Tra le Dolomiti Lucane
Per fortuna un guidatore che passa si offre gentilmente di scortarci a San Donato indicandoci il percorso più sicuro, così rimandiamo la visita ad Anzi e ci dirigiamo verso l’ostello. San Donato dista dieci minuti in auto (mezz’oretta a piedi) da Anzi, e si trova poco più sotto. L’ostello è gradevole, ci sistemano in una grande camera da sei con due balconcini e un piccolo bagno, ci rinfreschiamo e ci prendiamo un caffé nella piazzetta del paese.
All’ora di pranzo il nostro amico ci raggiunge e c’invita al pranzo di Ferragosto organizzato da una sua amica nella sua casa di campagna. La strada per raggiungere la casa è sterrata e quasi impraticabile (abbiamo notato che la maggior parte degli abitanti guida macchine piccole e vecchiotte, che mi sento di suggerire come mezzo più efficiente – altro che Mini – per i sentieri lucani), ragion per cui decidiamo di proseguire a piedi e parcheggiamo il bolide all’imbocco di una mulattiera su cui ancora transitano gli asini. Il tempo, qui, sembra davvero fermo… Intorno a noi solo natura, montagne verdi di bosco e gialle di grano, il torrente della Camastra con la sua diga, fiori selvatici e paeselli sparsi come puntini, con le pale eoliche che toccano il cielo. E’ nuvoloso, il cielo, e fresco, minaccia pioggia. Gli amici sono già indaffarati con la brace, la casa è sulla cima d’un colle e il panorama è magnifico. Il pranzo, secondo le tradizioni campagnole del Sud, va avanti con pause di una, due ore tra un’infornata e l’altra, e si protrae fino alle sette e mezza con salsicce, costine, gnummaridde (involtini d’interiora tipici della Basilicata) e provolone grigliato a volontà. Piove anche, ma nessuno se ne cura. Nella casa accanto, i vicini ballano tammurriate e tarantelle lucane, mentre il sole comincia a far capolino dopo il temporale estivo.
Satolli e stremati, ci andiamo a riposare all’ostello (sei persone con un bagno, c’è bisogno d’organizzazione). Intorno alle dieci ci passano a prendere: si va a Sant’Angelo Le Fratte (cinquanta minuti d’auto da Anzi), dove si svolge il suggestivo evento “Cantine Aperte”, con degustazioni, danze e bancarelle. Andarci di sera, in realtà, è stato un errore: il paese è bellissimo, con l’anfiteatro all’ingresso, le case dipinte a murales, le scale di pietra che si snodano tra le rocce… L’ideale, per visitarlo, sarebbe andarci il pomeriggio e restarci fino a sera, quando s’illumina di lampadine colorate e fuochi, profuma di vino e di brace e si riempie di musica e risate. Noi l’abbiamo visto solo in questa veste (fantastica, peraltro) e ci ha conquistati, nonostante la stanchezza. Un po’ di vino, una crepe al volo, un giro tra le bancarelle e una tarantella sotto gli occhi delle donne anziane del paese (tutte sedute lì in piazza, con le calze nere e il fazzoletto annodato in testa, come una volta) e torniamo alla base, che son quasi le tre.
Il giorno dopo ci svegliamo intorno alle dieci. Caffé al bar di San Donato, poi in macchina verso Anzi. Il paese è arroccato su un monte, perfino la piazza centrale è in salita… Ed anche qui il tempo si arresta. Gli anziani della Basilicata sembrano tutti usciti da un film in costume, con lo scenario degli anni Venti; non parlano l’italiano né lo capiscono, scappano se si prova a fotografarli e percorrono quelle ripide stradine più velocemente di noi, che di anni ne abbiamo venti. Uno ci supera perfino, noi col fiatone, lui con un’anguria in spalla. Ci indicano il miglior bar del paese, con le paste invitanti in vetrina, affacciato su una piazzetta con un panorama mozzafiato. Le Dolomiti sono tutt’intorno, il sole splende, ci godiamo la colazione. Dopodiché, seguitiamo a vagabondare per Anzi e ci facciamo indicare la salita che porta alla chiesa di Santa Maria e all’Osservatorio. I due edifici si trovano sul punto più alto della montagna, appena sopra al paese: arrivarci è un’esperienza, fatta di scale ripide e malmesse, vecchine che ti deridono e insieme t’incoraggiano nel loro incomprensibile dialetto, casette bianche con le violette fuori e panni svolazzanti che sbarrano la strada. Una volta arrivati, si è invasi da una sensazione di pace, di respiro ampio, di aria pulita, di solitudine e comunione con la natura che difficilmente s’immagina di trovare in un paesello sperduto della Lucania. Ci siamo solo noi. il vento ci culla, i fiori s’inerpicano sul fianco della montagna. La chiesa sovrasta tutto (l’unico neo è forse l’Osservatorio, un brutto cupolone che stona col resto, ma di cui ci si dimentica in fretta) ed Anzi, vista da qui, è davvero un piccolo, delizioso presepe.
Per pranzo torniamo a San Donato e mangiamo in una pizzeria di poche pretese, che ci stupisce perché i prezzi sono bassi da non crederci e la carne, i salumi e i funghi (freschissimi, visto il periodo dell’anno) divini. Non vogliamo ripetere l’errore della sera prima, così ci muoviamo presto per raggiungere Castelmezzano e godercela con la luce del pomeriggio – e questa volta il tragitto è più breve, una mezz’ora circa, ma la strada più ripida, e la frizione ci maledice ancora una volta. Ci fermiamo prima all’altezza del belvedere, da cui si può ammirare il paese (coloratissimo, incastonato tra le rocce) e l’arrivo dei temerari che fanno il “Volo dell’angelo”, lanciandosi a 120 km/h con un’imbracatura su un filo d’acciaio che li porta da Castelmezzano a Pietrapertosa e viceversa. Nessuno di noi ha avuto il coraggio di prenotarsi, così ci sediamo per assistere all’atterraggio dei siluri umani… Anche perché lo spettacolo è effettivamente impressionante, una volta che si è lì, per cui consiglio a chi volesse farlo di non soffermarcisi troppo e buttarsi senza pensare, perché la riflessione potrebbe essere cattiva e pavida consigliera.
Quando arriviamo in paese, non vorremmo più andarcene. Castelmezzano è un gioiello, una piccola, pittoresca meraviglia piena di fioriere e casette a picco sulla valle, le rocce tutt’intorno, uomini con la coppola che giocano a scopa nei vicoli e i gatti che sgusciano tra i vasi. Tutto è lento, tutto è tranquillo, tutto è fuori dal tempo. Vorremmo restare a Castelmezzano per cena (ci sono solo due o tre trattorie, tutte molto caratteristiche), ma i posti all’aperto sono prenotati e i tornanti col buio ci preoccupano un po’, sicché decidiamo di tornare verso Anzi. Ci consigliano un posto sulla Laurenzana, “La Casa nel Bosco”: che è, effettivamente, nel cuore di un bosco. Fitto e poco illuminato, estremamente suggestivo se ci si cena in mezzo. Il locale è anche un bed & breakfast (più costoso del nostro, i prezzi sono sui 60 euro a testa, ma è davvero molto bello), a conduzione familiare e col menu che varia a seconda di quello che c’è. I gestori sono simpatici e cordiali, la cena è deliziosa ed il locale (è il 16 di agosto!) è tutto per noi.
Dopo cena torniamo ad Anzi, raggiungiamo gli amici in un bar all’entrata del paese ed, in seconda serata, ci si sposta su, a Santa Maria (consiglio una capatina serale a Santa Maria a tutti i visitatori: la vista è pazzesca ed, a quanto pare, c’è sempre qualche festicciola improvvisata a cui aggregarsi. Inoltre, il posto è estremamente romantico).
Torniamo tardi, dormiamo poco. Il mattino seguente siamo tutti in macchina, con qualche ora di sonno in meno, due o tre chili di carne in pancia in più ed una meravigliosa, selvaggia, sorprendente “fujtina” di Ferragosto alle spalle. Con Frank Sinatra a tutto volume, ché, abbiamo scoperto, sui tornanti di montagna è proprio l’ideale.