Tra paesaggi incontaminati e ricchi di storia..
Non c’è tempo da perdere: abbiamo solo un pomeriggio per visitare la città quindi, nonostante la stanchezza ed il sonno, saliamo in camera giusto dieci minuti, per far prendere aria alla valigia ed andare in bagno e via pronti alla scoperta di San Cristobal. Andrea, in realtà, ha già visitato anni fa questa città e muore dalla voglia di farmi conoscere i suoi angoli più belli.
Ci concediamo una veloce pausa per il pranzo e cominciamo a girellare senza meta cercando di cogliere scorci tipici della città. Arriviamo fino alla chiesa di Santo Domingo: tutto attorno si trova un grande mercato dove quotidianamente gli indios si recano per vendere i loro prodotti, soprattutto oggetti in cuoio. Andrea, però, vuole assolutamente che io veda il piccolo villaggio di San Juan Chamula distante circa 10 chilometri da San Cristobal e per questo contratta il prezzo di una corsa in taxi per arrivare fin là. San Juan Chamula è soltanto uno dei villaggi Tzotzili che si trovano nella zona: nel villaggio non è consentito fare fotografie, soprattutto in prossimità della chiesa ed anche gli indios non sono particolarmente entusiasti di essere oggetto di foto da parte dei turisti: ritengono infatti, che l’obiettivo della macchina fotografica risucchi loro l’anima. Ci rechiamo all’ufficio del turismo dove, per pochi pesos ci rilasciano il permesso per visitare la piccola chiesa. La facciata è di un bianco splendente e gli archi che delimitano il portone d’ingresso e la finestra in alto, sono rifiniti con decorazioni ed intarsi verdi ed azzurri. All’interno non ci sono banchi per sedersi od inginocchiarsi ed il pavimento è ricoperto da aghi di pino; ai lati statue di santi si succedono ed al centro alcuni indios hanno creato dei cerchi utilizzando candele accese e pregano mescolando strumenti del culto cattolico ad elementi della loro tradizione. E’ strano vedere i bambini che giocano tra loro, quasi noncuranti delle preghiere dei loro genitori, ma ancor più strano è vedere signore dalle quali ti aspetteresti di veder bere di tutto tranne che la coca cola, attaccarsi a questa bibita continuamente al fine di favorire il rutto, gesto che secondo la loro tradizione consente di estirpare il male. L’aria è pesante, l’odore di incenso si mescola al fumo delle candele che bruciano, c’è poca luce e le varie litanie cantate dagli indios unite ai visi scuri delle statue dei santi rendono l’ambiente un po’ inquietante. E’ un’atmosfera strana, ma sicuramente molto affascinante.
Usciamo e decidiamo di rientrare a San Cristobal con un minibus collettivo che, oltre a rivelarsi molto più economico del taxi, ci dà la possibilità di relazionarsi con gli indigeni. Appena giunti a San Cristobal ci rechiamo in un’agenzia per prenotare il trasferimento in Guatemala. Siamo fortunati: ci assicuriamo due posti su di minibus che partirà la mattina seguente alle 07:00 alla volta di Panajachel, piccolo villaggio sulle sponde del lago Atitlan. Dopo una veloce rinfrescata in hotel, ci cambiamo e siamo nuovamente pronti per uscire: stavolta, alla ricerca di un ristorantino dove mangiare messicano. Abbiamo così l’opportunità di osservare la bellezza della città sull’ora del tramonto, quando i lampioni si accendono, ma non è ancora buio ed il cielo è un misto di colori: blu scuro, azzurro, arancio, bianco. L’atmosfera è piacevolissima e rilassante. Dopo cena facciamo due passi attorno allo zocalo e ci ritroviamo in mezzo a giocolieri e mangiatori di fuoco, venditori ambulanti, bambini che giocano e turisti che come noi passeggiano. E’ un vero dispiacere dover andare a dormire, ma siamo stanchi e ci aspetta una giornata impegnativa, così, alzando gli occhi al cielo, saluto San Cristobal con la speranza però, un giorno, di poter ritornare! GIOVEDI’ 20 AGOSTO.
Alle 07:00 in punto, precisi come un orologio svizzero, io e Andrea siamo di fronte all’agenzia, luogo definito come ritrovo per la partenza col pulmino alla volta del Guatemala, ma fin da subito ci accorgiamo che da queste parti, la concezione del tempo non è proprio come da noi, in Italia: non partiamo prima delle 07:30 e l’autista deve andare a prendere anche altri turisti! Carichiamo infatti due ragazze romane, due ragazzi argentini, una coppia di israeliani ed una ragazza di cui però non riusciamo a capire la nazionalità.
Il viaggio è tutto un susseguirsi di piccoli villaggi, praterie e foreste di pino ed il colore predominante è il verde, un verde intenso che mi lascia stupita: chissà perché, ma mi sarei aspettata un paesaggio più brullo! Intorno alle 12:00 arriviamo alla frontiera messicana, nella città di Cuauhtemoc, dove dovremo sbrigare le formalità di uscita. Prima però, attraversiamo un avamposto militare con tanto di carri-armati e soldati in tenuta mimetica, passamontagna che lasciano scoperti solo occhi e bocca e mitragliatrici in bella vista: non sembrano particolarmente predisposti all’amicizia. Le formalità per uscire dal Messico sono veloci: controllo passaporto, timbro di uscita e via; risaliamo quindi sul nostro pulmino, ma percorriamo solo un breve tratto di strada infatti, dopo pochi metri, l’autista parcheggia il mezzo in un piazzale sterrato, scarica tutti i nostri bagagli, ci saluta e ci informa che dovremo arrivare fino a La Mesilla, prima città guatemalteca dove è situato l’ufficio migrazione e dove dovremo sbrigare le pratiche per entrare in Guatemala, a piedi. Lì saliremo su un altro pulmino che ci condurrà sul lago Atitlan. Ecco quindi che, zaino in spalla, valigia a traino, documenti e soldi ben nascosti, a passo veloce percorriamo diversi metri in mezzo ad un mercatino fino a raggiungere l’ufficio migrazione; qua dopo il controllo dei passaporti ed il pagamento di una piccola tassa “frontaliera” aspettiamo l’arrivo del bus che ci condurrà fino a Panajachel. Non partiamo prima delle 13:30. Strada facendo il paesaggio che incontriamo è un po’ triste, forse per via della pioggia e della nebbia ed anche degli smottamenti e frane che di tanto in tanto incontriamo e che costringono l’autista ad inevitabili rallentamenti. Ci imbattiamo purtroppo, anche in un incidente stradale: un fuoristrada si è scontrato frontalmente con un Tir e le condizioni del conducente dell’auto appaiono pessime: perde sangue dalla testa ed è incastrato tra le lamiere. Non esistono ospedali, né centri di primo soccorso in zona ed il centro medico più vicino è a circa un’ora di auto. Ci allontaniamo con grande tristezza nel cuore e con la speranza che le condizioni del poveretto nell’attesa non peggiorino. Arriviamo a Panajachel intorno alle 17:00 ed Andrea ne rimane fin da subito affascinato: la vista del lago, circondato da ben tre vulcani, dall’alto è magnifica; peccato solo per le condizioni meteo che non sono delle migliori. Pioviggina e c’è sempre una nebbiolina che rende il paesaggio un po’ triste. Appena arrivati Andrea fissa una camera in hotel (Posada de los Volcanes) e si preoccupa di prenotare i trasferimenti per i giorni successivi; prenota anche un’escursione(solo trasporto) in lancha sul lago per il giorno seguente per visitare tre dei numerosi villaggi situati sulle rive del lago.
VENERDI’ 21 AGOSTO.
Ci svegliamo di buon’ ora ed andiamo a fare colazione in un bar proprio di fronte al nostro hotel; appena mangiato ci rechiamo subito sulle sponde del lago ed approfittiamo della luce del primo mattino e dell’assenza di altri turisti per fare qualche foto. E’ una bella giornata di sole ed i vulcani ci appaiono di fronte in tutta la loro maestosità. Il luogo è di grande suggestione e non ti stancheresti mai di guardarti intorno: non mi stupirei, vista l’atmosfera, di veder sbucare dalle acque del lago un dinosauro o qualche altro animale di quell’era. Alle 09:00 in punto ci rechiamo al molo, luogo d’incontro per l’escursione sul lago, ma, come al solito, partiamo in ritardo. I villaggi che visiteremo sono tre: San Marcos La Laguna, San Pedro La Laguna e Santiago Atitlan.
Dopo circa trenta minuti di “sballottamenti” e salti, finalmente la lancha approda al piccolo molo di San Marcos; abbiamo un’ora di tempo per visitarlo. Non avendo optato per l’escursione con guida possiamo girellare liberamente per il villaggio alla ricerca dei luoghi per noi più suggestivi. Le strade non sono asfaltate qua, ma sono dei semplici viottoli che attraversano distese di caffé, banani ed avocado, non ci sono auto, nessun rumore artificiale, ma solo il suono della natura ed il vociare dei bambini che giocano nella piazza principale. L’ unica nota stonata è data dalla presenza di due poliziotti che girano con un fucile in bella mostra: sembra un villaggio tranquillo, ma in passato alcuni turisti sono stati assaltati; immagino quindi, che sia proprio per la sicurezza di noi stranieri, se questi due individui girano armati.
Sempre in lancha ci spostiamo al villaggio di San Pedro e fin da subito quello che mi colpisce di più sono i colori delle case: giallo, rosa, azzurro, arancio, etc…È un’esplosione di colori! In una scuola si tiene una lezione di musica e per tutto il paese risuona una melodia di voci e strumenti musicali. Qua vivono diversi hippies e rasta che contribuiscono a rendere l’atmosfera ancora più colorata. Visitiamo infine il villaggio di Santiago Atitlan, il più grande dei tre ed anche il più visitato dai turisti. Purtroppo Santiago ha conosciuto, come del resto gli altri villaggi del lago e tutto il Guatemala, il dramma della guerra civile e negli anni ’80 / primi anni ’90 molti indios sono stati uccisi e spesso anche torturati. Qua a Santiago abbiamo l’opportunità di vivere un’esperienza unica, che pochi turisti penso, abbiano vissuto e che rimarrà nei miei ricordi per sempre.
Santiago venera Maximon: un incrocio tra le diverse divinità Maya, il Giuda del Vangelo e San Simon e la sua effigie è custodita gelosamente di anno in anno dalle confraternite. Gli indios vi si recano e portano offerte di ogni tipo per chiedere i più svariati favori: dalla fertilità al successo negli affari. Tra le offerte preferite da Maximon: sigarette e rum delle migliori marche. Io ed Andrea avevamo letto queste curiose notizie sulla nostra guida già prima di partire per il Guatemala e ci sarebbe piaciuto vedere dal vivo Maximon; per questo appena sbarcati, reclutiamo una guida per farci accompagnare alla confraternita dove Maximon è custodito. Potremo fare anche delle foto in cambio di una piccola offerta. Percorriamo con un tuk-tuk pochi chilometri ed eccoci fuori di una casupola grigia e malandata: è la sede della confraternita. Nessun turista, solo io e Andrea. Entriamo. C’è un fumo pazzesco, si vede pochissimo e l’aria è pesantissima, si respira male a causa delle candele che bruciano e degli incensi accesi, fa un caldo tremendo; nella stanza tanti fiori, panche, teche con dentro statuette di santi ed al centro seduto su una sedia una specie di fantoccio vestito come una persona: pantaloni, camicia, scarpe: è lui Maximon! Due persone gli stanno di fianco: sono lì per chiedere favori economici e gli hanno portato in dono sigarette e rum che gli porgono come se fosse una persona in carne ed ossa. Una donna è inginocchiata di fronte: anche lei sta chiedendo un favore e gli dona un cappello; al suo fianco si trova lo sciamano, l’unico in grado di comunicare con Maximon. Lo sciamano canta delle litanie, a mio avviso angoscianti, che mescolano formulazioni religiose a richieste che di religioso non hanno niente a che vedere. Rimaniamo lì una buona mezz’ora e quando usciamo siamo letteralmente frastornati. Non ho mai visto qualcosa del genere in vita mia. Alle 14:00 andiamo al molo e ci imbarchiamo per rientrare a Panajachel dove arriviamo dopo un’oretta di navigazione. Approfittiamo per fare un po’ di shopping tra gli innumerevoli negozietti e bancarelle del villaggio. C’è un po’ di tutto: collanine, bracciali, orecchini, borse, abiti tradizionali, strumenti musicali, etc…Ed io mi faccio prendere un po’ la mano e sono costretta ad acquistare un borsone, ovviamente un borsone tipico indigeno, dove mettere i souvenir. Ci fermiamo anche in un’agenzia di viaggi e prenotiamo i trasferimenti in bus per i due giorni seguenti ed aspettiamo il tramonto seduti ad un tavolo del Sunset Cafè, un bel locale con musica dal vivo da cui si può godere di una vista sul lago ed i vulcani a 360 gradi. SABATO 22 AGOSTO.
Il sabato mattina ci svegliamo un po’ più tardi del solito e dopo aver sistemato le valigie e saldato il conto dell’hotel, approfittiamo per fare un nuovo e veloce giro sulle rive del lago per ammirare il paesaggio. Alle 12:00 partiamo alla volta di Chichicastenango famosa soprattutto per il mercato della domenica mattina, in cui tutti gli indigeni della zona confluiscono per vendere i loro prodotti anche alimentari. Il viaggio dura un paio d’ore circa. L’hotel che abbiamo prenotato si trova in una delle vie principali ed è stranissimo (Hotel Chuguila); per arrivare alla nostra camera si attraversa prima una bella corte, poi dei corridoi bui, arredati con mobili decisamente usati e riciclati da chissà quale altro locale. La nostra stanza, a conferma di tutto ciò, è ancora più strana: è molto grande, c’è un caminetto al centro color arancio ed al soffitto sono appese briglie e selle ed altri oggetti in stile country. Se l’esperienza di Santiago Atitlan è stata sbalorditiva, non da meno è stata la visita di questa città di cui mi ricorderò sempre sia nel bene che nel male: qua per la prima volta non mi sono sentita al sicuro ed ho avuto paura, (anche se adesso a ripensare a certi momenti ed a come ero terrorizzata mi viene un po’ da sorridere), qua per la prima ed unica volta abbiamo conosciuto le ire funeste del Dio Montezuma, ma soprattutto è qua che abbiamo conosciuto il vero Guatemala e che siamo entrati in diretto contatto con la realtà del popolo guatemalteco ed è questa la città che più di ogni altra porterò per sempre nel mio cuore.
Appena arrivati decidiamo di visitare la cattedrale di San Tomas. Entriamo da una porta laterale; l’ingresso dai gradini principali infatti, è riservato a coloro che rivestono cariche importanti nella chiesa. All’interno il pavimento è cosparso da aghi di pino ed i Maya praticano i loro riti, ma è all’esterno che si concentra la vita del paese; i gradini davanti alla chiesa sono utilizzati come le scalinate che portavano alle piramidi Maya. Nella parte centrale è acceso un grande braciere dove vengono fatti bruciare perennemente degli incensi; tutto intorno signore in abiti tradizionali che depongono fiori, uomini che agitano incensieri ricavati alla mala peggio da scatole di latta ed ubriachi distesi o che quasi si addormentano in piedi. Mi bruciano gli occhi, non so dove guardare, sono inebriata dai colori, dagli odori intensi, un mix di odori di cottura di cibi ed incensi e dal fumo. Ci sediamo ad un tavolo di un piccolo ristorante situato proprio nel centro del mercato e consumiamo quello che si rivelerà un disgraziato breack culinario, causa prima di fortissimi dolori addominali che ci faranno passare la notte in bianco. Visitiamo quindi il locale museo; niente di particolarmente interessante, ma abbiamo l’opportunità di conoscere il custode che si offre di accompagnarci, dietro un misero compenso e dopo che avrà chiuso il museo, al Santuario di Pascual Abaj, luogo sacro per gli indigeni, dedicato al dio Maya della terra e situato a pochi chilometri dalla città. Tutt’oggi in questo luogo si compiono sacrifici, non certo umani, ma di polli e secondo il custode abbiamo buone probabilità di assistere a questo tipo di rituale. Accettiamo. Nel frattempo Andrea contratta con l’autista di un tuk-tuk il prezzo di una corsa andata e ritorno(con pagamento al ritorno) al cimitero. L’idea non mi ispira particolarmente, ma secondo la nostra guida è un luogo veramente singolare dove può capitare di assistere a pik-nik organizzati sulle tombe dai parenti dei defunti, oppure di essere testimoni di simpatici colloqui tra parenti e defunti. Nonostante il mio scetticismo mi lascio convincere ed andiamo. Saremo stati sicuramente sfortunati, ma di questi strani eventi non mi accorgo assolutamente; vedo però uomini, che con Andrea ci affrettiamo rispettosamente a salutare, che si aggirano per il cimitero col machete in mano. Le tombe sono tutte colorate, ma io non mi sento affatto a mio agio: ho come la sensazione di essere un’intrusa e di stare curiosando nel privato altrui; dopo quindi aver percorso velocemente il sentiero principale e scattato qualche foto, torniamo all’ingresso ed attendiamo il nostro tuk-tuk che purtroppo non arriverà prima di 15-20 minuti. Questi sono stati i minuti più lunghi ed angoscianti della mia vita: aspettare un cavolo di “apino”, davanti ad un cimitero, in una zona periferica, con case che cadono a pezzi e che sembrano disabitate, il cielo che promette pioggia, lontani dalla sicurezza del centro, con in compenso un pick-up con i vetri oscurati ed un carico variegato di uomini, che continuamente passa da lì davanti rallentando alla nostra vista e con Andrea che, apparentemente tranquillo, scatta foto al paesaggio. Finalmente intravediamo in lontananza il nostro tuk-tuk: che visione, che felicità!!! Ci facciamo lasciare davanti al museo dove troviamo il custode già pronto ad aspettarci; con mio grande sollievo noto che è in compagnia di una bambina, sua figlia, Evelina Tomasa che verrà con noi al Santuario di Pascual Abaj. Non so perché, ma la presenza di questa bambina ha su di me un effetto tranquillizzante. Camminiamo per una buona mezz’ora per un sentiero totalmente in salita immerso in una foresta di pini; proprio un gran fatica che spero sarà ricompensata una volta arrivati al Santuario. Sfortunatamente o fortunatamente (dipende dai punti di vista!) quando arriviamo non c’è nessuno, ma solo resti di fuochi da poco spenti e fiori lasciati qua e là in offerta all’idolo, di pietra, situato al centro di un altarino molto artigianale. Indubbiamente è un luogo molto suggestivo, da cui si gode tra l’altro, di una bella vista sulla città, ma direi anche tetro ed oscuro, forse anche per il colore nero dei massi, bruciati dai frequenti fuochi che vi si accendono. Scattiamo qualche foto e ce ne andiamo.
Torniamo in hotel per una rinfrescata e più tardi ceniamo in un tipico ristorante Maya, con tanto di camerieri che indossano i costumi tradizionali dei primi coloni spagnoli che lavoravano nelle campagne.
DOMENICA 23 AGOSTO.
Dopo una notte trascorsa tra il bagno ed il letto rigirandosi per il mal di pancia, facciamo una leggera colazione e ci addentriamo per il mercato alla ricerca di regalini da comprare e non c’è che l’imbarazzo della scelta! Stoffe, borse, abiti, bracciali, maschere, cinture, ninnoli di ogni tipo, tutti coloratissimi ed ancora frutta, pesci, fiori, etc…E’ l’apoteosi del colore, in netto contrasto però, col bianco-grigio della cattedrale, dalle pareti oramai affumicate a causa degli incensi che continuamente vengono fatti bruciare sui suoi scalini, ma tutto questo colore è in netto contrasto anche con gli sguardi della gente. Hanno gli occhi tristi e si percepisce una forte diffidenza nei confronti degli stranieri. Mi soffermo ad osservare il muro del municipio: su di esso è dipinto un murale dedicato alle vittime della guerra civile e che racconta la storia della guerra attraverso la simbologia del Popol Vuh, la Bibbia dei Maya, ritrovata proprio a Chichicastenango nel convento francescano adiacente la chiesa di San Tomas. Anche qua, dunque, gli indigeni hanno conosciuto l’orrore della guerra e dell’assassinio.
Alle 14:00 partiamo per Antigua dove arriviamo che sono le 17:00 passate; purtroppo non ci rimane molto tempo per visitare la città visto che partiremo il giorno dopo per raggiungere Flores, città che per noi, rappresenterà la base per visitare le rovine Maya di Tikal. Fin da subito però Antigua ci appare in tutta la sua bellezza. Antigua non ha niente a che vedere con il resto dei villaggi e delle città che abbiamo visitato sino ad ora: il traffico è disciplinato da poliziotti, le strade sono pulite, si fa la raccolta differenziata dei rifiuti, i lampioni nelle strade sono in stile antico ed i fili della corrente elettrica interrati. Pochi indios che girano per le strade e nessun mercatino artigianale, ma tantissime chiese e belle gioiellerie! Questa città, dichiarata Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco, un tempo capitale del Guatemala e più volte distrutta dai terremoti, racchiude in sé il fascino dell’arte coloniale e la semplicità di un borgo di campagna. In due ore riusciamo a vedere dall’esterno tutti i principali luoghi di interesse e prima di rientrare in hotel (Posada San Vicente), per una doccia rigenerante, abbiamo anche il tempo per un aperitivo in uno dei tanti localini dello zocalo, la piazza principale. LUNEDI’ 24 AGOSTO.
Dopo aver trascorso la notte quasi in bianco, a causa di un letto cigolante dal materasso sfondato e con un cuscino sottile quasi come un foglio di carta, ci alziamo presto; alle 07:00 passerà a prenderci il minibus che ci condurrà fino a Guatemala City da dove con un autobus di linea (Linea Dorada) arriveremo a nord, nel dipartimento del Peten e precisamente a Flores, isola del lago Peten Itza distante una cinquantina di chilometri da Tikal. Il viaggio è molto lungo e durante il tragitto ci fermiamo per una breve sosta per il pranzo. In tale frangente l’autista riesce a perdersi due passeggeri e se ne accorge, del tutto casualmente, solo dopo aver percorso già una ventina di chilometri. Abbiamo la conferma che due passeggeri sono rimasti a piedi quando il secondo autista telefona al ristorante dove avevamo consumato il pasto ed i proprietari lo informano che due persone, che per quanto ricordiamo non sembravano neppure tipi particolarmente raccomandabili, erano sempre lì. Torniamo indietro per caricarli, ma quando arriviamo scopriamo che hanno preso un taxi collettivo e che attenderanno l’autobus alla fermata successiva, quindi ripartiamo. A questo punto ad Andrea viene un dubbio: sarà mica una scusa, quella di perdere l’autobus, per organizzare una rapina al momento di risalire? Sarà mica che al momento di risalire i due si faranno trovare in compagnia di qualche amico? I dubbi sono comunque smentiti dopo un’oretta quando, alla fermata di Rio Dulce i due signori salgono sull’autobus; sono soli, nessun “amichetto” è con loro.
Arriviamo a Flores che è già buio e ci rechiamo immediatamente al nostro hotel (La Casona de La Isla) e, dopo aver sbrigato le pratiche burocratiche relative alla camera, prenotiamo tramite la receptionist due posti su di un pulmino per recarci il giorno successivo a Tikal. Partiremo alle 05:00 ed avremo così l’opportunità di essere tra i primi a mettere piede nel Parco Naturale di Tikal che apre le porte alle 06:00. Notiamo con piacere che il nostro hotel è dotato di una piccola piscina e che la nostra camera è la migliore di tutta la struttura, con un balcone direttamente affacciato sul lago, aria condizionata e ventilatore. Più di questo non potevamo chiedere. Ceniamo in un locale vicino ed andiamo a dormire presto: ci attende una giornata impegnativa! MARTEDI’ 25 AGOSTO.
Puntuali, come al solito, alle 05:00 ci troviamo nella hall dell’albergo ad attendere il pulmino che arriva in ritardo. Nonostante tutto però, alle 06:00 e poco più arriviamo al Parco Naturale di Tikal. Ci dirigiamo immediatamente alla biglietteria dove scopriamo che il biglietto di ingresso per i turisti stranieri costa molto di più di quello per i guatemaltechi; ci meravigliamo un po’ e, senza comunque rimuginarci troppo, acquistiamo anche una guida per districarci tra i vari sentieri del Parco ed entriamo.
Non andrò ad addentrarmi nel dettaglio storico della storia del popolo Maya e delle rovine che abbiamo visitato, non ne sarei all’altezza. Mi limiterò a descrivere le mie sensazioni e quello che i miei occhi di turista occidentale, neanche troppo informata sulla civiltà Maya, hanno visto.
Appena entrati decidiamo di non percorrere immediatamente il sentiero principale, quello cioè che conduce a “La Gran Plaza”, ma optiamo per un percorso secondario che conduce al Tempio IV, che con i suoi 64 m. Di altezza è il più alto di Tikal. La situazione è molto emozionante: siamo io ed Andrea in mezzo alla giungla, nessuna voce umana, solo i rumori della natura: foglie mosse dal vento, rami che scricchiolano al posarsi di uccelli, scimmie che saltano da un ramo ad un altro, formiche giganti che ci camminano a fianco, insetti di ogni tipo che ci ronzano intorno. Bisogna abituarsi a questi rumori ed all’inizio sembra quasi di essere seguiti o che qualcuno possa sbucare all’improvviso dal folto della vegetazione; in fin dei conti non è un’ipotesi così remota: questo è anche il regno di puma, giaguari e serpenti corallo. Sono contrastata: da un lato la straordinaria emozione di essere soli in mezzo alla giungla, dall’altro l’inquietudine di sapere che se ci fosse accaduto qualcosa, nessuno, almeno per un bel po’, si sarebbe accorto di niente…Probabilmente questa seconda sensazione ha il sopravvento su di me rispetto alla prima, fatto sta che opto per un passo veloce stile marcia di cui anche Andrea si stupisce e non riesco a godermi appieno la bellezza della natura che mi circonda. Dopo una buona mezz’ora di cammino arriviamo al Tempio IV e la mia intenzione sarebbe quella di salire fino alla cima per poter ammirare la maestosità della giungla in cui Tikal è immersa. Con piacere, noto che, al fine di agevolare la scalata del tempio, è stata costruita una scaletta di legno con tanto di sbarre laterali a cui sostenersi; notevolmente rincuorata quindi, non ho più dubbi e comincio a salire. I gradini sono un po’ ripidi ed il fiatone non manca, inoltre, mano a mano che salgo, gli scorci che si intravedono tra un gradino e l’altro sono sempre più vertiginosi, ma non mollo ed arrivo sulla spianata finale, ovvero la cima della piramide. Il panorama che mi si presenta davanti è da mozzare il fiato. Distese infinite di alberi, piramidi che sbucano qua e là ed una nebbiolina tutta attorno che dà un tocco di misteriosità. Quando mi sposto per cercare di sedermi su uno dei piccolissimi gradini che formano la vetta della piramide mi rendo conto che 2-3 passi in avanti e cadrei nel vuoto; non c’è alcuna protezione. Mi blocco all’istante: le mie gambe non si muovono, sono puntellate a terra come se avessi dei pesi di piombo ai piedi. Un minuto di panico, ma mi riprendo e piano piano mi avvicino ad un gradino dove mi siedo e da cui non mi sposterò più. Andrea invece, estasiato dal panorama, saltella su e giù come un gatto per fare le foto.
Proseguiamo la nostra visita del sito: abbiamo intenzione di passare per “El Mundo Perdido”, un complesso di strutture di epoche diverse, per arrivare fino a “La Gran Plaza” dove sono situati i resti più importanti. Il percorso stavolta è un po’ più semplice ed ogni tanto incontriamo qualche turista che si aggrega. Comincio a rilassarmi: i rumori del vento e degli animali diventano familiari, osservo ed ascolto più attentamente la natura che mi circonda e respiro a pieni polmoni. Il complesso della “Gran Plaza” è l’insieme più impressionante di Tikal ed è dominato da due templi che si fronteggiano: il Tempio del Gran Giaguaro (Tempio I), la cui ascesa non può essere effettuata a causa della morte di due turisti caduti rovinosamente mentre scendevano ed il Tempio delle Maschere (Tempio II). Per il Tempio II, invece, è possibile arrivare alla cima grazie ad un’erta scalinata di legno che fiancheggia la piramide; in questo caso la salita per chi è un po’ pauroso come me è più problematica: per agevolare la visita alle rovine infatti, tutto attorno al Tempio sono stati tagliati gli alberi e la scalinata sembra quasi sospesa nel vuoto. Decido quindi di non salire stavolta e mentre aspetto Andrea faccio qualche foto. Rimaniamo nel parco ancora per un po’ girellando senza una meta precisa, ma semplicemente curiosando qua e là e facendo foto a ciò che ci piace di più. Intorno alle 11:30, con gran dispiacere, (in fondo so che molto probabilmente non ci tornerò più) ci lasciamo alle spalle la giungla ed i resti che racchiude e torniamo verso l’ingresso. Siamo stanchi, sono più di quattro ore che camminiamo senza fermarci mai ed in più è anche cominciato a piovere…Mangiamo un boccone veloce ed alle 12:30 riprendiamo il bus per Flores. Rientrati in hotel ci concediamo un po’ di relax nella piscina, ma la pace dura poco: giusto il tempo di fare un bagno e sistemarci sulla sdraio ed all’improvviso scoppia un tremendo temporale che ci costringe a ripararci sotto i tendoni del bar; in 10 minuti si passa dal sole cocente alla pioggia e di che tipo! La città si allaga quasi completamente e le sue strade malandate diventano degli stagni; in compenso l’aria è più fresca ed approfittiamo per fare due passi ed acquistare qualche regalino in un negozietto a prezzi fissi vicino all’albergo.
MERCOLEDI’ 26 AGOSTO.
Partiamo da Flores presto, che non è ancora giorno: ci aspetta l’ennesimo, lunghissimo trasferimento in bus che ci condurrà, passando per lo Stato del Belize, fino a Chetumal in Messico. Per prima cosa dovremo arrivare fino al villaggio di Melchor de Mencos, dove sbrigheremo le formalità per uscire dal Guatemala ed entrare nel Belize. Impieghiamo quasi tre ore per arrivare alla frontiera ed una volta arrivati, come al solito, siamo costretti a riprenderci valigie e zaini e ad attraversare la frontiera a piedi, visto che il bus non può attraversarla carico di bagagli. Paghiamo una piccola tassa sia per uscire dal Guatemala che per entrare nel territorio beliziano. Fin dai primi chilometri ci rendiamo conto di quanto sia evidente l’influenza britannica nello Stato del Belize; le case sono piccole e tutte colorate, con giardini ordinati e ricchi di fiori.
Strada facendo ci imbattiamo in un violento temporale e questo mi fa ricordare che ci stiamo avvicinando al periodo degli uragani. Ad un certo punto il nostro bus si ferma ed accosta sulla destra e ben presto ci rendiamo conto del perché: nel senso opposto sta arrivando un camion che trasporta un carico eccezionale: una casa, un’intera casa prefabbricata. Ciò mi fa pensare che quando in questi luoghi si abbattono gli uragani, le case, spesso e volentieri, vengono distrutte, così si ricomprano come se fossero delle auto! Più o meno alle 14:00 arriviamo alla frontiera con il Messico ed eccoci nuovamente a scaricare tutti i nostri bagagli dal bus e ad attraversare la frontiera a piedi. Stavolta non ci viene chiesta alcuna tassa da pagare, ma in compenso i poliziotti aprono e controllano le nostre valige ed anche gli zaini e la mia borsa piena di souvenir.
Visto che non abbiamo prenotato alcun hotel a Chetumal Andrea ha un’idea: perché non prendere un taxi e farci accompagnare alla laguna di Bacalar situata a pochi chilometri da Chetumal e dormire per una notte lì? Inizialmente questo cambiamento di programma mi crea una leggera ansia e mi innervosisce un po’; io sono un tipo molto sistematico e questa variazione dell’ultimo minuto ai piani predisposti mi agita. Anche se un po’ seccata, comunque, mi fido di Andrea e ci facciamo portare da un taxista all’hotel Laguna, praticamente l’unico grande hotel della zona; non essendo alta stagione non dovremmo avere problemi a trovare una camera. In effetti è proprio così, anzi, ci viene assegnata una delle camere più belle di tutta la struttura, dotata di un grandissimo balcone direttamente affacciato sulla laguna. Nelle vicinanze dell’hotel si trova un cenote: quale migliore occasione per Andrea per farsi un bel bagno rigeneratore…Quindi, nonostante il cielo che non promette niente di buono (sta anche tuonando) e la mia ritrosia, andiamo. Percorriamo a passo veloce i circa 2 chilometri che ci separano dal cenote attraversando un viale un po’ in leggera salita ed un po’ in discesa fiancheggiato da belle ville oramai deserte; si intravedono solo dei guardiani e qualche cane a far da guardia che al nostro passare ovviamente, si mette ad abbaiare…Al cenote c’è anche un localino niente male ed un piccolo negozio. Andrea si tuffa: deve essere bellissimo! Si vedono tanti pesciolini e ci sono rami di alberi che fuoriescono dall’acqua che è di un blu intenso al centro e verde scuro, per il riflesso degli alberi, ai lati. Io, che oltre a soffrire un po’ di vertigini, non so neppure nuotare bene, aspetto seduta su di un panchetto e fotografo un po’ di tutto. Ci tratteniamo per tutto il pomeriggio e, proprio quando ogni segnale lascia presagire che si sta per scatenare un temporale, decidiamo di rientrare in hotel e siccome non troviamo un taxi andiamo a piedi. Camminiamo velocemente e per nostra fortuna comincia a piovere forte quando manca poco all’ingresso dell’hotel; ci bagniamo comunque ed io non riesco più a distinguere tra la pioggia ed il sudore. Per un buona oretta ci godiamo la vista della laguna dal balcone della nostra camera: è proprio bella con le sue acque limpide e le sue varie tonalità di azzurro e l’atmosfera rilassante. Ha fatto proprio bene Andrea a voler dormire qua: ammetto che ha avuto ragione.
Ceniamo presto e a base di pesce. L’indomani avremo il volo che da Chetumal ci porterà a Città di Messico.
GIOVEDI’ 27 AGOSTO.
L’aeroporto di Chetumal è piccolissimo, ma i controlli sono lo stesso molto accurati e per l’ennesima volta siamo costretti ad aprire zaini e valigie per consentire i controlli di routine. L’aereo parte in perfetto orario ed alle 10:00 siamo già pronti per salire su di un taxi diretti all’hotel che abbiamo prenotato (Hotel Emporio). Quando arriviamo la camera non è ancora pronta, così lasciamo i bagagli alla reception e partiamo alla scoperta di Mexico City. Decidiamo di salire su di un autobus turistico a due piani in modo da poter scoprire tutte le principali attrattive; l’intero giro dura circa 3 ore e ci consente di ammirare i luoghi di maggior interesse standosene tranquillamente seduti. Terminato questo tour torniamo in hotel; giusto il tempo di disfare le valigie ed andare in bagno e ripartiamo. Decidiamo di andare a piedi nella zona del centro storico: una bella passeggiata! Città di Messico è stata costruita su alcuni laghi prosciugati ed è costantemente soggetta a scosse sismiche; per questo motivo gran parte dei suoi edifici sono inclinati e ciò conferisce alla città un aspetto veramente molto strano. Gli edifici sono tutti molto scuri probabilmente a causa dell’inquinamento che affligge la città, anche se negli ultimi anni sono stati fatti progressi in tal senso; si dice addirittura che nel 1999 dal cielo cadessero i piccioni soffocati dall’aria inquinata! Nella zona del centro storico attraversiamo lo zocalo e visitiamo la cattedrale; percorriamo poi Calle de la Moneda dove ci fermiamo per ammirare la chiesa de la Santisima che pende tantissimo; attraversiamo quindi Calle de las Doncelles dove è possibile trovare libri usati e non, di ogni tipo: dai testi scientifici ai libri per bambini, dai libri di storia del Messico alla narrativa. E’ difficile non riuscire a trovare il libro che si desidera! Attraversiamo anche zone più povere e malridotte dove vediamo vecchie signore raccogliere cartoni dalla spazzatura, oppure cuocere pannocchie su bracieri improvvisati e dove si trovano negozietti che vendono un po’ di tutto. La sera ceniamo in un ristorante tipico messicano dove assistiamo anche ad uno spettacolo di canti e balli tradizionali; un po’troppo turistico forse, i mariachis improvvisano addirittura un “o sole mio” per salutare gli amici italiani, cioè noi, ma comunque molto divertente.
VENERDI’ 28 AGOSTO.
Anche la giornata di oggi sarà molto intensa; in programma abbiamo infatti la visita delle piramidi di Teotihuacan e del museo antropologico della città. Il sito di Teotihuacan, classificato come Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco, si trova a circa cinquanta chilometri dalla capitale e per arrivarci prendiamo prima la metropolitana, poi dal Terminal Norte un autobus diretto alle rovine. Ci rendiamo conto di quanto sia ben organizzata la rete dei bus in Messico. Io, che andare a lavorare tutte le mattine viaggio più di un’ora in autobus, mi accorgo che in Italia la qualità del servizio è molto più scarsa: autobus quasi sempre in ritardo, sporchi e cigolanti da tutte le parti! Qua i biglietti si possono acquistare anche a bordo, senza che il prezzo sia maggiorato, i sedili sono comodi, direi quasi avvolgenti, il corridoio pulito e c’è anche la possibilità che strada facendo l’autista faccia salire a bordo simpatici personaggi armati di chitarra che deliziano i passeggeri in serenate improvvisate e che si accontentano di pochi spiccioli ed un semplice grazie! Arriviamo al sito di Teotihuacan intorno alle 11:30 ed iniziamo subito la nostra visita dal Tempio del Serpente Piumato che costituiva il centro amministrativo della città, ricco di maschere e teste di animali vari. Ci dirigiamo poi verso la “strada dei morti”, due chilometri lungo i quali si trovano i principali monumenti e fin da subito intravediamo in lontananza la maestosa piramide del Sole. Veniamo letteralmente assediati da venditori ambulanti che vogliono rifilarci di tutto: collanine, magliettine, soprammobilini vari, etc…Ogni due tre passi se ne avvicina uno ed alla fine si finisce col rispondergli anche un po’ male! Vedo da lontano la piramide del Sole: è altissima ed i gradini sembrano molto piccoli. Ce la farò a superare la mia paura e ad arrivare fino alla cima? Quando arriviamo alla base invece, senza neanche pensarci un po’, inizio a salire: consegno la macchina fotografica ad Andrea e gli dico di non aspettarmi, perché io salirò del mio passo, piano piano, ma arriverò. In effetti Andrea mi distanzia di un bel po’, ma alla fine, anche io che sono “patatona” ed anche un po’ “vertiginosa”, con mia grandissima soddisfazione, ma anche di Andrea, che secondo me pensava che mi sarei fermata o tornata indietro, arrivo sulla cima della piramide. Il panorama che mi si apre davanti è lunare, l’ambiente è grullo, solo qualche albero di ulivo e cespugli, ma niente a che vedere con la folta ed intricata vegetazione di Tikal. Il paesaggio è diametralmente all’opposto. Per me però, questo luogo è ugualmente affascinante, perché sembra di essere su un altro pianeta, perché è come se da un momento all’altro un atzeco uscisse da una delle numerose costruzioni. Penso a come doveva essere vivere qua con i templi e gli edifici al massimo del loro splendore, adornati con maschere e tutti decorati. Penso anche che adesso qua si respira un’aria di tranquillità e pace immensa, ma un tempo quanti sacrifici umani sono stati compiuti! I seguagi della new age considerano Teotihuacan un luogo mistico ed il 21 marzo, tutti vestiti di bianco, si dirigono qua a festeggiare il solstizio di primavera. Io qua sto proprio bene, mi sento a mio agio, mi piace ed è per questo che quando mi rendo conto che è giunta l’ora di riprendere l’autobus sono proprio dispiaciuta. Prendiamo l’autobus delle 13:30; un’oretta di viaggio durante il quale riceviamo anche la “visita” di un poliziotto che, salito a bordo ad una delle fermate, controlla tutti i passeggeri con un metal detector. La cosa non mi infastidisce, anzi mi tranquillizza, anche se viene da riflettere sulla pericolosità del luogo in cui ci troviamo. Arrivati alla stazione dei bus, prendiamo un taxi diretti al museo di antropologia, ritenuto uno dei più belli, se non il più bello al mondo nel suo genere, ma fin da subito ci rendiamo conto che non è stata una scelta ottimale; il traffico è allucinante, ingorghi ovunque e code su code. Impieghiamo quasi un’ora e mezzo per percorrere circa dieci chilometri, nonostante i tentativi dell’autista di evitare le code attraversando strade alternative. Quando arriviamo di fronte al museo il nostro stomaco ci informa che non abbiamo ancora pranzato, così ad una bancarella ci facciamo fare due panini: un’ottima occasione per ritemprarsi un po’, sperando che il Dio Montezuma non si voglia vendicare con noi ancora una volta! Il museo è grandissimo e noi non riusciremo a visitarlo tutto, quindi optiamo per le sale più importanti. Visitiamo la sala di introduzione all’antropologia, la sala di Teotihuacan, meta obbligata vista la precedente visita al sito, la sala Mexica dove si trova un’imponente scultura di giaguaro con un recipiente dove un tempo si ponevano i cuori delle vittime umane sacrificate e la sala Maya. Saliamo anche al primo piano dove si trova la sezione etnologica del museo e dove per ogni popolo sono rappresentati costumi, tradizioni, artigianato, etc.. Usciamo che è quasi l’ora di chiusura. Per rientrare in hotel optiamo per una lunga e sana passeggiata: non abbiamo voglia di stare a contrattare il prezzo di una corsa in taxi e visto il traffico, che non sembra essere diminuito, faremo sicuramente prima a piedi! E’ l’ultima serata a Città di Messico, nonché l’ultimo nostro giorno di vacanza e vogliamo trattarci bene; alla reception ci facciamo riservare un tavolo in uno dei migliori ristoranti della città dove ci facciamo accompagnare dall’autista dell’hotel. Ceniamo a base di pesce: tutto buonissimo e servizio eccellente.
Torniamo in hotel: c’è da preparare la valigia e da sistemare gli zaini. Domani ripartiremo per l’Italia e rientreremo sicuramente più ricchi: ricchi di esperienze da raccontare, emozioni da ricordare, sensazioni che difficilmente potremo dimenticare, ricordi di sguardi tristi, sguardi di chi ha sofferto tanto, sguardi di emarginati, sguardi diffidenti di chi ha visto figli, fratelli, genitori ed amici morire per una causa nobilissima; figli, fratelli, genitori ed amici crudelmente torturati per difendere le tradizioni di un Popolo, per proteggere l’intera comunità; figli, fratelli, genitori ed amici che si sono immolati pur di difendere i loro diritti ed uno fra tutti: il diritto a coltivare la Terra, la loro Terra, la loro Madre.