Tre settimane tra canyon e grattacieli

Tra i parchi dell'Ovest, Las Vegas, San Francisco, New York
Scritto da: luciana57
tre settimane tra canyon e grattacieli
Partenza il: 16/07/2013
Ritorno il: 06/08/2013
Viaggiatori: 6
Spesa: 4000 €
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Organizziamo tutto da soli, come sempre, così il viaggio inizia 3 mesi prima di partire! Poche regole: dormire il più possibile vicino ai parchi, non più di 500 Km al giorno, contenere le spese e fare una buona assicurazione. Troviamo un biglietto aereo molto conveniente (E. 608,00 con Virgin Atlantic) Roma –Las Vegas e New York- Roma via Londra. Siamo in sei, Maico, Cinzia, Mimmo, Nadia, Giulio ed io. Certo, dobbiamo dormire a Londra all’andata, ma l’ottimo prezzo del biglietto ci ripaga di tutto ciò.

Il nostro itinerario è sicuramente un po’ ambizioso, ma ci è sembrato molto stimolante. Queste sono state le nostre tappe:

16/07/2013 Partenza per Las Vegas via Londra

17/07/2013 Arrivo a Las Vegas e noleggio di una macchina per visitare i parchi

18/07/2013 Las Vegas – Bryce Canyon (miglia 253)

19/07/2013 Bryce Canyon – Arches Park (miglia 271)

20/07/2013 Arches Park – Mesa Verde ( miglia 131)

21/07/2013 Mesa Verde – Monument Valley ( miglia 155)

22/07/2013 Monument Valley – Page ( miglia 126)

23-24/07/2013 Page e dintorni

25/07/2013 Page – Grand Canyon ( miglia 184)

26/07/2013 Grand Canyon

27/07/2013 Grand Canyon – Las Vegas ( miglia 378)

28/07/2013 volo Las Vegas – San Francisco

29/-30/07/2013 San Francisco

31/07/2013 volo San Francisco –New York

01-05/07/2013 New York

06/07/2013 volo New York – Roma

Arriviamo finalmente in Nevada! Las Vegas è una giostra nel deserto: un ponte dei sospiri e una Tour Eiffel, un legionario e una limousine. Nulla è reale; si staglia all’improvviso in mezzo al nulla, con immensi edifici illuminati di tutte le fogge: torri, piramidi cupole, statue… Il caldo è micidiale, sembra di stare sotto un phon acceso! E’ un continuo passare dal caldo feroce all’aria condizionata e gelida degli hotels e dei centri commerciali.

È una città assurda, esagerata, ma ci colpisce positivamente per la vivacità che esprime, per i bellissimi negozi, per le attrazioni ad ogni angolo di strada: fontane colorate, Piazza San Marco, il Ponte di Rialto, gondolieri in costume tipico, turisti che girano in gondola nel finto canale, il Colosseo, la piramide di Cheope, uomini travestiti da Superman che passeggiano lungo la Strip: è pazzesco, tutto è a grandezza naturale e tutto serve ad attrarre le persone a giocare nei Casinò, maledette macchine da gioco che prendono tutto senza dare nulla. Non esistono ore, giorni, mesi ed anni, si nota il passare del tempo solo dall’oscurità della notte e dalle prime luci di un’alba che non segna nessun giorno nuovo, ma che ti porta a vivere ed assorbire luci e suoni di slot machine che non si spengono mai ; gli hotels sono lussuosissimi, ma molto economici soprattutto se il soggiorno non include il week-end. Il nostro è il Luxor, a forma di piramide con oltre 2000 stanze.

All’aeroporto ritiriamo la nostra splendida auto prenotata dall’Italia, una Yukon XL. Domani si parte per il nostro viaggio on the road.

Giulio non sta più nella pelle al pensiero di guidare una macchina così, e di buonora partiamo per Panguitch, destinazione Bryce Canyon (miglia 253).

Il Bryce Canyon è un luogo davvero incantato: migliaia di pinnacoli con tutte le sfumature del giallo, del rosso e dell’ocra in mezzo ai pini sono una gioia per gli occhi di chi, come noi, si è sentito un po’ cow boy nell’attraversare questi paesaggi. Il parco è pieno di scoiattoli e ha, come sempre, dei bagni pubblici immacolati! Per cena mangiamo alla Cowboy’s Smokehouse la cui specialità è la carne cotta sulla brace di mezquite, con musica country dal vivo, di sottofondo. Dormiamo al Lamplighter Lodge, un motel senza infamia e senza lode.

La mattina successiva torniamo di nuovo al Bryce Canyon, il Sunset Point è veramente indimenticabile! E poi c’è il sole e Bryce si accende di rosso! Immerso nel verde, è un paradiso, un anfiteatro trafitto da guglie di pietra rossa, alberi altissimi e piccole dune. Peccato partire , ma stasera dobbiamo essere a Moab (miglia 271) per tentare di vedere Arches Park al tramonto, quando la luce si fa più rossa e rende ancora più spettacolare il tutto.

Arches National Park con i suoi fragili archi di arenaria e le sue pietre equilibriste, centinaia di archi di roccia più o meno grandi rendono la cornice al tramonto davvero suggestiva! Camminiamo fino al Delicate Arch. Il cielo è già tinto di rosso e decine di persone sedute osservano in silenzio l’arco che si fa ammirare come il protagonista di un’opera d’arte. Ci meritiamo la cena a Moab. Dormiamo al Rustic Inn, un hotel abbastanza vicino ai negozi e localini dove c’è anche un po’ di vita.

L’indomani la sveglia è come al solito al mattino presto e la visita di Arches veramente faticosa: la strada è lunga, in salita, il sole è cocente e ci scoliamo letteralmente litri di acqua per contrastare la disidratazione. Ma il posto merita veramente! Andiamo al Sand Dunes Arches, un bellissimo spettacolo in mezzo a rocce rosse che formano passaggi e strettoie alzandosi dal terreno sabbioso e poi proseguiamo fino al Landscape Arch, il più lungo arco naturale del mondo. Anche qui la natura rimane l’assoluta protagonista della scena e ci regala veramente forti emozioni. Ripartiamo per Cortez ( miglia 131), ed esattamente per il Tomahawk Lodge gestito da una simpatica signora americana che ci offre dei buoni consigli per visitare Mesa Verde, a circa 2500 metri di altitudine. Buona parte del nostro itinerario si è articolato tra i 1500 e i 3000 metri d’altezza, perché siamo quasi sempre stati sul Colorado Plateau, la più alta regione pianeggiante degli USA che si estende fra Colorado, Utah, New Messico e Arizona.

Il parco è già chiuso quando arriviamo, ma facciamo in tempo a prenotare i biglietti per il tour guidato dell’indomani al famoso Cliff Palace.

Qui hanno vissuto gli Anasazi e il parco è nato per preservare i siti costruiti da questo popolo tra il 1100 e il 1300. Ora vorremmo fare un giro per negozi, ma a Cortez chiudono tutti alle 17,30 e così cerchiamo di scegliere un ristorante per la cena e poi a nanna.

Il mattino sempre di buonora arriviamo all’appuntamento con la nostra guida e attraverso un percorso impervio di scale a pioli e strettoie, al sito archeologico. Tante piccole casette si ammassano sotto la montagna su più livelli, al riparo dal freddo e dal vento, dentro le fessure, tra le rocce. E’ veramente bello!

Oltre alla Mesa Verde, non ci sembra che a Cortez ci sia molto da fare ed oltretutto è domenica, quindi partiamo per raggiungere il nostro prossimo hotel, il Desert Rose Inn, uno dei più belli di questo viaggio, nelle vicinanze della Monument Valley. Dopo un allegro picnic in camera ci dirigiamo verso la nostra meta, ma lungo la strada è d’obbligo una sosta alla Valley of the Gods e al suo paesaggio fantastico, immersi nel silenzio e nella pace più totale, contornati da monumenti di rocce rosse e accompagnati solo dal sibilo del vento (procedendo verso la Monument troverete una deviazione di circa 17 miglia sulla destra della strada, non perdetela!).

Monument Valley, un’icona degli Stati Uniti occidentali. L’arrivo è scenograficamente unico. La strada lunga e dritta che disegna qualche gobba, in fondo una lunga barriera di roccia rossa dal profilo frastagliato, a destra e a sinistra paesaggio piatto, quasi desertico. Il tempo è bruttino, nuvole minacciose corrono sopra le nostre teste, ma non piove. Ci fermiamo emozionati per qualche foto e rimandiamo la visita vera e propria all’indomani. La zona è abitata da indiani Navajo ai quali era stata destinata come riserva.

Noi, figli del Duemila, abbiamo conosciuto gli indiani sui fumetti o al cinema attraverso una immagine distorta. Oggi li vediamo da vicino: a prevalere è una comunicazione non verbale, ma assai più efficace delle parole… E negli occhi lucidi si legge il coraggio, la dignità, la semplicità e l’orgoglio di chi per 300 anni, ha mantenuto la sua lingua e salvaguardato la sua cultura.

Ceniamo a Mexican Hut con ottima carne cotta su una griglia dondolante sul fuoco, fagioli e insalata.

Il giorno seguente alle 6,30 siamo in piedi, in Arizona non è in vigore l’ora legale, però le nazioni Navajo la adottano lo stesso, quindi ci sono orari diversi all’interno dello stesso stato. C’è il sole e torniamo di corsa alla Monument Valley; la strada è tutta sterrata, ma con la nostra macchina si può percorrere con facilità. Iniziano così circa 18 miglia che si snodano tra buttes e monoliti. I colori sono vivaci come in un quadro di Van Gogh, le rocce di varie tonalità di marrone, le praterie verdi e il cielo azzurro intenso con le nuvole a pecorella, proprio come nelle cartoline. Le “cattedrali” che si possono ammirare sono gli scenari tipici dei western che abbiamo visto in tv. Ci fermiamo in tutti i punti panoramici per scattare mille foto, nella speranza di portarci dietro un frammento di questa meraviglia! Ne restiamo affascinati . A forza troviamo il coraggio di andarcene e ci dirigiamo a Page, motel Super8. La distanza da percorrere non è molta e, sentiti i morsi della fame, ci fermiamo per un picnic alla Glen Canyon Dam, grande diga sul Colorado con un pauroso strapiombo. Lasciate le valigie in hotel trascorriamo il pomeriggio in crociera sul Lake Powell.

Salendo fra i primi, troviamo posto all’aperto nella parte alta della barca; lasciata la marina le rocce assumono un colore rosso acceso mentre la barca s’insinua in piccoli canyons dalle altissime pareti verticali: il paesaggio è veramente suggestivo ed inusuale. Domani ci aspetta Antelope Canyon!

Antelope Canyon, una delle mete principali del nostro viaggio, si trova a poche miglia da Page. Lo visitiamo alle 10 del mattino circa quando i raggi del sole, perpendicolari al suolo terrestre , riescono a filtrare tra le piccole insenature del canyon creando degli spettacolari effetti di luce. La scenografia è incredibile e l’emozione di trovarmi in quel luogo magico indescrivibile: ovunque guardavo c’era una foto da fare.

Ho conosciuto l’Antelope Canyon qualche anno fa, girando su internet; all’epoca non sapevo nemmeno si chiamasse così, le foto che lo ritraevano avevano un’aura mistica, sembrava un non luogo, qualcosa di fantastico che non trovava collocazione in nessun posto del mondo.

Ogni foto mi appariva un capolavoro, un tripudio di forme colorate con le sfumature di un rosso che sembrava irreale ma che avrei avuto conferma essere dal vivo esattamente come apparivano sul monitor.

La prossima visita è quella ad Horseshoe Bend: è di una bellezza unica: ho in mente i colori, la follia e la stranezza del posto, la fatica di arrivarci. Mille foto uguali, avrei voluto farmi fare un servizio fotografico solo per imprimere nella mia testa e in un’immagine il sorriso che dovrei avere sempre. I colori sono talmente forti e carichi da risultare quasi innaturali, colori a tempera mischiati buttati sulla tela , con l’incanto di un equilibrio perfetto di blu intenso e verde bottiglia per il fiume Colorado e una gamma infinita di rosso per le rocce.

Domani vedremo finalmente il Grand Canyon.

Man mano che ci avviciniamo, il paesaggio diventa surreale, una voragine, uno spaccato della terra dal fascino difficile da descrivere. Le foto del Gran Canyon le hanno viste tutti: il colore rosso, le diverse sedimentazioni a righe orizzontali che ricordano i disegni dei tessuti di Missoni. Disegni geometrici, colori armonici su formazioni rocciose che sembrano alte ma non ci si rende conto che sono profonde più di un chilometro e mezzo. E’ davvero stupefacente! Facciamo una passeggiata verso Bright Angel Point , una passeggiatina semplice e alla fine arriviamo alla terrazza, una terrazza che si butta su una vista vertiginosa e lì davvero ti viene da pensare che se è un dio ad aver voluto tutto questo, ha davvero buon gusto. Il Gran Canyon è vasto, ma per l’anima, è da vertigine emotiva perché il vuoto ti rimbalza addosso con violenza, mentre il silenzio assordante ti inonda le orecchie, ti rompe la corazza e ti fa venire voglia di urlare. Domani si parte per Las Vegas.

Ci attende una lunga giornata interamente dedicata alla guida, attraverso poche foreste e molto deserto, sotto un sole impietoso, lungo strade a scorrimento veloce, verso l’ovest. È incredibile non tanto vedere il deserto che abbiamo già attraversato a lungo per tutto il viaggio, ma constatare a quali distanze vivano certe persone, lungo una striscia di asfalto, perse in mezzo al niente!

Di nuovo Las Vegas: un po’ di shopping in uno dei migliori outlet degli Stati Uniti dove trascorriamo alcune ore e dopo molte strisciate di carta di credito ci dirigiamo all’aeroporto per accompagnare i nostri amici che partono e poi al nostro hotel.

Stavolta siamo al Four Queens, sulla Freemont Street, uno spettacolo di luci, laser colorati e suoni proiettati su una enorme volta artificiale. Las Vegas està loca!

Pur essendo stanchi ci lasciamo trasportare dalla musica e dalla stupenda atmosfera che ci circonda e senza rendercene conto rientriamo in hotel alle tre di notte. Domani si parte per San Francisco dove ci condurrà un volo della United Airlines.

Finalmente arriviamo, ci sembra di atterrare sull’acqua mentre tocchiamo il suolo della California. Con un grosso taxi in una mezzoretta siamo a Union Square dove c’è il nostro albergo, Park Avenue, semplice, spartano, ma centralissimo. Siamo stanchi e il nostro primo incontro con la città non può andare oltre una breve passeggiata prima di cena; c’è un po’ di nebbia , sembra di essere a Milano e un vento che porta via. Mangiamo qualcosa e all’uscita dal locale ci troviamo di fronte ad una realtà alla quale nessuno di noi era preparato, quella dei senzatetto. È difficile pensare che in un’apparentemente ricca città degli Stati Uniti, moderna, evoluta, civile, invasa da turisti provenienti da ogni parte del mondo, possa esserci una così alta, vergognosa e imbarazzante concentrazione di barboni. Se ne vedono a decine sdraiati davanti alle vetrine dei negozi ormai chiusi, ai portoni, ai gradini degli edifici, in ogni angolo, praticamente abbracciati alle loro case di cartone.

L’indomani però siamo pronti ad affrontare la San Francisco dei films, quella che tutti desideriamo vedere, la San Francisco, multietnica e culturale; trascorriamo tre giorni visitando la città meno americana degli USA: Chinatown, il Golden Gate, Fisherman Wharf, il Pier 39, il Presidio, la Cable Car e chi più ne ha più ne metta.

Le strade si incontrano ortogonalmente e sono tutte in vertiginosa pendenza, ma spostarsi a San Francisco è piuttosto agevole, sia a piedi che con i mezzi pubblici. A Castro riecheggia l’atmosfera di storia dei diritti civili, di uguaglianza e tolleranza. Percorriamo salite e discese fino al Pier39, la banchina colonizzata dai leoni marini che litigano per un posto di riguardo poi, al sole, si addormentano mentre noi ingurgitiamo strepitosi calamari fritti con contorno di patatine. Abbandonata nell’oceano, Alcatraz ci guarda.

Alle 23,30 prendiamo un aereo che ci condurrà a New York dove arriveremo domani mattina, in tempo per la colazione.

Siamo al Gershwin Hotel alle 9,00 del mattino circa e poco dopo usciamo per prendere confidenza con la città; subito alla luce di una bella e serena mattinata, ci rendiamo conto che l’albergo è stata un’ottima scelta. È in una zona centrale, la 5th Avenue dista circa 30 metri dall’albergo e vicino una fermata del bus iperservita da molte linee. Inoltre, zona pienissima di ottimi ristoranti e locali. Proprio di fronte all’hotel c’è un ristorante italiano Eataly, dove si mangia benissimo, anche se non a buon prezzo. Per la metro optiamo per il pass settimanale, 29 $ e passa la paura.

La prima tappa è Ground Zero, per cui scesi dal bus ci perdiamo per le strade che corrono in mezzo a grattacieli infiniti. Tanto sono alti che difficilmente filtra la luce del sole in strada e girando ci ritroviamo in uno spazio molto grande tutto recintato, con due enormi piscine al centro. C’è un’atmosfera di sconfitta e orgoglio insieme, e si percepisce ,e non solo in questi momenti, quanto il popolo americano si senta fiero e unito sotto la stessa bandiera.

Ci incamminiamo poi verso il Rockfeller Center, per arrivarci sgomitiamo tra la folla, c’è un numero di persone impressionante. Proseguiamo la passeggiata arrivando a Times Square che posto fantascientifico! Pensavo di aver visto a Las Vegas il top dei neon e delle luci colorate, ma questo posto batte tutto! Sembra di essere in un grande parco giochi con lucine sfavillanti da tutti gli angoli. Per il pranzo (sono le 16 del pomeriggio) abbiamo in programma il Bubba Gump Shrimp Co., e in meno di dieci minuti siamo accompagnati ad un tavolone da 4 tutto per noi! Il ragazzo che ci serve è simpaticissimo e dopo averci sottoposto ad una serie di domande sul film, ha preso la nostra ordinazione.

Entriamo nel M&M store e in qualche altro negozio di souvenir, ma un po’ stanchi e frastornati dai rumori, dalle luci e dalla folla decidiamo di tornare in albergo. La giornata è stata lunga, e ancora siamo vittime del jet lag.

Il giorno successivo prendiamo la metro alla volta del Metropolitan Museum. Visitiamo molte zone dell’enorme museo, la risposta americana al Louvre, anche se non dedichiamo ad ognuna il tempo che meriterebbe, ma ci lasciamo entusiasmare soprattutto dai quadri di Van Gogh e dei vari impressionisti che ci regalano grosse emozioni .

All’uscita ci lanciamo dentro Central Park, dove facciamo una lunga passeggiata. Il parco è di grande effetto. È bello vedere come a Manhattan, la zona probabilmente più costosa a livello mondiale, abbiano lasciato un parco così sterminato. Entriamo nel parco da Central Park West, e lo percorriamo fino al lago , proseguiamo fino ad arrivare alla famosa pista di pattinaggio immortalata in molti film. C’è un pienone da far paura, ma è bellissimo vedere tanta gente che pattina nel verde, ma a ridosso di enormi grattacieli.

Ci dirigiamo nella vicina Little Italy, o almeno quello che ne rimane. La via è un susseguirsi di ristoranti-locali-alimentari che richiamano il bel paese, con bandiere tricolori ad ogni dove. Anche gli idranti qui sono verde-bianco-rossi. Ma rimane solo una strada, qualche centinaio di metri, Chinatown sta lentamente mangiando Little Italy.

Incontriamo poi un nostro amico che vive in città da tempo, ci porta ad Eataly e davanti ad un buon piatto di pasta ci raccontiamo come abbiamo passato gli ultimi anni. A mezzanotte siamo in stanza e crolliamo a letto esausti.

E come tutte le cose, anche questo viaggio volge al termine! È stato meraviglioso ed ogni giorno è stata una scoperta perché qui al calar del sole, la terra racconta la sua storia e chiunque ne sia spettatore, non può che rimanere in silenzio ad ascoltarla.

Arrivederci America, Signora Libertà dalle tante contraddizioni, torneremo perché saprai ancora stupirci, on the road, perché è così che devi essere dolcemente spogliata. Arriviamo all’aeroporto e ci imbarchiamo per l’Italia. Il mattino successivo, il jet lag si fa sentire imperioso: faremo qualche nottata con gli occhi sbarrati e qualche giornata tipo zombie, pazienza!



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