negara, sarebbe stato meglio passare più tempo qui. Il Gunung Gading National Park si raggiunge in un paio di ore di autobus e sin dall’Italia c’era un bel punto interrogativo sul programma accanto a questa meta: la mia flebile speranza era di avere la fortuna di vedere in Borneo la mitica rafflesia. Per la cronaca ce l’abbiamo fatta, ne abbiamo viste addirittura 3.
Ah, non avete la minima idea di cosa stia parlando? Cos’è la rafflesia? E’ semplicemente il fiore più grande del mondo, può raggiungere anche un diametro di 140 centimetri (fortuna che non è carnivoro!), ma l’unico problema è che fiorisce solo 4 giorni all’anno e mai nello stesso posto dell’anno precedente. Ovviamente le rafflesie non fioriscono tutte assieme negli stessi 4 giorni, dunque assumendo una guida del parco avrete buone probabilità che ce ne sia almeno una da vedere (è meglio comunque fare una telefonata il giorno prima e chiedere informazioni, per evitare di farsi tutto quel viaggio per niente).
Vi segnalo a Kuching l’hotel Telang Usan (www.Telangusan.Com), un posto molto particolare, di proprietà e gestione della tribù dei Orang Ulu. E’ stato l’unico posto del Borneo dove sono riuscito a farmi servire sottobanco il tuak, il vino di riso degli indigeni (nella mussulmana Malesia gli alcolici sono vietati).
Spostandosi all’estremità opposta del Borneo, troverete Sandakan, una lercia cittadina piena di immigrati indonesiani clandestini, pirati, tagliagole e prostitute e se posso permettermi questo è l’unico posto in tutta la Malesia dove vi consiglio di non andare al risparmio con l’hotel (noi siamo stati nel bellissimo Sabah Hotel www.Sabahhotel.Com.My). Prendete nota maschietti, se la vostra ragazza dopo essere stata nel lussuoso centro benessere dell’hotel insiste perché andiate anche voi a farvi un massaggio, ANDATE! Non dico altro…
Nonostante tutto, Sandakan è il posto migliore del Sabah dove organizzare escursioni, tra cui la più famosa cioè il Sepilok Rehabilitation Center. Il parco è stato creato per accogliere temporaneamente orangutan orfani o feriti e riabilitarli per dare loro la possibilità di essere nuovamente autosufficienti nella giungla. Due volte al giorno in punti fissi del parco viene depositato del cibo e ci sono ottime probabilità di vedere molti orangutan e macachi farsi avanti: attenzione che andare a Sepilok fuori dall’orario dei pasti, vuol dire quasi sicuramente fare un viaggio per niente.
Da Sandakan potrete inoltre organizzare escursioni in barca lungo il Sungai Kinabatang e se lo desiderate trascorrere la notte in un accampamento nella giungla. FINALMENTE IN ACQUA Sono passate tre settimane e non mi ricordo più per cosa siamo venuti in Malesia… Per comprare un cellulare a poco prezzo? No, non mi serve …Per assaggiare il disgustoso durian? Fatto, la polpa del frutto ha l’aspetto di un cervello di scimmia, sa di ananas marcio e profuma come la colla vinilica… Forse siamo venuti per farci un massaggio? Ah no, ora ricordo, per Sipadan! Le immersioni! Due sono le possibilità logistiche per fare immersioni alla mitica Sipadan: alloggiare sulla terraferma a Semporna e farvi ogni giorno un’ora di motoscafo, oppure alloggiare sull’isola di Mabul e farvi 20 minuti di barca. Se avete intenzione di fare solo una o due immersioni, allora potete risparmiare qualche soldo e starvene a Semporna, ma se come noi siete degli irriducibili subacquei sovrasaturi di azoto, che se fanno meno di 15 immersioni non gli sembra neanche di esserci stati, allora è a Mabul che dovete andare, vi farete anche 4 immersioni al giorno e alla fine darete del tu ai pesci. L’isola con i suoi 4 hotel (noi siamo stati allo Smart Resort www.Sipadan-mabul.Com.My) è fatta su misura per i subacquei, di giorno diventa deserta poiché sono tutti sottacqua. Appena sbarcati abbiamo trovato i nostri nomi già scritti sul tabellone, prenotati per le 3 immersioni del giorno successivo. Se per caso un giorno dopo 2 immersioni vi sognate di dire che, quasi quasi il pomeriggio preferite stare sulla spiaggia a prendere il sole, la guida subacquea vi guarderà preoccupata, chiedendovi se state male e se avete bisogno di un dottore. Visto che il pacchetto soggiorno normalmente comprende immersioni illimitate, per loro è incomprensibile che voi non andiate ad immergervi. Dunque mettete la maschera e iniziamo…
Barracuda Point ——————– Prendete qualsiasi libro che parla di barriere coralline e vedrete citato Barracuda Point a Sipadan. Quando andate in giro per il mondo, sono sicuro è capitato anche a voi, e vi immergete in un punto chiamato Manta Point o Shark Point, potete star sicuri che di mante o squali non ne vedrete neanche uno; sembra facciano apposta a dare al sito di immersione un nome che non ha niente a che vedere con cosa si avvisterà poi. In questo caso però, il nome Barracuda Point calza a pennello, dopo pochi minuti di immersione siamo stati circondati da centinaia di barracuda che volteggiavano attorno a noi creando in controluce spirali ipnotiche. L’avvistamento di grossi pelagici non è comunque la regola a Sipadan, l’isola infatti è famosa per il “muck diving”, che tradotto letteralmente vuol dire “immersioni per avvistare schifezze”. Lo so, suona molto meglio in Inglese, ma sostanzialmente le abilissime guide scendono in acqua con una bacchetta tipo direttore d’orchestra o con una lente di ingrandimento e vi aiutano ad individuare coloratissimi nudibranchi e microscopici crostacei. Non è il mio caso, ma penso sia il paradiso della macrofotografia subacquea.
Drop Off ———– Il drop off è la parete sul lato nord dell’isola, che sprofonda verticalmente fino a 600 metri di profondità. Tuffarsi dalla barca e lasciarsi cadere negli abissi (non fino a 600 metri ovviamente), data l’eccezionale visibilità è un esperienza vertiginosa, da ottovolante.
Oltre agli esseri minuscoli, l’isola è famosa per le tartarughe giganti che ne abitano i fondali, solo che dopo le prime due immersioni non ci farete più caso, cioè quando ad ogni immersione minimo si avvistano 10 tartarughe, capirete anche voi che dopo un po’ non fanno più notizia.
Turtule Cave —————- Questa immersione invece non la conoscevo, ma consiglio a tutti i non claustrofobici di provarla. Sotto l’isola c’è un fitta rete di cunicoli, tra cui un ampia caverna conosciuta come il cimitero delle tartarughe. Il nome è dovuto al fatto che è piena di scheletri e gusci di tartarughe (il conteggio quando ci siamo stati noi era arrivato a 86 scheletri); ancora non si è capito se le tartarughe muoiono lì perché non riescono a trovare la via di uscita o è una loro libera scelta, si sa però che tutte le volte che i sub hanno provato a salvarne qualcuna portandola fuori, questa il giorno dopo rientrava. Hanno trovato gusci marcati con i contrassegni che indicavano origini lontanissime, anche tartarughe che provenivano dalle Hawaii. Oltre a questo spettrale paesaggio, la grotta ci ha permesso di vedere cucciolate di squali e gli incredibili pesci bioluminescenti, che erroneamente pensavo abitassero solo gli abissi e che dunque non mi sarei mai aspettato di vedere un giorno.
L’immersione però non va sottovalutata, si conduce all’inizio con una bombola aggiuntiva a tracolla, poi a metà percorso la si abbandona per usarla come riserva al ritorno. Oltre ai claustrofobici ed agli ansiosi sconsiglio l’immersione anche a chi normalmente ha problemi di compensazione, infatti l’ingresso della grotta è a 20 metri, ma poi la penetrazione è tutta in risalita, dunque dopo 70 minuti (l’immersione è lunga) dovrete ridiscendere per uscire e se non riuscite a compensare, beh non c’è altra strada, o vi spaccate i timpani o diventate l’87esimo scheletro.
Concludo con un arrivederci, solo che in bahasa si dice in due maniere diverse a seconda della situazione: in questo caso la maniera giusta è selamat jalan, che lo dice chi rimane (io purtroppo) a chi parte.