Trekking nel Tassili N’Ajjer
Martedi’ 27 Dicembre Sveglia alle 8. Prepariamo gli zaini e scendiamo a pian terreno per la colazione. Mangiamo parecchio al fine di avere la giusta energia peraffrontare questo primo giorno di trekking: pane, burro, squisita marmellata di fichi e caffe’. Quando finiamo ci rechiamo nel cortile dello Zeriba dove Sara, Christian e tre fuoristrada ci stanno gia’ aspettando. Alle 9 e 45 siamo pronti a partire alla volta dell’altopiano a nord di Djanet: mentalmente salutiamo l’oasi, sperando di avere al nostro rientro un po’ di tempo da dedicarle. La pista che parte appena usciti da Djanet e’ splendida e ci porta con la mente alle mille piste africane percorse negli anni passati … Bentornata Africa ! Finalmente siamo tornati “a casa” !! L’euforia si sta impadronendo di noi ! Attraversiamo una piana disseminata di pietre, pietruzze e pietrone di arenaria rossastra che creano uno splendido contrasto cromatico con il giallo chiaro della sabbia che accoglie la pista: lentamente ci avviciniamo ai contrafforti del tassili che diventera’ la nostra dimora nei prossimi giorni. E’ frammentato, scomposto in numerose guglie appuntite, arrotondate o appiattite e fra queste corrono ampi canaloni e valloni rocciosi. Tassili, in lingua araba, significa “altopiano” ed il Tassili N’Ajjer rappresenta un po’ il tassili per antonomasia: molto esteso e dalle pareti rocciose ricchissime di pitture rupestri antichissime, questo paradiso naturale e’ assolutamente interdetto ai mezzi a motore grazie proprio alla sua morfologia. Alte pareti a strapiombo lo separano infatti dagli erg circostanti e lungo queste si aprono pochi punti di accesso, piccoli sentieri che si arrampicano e sui quali si possono avventurare solo le gambe ! E’ questo, a nostro avviso, uno degli aspetti piu’ magici di questo viaggio: vivere per dieci giorni in un mondo dove non incontreremo motori e dove dovremo contare solo sulle nostre forze ! Con questi pensieri in testa, alle 10 e 30 parcheggiamo le jeep in uno spiazzo dove ci aspettano alcuni splendidi tuareg: tutte intorno a loro taniche, sporte e scatole aspettano solo di essere caricate … Dove ? Ma sugli asinelli ovviamente ! 15 bellissimi asini piccoli e grigi dagli occhioni dolcissimi ci seguiranno infatti in questo nostro vagabondaggio per terre deserte: a loro affideremo le nostre scorte d’acqua e di viveri, le tende, i materassi, il legno per il fuoco. Purtroppo c’e’ anche una capra … La sacrificheranno l’ultimo giorno dell’anno.
Mentre le jeep iniziano il loro lento rientro a Djanet, noi ci mettiamo in marcia nella direzione opposta: PRONTI PARTENZA VIA! verso il Tassili N’Ajjer ! Camminano con noi Laid, guida ufficiale del parco nazionale, ed Omar, rappresentante dell’agenzia cui KEL 12 si appoggia in Algeria. La presenza della guida e’ indispensabile per accedere a questo tassili e noi seguiamo molto volentieri questo omone vestito di azzurro dal turbante verde ! Subito ci troviamo immersi in un panorama fatto di silenzi, di passi e di rocce che assomiglia sorprendentemente a quello dell’Acacus libico. Quest’ultimo, dopo tutto, rappresenta geologicamente il prolungamento del tassili su cui saliremo ora per cui ci aspettiamo molte cose in comune con il nostro viaggio in Libia. Saliamo lentamente, procedendo su un sentiero ben segnato che ci conduce attraverso piccole valli circondate da alti torrioni: valli magiche e preziose dove, sullo sfondo chiaro del terreno, nascono i cespugli spinosi di cui sono ghiotti i dromedari e molte acacie dagli splendidi ombrelli carichi di aculei impressionanti. Siamo gia’ tutti catturati dallo spettacolo della natura e ci fermiamo spesso per scattare fotografie; questo ci aiuta a non soffrire la risalita che oggi ci portera’ a coprire un dislivello complessivo di circa 750 metri. Nei giorni a seguire rimarremo su terreni piu’ o meno pianeggianti mentre torneremo a scendere l’ultimo giorno. La direzione che seguiremo sara’ dapprima verso nord-est, poi piu’ decisamente verso est, quindi piegheremo verso sud, ancora verso sud-est ed infine punteremo decisi verso ovest in un giro appassionante che ci regalera’ fantastiche emozioni ! E’ da poco passato mezzogiorno quando ci fermiamo e, seduti tutti per terra, pranziamo con pane, formaggio ed arance. Dopo un breve riposo, poi, riprendiamo il cammino che, dopo averci condotto lungo un vasto canyon roccioso, inizia ad arrampicarsi sul serio. Ad un certo punto troviamo sulle rocce una piccola tanica di plastica color arancio, priva di tappo e con un foro sul fondo. Omar la prende ed inizia a discendere il fianco della collina fino a scomparire in una piccola depressione del terreno. Tornera’ dopo pochissimo, tenendo la tanica orizzontale: e’ piena d’acqua, raccolta in una pozza nascosta alla nostra vista. Lui e Laid bevono e si rinfrescano il viso, in una serie di gesti che molto raramente osservero’ ancora nei prossimi giorni. I tuareg, infatti, sono molto parchi nel consumare cibo e bevande e pare proprio che non soffrano assolutamente il caldo o il freddo, restando vestiti sempre alla stessa maniera ! Che invidia ! Ad ogni modo, la temperatura oggi e’ assolutamente ideale per camminare, al sole c’e’ caldo ed all’ombra fa fresco. A quota 1750 metri ci rinfreschiamo anche noi con l’acqua fredda e color verde di una piccola polla scavata nella roccia. Il nome arabo di queste pozze, che raccologono l’acqua caduta durante i rari acquazzoni, e’ “guelta”. Da questo momento si sale ininterrottamente fino a quota 1900. Ed ecco che quando scorgiamo sopra di noi la fine della salita i nostri passi si fanno impercettibilmente piu’ rapidi per la curiosita’ di scoprire cosa si nasconda lassu’ in cima … Ed infine eccoci arrivati: una distesa piatta ed infinita di pietre scure su un terreno pianeggiante si stende davanti ai nostri occhi: pare di essere sbarcati sulla luna ! Ci riposiamo qui alcuni bellissimi minuti ma poi dobbiamo riprendere il cammino perche’ il campo previsto per questa prima sera non e’ proprio dietro l’angolo. Le ombre iniziano ad allungarsi quando arriviamo improvvisamente in vista di uno spettacolare esemplare di cipresso millenario, dalla chioma folta e verdissima e dal tronco chiaro. Ne incontreremo altri lungo il sentiero i prossimi giorni ed ogni volta sara’ una gioia immensa: veri e propri fossili viventi, questi alberi hanno radici profondissime che pemettono la vita ancora oggi in zone che si sono irrimediabilmente desertificate. Un’oretta abbondante ci conduce poi ai piedi di una formazione rocciosa davvero singolare, forse la zona piu’ fotografata del Tassili N’Ajjer chiamata Tamrit. L’acqua, prima, ed il vento carico di granelli di sabbia, poi, hanno lavorato molto bene da queste parti, scolpendo la roccia in maniera tale da lasciare lunghi e stretti corridoi sabbiosi fra alte pareti di arenaria che come per magia si innalzano all’improvviso sul terreno semi pianeggiante della valle che abbiamo appena attraversato. Sembra di osservare da una certa distanza uno dei lati di una sorta di fantastico labirinto tridimensionale, una cosa incredibile ! Sulla destra di questo complesso roccioso, alla base delle rocce, si trovano alcune tende piuttosto malridotte: ci spiegano che si tratta di un vecchio campo tendato fisso di proprieta’ dello Stato, che da parecchio non viene piu’ utilizzato ma che vede vivere comunque qui due fratelli che sono poi i guardiani del campo stesso. Giunge rapida l’ora del crepuscolo ed il cielo s’infiamma; le rocce si tingono di splendide sfumature rosse. Gli asini tardano ad arrivare, cosi’ ci lasciamo tentare dal bel fuoco che arde all’interno della tenda dei due fratelli e, con Sara, ci sediamo con loro ad aspettare. Sono timidi ma rispondono volentieri alle domande: vivono quassu’ tutto l’anno e scendono a Djanet ogni due mesi. Entrambi hanno circa quarant’anni, una moglie e sei figli. Quando chiediamo loro se sanno dove si trova l’Italia … Dopo un tenero, imbarazzato silenzio ci rispondono di no ! Per noi e’ il primo vero contatto con i tuareg degli altipiani e ne serberemo un ricordo molto dolce. Alla fine arrivano anche i “nostri” tuareg con gli asini ed in breve ognuno si monta la propria tenda, mentre Ali’, il cuoco, inizia a pensare alla cena e gli asinai allestiscono il campo per la notte. Spariscono le ultime ombre ed il buio avvolge ogni cosa; il freddo inizia a farsi sentire e cosi’ ci raduniamo volentieri attorno alla stuoia appositamente stesa per noi al riparo delle rocce. Consumeremo qui la nostra prima cena, emozionati dall’ essere di nuovo ospiti di un paradiso dove le stelle parlano piu’ di cento televisioni …
Mercoledi’ 28 Dicembre Abbiamo dormito a meraviglia e non abbiamo sofferto il freddo, protetti nei nostri fedeli sacchi a pelo. La sveglia e’ suonata alle 7 quando in cielo iniziava l’alba. Disfiamo le tende e di nuovo ci raccogliamo attorno alla stuoia per la colazione. Alle 8 partiamo, inoltrandoci in uno dei corridoi paralleli del grande labirinto che ci ha ammaliato ieri sera. All’inizio si cammina all’ombra e fa fresco, ma poi si esce all’aperto in piazzette soleggiate e rosse e si sta divinamente.
Percorriamo un lungo uadi dal fondo morbido di sabbia ed incontriamo altri begli esemplari di cipresso millenario: alcuni hanno profonde cicatrici sui tronchi, segni lasciati dall’uomo in cerca di legna da ardere. Oggi, questi alberi sono tutti classificati e protetti: non si possono piu’ violentare ! Devono rimanere per parlare ai posteri di un mondo perduto che non tornera’ piu’. Camminiamo tranquilli superando piccoli dislivelli che ci conducono in punti panoramici: profondi canyon si aprono sotto i nostri piedi e noi ci sentiamo piccoli e felici ! Ancora attraversiamo diverse vallette sassose, sfiliamo accanto ad incredibili formazioni rocciose che si innalzano mute nel cielo turchino. Restiamo volutamente separati dal gruppo per godere il piu’ possibile dei silenzi di questo posto fatato. Sulle pareti rocciose iniziamo ad ammirare,grazie alle indicazioni di Laid, le prime pitture rupestri, risalenti soprattutto al periodo chiamato “delle teste rotonde” per via del fatto che le figure umane hanno proprio delle belle testoline rotonde. Ci piacciono molto anche le rappresentazioni degli animali, in special modo gazzelle e bovini. Notiamo ben presto che lo stato di conservazione di queste pitture non e’ affatto buono e questa caratteristica e’ valsa a dar loro il soprannome di “pitture fantasma”, come ci racconta Chicca che ha una sorella archeologa. Scoperte a partire dai primi anni del 1900, non e’ stata offerta loro la protezione di cui avrebbero dovuto godere, cosicche’ gli studiosi le hanno spesso bagnate con acqua o con colle per poterle meglio fotografare, sono state loro applicate veline per poterle meglio ridisegnare ed il delicato equilibrio che la natura aveva garantito fino a quel momento per proteggerle si e’ rotto per sempre. Le pitture in Acacus, scoperte piu’ tardi, sono state meglio protette da una maggior sensibilita’ da parte dell’uomo e dunque sono tenute meglio. Procediamo il nostro itinerario e, dopo aver percorso una piana in leggera pendenza, ci troviamo a camminare su sorprendenti lastre di levigata roccia scurissima: ed e’ qui che scopriamo giacere un elefante, inciso a grandezza naturale, bellissimo e delimitato da un cerchio di pietre nere per poterlo meglio trovare ! Risulta molto difficile riuscire ad immaginare questo posto con tanta vegetazione da poter sfamare addirittura degli elefanti… Verso l’ 1 e 30 raggiungiamo In Itinen, una bellissima piana con numerosissimi cespuglietti giallo verdi e quindici asinelli che pascolano: sono i nostri ! Poco oltre scorgiamo il campo allestito dai tuareg: protetta da un’alta parete e delimitata da un muretto di pietre alto circa un metro, e’ gia’ pronta la sala da pranzo ! Tolti gli scarponi ci riposiamo all’ombra e lentamente si rifocillano spirito e membra. Verso le 3 Laid ci richiama a se’ per una visita ai dintorni; poiche’ questo campo restera’ lo stesso questa sera abbiamo gia’ montato le nostre tende. Molte pitture, fantastici torrioni modellati ed anche una piccola duna di chiarissima sabbia ci allieteranno il pomeriggio. Il nostro gruppo si sta sempre piu’ legando ed e’ con vera gioia che, una volta rientrati al campo all’imbrunire, ci raduniamo attorno al fuoco per la cena. Mentre parliamo arriva Laid con in mano un lungo bastoncino su cui sono infilzati alcuni bocconi. All’inizio pensiamo sia pane … E invece e’ la capra … “melfuff” li chiamano e sono pezzetti di fegato avvolti nella retina ed abbrustoliti sulla fiamma. Emettono un tale profumino che li assaggio anch’io che odio la carne ovina e caprina in genere. Riconosco che sono squisiti. Arriva anche Ali’ che questa sera ci sorprende con uno splendido cus cus vegetariano, dopo l’ immancabile “chorba”, ovvero la zuppa di patate, carote, zucchine che apre ogni cena nel deserto. La serata prosegue splendidamente con tutti i tuareg che, piano piano, si avvicinano al nostro gruppo e si siedono a gambe incrociate con noi attorno al fuoco. Il fuoco che unisce, il fuoco che illumina, il fuoco che scalda. Quante emozioni sa regalare un semplice fuoco in mezzo ad un deserto … Cantano queste persone uniche, suonano i bidoni vuoti dell’acqua, ridono fra loro e con noi; lentamente si crea un’energia tangibile che lega tutte le anime dei presenti e una notte qualsiasi diventa una notte magica. Hanno un repertorio infinito di canti, molti in “tamasheck”, la lingua propria dei tuareg, ed alcune in arabo. Ne ricordo una in particolare, dalle note struggenti, che narra di un uomo che trova rovesciata in mare la barca del suo amico. Il mare, cosi’ lontano che lo si deve cantare …
Giovedi’ 29 Dicembre Un’alba rossa e meravigliosa ci rende il risveglio piu’ lieve. Sono le 7. Colazione e alle 8 siamo tutti pronti, zaini in spalla, a seguire Laid e Omar. Ben presto il cielo si rannuvola ed una cortina uniforme e lattiginosa oscura il sole. Il vento che si e’ alzato questa notte spazza ancora gli sterminati spazi del Tassili. Attraversiamo valli col fondo di rocce levigate, camminando su quella che pare essere una lunga mulattiera. Risaliamo le pendici di una specie di collinetta cosparsa di pietruzze scure dalla sommita’ della quale si gode un’incredibile panorama a 360 gradi: verso est si scorgono le bionde dune dell’ Acacus libico. Ghat e’ veramente vicina ! Scendiamo poi in una lunga e stretta valle fluviale con il letto del vecchio fiume interamente invaso dalla sabbia e con qualche cespuglietto verde a dare tenui pennellate di colore. Guadato il fiume di sabbia, notiamo che si stanno avvicinando velocemente incredibili campanili naturali e ci riscopriamo a camminare naso all’aria per ammirare queste splendide sculture ! Ogni tanto, comunque, abbassiamo lo sguardo per ammirare le molte pitture rupestri che abili artisti del passato hanno deciso di tramandare fino a noi. Antilopi, uomini muniti di archi, scene di caccia e di pastorizia e tante, tantissime mucche. Il cielo e’ sempre coperto ed il vento continua a soffiare. Ci fermiamo a riposare e subito ci stravacchiamo tutti per terra; qualcuno offre frutta secca ed altre ghittonerie che i tuareg, golosi come sono, non rifiutano mai ! Ad un certo punto notiamo, in fondo alla velle, un certo movimento: sono gli asini con gli asinai che fanno oggi lo stesso nostro itinerario, che ci raggiungono e che ci superano, fra gli scatti delle nostre macchine fotografiche ed i sorrisi dei tuareg piu’ giovani. Si allontanano veloci mentre noi riposiamo ancora un poco. Poi riprendiamo anche noi il cammino che ci conduce lentamente verso una zona splendida, forse quella che personalmente ricordo con piu’ piacere, Tin Tazarif. Verso le 11 e 30, mentre risaliamo un’alta duna, un breve spiraglio di sereno ci regala la vista sulla favolosa valle appena attraversata. Restiamo fermi immobili, a meta’ duna, incantati da tanto splendore ! Pochi istanti poi continuiamo a salire e, quando arriviamo in cima, lo stupore cresce ancora ! Tanti, enormi torrioni giallo-grigi di roccia segmentata in senso orizzontale nascono direttamente dalla sabbia chiara. Saliamo agilmente lungo il fianco a gradoni di uno di questi torrioni e restiamo ammaliati nel volgere intorno lo sguardo: tutto intorno a noi si stende una vera e propria citta’ ! Campanili, edifici grandi e piccoli, viali, vicoli e piazzette si allungano a perdita d’occhio. Troppo bello ! Proprio qui sotto i tuareg hanno gia’ scaricato gli asinelli: li vediamo fermi immobili nel tentativo di recuperare un po’ di forze, con le palpebre abbassate ed i colli allungati in avanti ! Prima di pranzo ognuno di noi si sceglie un posto dove montare la propria tenda, chi sceglie un vicolo e chi una piazzetta !Poi ci riuniamo e divoriamo ogni cosa che Ali’ ci porta. Le nubi si stanno diradando ed al loro posto un magnifico cielo blu ci saluta dall’alto. Dopo aver mangiato, chi non si appisola, cullato dal bel tepore che il sole porta con se’, si unisce ai tuareg per assistere alla preparzione del loro pasto: sul fuoco bolle una zuppa dentro un pentolone annerito e nel quale rovesciano della pasta che non tirano mai via. Passano molti minuti e noi chiediamo ironicamente se per caso la pasta a loro piaccia “al dente” … E loro ridono come matti alla battuta di Abdul ” No, non e’ ancora pronta … Non abbiamo i denti, noi … !!!” il volto nerissimo su cui spiccano enormi dentoni candidi ! La loro risata contagia immediatamente anche noi e tutti insieme non riusciamo piu’ a smettere di ridere !!! Un paio di ore dopo Laid ci chiama per l’esplorazione del circondario. Assieme a noi vengono due ragazzi, Mohammed e Cher, avidi di conoscere i segreti delle pitture del loro territorio: ascoltano con attenzione ogni parola di Laid e guardano incuriositi i nostri apparecchi fotografici. Amano farsi riprendere e la loro istintiva timidezza lascia lentamente il posto al piacere sincero di stare insieme a noi. Prima del calare delle tenebre facciamo rientro al campo, dove i tuareg ci hanno aspettato per regalrci lo spettacolo di uno dei loro fantastici riti del deserto: la preparazione della “taghella”, ovvero il pane cotto sotto la sabbia. Uno di loro inizia ad impastare in un recipiente farina bianca, acqua e sale; quando la pasta ha raggiunto una bella consistenza elastica, il panetto viene adagiato sulla sabbia vicino al fuoco, in una zona precedentemente ripulita dalle braci. Viene quindi ricoperto completamente dalla sabbia: restera’ li’ sotto per quaranta minuti, durante i quali noi scattiamo varie foto e parliamo di tante cose. E’ buio quando finalmente il pane viene estratto dal suo forno: spezzato emana un profumino delizioso e la sorpesa e’ tanta nello scoprire che non un solo granello di sabbia e’ rimasto attaccato alla sua crosta croccantissima ! Dopo la taghella arriva la chorba e con essa inizia la cena. Poi e’ il momento della musica, interrotta ad un certo punto dal gioco degli indivinelli. Il piu’ carino l’hanno proposto loro a noi: cos’e’ che nasce con le corna, poi le perde e quando muore ha di nuovo le corna ? Provate ad indovinare … Noi ci siamo riusciti, ma non e’ stato facile !!!!! Un piccolo aiuto ? I tuareg sono un popolo che vive molto a contatto con la natura e la sa osservare bene …
Venerdi’ 30 Dicembre Questa mattina e’ previsto un giro ad anello che ci riportera’ qui al campo per pranzo, cosi’ la sveglia suona un po’ piu’ tardi del solito, ovvero alle 7 e 30. La notte e’ stata calda e priva di vento ma appena ci alziamo il vento ricomincia a soffiare e ci raffredda. E’ magnifica tutta la zona intorno a Tin Tazarif e, nonostante il cielo tutto coperto, ci fermiamo diversi minuti ad ammirare una spettacolare valle che pare una immensa colata lavica, a ricordarci l’origine vulcanica di tutta l’area sahariana. Al campo pranziamo e riposiamo, poi riprendiamo il cammino dopo aver salutato i tuareg, gli asini e … Nunzia ! Seguira’ gli asini Nunzia, e vivra’ un’esperienza unica ! Ci fara’ morir dal ridere quando alla sera ci raccontera’, con la sua simpaticissima parlata, di come ha dovuto correre per tutto il tragitto, raccattare al volo la roba che gli asini perdevano, con gli occhi fissi al terreno per non imbalzarsi e di come l’abbiano poi caricata con una tanica da 20 litri e fatta scendere per le umide e scivolose pareti di una guelta profonda, dalla quale ha dovuto riemergere praticamente da sola e riportare sempre da sola al campo la tanica piena e pesante la meta’ del suo stesso peso corporeo … Una passeggiata insomma !!! Mentre Nunzia suda per stare dietro agli asini, mentre noi camminiamo tranquilli, belli riposati e coi sorrisi stampati in faccia pensando: “… Ah, che fortunata Nunzia, che bella esperienza che stara’ vivendo ! Ha avuto proprio una bella idea !!”, splendidi paesaggi ci sfilano accanto. Archi maestosi, immensi corridoi ventosi, aperture anguste, cunicoli, feritoie, pitture ed uno spettacolare anfiteatro rimarranno per sempre impressi nelle nostre menti. Alle cinque raggiungiamo Sefar, uno dei siti archeologici piu’ importanti del Tassili N’Ajjer e di tutta l’Algeria. Due ampi corridoi paralleli, separati da muri rocciosi alti una trentina di metri, ospitano il nostro campo e sul loro pavimento di morbida sabbia montiamo le tende prima del buio. Ci raduniamo quindi attorno alla stuoia: fa molto freddo ma il vento pare abbia trovato finalmente pace e non soffia piu’. Dopo la chorba, questa sera Ali’ ci emoziona con degli ottimi spaghetti ai formaggi ! E dopo cena tutti i tuareg si radunano attorno al nostro fuoco, arrivando un poco alla volta dopo aver terminato le loro mansioni. Ci scaldiamo battendo le mani a ritmo coi loro canti: questa sera abbiamo un ospite di eccezione, un giovane tuareg del Niger dalla voce splendida che, quando intona i canti del Niger, volge la testa in direzione del paese natìo ! I canti si susseguono numerosi … Ma poi viene il nostro turno … E noi ci superiamo cantando “Heidi” e “Gig, robot d’accaio” … Che roba !!!!! Da morir dal ridere !!! Alle 10 appena passate salutiamo tutti e ci ritiriamo nelle nostre tendine. “A demain, inshallah …” Sabato 31 Dicembre Oggi rimarremo in questa zona, visitandola bene e questa sera festeggeremo in questo stesso campo il capodanno. Partiamo dunque verso le 8, con Mohammed e Cher. Il sole esce svogliatamente dalle nubi e noi entriamo ed usciamo continuamente da ampi corridoi rocciosi dal pavimento sabbioso. Ci sono molte pitture qui e ci fermiamo molto spesso. Camminiamo poco e stiamo fermi a lungo … Dopo un po’ iniziamo a lamentarci del fatto che vediamo pochi panorami e troppe mucche ! Ne parliamo con Christian e Sara che a loro volta cercano di far capire a Laid che vorremmo vedere piu’ panorami e meno pitture, anche perche’ abbiamo fatto un rapido calcolo, stimando di aver percorso poco piu’ di 2 km in ben due ore ! Abbiamo sete di spazi aperti e sappiamo che qui ce ne sono tanti, cosi’ cerchiamo di spiegare anche noi a Laid cosa vorremmo, ma il difficile viene proprio qui: Laid e’ abituato a portare qui gente che vuole vedere soprattutto le pitture … E noi gli chiediamo di vedere panorami ! All’inizio non capisce, poi pero’ per fortuna afferra il concetto e si inizia a camminare sul serio ! Ci conduce in un luogo fantastico, una sorta di labirinto dove alte piramidi ed altissime “lingue” rocciose si innalzano ai nostri fianchi. Superata questa meraviglia, giungiamo sul limitar di un enorme terrazzo cosparso di grandi massi scuri su cui ci arrampichiamo per godere della vista. Davanti a noi si stende una intera vallata di guglie sottili e scure a perdita d’occhio; oltre ad esse, la Libia.
Torniamo sui nostri passi e rientriamo al campo, dove pranziamo e beviamo il te’ intorno al fuoco. Anche quello del te’ e’ un rito splendido della gente del deserto. I tuareg usano, come in tutta l’Africa del nord, il te’ verde che proviene dalla Cina, ma ho notato una differenza sostanziale fra i tuareg algerini e quelli libici. Questi ultimi usano un cucchiaino raso di te’, mettono poca acqua calda, muovono la teiera per “sciacquare” il te’, buttano via il primo te’ perche’ troppo forte, poi riempiono la teiera con altra acqua calda, quattro cucchiaini di zucchero e versano il secondo te’ nei piccoli bicchierini. Sollevano la teiera verso l’alto mentre versano, cosi’ da far cadere il te’ anche da un metro di altezza, centrando alla perfezione il bicchierino ! Si produce cosi’ una lieve schiumetta ed il te’ che ne risulta e’ dolce e assai gradevole.Fanno poi un terzo te’ aggiungendo altra acqua calda alle foglioline umide rimaste nella teiera. I tuareg algerini, invece, mettono molto te’ dentro alla teiera, usano molto zucchero e non buttano via il primo te’ ! Prima di versarlo nei piccoli bicchieri, poi, rovesciano il te’ da una teiera ad un’altra tenendole lontane fra loro, cosi’ da produrre una schiuma bianca e densa che loro chiamano scherzosamente “lo cheche del te'” perche’ lo mantiene caldo proprio come lo cheche (si pronuncia “scesc” e significa “turbante”) che usano loro in testa. La schiuma va mano a mano a riempire i bicchierini. Questa procedura dura diversi minuti durante i quali i tuareg ridono e parlano fra loro. Quando tutti i bicchierini risultano essere pieni di schiuma, iniziano a riempirli col primo te’, fortissimo ! Poi fanno con la stessa procedura il secondo te’ ed infine il terzo te’.L’intero rito puo’ durare un’ora, un’ora e mezzo ed e’ un vero e proprio strumento di aggregazione sociale ! Loro stessi dicono dei loro te’ che “il primo e’ amaro come la morte, il secondo e’ forte come la vita ed il terzo e’ dolce come l’amore”. Indovinate un po’ quale piaceva di piu’ a noi ?? Dopo i primi giorni abbiamo imparato che, se si voleva dormire, alla sera era meglio rifiutare gentilmente il primo te’ !!! Nel pomeriggio, mentre Laid con il resto del gruppo va a fare un altro giro per pitture, io e Taddy ci dirigiamo da soli verso la guelta dove Nunzia si e’ “calata” ieri sera, poi attraversiamo una bella vallata col fondo di sabbia pieno zeppo di impronte e da qui saliamo su un terrapieno piatto e scuro in leggera pendenza. E’ nostra intenzione fare un giro ad anello e ci allontaniamo decisi verso ovest.C’e un sole splendido finalmente e anche se non fa propriamente caldo la nostra pelle raccoglie l’energia dei raggi solari. Camminiamo finche’ tutto intorno a noi il panorama e’ assolutamente identico, rocce scure a perdita d’occhio, poi pieghiamo sensibilmente verso sud quindi verso sud-est. Ben presto ci ritroviamo sul bordo di un canyon largo e poco profondo, scavato dal fiume che passa accanto al campo di Sefar. Discendiamo il fianco del canyon in corrispondenza di una spaccatura e ci ritroviamo a procedere sul fondo sabbioso e soffice dello uadi. Ora la nostra direzione e’ verso nord e poco dopo siamo di nuovo in vista della valle sabbiosa appena a sud di Sefar.
Sul calar della sera saliamo su una formazione rocciosa con Chicca e Gianki per goderci lo spettacolo del tramondo, questa sera dal tenue color rosa.
Ci ritroviamo quindi con gli altri e ci raccontiamo le vicende del pomeriggio. Poi inizia la cena: fettine sottili di salmone, chorba, fantastici ravioli con ragu’ di carne, costolette di capra cotte direttamente sulle braci e lenticchie. Mangiamo di gusto tutto quanto, poi ci chudiamo a cerchio attorno al fuoco ed iniziamo a cantare. Ad un certo punto affettiamo un panettone e ne diamo una fetta a ciascun tuareg: si fanno fotografare con la loro fettona, tutti contenti e poi iniziano a mangiare … Solo che fanno una gran fatica a mandarlo giu’ !!!! Allora assistiamo alla divertentissima scena che ne segue: enormi quantita’ d’acqua scendono nelle loro gole nella speranza di fare andar giu’ i bocconi, non ce la facciamo piu’ dal ridere e non si capisce piu’ se ridiamo piu’ forte noi oppure loro !!!! Ancora canti, indovinelli, poi viene il turno dei desideri da esprimere per il prossimo anno. La maggior parte di loro vuole un nuovo figlio ! Quindi e’ la volta di un giochetto divertente lanciato da loro: bisogna riuscire a dire 15 parole qualsiasi una dietro all’altra senza fermarsi mai. Ci proviamo tutti, ma incredibilmente nessuno ce la fa !!! Non si riescono proprio a superare le 10 parole ! Il picco delle risate c’e’ stato quando Pietro e’ partito in quarta, lo sguardo fisso sulle fiamme, per poi dire: “Luce, sonno …” e basta !!!!!!!!!!!!!! Credavamo di morire dalle risate !!! Troppo forte !!! Samir, uno dei ragazzi giovani, si alza e scompare nell’oscurita’: tornera’ dopo pochi istanti con un foglio in mano, ce lo consegna. E’ un biglietto d’auguri per il prossimo anno, sue le parole in francese e suoi i disegni, fantastico ! Io mi emoziono subito ! Intanto arrivano le 11, orario per noi proibitivo qui nel deserto, ed infatti iniziamo ad accusare una bella stanchezza. Resistiamo comunque fino alle 11 e 30, qualcuno fino alle 11 e 45 poi crolliamo ! Qualcuno resiste addirittura fino a poco oltre la mezzanotte e chi non e’ piu’ alzato a quell’ora sente dalla tenda il conto alla rovescio e lo scoppio di gioia nel salutare il nuovo anno ! Sentiamo anche che i tuareg cantano poi “Bon anne’, bon sante’ … “seguito da un fantastico “Happy birthday to you …” che non centra assolutamente nulla ma che proprio per questo fa una gran tenerezza …
Domenica 1 Gennaio 2006 Un sole magnifico saluta il nuovo anno e dopo colazione Omar porge ad ognuno di noi una busta bianca: contiene un biglietto d’auguri ed una bella penna a sfera, dono della sua agenzia. Che sorpresa ! Poco dopo, mentre ci stiamo preparando a seguire Laid, Mohammed si avvicina timidamente a me e, tenendo lo sguardo basso, mi porge una magnifico bracciale d’argento tipico dell’artiginato tuareg e sussurra: “…Un petit cadeau …” ! Dopo un attimo di smarrimento, riesco solo a biascicare un ” … Merci boucoup …”, gli occhi sgranati su questo magnifico gioiello: che tenero !! Infilato al polso il bracciale, seguo gli altri che nel frattempo si sono avviati, la mente leggera ed il cuore felice per questi gesti inaspettati dei “nostri” tuareg. Attraversiamo nuovamente la bella valle invasa dalla sabbia piena di impronte, poi procediamo dritti per la piana disseminata di pietre scure di ieri pomeriggio. La direzione e’ verso sud e ci avviciniamo lentamente ad una splendida zona ricca di dune.Camminiamo sul fondo dapprima scuro e roccioso, poi chiaro e sabbioso di un lungo uadi, delimitato in alcuni punti da alte pareti che, in corrispondenza delle antiche anse del fiume, disegnano fantastiche paraboliche naturali. Questo uadi si apre poi in una immensa valle con magnifiche dune che iniziamo a risalire. In cima ad una di esse ci fermaimo e ci buttiamo a terra per riposare e per godere del silenzio e dello spettacolo. Al di la’ della valle alluvionale ci sono altre rocce scure, verso cui puntiamo dopo circa venti minuti.Qui, il sentiero si inerpica e a meta’ salita circa ci fermiamo per lasciar passare gli asini che nel frattempo ci hanno raggiunto: i tuareg salutano sorridenti. Continuiamo a salire anche noi e ci ritroviamo piu’ in alto in un’altra valle, luminosa e circondata da una bellissima cintura di faraglioni squadrati. Sotto di essi camminano quelli di noi che sono piu’ avanti e che sembrano tante formichine rispetto all’altezza considerevole delle rocce. Passandoci sotto, si nota come alcune di esse abbiano forme davvero singolari; si potrebbe stare ore a cercare figure note nei loro profili ! Una in particolare ha stuzzicato la nostra fantasia: un’enorme testa su di un sottilissimo collo pare guardare con occhi fissi ed imperturbabili la natura che la circonda, dall’alto della sua veneranda eta’ ! Superata la cintura di faraglioni, passiamo sotto ad un muro di sabbia dai caldi toni aranciati: qualcuno decide di salirvi e viene catturato dagli obiettivi di quelli che sono rimasti in basso. Verso mezzogiorno arriviamo al campo diurno: ai piedi di un roccione immenso, una netta spaccatura orizzontale, parallela al suolo, accoglie all’ombra le stuoie ed il fuoco. Siamo affamati ed assetati ! Pranziamo con lo sguardo fisso alla piana che si stende davanti a noi, magnifica, arida e scura, dai bagliori argentei per effetto del controluce. Dopo pranzo, alcuni di noi sdormicchiano, altri si siedono attorno al fuoco per bere te’, incitati dall’ ” … Iiidddrrrr chai !!! ” di Laid ! Sara insegna ai giovani tuareg, avidi di imparare le lingue, alcune parole in italiano, mentre loro insegnano a noi qualche parola di tamasheck. Quella che impariamo subito e che useremo spesso e’ tenemmert, grazie. Ci scrivono anche le lettere del loro alfabeto, poiche’ i tuareg hanno anche una lingua scritta, chiamata “tifinagh”, caratterizzata da singolari geroglifici. Verso le 2 e 30 riprendiamo il cammino verso sud, non prima di aver assistito divertiti ad una spassosa scenetta: la cavalcata a pelo di un asinello da parte di Manuel, detto “chibanì” (il vecchio). Manuel e’ un tuareg straordinario, ha una cinquantina d’anni e per questo e’ chiamato “il vecchio”, e’ anche il padrone di tutti e 15 gli asini ed ha sempre il sorriso sulle labbra, il viso arso da anni di sole nel deserto; nella mia mente il suo ricordo e’ legato alla sua caratteristica risata, cristallina ed indimenticabile ! Siamo diretti nella zona chiamata Alanadumen e verso il campo della sera che si trova addossato alle rocce sul fianco di un vasto uadi. Sul fondo sabbioso di quest’ultimo nasce uno spettacolare esemplare di cipresso millenario, pare di ben 4000 anni !Quando arriviamo le ombre sono gia’ lunghe ed il caldo della giornata sta velocemente cedendo il passo al gelo della notte. Un magnifico tramonto tinge di viola il cielo e Venere brilla alla destra di una splendida falce di luna. Christian ci racconta che proprio in un uadi come questo, anni fa mori’ una turista europea, spazzata via nel cuore della notte da un’improvvisa quanto violenta ondata. Quando piove nel deserto, infatti, il terreno non assorbe l’acqua che quindi scivola su di esso e da’ vita a veri e propri fiumi violenti e tumultuosi, che percorrono distanze impressionanti in tempi rapidissimi e si portano via tutto cio’ che incontrano lungo il percorso … Turisti in tenda inclusi.Quella famosa notte l’acqua cadde a molti, moltissimi chilometri di distanza e la turista non poteva prevedere certo quello che sarebbe successo nelle ore successive al suo bivacco. Noi ascoltiamo ad occhi spalancati la storia, poi volgiamo gli sguardi al buio che accoglie le nostre tende, laggiu’, in pieno uadi … Ma nessuno si muove per spostarle ! Siamo diventati all’improvviso tutti fatalisti … Speriamo bene !! Durante la cena, chiediamo a Christian dove sara’ il campo domani sera e lui ci risponde: Jabbaren. Il programma di Kel 12, pero’, prevede che a Jabbaren si arrivi dopodomani e quindi noi non capiamo perche’ mai dovremmo saltare la zona che si era previsto di visitare nella giornata di domani. Fra l’altro, pare che questa zona sia molto selvaggia e poco frequentata, dunque ci alletta molto e non vorremmo perdere l’occasione di visitarla. Christian comprende il nostro punto di vista e ne parla con Omar, che a sua volta ne parla con Laid e con Ali’. Se per i primi due tuareg non ci sarebbero problemi ad accontentarci, per Ali’ e per gli altri tuareg che stanno dietro agli asini (eccezion fatta per i piu’ giovani che ci spiegano di non avere alcun tipo di problema) la richiesta pare non trovare assolutamente approvazione. Iniziano a parlare a voce alta, strana cosa per le loro abitudini, ognuno vuol dire la sua, pare ad un certo punto che stiano in qualche modo mercanteggiando, cercando di convincere gli altri che il loro punto di vista e’ quello giusto. Noi nel frattempo ci facciamo piccoli piccoli ed aspettiamo che finiscano di parlare fra loro affinche’ Omar possa tradurci ogni cosa. Sembra di capire che gli asinai non hanno mai fatto quelle piste, che le stesse possono rappresentare un problema per gli asini e che vorrebbero arrivare a Jabbaren domani stesso perche’ sono gia’ stanchi (in effetti sono abituati a stare sul tassili molti meno giorni …). Sara e’ molto brava e parla con tranquillita’ ad Omar: cerca in ogni modo di convincere il gruppo ma i tuareg continuano senza posa a discutere. Insomma, le cose vanno per le lunghe e a noi viene un gran sonno. Quando ci ritireremo nelle nostre tendine, li sentiamo ancora parlare, parlare, parlare …
Lunedi’ 2 Gennaio Questa appena passata e’ stata senz’altro la notte piu’ fredda da quando siamo partiti da Djanet. Ci svegliamo come di consueto alle 7, intirizziti; alle 7 e 30 facciamo colazione ed alle 8 siamo pronti per partire … Solo che i tuareg continuano a discutere, non hanno ancora preso una decisione !! Non e’ che abbiano parlato tutta la notte, e’ ovvio, ma appena alzati hanno ripreso a disquisire ! Omar ci spiega che c’e’ stata una specie di “guerriglia” fra loro per decidere su chi dovesse decidere per tutti, hanno tirato fuori discorsi circa le loro eta’, l’importanza delle varie famiglie di provenienza, i gradi di nobilta’ o cose di questo tipo … Insomma, abbiamo alzato un gran polverone ma non possiamo tornare indietro. Abbiamo anche detto che a questo punto saremmo pure disposti a lasciar perdere, ma ormai loro vanno avanti per la loro strada e non ci ascoltano piu’ ! Nel frattempo il sole sta mandando i suoi raggi ad illuminare la valle ed anche il cipresso inizia a proiettare la sua ombra. Lentamente il freddo si placa e assieme ad esso, finalmente, anche i toni dei tuareg tornano sereni: la decisione e’ presa.Oggi si andra’ a Ozeneare’, a circa 8 km in linea d’aria da Jabbaren, dove arriveremo, rispettando i piani di Kel 12, domani sera. Alle 8 e 30 saremmo pronti, se non fosse che ancora nessuno e’ andato a prendere gli asini, che si allontanano parecchio durante la notte, pur avendo le zampe anteriori impastoiate ! Oggi e domani asini e asinai seguiranno esattamente la stessa nostra strada poiche’ l’unico a conoscere la zona e’ Laid, la guida.
Finalmente, alle 9 passate, tutto e’ pronto e noi ci mettiamo in marcia. Siamo dispiaciuti per come sono andate le cose, abbiamo timore che si siano guastati i rapporti prima cosi’ fraterni coi nostri tuareg, ma per il momento camminare ci fa bene e la mente si libera presto dai brutti pensieri. Camminare e’ veramente un’ottima terapia ! E’ la cosa piu’ semplice che un uomo possa fare, camminare, ma e’ una cosa meravigliosa: sentire ogni singolo muscolo contrarsi e poi rilassarsi, prestare attenzione al respiro, accorgersi dei polmoni che si riempiono e si svuotano, udire il fruscio dei pantaloni e lo scricchiolìo degli scarponi sul terreno, predisporre i sensi a percepire tutto cio’ che ci accadde intorno, udire piccoli suoni, annusare lievi odori e godere anche dell’immobilita’ del paesaggio che ci circonda, abituati come siamo a vedere tutto in movimento. In poche parole, camminando prendiamo coscienza di noi stessi e del nostro corpo, cosa che ci dimentichiamo spesso di fare durante la vita di tutti i giorni, nelle nostre citta’ e nei nostri uffici. Camminare a noi fa un effetto particolare: ci fa sentire vivi ! Ed e’ cosi che, camminando, scendiamo nel letto di un vasto uadi e ci lasciamo superare dagli asini: i ragazzi giovani rimangono indietro per fare la strada con noi e si fanno fotografare tutti sorridenti ai piedi di un paio di bellissimi cipressi che incontriamo lungo la via. Lasciamo poi l’uadi e risaliamo un pendio roccioso, attraversiamo una piazzetta chiusa fra alte rocce ed arriviamo in breve in vista del campo. In tutto abbiamo camminato 3 ore e percorso circa 9 km. Quando arriviamo al campo, ci accorgiamo che i tuareg sono “in sciopero” … ! Non ci hanno preparato il pranzo e se ne stanno sdraiati ognuno per conto proprio. Christian raccoglie qualcosa da mangiare in un sacco ed insieme ci allontaniamo mesti in direzione di una guelta nascosta fra le rocce. Le guelte sono cisterne naturali di acqua piovana che resistono a lungo grazie alle temperature non elevate della zona in questo periodo e grazie al fatto che spesso sono situate in profondita’ o, come in questo caso, all’ombra per gran parte della giornata. Da quando due taniche d’acqua buona sono andate rotte durante il trasporto, i tuareg raccolgono quest’acqua anche per noi: la beviamo da diversi giorni e per ora stiamo tutti bene. Fa un certo effetto, pero’, osservare questa guelta e pensare che ne beviamo l’acqua ! Il colore verdastro e la schiumetta che galleggia sopra non e’ certo rassicurante … Ma dobbiamo ringraziare di avere almeno questa fonte ! Mentre bevo dalla mia borraccia trasparente, noto in controluce alcune larvette nuotare allegramente e da questa osservazione sono nate le frasi di Gianki divenute mitiche “Ragazzi, masticate bene quando bevete !!” e “Questa sera a cena … Gamberetti !!”. Tutto sommato, infatti, siamo talmente rilassati che non ci importa nulla dell’acqua che stiamo bevendo. Domani mattina, pero’, filtreremo con quello che ci capita sotto mano l’acqua prima di versarla nelle borracce !!! Dopo aver pranzato con pane, prosciutto, formaggio e biscotti, ci sdraiamo al sole e riposiamo per un’oretta. Poi torniamo al campo e montiamo le tende. Una parte del gruppo si prepara quindi per visitare la zona al seguito di Laid, mentre io e Taddy restiamo al campo per redigere il quaderno di viaggio. Tutto e’ tranquillo attorno a noi ed e’ troppo bello osservare gli asini brucare quel poco che riescono a trovare, piccole macchioline grigie sullo sfondo giallo della sabbia. Le ore passano in fretta e la luce meravigliosa della sera inizia a colorare il panorama superbo che si stende davanti a noi: una lontana cintura di roccioni si fa incandescente ed il contrasto con la gialla pianura semidesertica dove ci troviamo noi e’ favoloso. Saliamo su un’altura per ammirare il tramonto che tinge di rosso e di viola il cielo ad ovest, mentre ad est il cielo e le rocce che sovrastano il campo diventano di un tenue, dolcissimo rosa. Non dimentichero’ mai questa manciata di minuti, gli occhi spalancati per non perdere neppure una sfumatura, una tonalita’, un attimo di gioia per il semplice essere qui. Quando il buio avvolge ogni cosa col suo spesso mantello, accendiamo le nostre torce e ci avviciniamo alla stuoia per la cena: i ragazzi, nel fare rientro al campo, hanno raccolto delle belle fascine di legnetti e con questi riusciamo a tenere vivo il fuoco a lungo, cosa assai positiva visto che qui il freddo e’ davvero pungente ! Ceniamo e dopo poco e’ con estrema gioia che vediamo arrivare piano piano tutti i tuareg al nostro fuoco: si cantera’ e si suonera’ come le sere prima del “pasticcio” … Una cosa meravigliosa che ci rincuora tutti !! Martedi’ 3 Gennaio Ultimo giorno sul Tassili, se escludiamo la giornata di domani che ci vedra’ impegnati nella discesa. Sveglia, colazione e partenza alla solita ora: direzione sud. Ci portiamo in un larghissimo canyon e camminiamo spediti su di un terreno pianeggiante e cosparso di migliaia di piccole pietre scure; il sole e’ stupendo e lentamente le nostre membra si scaldano alla perfezione. Guardando per terra, ad un certo punto Laid ci fa osservare che ci sono le impronte di un adulto e di un bambino, entrambi scalzi, accompagnate da quelle di un asino. Pare infatti che in questa zona viva una tribu’ nomade e queste impronte sembrano confermare tale tesi. Sono emozionata, per me e’ incredibilmente bello sapere che ci sono ancora oggi gruppi di persone che riescono a vivere quassu’ come i loro avi. So che purtroppo si tratta di un caso isolato ma e’ una splendida notizia lo stesso ! Mi sorprendo a guardarmi spesso intorno per cercare altre tracce di questi uomini e donne, veri pezzettini di storia del deserto, ma ovviamente non scorgo nulla. Ad ogni modo, dopo qualche minuto Omar ci dice di fermarci: lui andra’ avanti da solo. C’e’ una tribu’ laggiu’ e lui andra’ ad informarsi se possiamo andare a fare loro visita, almeno cosi’ mi pare di capire dalle traduzioni di Christian. Omar sta via un bel po’ … Ma quando torna Laid ci fa riprendere il cammino … Nella direzione opposta ! A quanto pare non vogliono riceverci … Come biasimarli, d’altra parte ? E’ giusto cosi’, lasciamoli in pace, lasciamoli alle loro mansioni vecchie di centinaia d’anni, lontani il piu’ possibile dalla modernita’ e dalla cosiddetta civilta’. Proseguiamo il nostro pellegrinare che ci porta ad attraversare distese di rocce e di sabbia, in compagnia dei giovani Cher e Mohammed. Quando dobbiamo superare un pendio roccioso, ci accorgiamo che gli asini sono un po’ restii ad andare avanti, si bloccano sospettosi e tirano indietro le lunghe orecchie. A poco servono le frustate di Abdul o le grida di Mohammed: l’unico che riesce a farli “ragionare” e’ Manuel con la sua esperienza, la sua pazienza, la voce controllata ed il sorriso sempre sulle labbra ! Lentamente cominciamo a piegare verso ovest e risaliamo diversi pianori rocciosi; uno in particolare e’ disseminato di spettacolari rocce nere stratificate che assomigliano in maniera sorprendente a dei tronchi fossili ! Saliamo ancora, camminando su uno spettacolare terreno piatto e lucido in leggera pendenza e quando arriviamo sul punto sommitale, davanti e sotto di noi si apre lo spettacolo del sito di Jabbaren, il piu’ visitato del Tassili N’Ajjer.I turisti vengono qui in giornata, partendo dalla valle verso cui noi scenderemo domani: noi ci siamo arrivati dopo ben otto giorni di cammino e garantisco che e’ tutta un’altra storia !Jabbaren e’ caratterizzata da un terreno tormentato e sollevato in diverse formazioni rocciose simili a cupole rotondeggianti, separate da spaccature profonde nelle quali e’ facile immaginare il gioco di cascate e mulinelli che doveva fare l’acqua in tempi remoti. Ammiriamo per qualche minuto lo spettacolo di Jabbaren dall’alto e poi ci lanciamo nella discesa. Poche decine di metri ci separano dal pavimento di uno di questi corridoi fra le cupole: lo percorriamo sotto il sole dell’una di pomeriggio. Il corridoio termina in una bella piazzetta pianeggiante, dove scarichiamo gli zaini e riposiamo aspettando gli asini. Poco dopo riceviamo l’ordine di riprendere il cammino e proseguiamo in direzione ovest, superando cupole e “funghi” davvero suggestivi. Un quarto d’ora ed eccoci infine in un’altra piazzetta, piu’ ampia della precedente e meno protetta dai venti, ma comunque favolosa ! Qui le cupole assomigliano ai trulli di Alberobello ed alla base di alcuni di essi ci sono muretti di sassi alzati per proteggere gli eventuali pellegrini dal vento. Sotto ad uno di questi i tuareg ci hanno preparato la stuoia ed il pranzo: mangiamo di gusto e poi ci sdraiamo beati al sole.
Alle 15 Laid ci chiama a se’ e partiamo per esplorare la zona: bei labirinti fra alte rocce, corridoi ventosi, belle pitture ed uno splendido scorcio sul “grand uadi”, l’antico corso d’acqua con la maggior portata d’acqua della zona che pare da quassu’ essere pieno d’acqua perche’ invaso da cespugli verdini. Una strana nostalgia si impadronisce di noi mentre restiamo muti ad osservare il panorama: questa fantastica avventura non e’ ancora finita e noi gia’ sentiamo la mancanza di tutto quello che abbiamo vissuto qui. Come faremo a tornare alle nostre vite di sempre, come faremo a non piangere quando alla sera anziche’ il fuoco profumato ci metteremo a guardare la televisione ? Ma qui c’e’ ancora un cosi’ bel sole che la tristezza scivola via presto e continuiamo a seguire Laid. Poi, stanchi di pitture, ci divertiamo a fotografare Cher e Mohammed, sereni e sorridenti, gli sguardi profondi di chi e’ abituato a guardare lontano. Con la splendida luce della sera facciamo rientro al campo e ci prepariamo per la cena. Siamo stanchi. Con il calare delle tenebre il vento soffia piu’ vivace ed anche nella “sala” preparataci per la cena il freddo e’ notevole. Il fuoco non ne vuole sapere di stare acceso ed e’ cosi’ che, dopo aver mangiato, decidiamo tutti di spostarci dai tuareg, che si sono sistemati in un anfratto super protetto e che hanno un meraviglioso fuoco ! L’ultima taghella, gli ultimi canti, gli ultimi indovinelli, l’ultimo fumo negli occhi che tante lacrime ci ha fatto versare in questi giorni. Vorremmo restare qui tutta la notte, ma alle 10 e 15 gli occhi ci si chiudono e ci ritiriamo.
Mercoledi’ 4 Gennaio Alle 8 salutiamo gli asinai e ci mettiamo in marcia. In soli 15 minuti raggiungiamo il bordo della falesia del Tassili N’Ajjer e davanti a noi si apre una splendida finestra sul grande erg d’Admer che parte da qui sotto e si stende a perdita d’occhio verso ovest. Iniziamo la discesa lungo il canalone, procedendo con cautela sui pietroni chiari. Quando siamo circa a meta’ iniziamo a sentire le grida degli asinai dirette agli asinelli. Arrivati in pianura percorriamo un piccolo uadi sabbioso, alla nostra destra le pareti a picco del tassili, baciate da un sole gia’ forte, ci lanciano un ultimo saluto. Ben presto arriviamo in uno spiazzo dove sono parcheggiate tre jeep, le stesse che ci porteranno via. Un’ultima volta ci sediamo a terra tutti insieme e mangiamo pane, formaggio, salame, yogurt e banane. Lentamente arrivano tutti gli asini ed i tuareg li scaricano velocemente. Brave bestiole, adesso vi meritate un bel riposo ! I tuareg sono al settimo cielo al pensiero di tornare finalmente alle loro famiglie ed ai loro amici. Tutti sorridenti si fanno fotografare in gruppo e, dopo aver ricevuto la nostra busta con le mance e dopo averci salutato personalmente, si allontanano, ognuno per la propria strada. La nostra strada ci riporta a Djanet: questa oasi, che al nostro arrivo dall’Italia, nove giorni fa, ci pareva un meraviglioso posto esotico, una romantica oasi persa in mezzo al deserto, oggi ci appare come l’isopportabile ritorno alla civilta’, la fine di una vita semplice e naturale a strettissimo contatto con la natura, la fine di un vero viaggio nel passato, in tutti i sensi ! Questo viaggio ci ha fatto tornare tutti un po’ primitivi, ha toccato le corde intime dei nostri cuori desiderosi di vita semplice, ci ha fatto suonare come strumenti, vibrare in sintonia con il vento, il fuoco, la sabbia, le rocce, le stelle. Credo che di piu’, ad un viaggio, non si possa chiedere. Un grazie di cuore a tutti i tuareg ed a tutti i ragazzi italiani che hanno viaggiato con noi: ognuno di loro ha contribuito a rendere unica questa esperienza ! 19 chilometri di piste ci conducono al cortile dello Zeriba, ogni coppia prende possesso ancora una volta della propria stanza e si concede il lusso di una doccia calda.
Poi visitiamo l’oasi, sparpagliandoci ed incontrandoci per le vie diverse volte.
Djanet rappresenta, con i suoi ventimila abitanti, il secondo insediamento urbano del sud dell’Algeria dopo Tamanrasset. La parte vecchia e’ costituita da abitazioni arroccate lungo le pendici di una collina, mentre la parte piu’ nuova si sviluppa a valle, specialmente lungo la riva orientale del grande uadi Edjeriu.
In passato, Djanet era molto importante perche’ situata sulla rotta delle carovane provenienti dal sud del continente; oggi e’ una sonnolenta cittadina dove i pochi tuareg degli altopiani si mischiano sempre piu’ spesso ad arabi e neri del sud. Il turismo rappresenta oggi la maggiore fonte di guadagno per la gente ma sta lentamente minando le sue tradizioni e la sua cultura.
La cosa piu’ singolare dell’oasi e’ la splendida palmeria, verdissima ed ombrosa: le piante producono carnosi datteri squisiti. Molto carino e’ anche il souq, un rilassante mercato immerso nella semi-oscurita’ ricco di prodotti locali e di importazione. Assolutamente da non perdere e’ una fetta di “baclava”, dolce tipico a base di frutta secca e miele ! Da mettere in valigia anche una lattina di harisa, salsa piccante a base di peperoncini rossi. Splendidi i monili ed i pugnali d’argento, sapientemente lavorati dai tuareg, frutto di una tradizione che li ha resi famosi nel mondo. Ed e’ proprio accennando a questa sublime forma d’arte che chiudo il mio resoconto del nostro viaggio in Algeria. E’ sulle note dolci e nostalgiche della musica che si sente per le vie ormai buie dell’oasi che saluto mentalmente Djanet, i “nostri” tuareg, l’Algeria. Domani faremo rientro alle nostre vite, al nostro lavoro, al nostro andar sempre di corsa, ma avremo collezionato un nuovo dolce ricordo ed una certezza verra’ via con noi: prima o poi “torneremo a casa”, nella grande casa “Africa”.
Taddy e Gloria La nostra e-Mail: taddyegloria@libero.It Il nostro sito web: http://digilander.Libero.It/antoniotaddia