Tre allegri ragazzi balkanici
Martedì 13 agosto 2013
Ore 20.30: “Ciao Fede, allora domani alle 9 si parte, ok?”. FF: “Domani? Non era giovedì? Io sono in montagna”.
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Mercoledì 14 agosto
Alle 11 FF è pronto. Si parte: direzione Balcani. A bordo Teo (l’intellettuale di sinistra), FF (il fighetto), io (il vecchio dentro). Come sempre non abbiamo un programma, solo un’idea di massima su cosa si potrebbe fare nei 10-15 giorni di vacanza che ci aspettano; improvviseremo al momento sul canovaccio che abbiamo in mente.
Ore 14: “Autonoleggio Sixt di Capodistria? Non riusciamo a ritirare la macchina oggi, passiamo domani mattina alle 9”. Giuliano della Sixt: “Domani siamo chiusi ed ho appena dato via la vostra macchina: dovevate essere qui alle 12, dopo 2 ore di ritardo la prenotazione salta”. Io: “Porc…”. Giuliano: “Domani faccio un salto in agenzia alle 12, passate e vediamo”. Maledetto mondo dell’autonoleggio, quante insidie.
Per spezzare il tragitto nel primo pomeriggio ci fermiamo a Villa Capra (la Rotonda di Palladio), vicino a Vicenza: mercoledì e sabato è visitabile anche all’interno, ne approfittiamo per dedicare un paio d’ore al piano nobile e al “piccolo” parco che circonda le quattro facciate; la immaginavo più maestosa e isolata, invece no, comunque tappa azzeccata. Risaliamo in macchina e scartate le opzioni Vicenza/Padova/Verona per la notte puntiamo verso Trieste, dove prenotiamo un albergo fuori città. Lungo il percorso improvvisiamo un’altra deviazione e usciti dall’autostrada ci fermiamo nell’ordine a: Palmanova, città settecentesca citata sui libri di storia dell’urbanistica per la pianta ennagonale ma che ci delude un po’ (ci vorrebbe una mongolfiera per apprezzarne la geometria); Aquileia, che ha un parco archeologico ricco di reperti romani ma a quest’ora (19) è chiuso, per cui ci accontentiamo di dare un’occhiata da fuori alla bella (molto bella) basilica romanica; Grado, piacevole cittadina di mare per famiglie griffate dove ceniamo mangiando pesce. Alle 23 raggiungiamo Trieste battuta dalla bora.
Giovedì 15 agosto
C’è il sole: olè. Percorriamo i pochi km da Trieste a Capodistria sulla strada statale per non acquistare il bollino autostradale sloveno. Il programma è lasciare la cara ma vecchia 206 sw dopo il confine, dove prenderemo in affitto l’auto per muoverci attraverso i Balcani, Giuliano della Sixt permettendo. Eccoci a Capodistria: la periferia della città è in pieno boom edilizio con rotonde, capannoni e centri commerciali. Il centro storico circondato dalle mura è piacevole: la piazza con la cattedrale, il palazzo comunale ed altri begli edifici, due passi per vie scelte a caso, un’occhiata al lungomare, una malvasia slovena al bar, ed alle 12 siamo da Giuliano. Ci offre (prendere o lasciare) una Opel Corsa bianca cambio automatico appena restituita: prendiamo. Spostiamo i bagagli, chi siede dietro si dovrà incastrare tra zaini e sacchi a pelo, ma finalmente siamo pronti. La vera vacanza inizia adesso.
Prima destinazione: Lubiana, capitale della Slovenia. Da Capodistria impieghiamo un paio d’ore percorrendo un’autostrada piacevolmente panoramica. Raggiungiamo l’ostello prenotato per telefono lungo il tragitto ed a metà pomeriggio siamo pronti a visitare.
Il centro storico è largamente pedonalizzato e si trova a cavallo del fiume Liubljanica, ai piedi della rocca con il castello che domina la città. Iniziamo la nostra visita dall’affollata piazza Preseren (è Ferragosto), attraversiamo il ponte e ci muoviamo lungo la via pedonale principale, deviando ogni tanto verso il lungofiume e vedendo prima o dopo i monumenti clou. Primo impatto: molto bella, è pulita, ordinata e restaurata. Vaghiamo senza meta tra centro e dintorni, la città continua a piacerci. Si fa sera, dopo cena facciamo un salto nel quartiere di Metelkova, che con le debite proporzioni dovrebbe stare a Lubiana come Christiania sta a Copenhagen. Prima di trovare i locali ce la facciamo un po’ sotto (a posteriori senza motivo) per gli edifici degradati e le poche persone in giro, ma quando individuiamo gli isolati giusti trascorriamo un paio d’ore in un bel clima anarco-fricchettone in cortili diroccati.
Venerdì 16 agosto
Dedichiamo ancora la mattinata a Lubiana per spostarci a Zagabria nel primo pomeriggio. Iniziamo tornando nel centro storico, diamo un’occhiata al municipio e poi saliamo a piedi alla rocca per visitare il castello. E’ una accozzaglia di stili che attraverso i secoli arrivano agli ultimi anni ’70, ma l’effetto complessivo è piacevole e con questo sole c’è una bella visuale sulla città sottostante. Scendiamo con la funicolare (sarebbe più furbo usarla in salita), un’ultima occhiata al centro attraverso alcune vie e piazze ancora inesplorate e quindi a metà giornata partiamo per Zagabria. Responso su Lubiana: bella, elegante, raccolta, ha un fascino semplice e pulito che ci è piaciuto. Promossa.
Il trasferimento autostradale è meno scenografico di ieri, entriamo in Croazia e in un paio d’ore siamo a Zagabria. A fine pomeriggio siamo a spasso per la capitale croata: monumentale e un po’ caotica, non ha l’effetto bomboniera di Lubiana ma un’impronta vagamente sovietica.
Iniziamo facendo due passi nella via pedonale Ilica, attraversiamo la piazza centrale, raggiungiamo la cattedrale più imponente che bella, passeggiamo nella città alta dove salendo sulla torre di Lotrscak ci godiamo il panorama sui quartieri vicini e lontani, quindi prendiamo la funicolare (anche qui in discesa) che ci lascia proprio davanti all’ostello. Ceniamo in uno dei mille locali di Ul. Ivana Tkalcica, stracolma di gente, quindi il vecchio dentro va a dormire mentre FF e Matteo fanno vita notturna, e non a torto.
Sabato 17 agosto
Come ieri: mattina a Zagabria con partenza ad inizio pomeriggio verso Sarajevo. Passeggiamo per la città bassa, ricca di edifici monumentali, percorriamo viali, facciamo un salto al giardino botanico, passiamo davanti alla stazione, e via così, a sentimento. La maggiore soddisfazione ce la dà la band che suona musica balcanica nei giardini Zrinjevac, con buona presenza di pubblico, soprattutto over 60, e qualche coppia variamente assortita che balla. Memori delle parole di Elio ne “Il complesso del primo maggio” ascoltiamo un po’ e poi torniamo in centro: pranzo, bagagli e si parte per la Bosnia Erzegovina.
Responso su Zagabria: vivace, poco scintillante, sembra più autentica e viva di Lubiana ma non ha affascinato particolarmente nessuno dei tre. Io l’ho trovata un po’ cupa e severa, per colori e stili architettonici, al di là dei tanti giardini e del bel sole che ci ha accompagnato. Contento di averla vista, nulla più.
Sulla carta ci aspetta un viaggio di circa 7 ore tra autostrade croate e statali bosniache. Dopo un paio d’ore di guida decidiamo di raggiungere Sarajevo via Jajce, cittadina di qualche interesse turistico secondo la Lonely Planet: quello che cerchiamo per alleggerire il viaggio. Sconfiniamo perdendo un po’ di tempo per i controlli ma senza problemi, passiamo indenni una pattuglia con autovelox che ci ferma, ci stuzzica per qualche minuto e poi ci lascia andare chiudendo due occhi, quindi guidando come chierichetti maciniamo km in un paesaggio ben diverso da quello dei giorni scorsi.
La Bosnia Erzegovina non ha una vera rete autostradale: ci stanno lavorando, ma su tratti brevi e frammentati. Pochi di questi combaciano con il nostro percorso odierno, lungo alcune centinaia di km in larga parte su strade assimilabili alle statali di montagna italiane. Per un tratto il paesaggio è gradevole: la lunga vallata attraversata dal fiume Vrbas ha montagne basse e verdeggianti, visuali panoramiche, pareti rocciose scoscese. Con i km però diventiamo insofferenti, soprattutto per la velocità forzatamente ridotta, e quando a fine pomeriggio raggiungiamo Jajce siamo abbastanza cotti. La cittadina ci permette di avere un primo vero impatto con la Bosnia Erzegovina: la cultura islamica evidenziata da veli e minareti, lo sviluppo economico che arranca rispetto agli altri Stati dell’ex Jugoslavia, l’esclusione dai circuiti turistici più consueti per chi visita i Balcani. Detto questo è una tappa evitabile: il forte che domina la cittadina, così come le catacombe, non sono granché (per essere generosi). Approfittiamo della sosta per cenare, quindi un paio d’ore dopo il nostro arrivo ripartiamo verso Sarajevo.
La raggiungiamo dopo le 22: è in una conca circondata dalle montagne, arrivando col buio dall’alto l’impatto visivo sulla città illuminata è molto scenografico. Avvicinandoci al centro ci ritroviamo in un caos da città araba: è sabato sera e c’è un traffico esagerato. L’ostello prenotato in realtà affitta camere in case private: eravamo preparati all’eventualità, quello che ci spiazza è che la camera sia sui rilievi alle spalle dell’agenzia, soluzione a mio parere improponibile per turisti appiedati; comunque non è il nostro caso. La Corsa arranca per i 2 km scarsi verso la dimora di Kecho, simpatico professore in pensione di cui saremo ospiti. Ci accoglie, chiacchieriamo 15’ senza capire reciprocamente nulla visto che lui parla e comprende solo il bosniaco, quindi andiamo a dormire. La camera è sotto le nostre aspettative già basse, ma siamo sufficientemente stanchi per farcela andar bene.
Domenica 18 agosto
Giorno pieno a Sarajevo. Prima però cambiamo sistemazione: Kecho è simpatico ma i nostri letti sono materassi appoggiati a terra, soluzione poco compatibile con i tappeti polverosi e con la blatta vista in giro per la stanza. Senza rancore e felici di averlo conosciuto, salutiamo il padrone di casa e ci spostiamo in un albergo a pochi metri dal centro di Sarajevo; sorpresa: ha un parcheggio sul tetto che ci solleva dal compito non semplice di posteggiare la Corsa nel caotico traffico sottostante. A metà mattina siamo pronti per visitare la città.
Anticipo le considerazioni: Sarajevo, per tutti, è stata la parte migliore della vacanza. Non è bella: sconta la povertà del Paese ed i danni del recente conflitto, ma è intensa e viva. Credo sia dovuto soprattutto al suo mix etnico e culturale, croce e delizia della città, ben riassunto dagli edifici religiosi concentrati nel piccolo centro storico: la cattedrale cattolica, la chiesa ortodossa, la sinagoga, la moschea.
Tornando alla cronaca turistica, cominciamo dal cimitero di Groblje Alifakovac, che sovrasta a breve distanza il centro storico; per raggiungerlo affrontiamo una salita dalla pendenza improbabile, ma il tragitto è breve e la vista appaga. Il cimitero è suggestivo, punteggiato da tombe bianche, senza recinzione e in mezzo alle case come se si trattasse di un giardino pubblico. Il panorama ci chiarisce le idee sulla città: in basso, vicinissimo, c’è il centro storico, attraversato dal (brutto) fiume Miljacka. I vari quartieri si estendono nella conca circostante e si arrampicano sui pendii che avvolgono Sarajevo su ogni lato. Mentre torniamo nella città bassa ci ferma un signore anziano: ci parla spontaneamente della guerra e delle granate cadute in quella parte di città, con lo sgomento di chi dopo tanti anni non è ancora riuscito a superare quegli anni terribili. Capiamo come la città, data la sua conformazione, fosse esposta a cecchini e mortai posizionati sulle alture e immaginiamo quale dovesse essere l’angoscia per gli abitanti nel sentirsi sempre sotto tiro.
Dopo questo incontro fugace ma significativo riprendiamo la discesa e finalmente ci infiliamo in centro. E’ relativamente piccolo, ben circoscritto (è un’area pedonale) ed affollatissimo. L’aspetto è turistico per i ristoranti in batteria e le innumerevoli botteghe di souvenir, ma allo stesso tempo l’effetto è coinvolgente perché gli abitanti di Sarajevo lo frequentano in massa, per cui ti senti dentro la vita della città e non in un artificioso surrogato per turisti. Giriamo tra i vicoli, mettiamo il naso in alcuni monumenti o edifici che sembrano interessanti, passeggiamo con tutta calma. Ad inizio pomeriggio seguiamo Matteo alla mostra fotografica “You are my witness” ospitata in una galleria in affaccio sulla piazza della cattedrale cattolica: tema dell’esposizione è il massacro di Sebrenica, pagina particolarmente buia delle guerra serbo-bosniaca. Ne usciamo un paio d’ore dopo, personalmente molto colpito ma almeno un po’ più consapevole (ammetto la mia ignoranza sulla storia anche recente dei luoghi che stiamo visitando).
Passeggiando lungo il fiume (già detto della sua bruttezza) allarghiamo il raggio d’azione ai quartieri sul margine occidentale del centro storico, dove rientriamo nella seconda metà del pomeriggio. Un salto in albergo dove approfittiamo del tetto-parcheggio per vedere il tramonto sulla città e riposarci un po’, quindi torniamo nella zona pedonale per la cena. Finiamo in una steak house dove i camerieri ci mettono al collo grossi bavaglioli di cui andiamo molto fieri. Dopocena ancora a spasso per il centro, pub, poi albergo per il vecchio dentro e locale rockettaro con musica dal vivo per i miei compagni di viaggio, che ne tornano entusiasti.
Lunedì 19 agosto
Sveglia presto per il sottoscritto, guardo l’alba dal tetto-parcheggio e faccio un giro nel centro storico ancora deserto. A metà mattina siamo di nuovo al completo: sensibilizzati dalla mostra fotografica di ieri raggiungiamo in taxi il piccolo e non distante Museo di Storia, dove ci concentriamo sulle sale dedicate al conflitto degli anni’90 e sulla difficile vita degli abitanti di Sarajevo durante quel periodo. Spartano ma efficace. L’edificio del Museo è moderno ma piuttosto malridotto, chissà se per un volontario richiamo alla guerra o se, più semplicemente, per mancanza di fondi. Altro taxi, torniamo in centro, pranziamo, FF si fa intervistare da una bella giornalista ed infine salutiamo a malincuore la capitale bosniaca.
Ci dirigiamo verso la costa croata per qualche giorno di mare e relax, ma decidiamo di fare prima una tappa a Mostar che si trova lungo il tragitto. Come Sarajevo, il suo nome richiama il ricordo della guerra: monumento simbolo è il ponte in pietra sul fiume Narenta, tra le due sponde della città storica, distrutto durante il conflitto e recentemente ricostruito per il suo valore storico e simbolico. L’arrivo a Mostar è particolare: per quel che vediamo sembra un paesone, con case e palazzi a macchia di leopardo e nessun riconoscibile fulcro urbano, pur essendo tra le principali città del Paese. La situazione non cambia quando raggiungiamo il centro storico: parcheggiamo come se fossimo arrivati in un borgo periferico, quindi ci infiliamo a piedi nei suoi vicoli. Lo bollo all’istante come artificioso e turistico: case e vie in pietra, molto belle, che ospitano solamente botteghe di souvenir, bar e turisti in quantità, ben più numerosi degli abitanti. Il ponte (che è scivoloso) ha valore più storico che estetico, comunque l’insieme è piacevole. Da sottolineare che a partire da Mostar rientriamo nel circuito turistico più battuto, anche e soprattutto dagli italiani che si spingono qui dalla Croazia. Dopo un paio d’ore risaliamo in macchina diretti verso la costa. Subentrano due novità destabilizzanti: tappa a Medjugorje, non distante dal nostro tragitto,su richiesta di FF, da un lato; dall’altro le informazioni contrastanti tra navigatore satellitare (che della Bosnia conosce solamente centri e strade principali, spesso non aggiornate visti gli interventi di miglioramento infrastrutturale in corso), stradario cartaceo e cartelli stradali: infatti ci perderemo.
Raggiungiamo in qualche modo il santuario, affollato di pellegrini, dove ci fermiamo un’oretta scarsa, quindi a fine pomeriggio ripartiamo verso la Croazia. Ci perdiamo sul serio, finendo su strade piccole e tortuose e ritrovandoci tra Spalato e Dubrovnick, nella parte sud-orientale della Croazia; da qui risaliamo verso la Dalmazia. Intorno alle 22, più tardi del previsto e piuttosto snervati, raggiungiamo la cittadina costiera di Sibenik, scelta a caso un paio d’ore prima per trascorrere la notte. Periferia anni ’70, rimaniamo sorpresi raggiungendone a piedi il centro storico per la cena: molto bello, ampio e ben conservato, è circondato da mura e caratterizzato dall’uso estensivo di pietra chiara per edifici e strade. Il fatto che non ce lo aspettassimo accentua l’apprezzamento.
Martedì 20 agosto
Ancora due passi nel centro di Sibenik e ripartiamo. Da qui si raggiunge in fretta il vicino parco di Krka, a cui vogliamo dedicare la giornata. Come quello di Plitvice, più a nord, è un’area montuosa molto bella, verdeggiante e caratterizzata da suggestive cascate, non distante dalla costa e quindi affollata da chi vuole spezzare la ripetitività di una vacanza sulle spiagge croate.
L’accesso è controllato e prevede nell’ordine parcheggio (marea di auto e persone), biglietti, navetta; raggiungiamo la sponda del lago artificiale attorno cui si estende il parco. Opzioni: percorsi pedonali o giro in barca. Scegliamo il classico itinerario ad anello, a piedi. C’è così tanta gente che sembra di stare sul tram. Il paesaggio è molto bello, ci muoviamo come una mandria sulle passerelle di legno tra punti panoramici, laghetti e ruscelli, vegetazione rigogliosa. Fiore all’occhiello del parco sono le bellissime e scenografiche cascate, che combaciano sapientemente con l’ultima tappa del percorso. Qui si trovano un ampio spazio pianeggiante tra gli alberi ed i locali di ristoro. Individuiamo un pezzo di prato libero su cui sdraiarci, c’è davvero un casino esagerato: sembra la spiaggia libera di Andora nelle domeniche di luglio. Bagno, pranzo, sonnellino, nel primo pomeriggio concludiamo il percorso e raggiunta la macchina ripartiamo verso nord. Giudizio sul parco: bello, artificioso, affollato.
Finalmente ci dedichiamo alla costa croata, il mondano FF la butta lì: andiamo a Pag? Raggiungiamo l’isola con facilità grazie al ponte che ne collega l’estremità meridionale alla terraferma ed a fine pomeriggio troviamo non troppo agevolmente una sistemazione nella città omonima: appartamentino in casa privata, soluzione piuttosto consueta come letto su altri itinerari TPC.
Prima e dopo cena passeggiamo per il paesello, senza infamia e senza lode e pieno di italiani, spesso adolescenti. La sera si rivela un mortorio, FF è arrabbiatissimo. Andiamo a dormire.
Mercoledì 21 agosto
Tutti al mare. Le spiagge di Pag (paese) non ci convincono, così finiamo su una stretta striscia di pietre nella sperduta frazione di Smokvica, parte sud-orientale dell’isola. Scelta sbagliata: è come iniziare a visitare una città partendo da una chiesetta di periferia. Dopo un paio d’ore ne abbiamo già abbastanza, quindi diamo corpo ad una proposta mattutina e raggiungiamo Zara. Poche aspettative, invece si rivela carina. Parcheggiamo fuori dalle mura, attraversiamo il ponte pedonale e le dedichiamo alcune ore passeggiando per il bel centro storico. Chiese, strade lastricate, la torre panoramica, giardini; ci hanno parlato con curiosità dell’organo marino (installazione abbastanza recente, le canne suonano con il moto ondoso), ma non lo cerchiamo. Torniamo a Pag e dopo cena Matteo e FF vanno a Novalja, secondo centro dell’isola, per un sopralluogo in cerca di mondanità. L’esplorazione dà i suoi frutti con grande sollievo di Fede, piuttosto inquieto negli ultimi giorni per il timore di essere finito su un’isola di sassi e saline.
Giovedì 22 agosto
Dall’esplorazione serale emerge che la mondanità dell’isola (per la quale peraltro è piuttosto famosa) si concentra proprio nella zona di Novalja e in particolare sulle spiagge e nei campeggi che la precedono provenendo da Pag (paese). Scegliamo quindi Plaza Zrce: una spiaggiona pietrosa, bruttina e molto frequentata da 18-40enni, circondata da chioschi e discoteche, con una gru da cantiere per il bungee jumping e le moto d’acqua in affitto che saltano sulle onde. Quello che cercava FF e che in fondo va bene a tutti. Il sole picchia forte, quindi per pranzo torniamo a casa. Nel pomeriggio ci spostiamo nel paesello di Simuni: luogo per famiglie fatto di villette con giardino (una delle poche zone verdeggianti dell’isola); la spiaggia, in ciottoli, è una via di mezzo tra quella sperduta di ieri e quella modaiola di stamattina. Cena a Pag e dopocena nelle discoteche di Plaza Zrce.
Venerdì 23 agosto
Fine dei tre giorni sull’isola, dopo un po’ di coda prendiamo il traghetto che collega la parte nord di Pag alla terraferma. Giudizio: l’isola è molto particolare soprattutto per la rarità della vegetazione che rende il paesaggio quasi lunare. Nessuna delle cittadine che la punteggiano né le sue spiagge mi hanno entusiasmato (ma non è una stroncatura). La zona di Novalja è mondana, a differenza del resto dell’isola, ci abbiamo solo messo un po’ a capirlo: discoteche e divertimenti non mancano, infatti ci sono ragazze e ragazzi da mezza Europa.
Raggiunta la costa continentale ricomincia la nostra salita verso nord. Pausa pranzo a Fiume, dove trascorriamo un paio d’ore tra Mc Donald e via centrale, quindi ripartiamo per l’Istria dove trascorreremo gli ultimi due giorni di vacanza. A metà pomeriggio siamo a Rovigno, consigliata da amici, guide e itinerari TPC. La cittadina sorge su un promontorio sul mare ed è semplicemente bella: anche qui un centro storico ampio e ben conservato in cui girovagare, salgo sulla torre della cattedrale che lo domina (bella visuale), beviamo l’ennesimo bicchiere di vino in un terrazzino sul mare e quindi ripartiamo verso Pula, dove trascorreremo la notte.
Troviamo un ostello e usciamo per la cena e un giro del centro storico: iniziamo dal celebre anfiteatro romano, che stasera ospita uno spettacolo di gladiatori per bambini, quindi passeggiamo lungo le principali vie pedonali dove abitanti e turisti non mancano. Nel complesso anche l’impressione su Pula è buona.
Sabato 24 agosto
Abbiamo dormito qui perché ci hanno parlato bene di due mete poco distanti: la Premantura (parco costiero sulla punta meridionale dell’Istria) e l’arcipelago delle Brjuni, luogo di svago di Tito. Non c’è tempo per tutte e due, così scegliamo la prima visto che le isole prevedono solo tour organizzati e noi vogliamo essere liberi di scegliere i nostri tempi.
Prendiamo una multa, la paghiamo, ringraziamo gli dei perché non ci hanno messo le ganasce sennò saremmo lì ancora adesso. Raggiungiamo il parco, paghiamo i biglietti d’ingresso e quindi a bordo della Corsa percorriamo strade sterrate per raggiungere la spiaggia. Scegliamo una delle due baie sul lato orientale della penisola, dove trascorriamo alcune ore sulla costa sassosa (tanto per cambiare); il posto è molto bello, l’acqua piatta e limpida, le rocce scomode, la gente poca. A metà pomeriggio siamo in strada verso Umago: qui si tiene un open di tennis e FF in qualità di giocatore amatoriale ma neanche troppo vuole vedere il bel centro sportivo che lo ospita. Nel tardo pomeriggio ripartiamo per Capodistria dove dormiremo per restituire domani mattina la Corsa. Troviamo un ostello e scopriamo il perché del gran traffico in città: stasera si gioca proprio qui la partita di basket Slovenia-Italia; nessuno è appassionato, ma quando ricapita? Cerchiamo biglietti dell’ultimissimo minuto, ma è troppo tardi, esauriti, peccato.
Ci mangiamo su, quindi ovviamente io vado a dormire mentre i miei compagni di viaggio chiudono la vacanza facendo serata in uno dei tanti casinò di Portorose.
Domenica 25 agosto
Restituiamo la corsa a Giuliano del Sixt, ormai nostro grande amico, e ripartiamo a bordo della 206. FF ha scoperto ieri che domani deve lavorare. Dritti a casa, senza tappe turistiche lungo il tragitto. Nel primo pomeriggio sono davanti ad un familiare piatto di risotto, home sweet home.
Considerazioni e informazioni
Vacanza bella ma senza esagerare, ho apprezzato le città, piuttosto diverse tra loro, e mi ha fatto piacere l’assaggio di costa croata anche se non ne sono rimasto folgorato. Città: nell’ordine metto Sarajevo, Lubiana, Zagabria e Mostar. In corsa avremmo voluto aggiungere Belgrado ma era il tempo a mancarci. La Slovenia (Lubiana, Capodistria e dintorni, ed i paesaggi visti nei nostri trasferimenti autostradali nel Paese) ha un aspetto più benestante e rigoroso di quanto immaginassi, e nel complesso mi è apparsa piacevole ed efficiente. Meno precisina la Croazia, che soprattutto nella parte interna non ha lasciato ricordi indelebili; direi che è vivace e un po’ spartana.
La Bosnia arranca in coda agli altri Paesi balcanici, è palesemente più povera ma l’impressione è che si stiano dando da fare per recuperare, in ogni caso il fascino di Sarajevo è innegabile, almeno secondo i nostri gusti. La parte costiera è quella che mi ha convinto meno: il giudizio si limita ai pochissimi posti visti nello sterminato sviluppo costiero tra l’Istria e Dubrovnik, per cui vale poco o niente. Personalmente ho apprezzato soprattutto i centri storici di paesi e cittadine (Sibenik, Zara, Rovigno); la costa offre bei panorami ma per la vita da spiaggia scelgo la Sardegna del sud ad occhi chiusi, anche se paragoni del genere lasciano il tempo che trovano. Per quanto visto da noi solo ciottoli e scogli, di sabbia nemmeno l’ombra.
Aspetti pratici: abbiamo speso circa 1000-1200€ a testa tutto incluso per circa 12 giorni di vacanza, senza lussi e senza privazioni. La Slovenia ha prezzi italiani, la Croazia è poco più economica, in Bosnia si risparmia ma ha standard diversi (casa di Kecho insegna). Gli euro sono accettati spesso (non sempre) anche in Croazia e Bosnia, ad esempio per i pedaggi autostradali, ricevendo però il resto in moneta locale; nessun problema a prelevare col bancomat (ci sono anche filiali Intesa Sanpaolo e Unicredit). La cucina occidentale non manca mai. Abbiamo percorso circa 2000 km con la Corsa nel giro ad anello dei Balcani da\a Capodistria. La macchina è stata affittata laggiù per due motivi: si risparmiava rispetto a Torino (meno giorni e tariffe molto più basse) e perché gli autonoleggi italiani non ci consentivano di entrare in Bosnia con un’auto presa qua; anche con la Sixt slovena abbiamo dovuto segnalare anticipatamente gli sconfinamenti in programma. C’è stato bel tempo praticamente sempre, o al massimo qualche nuvola, niente da dire da quel punto di vista. Certamente il sole ha aiutato a valorizzare i posti visti (Zagabria con la pioggia? No grazie).