Tra dune ed Oceano

IN FUORI PISTA NEL PROFONDO SUD MAROCCHINO "Una nebbia fitta e pesante avvolge la nostra tenda in questa mattina umida . I teli della Air Camping sono fradici, e tutto ciò che sfioro è bagnato, qui nel Oued Assaka,100 km a sud di Ifni. Il vento che soffia dal mare porta l’eco del fragore delle onde, ed un’aria satura mi scende nei polmoni:...
Scritto da: RoboGabr''Aoun
Viaggiatori: in coppia
Spesa: 1000 €
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IN FUORI PISTA NEL PROFONDO SUD MAROCCHINO “Una nebbia fitta e pesante avvolge la nostra tenda in questa mattina umida . I teli della Air Camping sono fradici, e tutto ciò che sfioro è bagnato, qui nel Oued Assaka,100 km a sud di Ifni.

Il vento che soffia dal mare porta l’eco del fragore delle onde, ed un’aria satura mi scende nei polmoni: mi sembra di respirare acqua di mare.

Il precipizio sull’Assaka scompare inghiottito dalla nebbia, appena una ventina di metri più in là.

Il raglio di un asino viene da est, da questo mondo di ovatta impalpabile ed imperscrutabile. Ogni suono sembra soffuso, come in sordina. Persino le nostre voci appaiono smorzate, come se l’atmosfera fosse solida, fatta di muri invisibili.

Smontiamo il campo cercando di non disturbare il sonno non solo delle persone, ma del luogo stesso, ancora assopito sotto la coperta di questa foschia d’inverno.

Il crepitare del fuoco ci dona un mero sollievo quando tuffiamo le dita intirizzite tra le fiamme timide. Il tè scende in noi a ridare un po’ di tepore alle nostre membra ghiacciate mentre un sole pallido inizia a salire oltre le alture dalla parte di Bou Jariff. Anche Camilla, la mia 4×4, è assonnata: il suo cuore di metallo ci mette del tempo a trovare il giusto ritmo.Quando finalmente il ticchettio degli ingranaggi diviene un ritmico brontolio partiamo, dopo un ultimo saluto commovente, e diveniamo noi stessi di nebbia, scomparendo nella bruma della scogliera.

Conosco questa pista; ricordo i suoi colori di pastello autunnale, i suoi declivi armoniosi, le curve perfette delle anse dei suoi mille torrenti. Ricordo le geometrie fantasiose dei chilometri di muretti a secco a delimitare il nulla in un nulla ancor più vuoto, ricordo l’odore della polvere secca che fluttua nella pianura al nostro passaggio, il profumo intenso dei cespugli , il cielo striato di tutte le tinte dell’arcobaleno…Ma oggi guido come immerso in una dimensione senza prospettiva, cieca: non c’è nulla, non c’è orizzonte, non c’è nemmeno la polvere. Il cofano bianco dell’auto sembra la prua di un rompighiaccio e fende una nebbia tanto spessa che ne sento il peso, come se il cielo mi stesse schiacciando sulla terra. Gli ostacoli della pista emergono improvvisi di fronte alle ruote, troppo spesso inevitabili, ed il nostro procedere diviene angosciante, i nervi a fior di pelle, gli occhi doloranti nel tentativo futile di perforare l’invisibile. Scossone dopo scossone ci avviciniamo alla meta, immersi in un Oceano parallelo a quello reale e furioso che talvolta intravediamo, ebbro di potenza e furia indomita.

Pigio sulla leva del tergicristallo, infantile quanto inutile manovra per scacciare dal parabrezza una nebbia che nulla può sconfiggere…A lato del tracciato oltrepassiamo il marabutto di riferimento, annunciato dal cicalino del mio GPS, puntuale come un orologio: siamo a pochi chilometri da Ifni.

Oltrepassiamo l’ultimo oued sbucando di colpo in una pianura calda di sole.

L’incredulità mi blocca, mi fa inchiodare facendo mettere di traverso Camilla in una derapata di ghiaia fine. Ci fermiamo sulla pista e ci volgiamo indietro, verso sud; un muro grigio s’innalza possente alto fino al soffitto del cielo pochi metri dietro di noi, una barriera formidabile che scende dalle alture del Jebel fino alla scogliera, compatto.

Oltre il muro la pianura baciata da un sole allegro e caldo si crogiola pigra nell’aria tiepida del mattino. Laggiù, di fronte a noi, il grande porto di Ifni si sporge nel mare protetto dai suoi immensi cancelli di ferro, ai piedi dell’alto precipizio a picco sulle onde.

Più ad est la linea sottile della pista costeggia i piccoli steccati per gli animali, li supera, si arrampica sui declivi più dolci ai piedi del Jebel e s’insinua leggera nella macchia bianca del villaggio.

Avanziamo lenti tra le pietre, e le lamiere fradice dell’auto si ricoprono di terriccio, la polvere vi si incolla in un impasto denso , come d’argilla: Camilla è la caricatura di un PatroL quando le ruote toccano l’asfalto e saliamo verso le case, lungo la via che conduce al lungo porticato che forma il margine sud di Sidi Ifni.

E’ mattino inoltrato; sotto i portici ombrosi la città brulica di vita…I caffè sono ricolmi di persone ed il rumore dei veicoli in strada è un frastuono per noi, dopo così tanti giorni di silenzio e solitudine.

I raggi del sole strisciano sui pavimenti polverosi tra le colonne e gli archi disegnando giochi di luce sulle pareti imbiancate a calce, in un mosaico di chiaro – scuri.

In alto, verso le colline, la nebbia cinge le vette stondate dei picchi come una corona, perdendosi verso il mare in decine di strie vaporose che zebrato l’azzurro smorto del cielo.

Decine di occhi si voltano al nostro passaggio, sorridendo del manto di fango che ci ricopre: sembriamo dei marziani, con le piastre sul tetto, l’Air Camping incrostata di poltiglia color ocra.

Sfiliamo come un carrozzone da parata carnevalesca fino alla periferia nord della città.

Ci fermiamo in una piazzetta fuori mano, subito attorniati da un gruppetto di bimbi vocianti.

Scendiamo avviandoci ad un piccolo bar semi deserto, decisamente fuori mano, lasciandoci andare sulle seggiole di plastica sistemate alla meglio sul marciapiede a goderci questo insperato tepore che il sole ci regala.

Sì. Questo caffè fa decisamente pietà! Chissà poi perché quando in nord africa un occidentale etra in un bar anziché l’ottimo caffè lungo nel bicchierino di vetro che servono ai clienti locali gli propinano un espresso che sembra distillato di catrame! Proviamo a liberare la bocca dal gusto orribile che questo innominabile infuso ci ha lasciato con una Coca ma l’effetto è limitato nel tempo: occorrono diverse Coca a lenire il sapore d’asfalto che domina i nostri palati…Poco male; un altro po’ di bottigliette da riempire di sabbia da spargere per casa al nostro rientro, no?!? L’asfalto segue la costa frastagliata. Copriamo le poche decine di chilometri che ci separano da Mirleth in breve, rischiando più volte di finire fuori strada, persi nell’ammirare lo splendido paesaggio che questo tratto di litorale regala.

Il villaggio di Mirleth ci appare oltre la scoscesa spalla delle scogliere di Sidi Mohamed Ou Abdullah, abbarbicato a mezza costa, biancheggiante nel sole di mezzodì.

Il grande forte dai muri in terra battuta domina il villaggio, ricordo della dominazione Francese per fortuna dimenticata. I bastioni diroccati si ergono a simbolo della futilità del potere dell’uomo, frantumati in blocchi pericolanti, disseccati dal sole eterno ed impietoso.

Sul mare si apre la piccola spiaggia di Abdullah, con il bianco marabutto che ricorda al viandante che qui sostò il dromedario di questo uomo Santo dell’Islam.

Il sole è esattamente sulla nostra testa quando raggiungiamo il villaggio di Gourizim e possiamo abbandonare la statale per imboccare la sottile strada che taglia a mezza costa le scogliere che conducono ad Agadir.

Facciamo una manciata di chilometri resistendo alla tentazione di svoltare verso l’Oceano , lì ad appena due passi…Poi cediamo al richiamo e puntiamo le ruote a perpendicolo lungo una stretta carrareccia si sassi e sterpaglia, delimitata da bassi muretti di pietre candide…Ed ecco la sabbia, soffice ed infida, a tentar di imprigionare le ruote.Niente da fare, non mi intrappoli! E scendo giù verso la battigia attraverso un piccolo corridoio tra le dunette basse che preludono al bagnasciuga.

Ci fermiamo in leggera discesa, in modo da aver poi il giusto abbrivio per ripartire; il mare è a meno di 50 metri, la superficie inarcata da milioni di onde possenti. I pennacchi bianchi delle creste d’onda rotte dal vento colorano l’intero arco dell’orizzonte, mentre i secchi cespugli della riva scrocchiano in una cantilena sommessa sotto la sferza di Al Bahari.

Pranziamo qui, tra le dune, in silenzio, ammirando il grande Oceano che catapulta i nostri pensieri e le nostre emozioni lontano, oltre sogni ancor più grandi, troppo grandi da poter essere tradotti in parole.

La strada sopra di noi è deserta: siamo assolutamente soli . I capelli mi frustano il viso e la sabbia scricchiola sotto i denti insieme al pane: sono in un attimo ricoperto di sabbia bianca, tanto da sembrare una immensa cotoletta impanata! Scendiamo a piedi fino al limite della risacca, avanzando quando l’acqua viene risucchiata al mare e fuggendo quando l’onda invece la spinge in su, verso le dune…Vaghiamo in cerca di conchiglie; ve ne sono a centinaia, di tutte le forme e colori, integre e lucenti oppure levigate e stranamente cesellate da anni di attrito su altre conchiglie…Ne riempiamo interi barattoli, chiamandoci a gran voce ad ogni nuova scoperta; sfioriamo con le mani l’acqua gelida dell’Atlantico, consapevoli della sua grandezza, della sua potenza…L’Oceano è come il deserto: Sentiamo, su questa spiaggia desolata e meravigliosa, il profondo legame che lega questa distesa in movimento a quella che tanto amiamo, muta ed immobile di onde sabbiose : sono entità simili ed egualmente profonde, ricche di misticismo. In fondo il deserto è un mare, ed il mare è a sua volta un deserto…Non sono che due espressioni dello stesso immenso. Il fronte delle dune lascia libera una spianata larga una trentina di metri di sabbia bianca e sottile; poco più avanti i cavalloni si schiantano con violenza sulla linea scura del litorale.

Scendiamo? E certo che scendiamo! E via di corsa per arrivare per primi alla macchina…Sgonfiamo le gomme a occhio, senza curarci di controllare la pressione con rigore: l’esperienza aiuta a valutare il giusto “spanciamento” …Via, si parte! Muso a perpendicolo verso il mare lungo la leggera discesa di quest’ultima duna, poi Camilla svolta verso nord, parallela alla costa, sollevando nella curva una pioggia di sabbia che ricade a cascata come l’ombrello colorato di un fuoco d’artificio.

Mi avvicino alla battigia, alla ricerca della sabbia più dura del bagnasciuga. L’Oceano mi è amico e sembra diminuire la sua furia, lasciando libera una fascia di terreno umido, duro come il cemento.

Corriamo a perdifiato, ebbri di adrenalina, con il cuore che pompa sabbia nelle vene… I moli di Ifedail sono solo un intervallo; un paio di chilometri sull’asfalto per poi rituffarci lungo il mare in una cavalcata di 20 chilometri che ci fa sentire bambini. Ma bambini felici… Il mare scherza con noi, gettando le sue dita gelide a tagliarci il cammino. Appoggiamo all’interno assecondando l’onda per poi ritornare sul bagnasciuga in una danza ritmica ed appassionata.

Filo come un treno, con il motore al limite dei fuori giri con le marce corte, ma questa macchina non si stanca mai. Le parlo, la incito, urlo come un ossesso quando la sento scodinzolare nelle buche di sabbia più morbida ed il piede spinge un acceleratore che è già al massimo e più giù non può andare…La tonalità del motore scende e sale, pare morire per poi riprendersi in uno sbuffo rabbioso e la sabbia vola sul cofano catapultata dalle ruote anteriori che s’impennano.

E’ un terremoto d’emozioni che mi vince, mi cattura, mi plasma.

Il piccolo borgo di Agou Plage ammicca davanti a noi, come il vessillo a scacchi bianchi e neri di un traguardo…Affrontiamo una piccola duna, ultimo saluto di questo meraviglioso Sud, e ritorniamo sull’asfalto qualche centinaio di metri prima di raggiungere il paese.

La strada lo lambisce da est, una manciata di case distese sul litorale come un arco scomposto… Un paio di uomini ci salutano con ampi gesti da una strada laggiù in basso mentre passiamo sotto la grande falesia che incombe sull’abitato.

Avanziamo fino ad un piccolo molo e scendiamo dall’auto. Ci volgiamo a sud, a rubare ancora una manciata di dune con lo sguardo, ad immortalare nella mente l’arco infinito della costa di sabbia bianca che si perde nella foschia dell’orizzonte, verso Ifni, verso Assaka, verso Tan Tan… C’è un groppo che mi chiude la gola…E’ tempo di andare. Getto nell’aria una manciata di granelli.

L’aria me li rigetta contro in una pioggia impalpabile; è destino, penso sorridendo: la sabbia è in me, dicono…Pare sia vero.” RoboGabr’Aoun APPENDICE: LE PISTE DEI PESCATORI Tutta la costa Atlantica è solcata da una sottile trama di rotabili che conducono al mare: l’intera linea costiera viene sfruttata per l’abbindanza di pescato che queste acque offrono.

In particolar modo il tratto di costa che da Sidi Ifni giunge sino alla lontana Tan Tan Plage è rinomato per la ricchezza della popolazione ittica non solo in mare aperto ma anche sotto costa.

Questa caratteristica ha dato vita allo sviluppo di un’attività di pesca parallela a quella svolta dai grandi pescherecci, che consiste nella pesca da terra, praticata da abili ed instancabili specialisti della canna.

Specialmente in inverno, quando le condizioni del mare rendono rischiosa la navigazione dei piccoli pescherecci, i pescatori da terra vedono salire la richiesta di pescato in maniera esponenziale ed il lavoro diviene frenetico.

Anche in estate tale attività prosegue con ritmi solo leggermente più bassi, ed ultimamente in alcune zone particolarmente ricche di fauna ittica rivierasca, si sta sviluppando una nuova forma di turismo, legata principalmente a questo tipo di sport, appunto la pesca oceanica da terra.

Il grande numero di tratte che conducono al mare confluisce in una pista principale che segue la frastagliata linea di costa da Ifni fino alla foce del Draa. Da essa piste minori conducono alle spiagge ed alle scogliere più fruttuose, nei pressi delle quali sorgono i capanni dove i pescatori ripongono gli attrezzi da pesca.

Il dedalo di piste che disegna un reticolo disordinato tra Agou Plage e Tan Tan è la via attraverso cui il pescato viene indirizzato alla volta dei mercati delle città dell’entro terra, prima tra tutte Guelmine. Coorti di vecchie Santana ( modelli di Land Rover costruiti in delega dall’Azienda Spagnola di Santa Ana e da essa marchiati) solcano l’area desertica che prelude al mare, facendo la spola tra i mercati e i centri di raccolta dei pescatori.

Ogni zona della costa viene suddivisa in settori, ed ad ogni settore corrisponde un punto di raccolta della produzione giornaliera; in questi centri si trovano delle primitive celle frigorifere, i “frigò”, dei vecchi frigoriferi o vetusti congelatori colmati di ghiaccio e collocati in stanze buie in molti casi scavate direttamente nella pietra tufacea della scogliera.

L’assoluta mancanza di qualsiasi forma di elettricità, se non tramite grandi generatori a combustibile, rende indispensabile il ritiro giornaliero del pescato da parte dei venditori dei mercati, che si preoccupano di fornire ai centri di raccolto un appropriato approvvigionamento di ghiaccio per garantire una pur breve conservazione.

Due tra i maggiori centri di raccolta\smistamento del pesce in questa regione sono Foum Assaka e Foum Areora. A Foum Assaka la raccolta viene effettuata dalla famiglia Shriki, ed il loro dahar è provvisto di “frigò”. Presso Foum Areora l’area del Forte Francese viene utilizzata come base\abitazione nel periodo estivo, ed alcuni frigò sono posti nei capanni impiantati al bordo della scogliera, sull’imbocco dei sentieri che scendono alla falce sabbiosa della foce di Areora.

Anche la tratta di dune che proviene da Foum Draa è percorsa dai Santana: è uno spettacolo curioso vedere queste vecchie carrette arrancare fumando sui fianchi dei banchi sabbiosi, caracollanti eppure inarrestabili… A Guelmine, a Ifni ed a Tan Tan il pescato viene caricato sui mezzi pesanti, dotati di frigoriferi ( ma alcuni di essi sono semplicemente dei centinati colmati di ghiaccio, sorta di frigò su ruote), dove prende la via dell’interno e del nord.



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