Tra aragoste e grattacieli

Diario del viaggio nel New England Luc, MG e Marco 8-22 Agosto 1998 Premessa L'idea del viaggio in New England e' venuta a poco a poco. Intanto c'erano due biglietti omaggio transcontinentali dell'Alitalia da utilizzare prima che scadessero. Poi la necessità di programmare un viaggetto sfizioso, ma che non richiedesse più di un paio di...
Scritto da: sidecarural
tra aragoste e grattacieli
Partenza il: 08/08/1998
Ritorno il: 22/08/1998
Viaggiatori: fino a 6
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Diario del viaggio nel New England Luc, MG e Marco 8-22 Agosto 1998 Premessa L’idea del viaggio in New England e’ venuta a poco a poco. Intanto c’erano due biglietti omaggio transcontinentali dell’Alitalia da utilizzare prima che scadessero. Poi la necessità di programmare un viaggetto sfizioso, ma che non richiedesse più di un paio di settimane, per impegni di lavoro: insomma, la traversata dell’Amazonia, o la scoperta dell’Australia, dovranno essere rimandati ad un’altra volta. E poi la voglia di USA che si rifa’ prepotentemente viva. Ora, da un’attenta analisi della carta geografica degli States, è emerso chiaramente che un’area finora un po’ trascurata nei nostri precedenti viaggi in America era proprio quella nel Nord Est, o più precisamente del New England. Una volta presa la decisione di riparare a questa mancanza, siamo passati velocemente alla definizione dei dettagli del viaggio: inizieremo da Boston, città ricca di spunti interessanti (la saga dei Padri Pellegrini, i primi insediamenti nel nuovo mondo, la rivoluzione e la dichiarazione di indipendenza…), poi punteremo a Nord, verso il Maine, fino al Parco Nazionale di Acadia. Quindi di nuovo a Sud, per qualche giorno di meritato relax sulle spiagge di Cape Cod, a rimpinzarci di aragoste e crostacei. Ed infine, dopo una veloce tappa nel Connecticut, gran finale nell’apoteosi di New York. Non ci resta che passare senz’altro alla descrizione delle nostre avventure.

8 Agosto, sabato Il viaggio di andata e’ senza storia: preparati i (leggeri) bagagli, voliamo a Roma dove ci imbarchiamo sul Boeing 767 che – dopo 8 ore di viaggio – ci scodella nel caldo pomeriggio di Boston. Facciamo un po’ di confusione con il bus che dovrebbe portarci al metro’, e invece…Ci riporta, dopo un giretto dell’aeroporto, esattamente al punto di partenza. Rinunciamo a capirci qualcosa e prendiamo senz’altro un taxi, ed in una decina di minuti siamo al nostro hotel, lo Sheraton Boston. Un breve riposino, e siamo già in pista per trovare un posticino dove cenare. L’hotel fa parte di un grosso centro commerciale, con negozi e ristoranti in quantità. Prenotiamo un tavolo in un posto rinomato per il pesce: il nome del locale è “Pesce Legale”, sottintendendo che il pesce o è freschissimo, o è illegale servirlo! Purtroppo, ci vorrà più di un’ora prima che il nostro tavolo si liberi. Così, dopo un giretto nei dintorni, adocchiamo la solita ‘Food Court’, le comode bancarelle con cibo di tutti i generi, e decidiamo di rimandare a domani il pesce legale, e di concederci un più veloce spuntino a base di cucina ‘cajun’ (il cibo piccante e saporito del sud degli USA). Completiamo la cena con un succo di frutta gustoso e vitaminico. Una vaga sensazione di stanchezza comincia a farsi sentire, così nel giro di pochi minuti siamo già ben addormentati nella nostra spaziosa e fresca camera.

9 agosto – domenica C’è un bellissimo sole e il cielo è blu, la giornata ideale per partire alla scoperta di Boston! Per darci la giusta carica per iniziare la giornata torniamo al centro commerciale vicino al nostro albergo e facciamo colazione con yogurt, dolcetti buonissimi e cappuccino. Per oggi abbiamo in programma di percorrere il “freedom trail”, il sentiero della libertà; e` un percorso di circa quattro chilometri che consente di vedere gli edifici storici più famosi della città, e di familiarizzarsi con la saga dei primi colonizzatori, e della rivoluzione degli Stati Uniti dal giogo inglese. Per raggiungere il punto di partenza del nostro giro prendiamo il metrò, un buffissimo tram sotterraneo che in pochi minuti ci porta al parco centrale di Boston (detto anche ‘common’, un largo spiazzo alberato dove si svolgeva la vita sociale ai tempi dei pionieri); qui inizia il percorso che e’ chiaramente segnalato da una riga rossa, tracciata sul marciapiede. Girovaghiamo per il ‘common’, poi visitiamo un’antica chiesa protestante, che fu testimone delle ardite gesta dei pionieri e della rivoluzione contro gli inglesi. All’ingresso in chiesa, veniamo cordialmente salutati dal prevosto e dalla pia moglie. Poi visitiamo l’antico cimitero annesso alla chiesa. Qui è sepolto P. Revere, l’eroe dell’epoca dei pionieri. Indugiamo a leggere le lapidi dei defunti. Moltissimi morivano molto giovani, prima dei 30 anni. Solo poche lapidi si riferiscono a persone morte in vecchiaia. Dovevano essere tempi duri…

Proseguiamo il nostro giro. Ci fermiamo a riposare per una mezz’oretta in una libreria. Le librerie, qui in USA, sono un rifugio sicuro: fresche, grandissime, con un bar interno per una bibita o un caffè, poltrone e sedie dovunque, sulle quali ci si siede per leggere i libri e le riviste esposte, e decidere con calma se procedere o meno all’acquisto. Poi riprendiamo la via. In pochi minuti raggiungiamo il Faneuille Market Place, un bel quartiere che riprende l’atmosfera di un vecchio mercato del secolo scorso: negozi, giardini, artisti di strada, ristoranti di tutti i tipi. Girovaghiamo per i negozi, e procediamo anche a qualche acquisto. Poi decidiamo di mangiare qualcosa, e ci accomodiamo al bancone di un ristorantino specializzato in aragoste. Il cuoco pesca con una retina tre paffute aragoste da una vasca, nella quale gli animali sgambettano allegri, ed inconsapevoli del loro infausto destino. Tosto i crostacei vengono immersi in un pentolone di acqua bollente, nel quale rimangono a cuocere per qualche minuto. Intanto l’addetto ha preparato tre vaschette in plastica, con una scodellina di burro fuso, una lunga forchettina, ed una salvietta pulisci dita. Finalmente le tre aragoste vengono pescate dalla pentolona: con abili gesta ed aiutandosi con un coltellaccio, l’esperto aragostiere taglia la testa all’animale, ne divide in due il corpo mettendo cosi’ a nudo la morbida, dolce polpa, e spezza le grosse chele, anch’esse piene di carne bianco-rosata. Eccoci alle prese con il piatto prelibato: aiutandoci con la forchetta, si acchiappa un pezzo di polpa, lo si tuffa nel burro fuso, e lo si mangia, tra mugolii da ghiottoni. Una prelibatezza !! Completiamo il pranzo con un frullato di frutta tropicale, che gustiamo mentre assistiamo al simpatico spettacolino di un ‘artista da strada’ sulla piazzetta.

Gambe in spalla, riprendiamo il nostro giro. Sempre seguendo la traccia rossa sul marciapiede, arriviamo al quartiere di ‘North End’, popolato da italiani. Decine e decine di ristoranti, negozi di gastronomia, nomi italiani dappertutto. Il quartiere e’ piacevole, belle case inizio secolo in mattoni, ed una simpatica atmosfera. Giunti in prossimità di una chiesa , ci capita di assistere ad un tipico matrimonio italo-americano: quattro ‘limousines’ bianche, lunghe una ventina di metri, sono parcheggiate fuori dalla chiesa ed attendono gli sposi e le damigelle. Queste ultime sono dieci ragazzotte bene in carne, voluttuosamente fasciate in abiti di raso verde che mettono doverosamente in risalto copiosi e sobbalzanti rotoli di ciccia. La sposa – in abito bianco con strascico chilometrico, ricco di pizzi – si trastulla con una coppa di spumante caldo, che i gallonati autisti delle limousines hanno stappato dopo che era stato lasciato a riposare per un’oretta, in bella mostra sul cofano bollente delle macchinone. Lo sposo è un tipo grande e grosso, espressione da serial killer (si mormora che sia reduce da lustri di soggiorno forzato nelle patrie galere), con baffoni e barba incolta, vagamente a disagio nello smoking evidentemente preso a noleggio; l’uomo osserva quanto accade attorno a lui senza tradire particolari emozioni. Finalmente le corpute damigelle riescono, non si sa come, a stiparsi tutte assieme nella macchinona di testa, ed il corteo può partire, tra le lacrime di commozione di grasse mamme e vecchie zie.

Proseguiamo la nostra passeggiata. Visitiamo la vecchia casa dove visse l’eroe Paul Revere, poi attraversiamo una ombrosa piazzetta con una statua equestre dell’eroe, e ci godiamo una fresca limonata preparata al momento presso un baracchino. Poi, gambe in spalla, ci cammelliamo un altro paio di miglia, attraversando un ponte di ferro sulla baia, fino al molo dove e’ ormeggiata la USS Constitution, la prima nave da guerra degli Stati Uniti (costruita alla fine del ‘700), tuttora in servizio. Visitiamo il ponte maestro, ammiriamo i possenti cannoni, ascoltiamo le spiegazioni dei marinai. Poi visitiamo l’annesso museo. Dopo un’oretta, ci rendiamo conto che siamo in giro da oltre 10 ore, e una vaga sensazione di stanchezza comincia a farsi sentire. Così riattraversiamo il ponte, acchiappiamo il tram-metro e rientriamo in albergo. Mentre Luc si dedica a pacate riflessioni ed a tranquille letture, Marco e MG si concedono un tuffo in piscina e – già che ci sono … – un po’ di esercizio fisico sulla cyclette. Poi, affamati, puntiamo decisi verso il ristorante di pesce “Legal sea food” (pesce legale). Una breve attesa, e siamo finalmente ammessi al tempio del pesce fresco di Boston. Dopo sommessi conciliaboli, optiamo per 2 calde e ricche “clam chowders” (zuppe di pesce alla maniera locale) per proseguire con “blue fish” alla mostarda e “haddock” fritto. Per Marco, il piatto del giovane nostromo (fritto misto). Durante la cena, abbiamo il privilegio di assistere al pasto di una coppia di locali. Lui e’ certamente un agente delle assicurazioni dal mediocre passato e dall’incerto avvenire: piccolo, con occhiali e baffetti. Lei è una specie di Moby Dick, sui duecento chili, con la ciccia che traborda da tutte le parti. Ebbene, la coppietta si è fatta fuori quattro portate di pesce, accompagnate da abbondanti libagioni di birrone gelate, ed ha completato il pasto con due enormi coppe di gelato dai colori inquietanti, annegato nella panna. Raramente ci e’ capitato di vedere una grassona mangiare tanto!!! E` stata una lunga giornata ed i nostri eroi si sono meritati una bella dormita.

10 agosto – lunedì La giornata oggi prevede la visita al famoso acquario di Boston, che raggiungiamo con il buffo tram-metrò. Siamo accolti da un folto gruppo di pinguini che nuotano allegri e giocano sulle rocce con dei piccoli sassi, mentre una giovane guida racconta le loro gesta.

L’acquario si sviluppa lungo un percorso a spirale che gira attorno ad una enorme vasca centrale, alta molti metri e larga altrettanto, dove nuotano oltre 600 diversi pesci, tra cui famelici squali, centenarie tartarughe, argentei tonni. Attorno alla vascona si aprono numerose vasche più piccole, con la riproduzione dei più svariati habitat marini. La visita si protrae per tutta la mattina, con nostra piena soddisfazione. Poi ci trasferiamo a Faneuil Place, e mangiamo ai ristorantini: Marco si rimpinza di ali di pollo di clamorose proporzioni, Luc si abbuffa di “chicken teriyaki” alla giapponese, MG si satolla con ‘clam chowder’. Dopo pranzo, decidiamo di dedicarci alla tranquilla visita del quartiere ‘in’ di Boston, Beacon Hill: splendide case in mattoni del ‘700-‘800, lampioni a gas, viuzze, giardinetti, una atmosfera tranquilla e rilassata, poca gente in giro. In diverse case sono in corso lavori di ristrutturazione. Sbirciamo alle finestre di alcune delle magioni, scoprendo caminetti, soffitti a cassettoni, mobilio d’epoca. Ci riposiamo in un caffè, sorseggiando un cappuccino gelato. Sono ormai quasi le 18: e’ tempo di dirigerci alla Hertz, per ritirare la nostra auto a noleggio. Entriamo cosi’ in possesso della nostra sovradimensionata, iperaccessoriata Chevrolet Malibu, dotata di ogni servocomando esistente, e perfino di alcuni ancora da inventare. Così automuniti, ci dirigiamo al di la’ del fiume, verso il quartiere di Harvard, vera culla del sapere e della scienza con la sua famosissima università, per tacere dell’attiguo Massachussets Institute of Technology, il mitico MIT, dove insegnano i più famosi scienziati e premi Nobel. Ci aggiriamo tra i vari istituti, dai nomi che incutono un timoroso rispetto (“Institute of Cybernetic”, “Institute of Applied Thermo-Fluidodynamic”, “Institute of Geophysics”, e via cosi’). Spieghiamo a Marco che in queste università c’è la più alta concentrazione di cervelloni del mondo, e gli prospettiamo un futuro da scienziato d queste parti, se farà il bravo. Vedremo…

Per cena optiamo per un angusto ristorantino indiano, del quale la nostra guida dice un gran bene, raccomandando di non farsi scoraggiare dall’ambiente, piuttosto squallido e poco illuminato. Scelta azzeccata: la cena è eccellente, piccante al punto giusto. Facciamo fuori, senza farci pregare troppo, due belle zuppone, ‘Chicken tikka’ (pollo arrosto alle spezie), agnello agli aromi, e pollo al sugo piccante, più riso e pane all’aglio quanto basta. Eccellente, ed economicissimo.

Siamo stanchi, dobbiamo confessarlo, ma non riusciamo a rinunciare ad un tuffo nella bella piscina dell’hotel, e ad una lessatina nella jacuzzi bollente. Poi a nanna. 11 agosto – martedì Salutiamo Boston sotto un cielo grigio che non promette nulla di buono, e ci dirigiamo a Nord, lungo la strada n.1 (US 1). Attraversiamo belle zone boscose, costellate da splendide case di campagna; la gente, da queste parti, e’ piuttosto ricca. Verso mezzogiorno arriviamo a Portmouth, graziosa cittadina di mare. Passeggiamo per il centro, ammirando i negozi. Poi mangiamo in un ristorantino messicano, prima di rimetterci in viaggio. Piove ad intermittenza. Quando finalmente arriviamo a Freeport, piove a dirotto, ma non ci scoraggiamo: abbiamo raggiunto una delle mete ‘strategiche’ del nostro viaggio, e presto si capirà perché. Prendiamo alloggio presso un motel, e ci apprestiamo ad iniziare le ostilità. Bisogna sapere che Freeport era, fino all’inizio del secolo, solo un tranquillo villaggio prossimo all’oceano. Poi il signor L.L.Bean ha inventato un paio di scarpe impermeabili, specialmente indicate per la caccia alle anatre e le passeggiate nella brughiera, ed ha iniziato a venderle per corrispondenza. Dal piccolo paesino del Maine, le scarpe di L.L. Bean venivano spedite in tutto il mondo. Presto alle scarpe si sono aggiunti altri articoli di vestiario, accessori per la caccia ed il tempo libero, e quello di L.L. Bean e’ diventato un impero delle vendite per corrispondenza, con milioni di cataloghi spediti dovunque. Anche noi, da Milano, abbiamo comperato diversi articoli della L.L. Bean, apprezzandone la qualità ed il buon prezzo. Qui a Freeport e’ aperto, proprio al centro del paesino, un enorme emporio della L.L. Bean, e la gente viene da tutti gli angoli degli States, e dal vicino Canada, per fare shopping. In breve, all’emporio della L.L Bean si sono aggiunti moltissimi altri negozi delle marche più rinomate, che qui offrono i loro articoli a prezzi scontati. Contrariamente a quanto ci si sarebbe potuti aspettare, il paesino non ha perso la sua piacevolissima atmosfera di inizio secolo: i negozi sono ricavati nelle vecchie case di legno, elegantemente ristrutturate, e la ‘Main Street’ (la strada principale) e’ assai animata sino a tarda ora (l’emporio L.L. Bean e’ aperto tutti i giorni dell’anno, e per 24 ore al giorno !! Si può fare shopping alle 4 del mattino, volendo). La nostra visita a L.L. Bean e’ stata freddamente programmata da mesi: con precisa determinazione, abbiamo lasciato ampi spazi vuoti nel nostro guardaroba, che ora verranno adeguatamente riempiti. Inizia alla grande Luc, che fa incetta delle rinomate camicie di Bean, e dei comodissimi pantaloni. MG si limita, per ora, a un paio di shorts molto sexy. Comunque, quando portiamo il nostro carrellone alla cassa per pagare, il commesso si complimenta con noi: il nostro e’ il più grosso conto della giornata! Riprendiamo fiato con un panino ed una coca da Arbey’s. Poi passeggiamo un po’ per il paese, programmando il piano per la ripresa delle attività, domani mattina.

12 agosto – mercoledì Piove a dirotto: condizione ideale per dedicarsi allo shopping a Freeport! Per cominciare, ci fermiamo in un grande emporio della Samsonite, dietro l’angolo del nostro motel, e ci comperiamo una valigia con rotelle, indispensabile per stipare le cose comprate ieri, e soprattutto quelle che acquisteremo oggi. Tra l’altro, i prezzi delle valigie sono convenientissimi! Poi, parcheggiata la macchina in posizione strategica, iniziamo ad esplorare il negozione della Levi’s, ed acquistiamo jeans per Luc e MG a prezzi stracciati. Poi passiamo all’emporio della Timberland: scarpe per MG e Luc a prezzi di saldo, ed anche un paio di bei giacconi impermeabili. Il negozio di Polo Ralph Lauren e’ l’ideale per magliette e T-shirts, e MG ne approfitta. Poi passiamo a far rifornimento di mutande e calzini da Calvin Klein. Gradevole intervallo per il pranzo in un fast food di pesce: clam chowder, panini all’aragosta ed al granchio, fish and chips. E finalmente, da GAP Kids, per accontentare Marco (un po’ trascurato, finora) e per qualche ulteriore acquisto in zona Cesarini per MG. Abbiamo riempito il baule della macchina di sacchi, pacchetti e scatoloni (vedasi istantanea), e siamo molto soddisfatti. La nostra visita a Freeport resterà memorabile !! Riprendiamo la via verso nord, lungo la US 1. Attraversiamo bei paesini, ammiriamo lussuose magioni che si affacciano sull’oceano. Ha smesso di piovere, il traffico e’ moderato, ma la strada non e’ larghissima ed e’ abbastanza ricca di curve, così se ci si piazza davanti un lumacone passano miglia e miglia prima di poterlo superare. Finalmente arriviamo a Bangor, qui abbandoniamo la costa e ci portiamo sulla penisola di Acadia. Ancora una ventina di miglia, ed eccoci a Bar Harbor, la nostra meta per oggi e domani. Rintracciamo subito il nostro Days Inn, scarichiamo armi e bagagli e, ripreso fiato per pochi minuti, riprendiamo la macchina per andare a cena. Bar Harbor è una piacevolissima cittadina, la zona centrale e’ ricca di bei negozi, ristoranti e bar. Per cena scegliamo il “West Street café” , ed optiamo senza esitazioni per tre menù a base di aragosta. Prima ci servono la classica clam chowder, e subito dopo arrivano i tre graziosi animaletti bolliti a puntino. Veniamo muniti di una sorta di schiaccia noci, con il quale – dopo qualche esitazione iniziale – impariamo a frantumare la corazza del crostaceo e mettiamo a nudo la gustosa polpa. Terminiamo l’ottima cena con tre fette esagerate di tradizionale torta al mirtillo. Poi, esausti, crolliamo addormentati.

13 agosto – giovedi.

La giornata è splendida, straordinariamente limpida dopo la pioggia di ieri. Per iniziare facciamo una eccellente colazione presso una pasticceria con tavolini all’aperto in giardino. Poi, presa la macchina, iniziamo ad addentrarci nell’Acadia National Park. Una sosta al Visitor Center per raccogliere cartine e informazioni, e già ci inerpichiamo lungo la “Park Loop” , la strada panoramica che da accesso ai punti più spettacolari del parco. Ogni tanto ci fermiamo ad ammirare lo straordinario panorama: sotto di noi, la costa frastagliata, le isole che fronteggiano la cittadina di Bar Harbor e – oltre la baia – l’oceano spumeggiante. Proseguiamo per alcune miglia fino a quando, sulla nostra sinistra, si apre una splendida baia con una spiaggia. Parcheggiamo l’auto e dopo una breve passeggiata siamo sul posto. Proviamo la temperatura dell’acqua: Gasp! E’ gelata, saranno al massimo 7-8 gradi. Rinunciamo senz’altro ad un gelido bagno, ed optiamo per una tranquilla passeggiata sulla spiaggia. Marco e MG cercano conchiglie e sassi dalle strane forme, mentre Luc si gode la brezza ed ammira l’intrigante spumeggiare dell’oceano. Dopo un’oretta di ozio, decidiamo che e’ ora di proseguire: siamo solo all’inizio del nostro giro! Tornati in macchina ci mangiamo un pacchetto di patatine all’aceto e qualche frutto, che costituiranno il nostro pranzo per oggi (nonostante le vibrate e ferme proteste di Junior). Verso le 14, arriviamo allo scenografico lago di Jordan Pond, splendidamente coronato da boschi e montagne. Dopo una breve visita al locale rifugio, ci incamminiamo lungo il sentiero che, in circa 5 chilometri, fa il periplo del lago. Tornati al rifugio ci accoccoliamo sul prato per una mezz’oretta di riposo e meditazione, ammirando lo splendido paesaggio. Poi di nuovo in marcia; una strada panoramica tra i boschi ci porta sulla cima del monte Cadillac, il punto più alto e più panoramico del parco. La vista da quassù è straordinaria, e spazia dai laghi dell’entroterra, alle isole della costa, all’oceano aperto. La giornata, come detto, è eccezionalmente limpida, e la vista spazia per decine di chilometri, quasi fossimo su un aereo o davanti ad un gigantesco plastico. Saziata la vista e lo spirito, ci incamminiamo finalmente verso il motel. Dopo una breve sosta per ricaricare le pile, siamo nuovamente in pista: ci attende un ristorante sul molo, a Bar Harbor, per un’altra cena a base di pesce (linguine all’astice ed all’aglio – del quale serberemo sentore per alcuni giorni – per Marco, fritto misto per Luc e aragosta per MG). Poi di filato a nanna.

14 agosto – venerdì Salpiamo da Bar Harbor, dopo aver fatto provviste per il pranzo presso un superpercatone. Ci attende una discreta trottata, oltre 600 km, ma la strada è ottima, l’atmosfera piacevole, la macchina silenziosa, soffice e burrosa, e abbiamo tutto il tempo che ci serve. Imbocchiamo la US 1 verso Sud, poi optiamo per la 95, una strada più tranquilla, che si addentra nella rigogliosa campagna. Nel primo pomeriggio giungiamo nei pressi di Marblehead, lussuosa località di villeggiatura poco distante da Boston, nei pressi di Salem (famosa per i suoi truculenti processi alle streghe, alcuni secoli orsono). Ci fermiamo su un promontorio, ad ammirare l’oceano e le numerose vele. Poi facciamo un breve giro della cittadina, nota per le sue ville, in puro stile New England, che si segnalano tra le più eleganti della regione. La fama e’ meritata: ville splendide, parchi secolari, viali alberati, giardini fioriti, prati all’inglese regolati con la forbicina…

E’ tempo di proseguire: prendiamo una specie di tangenziale di Boston, dirigendoci verso Sud. Dopo alcune miglia, il traffico si ispessisce (siamo nell’ora di punta, e per giunta è venerdì). Facciamo un’oretta di coda prima di immetterci sulla US 6, che ci porterà a Cape Cod, la lunga penisola sabbiosa a forma di coda di scorpione che si allunga nell’Oceano Atlantico, raffinata meta di vacanza dell’intellighenzia bostoniana (compresa la famiglia Kennedy). Quivi giunti (e’ ormai l’imbrunire), seguendo le chiare istruzioni ricevute via Internet giungiamo al nostro hotel: e’ immerso in un bellissimo campo di golf, e circondato dalla pineta. Ottimo ! Ci sistemiamo in camera (spaziosa, con un bel balcone sul campo di golf), e poco dopo siamo di nuovo in pista, alla ricerca di un posto per la cena. Ora, Cape Cod (ed in particolare la zona di Yarmouth e di Dennis, dove ci troviamo) e’ un dedalo di stradine nel bosco, fiancheggiate da belle ville; si fa presto a perdersi, specie di notte, ed in mancanza di una piantina dettagliata (dovremo comperarla senz’altro domani…). Così, dopo un po’, siamo completamente persi. Poco male, in qualche modo ritroveremo la via di casa. Per il momento, ci fermiamo in un ristorante affollato, e pasteggiamo allegramente a ‘fish and chips’ (pesce fritto e patatine). Poi ci rimettiamo in strada, cercando – per quanto possibile – di ripercorrere a ritroso la strada fatta fin qui: impresa non semplice, i nostri ricordi risultano nebulosi e contrastanti, complici le tenebre che rendono le stradine tutte simili tra loro. Ad un tratto, quando pensavamo di avere il nostro hotel da qualche parte alla nostra sinistra, oltrepassiamo un segnale stradale che lo indica proprio li, alla nostra destra. Una frenata repentina, una audace inversione ad U nella notte, e siamo finalmente sulla via di casa, sani e salvi. Non ci resta che rincantucciarci sotto le coperte. 15 agosto – sabato Tempo nuvoloso. Ci dirigiamo, guidandoci con la posizione del sole (quando c’è) verso la strada 6A, segnalata dalla nostra guida come la più panoramica e piacevole. E così è: la bella via, ricca di curve e immersa nel bosco, è ininterrottamente fiancheggiata da belle ville e locande fiorite. Per passare il tempo ci divertiamo a dare un voto alle case più belle. Arriviamo cosi’ a Sandwich, graziosa cittadina raccolta attorno ad un laghetto, con tanto di mulino ad acqua, ed alla bianchissima chiesa. In un emporio poco distante comperiamo finalmente una piantina super dettagliata della zona, che ci consentirà di orientarci a dovere. Proseguendo lungo una stradina panoramica arriviamo a Heritage Plantation, una sorta di strano museo immerso in un parco secolare dove un eclettico riccone ha raccolto interessanti vestigia del passato. Visitiamo cosi’ una pregevole raccolta di auto storiche, lustre e luccicanti come appena uscite dalla fabbrica. Facciamo uno spuntino sotto una quercia ed un riposino contemplativo su una panchina in mezzo al parco. Poi e’ la volta della visita ad una raccolta di memorabilia militari: pistole, fucili dei tempi dei cow boy, uniformi, bandiere, diorama. Una breve passeggiata nel parco e siamo nell’ultimo padiglione del museo che ospita una interessante quanto inusuale mostra di … Pietre tombali provenienti dai cimiteri della zona e risalenti ai primi decenni della colonizzazione. Dalle iscrizioni incise sulle pietre si puo’ risalire ad interessanti aspetti della vita di quell’epoca. Marco e` particolarmente interessato alle incisioni di teschi, tibie ed altre amenità. L’ultima ala di questo padiglione e` occupata da una antica giostra a cavallucci, risalente al secolo scorso e perfettamente restaurata. MG non resiste alla tentazione di farci un giro, mentre i due maschietti la osservano con palese disapprovazione.

La visita a questo particolarissimo museo e’ finita. Riprendiamo l’auto e ci dirigiamo verso la spiaggia di Sandwich. E’ enorme, semi deserta, con le case di legno dei villeggianti riparate dietro le dune. Ci riposiamo per una mezz’oretta, cullati dal rumore delle onde dell’oceano. Indi torniamo verso Yarmouth, e ci concediamo una sosta sguazzando in piscina e rilassandoci nella bollente jacuzzi. Poi si tratta di decidere dove andare a cena. La nostra guida raccomanda un bizzarro ristorante, fatto a forma di nave, lungo la strada 28, dove si mangia la migliore aragosta della zona. Non ce lo facciamo ripetere due volte: rintracciato facilmente il posto (con la nostra cartina, e’ tutta un’altra cosa orientarsi tra le stradine…), ci mettiamo in nota per un tavolo e, in attesa che si liberi, beviamo qualcosa al bar. Il ristorante e’ davvero strambo, tipicamente ‘yankee’ e ‘kitch’, ma l’ambiente e’ simpatico (anche se buio…). Dopo quasi un’ora, veniamo chiamati al nostro tavolo. Ordiniamo, senza perdere tempo, il super-piatto del pescatore (con aragosta ed ostriche) per Luc, un’intera aragostona bollita per MG, e zuppa, hamburger e patatine per Marco. Divoriamo tutto con piena soddisfazione. Poi – finalmente – rientriamo in hotel, dove crolliamo stecchiti a letto.

16 Agosto – domenica Il tempo e’ incerto, ma non piove. Decidiamo di concederci un po’ di ozio in camera, e di fare una colazione abbondante, che serva anche da pranzo. Si dice un gran bene di un posticino sulla 134, il Red Cottage. La leggenda dice che in origine fosse una drogheria, dove si vendevano anche i quotidiani. I proprietari iniziarono a vendere il caffè a chi veniva ad acquistare il giornale, poi cominciarono a fare delle uova strapazzate, ed in breve la gente andava nel negozio più per fare colazione che per comperare il quotidiano. Entriamo in un locale super affollato e rumoroso, dall’aspetto modesto, ma straordinariamente pittoresco. Ci accomodiamo sui trespoli al bancone, così abbiamo una vista indisturbata sulla cucina, dove il figlio della coppia di proprietari (si rumoreggia che in realtà abbia una laurea in tasca, ma che trovi più redditizio dedicarsi ai fornelli) cuoce, su una grande piastra bollente, uova, bacon, frittate, omelettes, salsicce, tra folate di fumi e vapori, sfrigolii, improvvise fiammate. Il vecchio padre, un po’ fuori di testa, lo assiste preparando i piatti con le cose appena cucinate. Le leccornie vengono servite agli avventori dalla sorella, una grassona piena di brufoli, da una amica dall’aria perennemente arrabbiata, e dalla arzilla madre, che indossa con disinvoltura i tipici ed eleganti occhiali ad ali di farfalla tempestati di pietre preziose, così apprezzati da queste parti. C’è anche un vecchio zio, dall’aspetto un po’ stralunato, che si aggira tra i tavoli con in testa un cappellino a forma di gallo (con tanto di ali, becco, cresta e bargigli). Il suo compito è quello di portare via i piatti sporchi, lanciando occhiate torbide e vagamente minacciose ai clienti, e parlando da solo. Alle pareti del locale sono appiccicate copie di vecchi giornali con notizie di cronaca locale, fotografie ingiallite, vecchi ricordi, il tutto ricoperto da un sottile, rassicurante strato di unto (come il resto dell’arredamento, peraltro). Un ambiente straordinario !!! Ordiniamo omelettes e uova con pomodoro e bacon, e – mentre mangiamo l’ottima colazione – trascorriamo una buona oretta ad ammirare quello che succede attorno a noi.

Poi ci rimettiamo in viaggio, puntando a Nord, senza una meta precisa. Ci accorgiamo che – dalle ville e dalle belle case che costeggiano la via – la gente e’ uscita in strada con seggiole e sgabelli, come se stessero tutti aspettando qualcosa. Ed infatti, dopo qualche chilometro, incrociamo una lunga fila di macchine d’epoca, preceduta da una pattuglia della polizia. Sono auto bellissime, che vanno dagli anni 10 agli anni 60. Aspettiamo che la fila di macchine passi, e ci mettiamo al seguito, per scoprire dove si fermano, ed ammirarle con calma. Arriviamo cosi’ al campo delle esposizioni di Yarmouth, dove le vecchie vetture vengono parcheggiate in bell’ordine, ed inizia la mostra. Sono particolarmente ammirate le veterane degli anni 50, ricche di cromature, con enormi radiatori, lucidi paraurti, morbide curve, motori sovradimensionati, colori sgargianti. Gli orgogliosi proprietari (di solito arzilli vecchietti in bermuda, maglietta e cappellino d’ordinanza) sono prodighi di informazioni sulle loro belle auto. Ci aggiriamo per la mostra per un bel po’, poi prendiamo la macchina e ci dirigiamo senz’altro a Nord. Dopo una trentina di miglia arriviamo al National Seashore, un parco nazionale che e’ costituito essenzialmente dall’enorme spiaggia che fronteggia l’Atlantico, e dalle belle dune alle spalle della spiaggiona, costellate da rare abitazioni e da antichi fari (che non hanno, peraltro, evitato che la zona fosse una delle più pericolose per le navi, com’è testimoniato dagli innumerevoli naufragi dei quali queste spiagge sono state testimoni). Parcheggiata la sardomobile, ci sediamo sulla sconfinata spiaggia. Luc si concede una pennichella sulla sabbia, cullato dal fragoroso frangersi delle onde oceaniche, mentre MG e Marco si dedicano ad esplorare i dintorni, alla ricerca di conchiglie e di vestigia piratesche sulla battigia. Verso le 17 torniamo sulla via di casa. Questa sera abbiamo deciso di optare per una serata casalinga, sgranocchiando patatine davanti alla TV.

17 Agosto- Lunedì Piove alla grande. Poco male: imbocchiamo la US 28 e poi la 6, in direzione di Providence Town (PTown, per gli amici). Arriviamo verso le 12. La citta’ e’ un vecchio villaggio di pescatori, oggi rinomata e raffinata stazione balneare, con una concentrazione elevata di ‘gay’ e gente dall’aspetto bizzarro e dalle attitudini non convenzionali. La vita di PTown si svolge attorno alla vivacissima Main Street, piena di bei negozi, gallerie d’arte, ristoranti. Riusciamo a fatica a trovare un parcheggio (data la poggia, tutti i villeggianti hanno abbandonato le spiagge e si sono riversati nei paesini della zona), e ci rifugiamo, in attesa che spiova, in un ristorante noto – tanto per cambiare – per i piatti di pesce. Il posto e’ affollato e, in attesa che si liberi il nostro tavolo, ci sbafiamo una mezza dozzina di ostriche al bancone del bar. Poi proseguiamo con qualcosa di più sostanzioso: sei gamberoni fritti per MG, zuppa di pesce per Luc, linguine ai calamari e gamberoni per Marco. Niente male ! Finito il pranzo, nonostante la pioggia battente ci apprestiamo ad uscire dal locale. Sorpresa: l’ingresso e l’uscita sono sostanzialmente bloccati da un inizio di allagamento. O ci si tolgono le scarpe, e si affronta la pozzangerona a piedi nudi, o si aspetta. Dopo una decina di minuti, l’acqua comincia a ritirarsi, e finalmente, presa un’adeguata rincorsa a partire dal centro del ristorante, tra gli incitamenti dei clienti, affrontiamo con un salto il lago limaccioso. Tutto fila liscio, ed atterriamo sul marciapiede di fronte quasi asciutti. In attesa che la pioggia cessi, ci rifugiamo nel simpatico museo del paese dove, tramite vecchie foto, antichi mobili, ricostruzione di ambienti di inizio secolo, etc., viene raccontata la storia della cittadina, legata alla caccia alla balena ed alle antiche tradizioni marinare. In un angolo, c’è anche una autentica divisa da pompiere, con cerata, casco e tutto il resto; Marco non resiste alla tentazione di indossarla… Finalmente ha smesso di piovere, così ci dedichiamo ad esplorare i numerosissimi, eleganti ed originali negozi che costellano la Main Street, procedendo anche all’acquisto di qualche ricordino. Ci spingiamo fino al porto, dal quale si gode una bella vista di Ptown, ed assistiamo al ritorno dalla pesca di un battello, dal quale vengono scaricate casse di enormi sogliole, razze con la coda a punta, granchi semoventi. E’ ora di rimetterci sulla via di casa. Abbiamo pranzato abbondantemente, così per cena ci accontentiamo di sgranocchiare in macchina patatine e biscottini insaporiti alla senape e miele. Dopo un giretto sulla strada 28, rientriamo in hotel. E’ bene iniziare a stipare le valigie, domani si parte.

18 agosto – Martedì La giornata e’ bella e soleggiata. Ci dirigiamo senz’altro verso Sud. Dopo meno di due ore siamo in vista di Newport, ricca località di villeggiatura sull’Atlantico. La città è nota per essere stata meta delle vacanze dei più ricchi banchieri e ricconi di New York, che qui hanno fatto a gara per costruire ville e manieri uno più imponente e ricco dell’altro. C’è una bella via (“Belle Vue Avenue”, appunto) che costeggia tutte le magioni più belle: parchi principeschi, vialoni di accesso, alberi secolari, ville che sembrano castelli, spesso con architetture bizzarre, ma certo spettacolari. Arriviamo sul promontorio che si affaccia sull’oceano. Anche qui splendide case.

Poi riprendiamo la via verso il Connecticut: la nostra meta, per stasera, è il paese di Mystic, che dista ancora qualche decina di miglia. Prima di arrivare, ci fermiamo in un grosso supermercato, e comperiamo, ad un apposito bancone, insalate di varia natura, pasta fredda, sfiziosità, frutta, che divoriamo dopo esserci fermati con la macchina sotto un albero. Poi proseguiamo ed entriamo in Mystic: scegliamo come alloggio per la notte un motel Best Western, ed andiamo alla scoperta della cittadina. Per prima cosa, un giretto presso i negozi di ‘Old Mystic Town’, un quartiere con vecchi edifici in legno, e negozi caratteristici. Comperiamo un maglietta per Marco, con uno squalo feroce che si illumina nel buio !! Poi andiamo nel centro del paese, dove c’e’ un antico ponte basculante, ed assistiamo all’apertura ed alla chiusura del ponte per far passare barche e velieri. Per cena scegliamo una ‘steak house’ poco distante dal motel, mangiamo bene (antipasti vari, bisteccona, ottimo pesce fitto, patate al forno), e scriviamo un po’ di diario. Poi a nanna.

19 Agosto – Mercoledì La mattinata e’ dedicata alla visita del ‘Mystic Seaport Museum’. Negli anni ’60 e’ stata creata questa specie di ‘parco storico’, comprendente la ricostruzione di un antico porto baleniero (quale era Mystic all’inizio del secolo). Ci sono oltre 60 edifici, restaurati a dovere e – in qualche caso – smontati, trasportati e rimontati qui da altri porti della zona. Le cose più interessanti sono naturalmente le navi: ce ne sono a decine, tra grandi e piccole, tutte antiche ed in impeccabili condizioni. Molto interessante la visita ad una nave baleniera vecchia di circa 100 anni (vedi foto). Queste navi restavano in mare ininterrottamente per 5-6 anni, a caccia delle 50-60 balene necessarie per riempire del prezioso olio le stive. Ci viene spiegato come avveniva la caccia con le piccole lance a remi, e come l’animale veniva fatto a pezzi, e l’olio ottenuto dal grasso tramite una grossa caldaia. Il fasciame della nave baleniera è ancora impregnato dall’odore dolciastro dell’olio di balena. Di grande interesse anche gli edifici in legno, con l’arredamento originale. Completata la visita, facciamo uno spuntino a base di pesce, e ci mettiamo in viaggio verso l’ultima meta della nostra vacanza: NEW YORK ! Man mano che ci avviciniamo alla grande metropoli, il traffico sulla grossa autostrada diventa più inteso, e le corsie aumentano. E’ la prima volta che veniamo a NY in auto, ma ci siamo organizzati come si deve, con cartine e mappe. MG ha la situazione sotto controllo, i suoi ordini all’autista sono secchi e precisi, e non ci facciamo certo intimorire dagli svincoli faraonici, dalle multiple uscite e dal traffico nervoso e veloce che ci circonda. Imbocchiamo senza troppi problemi la Cross Harlem Expressway, che attraversa il quartiere nero al Nord di Manhattan. Poi prendiamo il tunnel che ci porta sulla superstrada che costeggia la zona West di Manhattan. Il paesaggio diventa familiare: ecco le torri gemelle, l’Empire State Building, il grattacielo Chrysler… La topografia della città è semplice, la numerazione delle Streets e delle Avenues è intuitiva, così ci ritroviamo in breve sulla 42esima, la strada dove c’è la Hertz, e dove lasceremo la nostra bella macchinona. Abbiamo fatto in tutto circa 1300 miglia (attorno a 2000 km), con pieno comfort e spendendo quattro soldi di benzina (che qui costa pochissimo). Recuperiamo i bagagli e – acchiappato un taxi – ci facciamo portare al nostro Holiday Inn, a Downtown (cioè nella zona sud della città, vicino a Chinatown e Little Italy). Prendiamo possesso della nostra camera, e – manco a dirlo – siamo subito in pista per una prima presa di contatto con la città. Marco e’ eccitatissimo: NY, con i suoi grattacieli, i taxi gialli, la metropolitana, è un mito per lui. E anche MG non vede l’ora di rivedere la ‘Grande Mela’, dalla quale manca da oltre 10 anni. Luc – che ha frequentato la città recentemente, ed è al corrente delle ultime novità – propone di andare a cena a South Street Seaport, un centro con negozi e ristoranti poco distante dall’hotel. Detto fatto: facciamo una passeggiata verso Fulton Road, attraversando il distretto finanziario, e siamo sul posto. Il posto è assai gradevole: una bella costruzione sul fiume Hudson, con vista sul ponte di Brooklin, decine di negozi eleganti, e al secondo piano una ‘Food Court’ con molti ristorantini dai quali scegliere. Ci fermiamo ad un banchetto che vende cibo ‘cajun’, e ci sediamo a mangiare nella veranda coperta, con vista su Brooklin e sull’omonimo ponte illuminato. Che spettacolo! Marco è al settimo cielo, e saltella come un grillo, eccitatissimo. Finita la cena, facciamo un breve giro da Sharper Image (negozio specializzato in strani articoli elettronici), poi ci rimettiamo sulla via dell’hotel. Tornati in camera, scopriamo che la nostra finestra da direttamente sull’impianto di condizionamento dell’albergo, ed il rumore è fastidioso. Domani ci faremo spostare in una camera più tranquilla.

20 Agosto – Giovedì Iniziamo la giornata con una sontuosa colazione a buffet: uova, bacon, caffè, latte, formaggi, salumi, dolciumi a non finire. Marco e MG si rimpinzano a dovere (Luc salta). Poi, ben dotati di mappe, guide, cartine, ci mettiamo alla scoperta della Grande Metropoli. La giornata e’ splendida, limpidissima. Decidiamo di salire senz’altro in cima all’ Empire State Building, per una visione panoramica di Manhattan. Facciamo una bella passeggiata a piedi lungo Broadway e la Quinta strada, sinché siamo in vista del famoso grattacielo. E’ imponente, ed e’ straordinario pensare che e’ stato costruito in solo poco più di un anno, oltre 50 anni orsono! Facciamo la solita coda per i biglietti (con noi, turisti da tutto il mondo, con una netta predominanza di italiani), e prendiamo il velocissimo ascensore che in pochi minuti ci scodella all’82esimo piano. Che vista, ragazzi !!! I grattacieli di Uptown, Central Park, il fiume Hudson con i ponti, Downtown con le altissime torri gemelle, e sotto di noi, come in un ‘canyon’, le strade trafficatissime, nelle quale spiccano i taxi gialli in gran quantità. Facciamo un bel po’ di foto (anche se non è la prima volta che noi grandi veniamo quassù, è sempre un gran spettacolo…), poi comperiamo qualche cartolina e ridiscendiamo a terra. E’ ora di pranzo: optiamo per un ristorantino giapponese sulla 58esima, e mangiamo allegramente zuppa di soia, sushi e sahimi, tempura. Marco sembra apprezzare in particolare i gustosi spaghetti di riso, in brodo di alghe e verdure.

Poi di nuovo sulla quinta strada, verso Uptown. La strada è affollata di gente di tutti i tipi, razze e colori; guardare la gente che passa è una delle cose più interessanti e divertenti, qui a NY. Arriviamo nei pressi della Public Library (la grande libreria pubblica di NY, dove e’ stato ambientato il film Gostbusters, uno dei ‘cult movies’ di Marco), ed entriamo da CompuUSA, un enorme negozio di Computer. Marco non sta’ più nella pelle, e schizza come un indemoniato da uno scaffale all’altro, dove sono esposti gli ultimi programmi ed i giochi per computer più nuovi. Non possiamo non comperare una delle ultime novità nel campo dei giochi di avventura e di mostri.

Poi proseguiamo sulla Quinta in direzione nord: Luc (che è stato qui alcuni mesi fa) sa bene che tra poco saremo in prossimità dei grandi negozi della Warner Bros e della Walt Disney, e già pregusta la meraviglia e l’eccitazione di Marco, quando li vedrà. Così è, in effetti: questi negozi sono fatti apposta per catturare l’attenzione dei ragazzini (e, in fondo, anche degli adulti). Nel negozio della Warner Bros (che su sviluppa su 8 piani !) c’è perfino un cinema con un cartone animato a tre dimensioni, realizzato con le tecnologie più all’avanguardia (quando il pupazzo sullo schermo finisce in acqua, sollevando copiosi spruzzi, gocce di acqua vengono schizzate anche sugli spettatori…). Si sta facendo tardi, non riusciremo a visitare la Trump Tower ne’ il mitico negozio di giocattoli Fao Shwarz, famoso in tutto il mondo. Visite rimandate a domani. Per questa sera, decidiamo di andare a cena all’ Hard Rock Cafe: l’ambiente è simpatico, tutto basato sul mondo della musica e del rock, con televisori dappertutto che trasmettono in continuazione show musicali, chitarre elettriche ed altri cimeli musicali appesi alle pareti, etc. Il nostro tavolo e’ su una balconata, dalla quale si gode una bella vista sul resto dell’affollato ristorante sotto di noi. Luc affronta impavido una enorme porzione di ‘prime ribs’ (costolette di bue) lunga almeno 50 cm, con adeguato contorno di patatine, MG si cimenta con in panino al maiale, e Marco con una salutare e tradizionale hamburger.

Prima di dirigerci verso casa (sono ormai le 10 circa), vogliamo mostrare a Marco lo spettacolo unico di Times Square, la piazza a forma triangolare che è l’”ombelico” di Manhattan, sempre piena di gente a tutte le ore, con le fantascientifiche insegne illuminate ed i negozi sempre aperti. Il ragazzino osserva ad occhi spalancati lo spettacolo, nonostante un fastidioso dolorino ad un piede – certo dovuto alle lunghe scarpinate odierne – che lo costringe ad un’andatura penosamente claudicante. Entriamo in una farmacia (grande come un nostro supermercato di medie dimensioni), comperiamo un cerotto e rappezziamo alla meglio il piede danneggiato. Poi entriamo da Virgin, che si dice sia uno dei più grandi negozi di dischi del mondo, e passiamo qualche decina di minuti ad ascoltare musica a sbafo dalle cuffie con le ultime novità. Anche questa è fatta, non ci resta che rassegnarci a tornare in hotel. Prendiamo un taxi al volo, ci facciamo dare una camera più silenziosa al 14esimo piano, e sprofondiamo nel mondo dei sogni.

21 Agosto – Venerdì Non si può venire a New York senza andare al Metropolitan Museum of Art: Luc ha raccontato delle mirabolanti raccolte di armature, della formidabile sezione egizia, e delle altre meraviglie, ed ora MG e Marco vogliono vedere di persona.

Con la caratteristica , vecchia, un po’ cadente ma comodissima metropolitana ci facciamo portare su nel East Side, il quartiere dei ricconi di fianco a Central Park. Da qui, raggiungere il Metropolitan richiede solo pochi minuti. La nostra visita inizia, come avevamo programmato, dalla sezione medioevale del museo, e ci soffermiamo in particolare ad ammirare la splendida collezione di elmi, corazze ed armature. C’è anche la sezione di armature giapponesi dei samurai, e quelle dei ‘mamma li turchi’. Molto interessante! Poi passiamo alla sezione egizia (ogni sezione meriterebbe ben più di una giornata per essere visitata a dovere…). Qui ci sono sarcofagi, mummie, geroglifici, e perfino un intero tempio egizio originale, smontato là e rimontato qui, in un’ala del museo con una enorme vetrata che dà su Central Park, e sui grattacieli che lo circondano: una ambientazione eccezionale (come si può intuire dall’istantanea…) Dopo uno spuntino base di (buona) pastasciutta alla cafetteria del Museo, usciamo e ci addentriamo in Central Park, lo sconfinato parco pubblico al centro di Manhattan. Passeggiamo per i bei vialoni, ammiriamo la gente e le belle ragazze che fanno footing o vanno sul pattini, poi ci sdraiamo sul grande prato al confine Sud del parco, godendoci il panorama unico dei grattacieli che incombono sul prato. Qui ci concediamo un po’ di salutare relax. E’ ora di portare Marco da Fao Shwartz, il grande negozio di giocattoli: gliene abbiamo parlato da settimane, ed ora finalmente il momento è giunto. Usciamo da Central Park e, quasi all’incrocio con la Quinta, entriamo nel Paese dei Balocchi. Incredibile: al primo piano ci sono centinaia e centinaia di animali di pelouche, dai più comuni come gli orsetti, ai più stravaganti, come pitoni, foche o ragni. Poi c’è la sezione dei giochi ispirati a Guerre Stellari. Poi i giochi di costruzioni, le macchinine, i giochi sportivi, quelli ispirati ai personaggi dei cartoni animati… Insomma, non c’è gioco al mondo che qui non si trovi. Marco salta come uno stambecco da una parte all’altra, e facciamo fatica a stargli dietro. Solo la sezione dedicata alle bambole ed a Barbie viene saltata a piè pari. Junior vorrebbe comperare quasi tutto, ma alla fine si accontenta – senza neanche protestare troppo – di un po’ di biglie colorate per la sua collezione. La visita da Fao Shwartz resterà senz’altro tra i ricordi indelebili della nostra gita a NY! Le emozioni non sono ancora finite, anzi! Sono quasi le 18, il tramonto si avvicina, e Luc propone di prendere il traghetto – gratis – che collega Manhattan a Staten Island: è il traghetto usato dai pendolari, ma offre un panorama eccezionale sulla ‘skyline’ di Manhattan. Consultata la cartina, decidiamo di prendere la linea rossa del metrò, che ci porterà proprio al ‘South Ferry Terminal’, dal quale partono i traghetti. Facciamo un po’ di confusione con i treni del metrò, così ne prendiamo uno che va dalla parte sbagliata. E’ certo un presagio di quanto sta per accadere, ma noi non lo sappiamo, e così, tranquilli e sereni, saliamo finalmente sul treno giusto e dopo pochi minuti siamo a destinazione. Il treno si ferma, ma le porte non si aprono. Dal tramestìo della gente attorno a noi, capiamo che bisogna risalire velocemente nelle carrozze di testa, perché solo da quelle è possibile scendere a questa stazione (che è più piccola e corta delle altre). Potevano dirlo prima!!! Ci precipitiamo, ed attraversiamo uno dopo l’altro i vagoni ancora fermi nella nera galleria, fino a raggiungere il primo vagone dal quale si può accedere alla stazione. Luc, che guida la colonna, è il primo ad arrivare alle porte automatiche del vagone ed esce finalmente sul marciapiede della stazione, sbuffando. E’ un attimo: con uno stridore sinistro, le porte alle sue spalle si chiudono, intrappolando la dolce mogliettina ed il tenero figliolo nel vagone semideserto (se si eccettuano alcuni negroni di considerevoli dimensioni, un paio di barboni col fiato pesante, un cinese con un occhio solo ed un gruppetto di metallari pieni di borchie). Una famiglia spezzata, forse per sempre: lui solo, senza soldi né documenti, sul marciapiede di una sinistra stazione del metrò di NY; loro perduti nella ragnatela di fetide gallerie, su un vecchio treno sgangherato ed in compagnia di personaggi quanto meno inquietanti. Il treno si mette lentamente in moto, inesorabile. Luc e MG hanno il tempo di guardarsi negli occhi per un’ultima volta, e già lo sferragliante convoglio sta per essere inghiottito dalla nera bocca della galleria. Prima che accada l’irreparabile, c’è solo il tempo per scambiarsi velocemente, a gesti, essenziali quanto vitali istruzioni: Luc, (senza soldi, e quindi impossibilitato a muoversi), resterà dov’è, mentre MG, intrepida, raggiungerà la prossima stazione, prenderà il primo treno in direzione opposta e tornerà – a Dio piacendo – qui, alla stazione dei traghetti.

Luc raccoglie la sincera solidarietà di un gruppetto di passeggeri, che hanno osservato la penosa, straziante scena dalla banchina della stazione, e lo rincuorano con calde parole di speranza. Per Luc inizia l’attesa, densa di oscuri presagi: avrà capito MG? Non starà, per caso, andando in albergo, pensando di ricostituire lì il gruppo famigliare ? E come ci vado in albergo, senza quattrini ? A piedi, attraversando mezza città e malfamati quartieri controllati da spietate bande metropolitane ? Non resta che attendere, affidandosi agli oscuri disegni del Fato. Passano alcuni convogli, ma senza tracce di volti amici. Finalmente, dopo una decina di minuti, l’inconfondibile cappellino azzurro di Marco fa capolino nella ressa di pendolari, e l’unità famigliare viene finalmente ricostituita.

Bene, non ci resta che salire sul traghetto, mescolandoci alla folla. Ci piazziamo a poppa, per godere del panorama. Man mano che ci stacchiamo dalla banchina, lo spettacolo dei grattacieli al tramonto si fa sempre più grandioso. Ecco anche le torri gemelle, e la statua della Libertà, a poca distanza. Ammiriamo con calma il fantastico panorama (pensando a quei furboni che affollano i battelli per turisti, pagando fior di dollari per ammirare lo stesso scenario!). Arriviamo a Staten Island dopo circa 20 minuti, e riprendiamo subito il traghetto in direzione opposta, godendoci un’altra traversata gratuita e panoramica.

Una volta a terra, decidiamo all’unanimità – anche perché la proposta di MG viene posta con un tono che non ammette repliche – di andare a cenare a Chinatown. Dopo un breve tragitto in metrò, sbarchiamo a Canal Street, e da qui imbuchiamo Mott street. Cerchiamo invano di rintracciare il ristorante Bo-Bo, un piccolo locale genuinamente cinese dove Luc e MG hanno trascorso una memorabile serata, ai tempi d’oro. Poi optiamo per il Peking Duck Restaurant, specializzato, appunto, nell’anitra laccata alla pechinese. Il posto e’ grande e squallido, ed i camerieri sbrigativi e muti, come si addice ad ogni genuino ristorante cinese. Ci accomodiamo ad un tavolo d’angolo, ed ordiniamo un’intera anitra, preceduta da uno zuppone. Una volta sorbito il fumante e saporito intruglio, ecco avvicinarsi il cuoco, con bianco turbante in testa, che taglia sottili fettine di carne da un’anitra laccata grassoccia e dalla pelle croccante e ben colorita. Le fettine di anitra vanno messe al centro di una ciambella sottilissima, preventivamente spalmata di una cremina marrone dolce-salata, ed accompagnate con ciuffi d’erba cipollina. Poi la ciambella viene avvolta a pacchettino, e delicatamente addentata. Che squisitezza ! Mentre mangiamo, raccontiamo a Marco delle nostre buffe avventure con l’anatra laccata durante il nostro viaggio a Pechino (vedere il diario di viaggio in Cina… ). Ceniamo alla grande, contendendoci le ultime fettine di anitra, ed in particolare i tocchi di pelle, croccante e saporita.

Poi gironzoliamo per Chinatown, comperiamo qualche cianfrusaglia in un mega-emporio cinese, e ci spingiamo fino a Little Italy. Luc e MG avevano un ricordo deprimente di questo quartiere, visitato alcuni anni fa, ma questa sera l’atmosfera è ben diversa: ristoranti dappertutto, luci, allegria. Ad un banchetto ci comperiamo una bella porzione di tiramisù, sorprendentemente di ottima qualità.

Siamo a pochi passi da casa: non ci resta, dopo questa giornata non priva di emozioni, che concederci una sonora dormita 22 Agosto – Sabato Ultimo giorno di vacanza, purtroppo !!! Venderemo cara la pelle, e utilizzeremo il tempo che ci resta fino all’ultimo minuto.

Per cominciare, prendiamo la metropolitana ed andiamo a visitare il Guggenheim Museum, sulla Quinta nell’East Side. Qui e’ in corso una mostra sulla storia del motociclismo, che ha avuto eco mondiale. Ed in effetti, si tratta di una occasione unica per vedere, tutte assieme, alcune delle moto che hanno fatto epoca: dalle pionieristiche moto del secolo scorso, a quelle dei tempi eroici (gli anni 20-30), sino al dopoguerra e ai bolidi più moderni. Le moto sono disposte lungo la caratteristica rampa a spirale del Guggenheim (che riporta alla mente certe scene dei films di Woody Allen), e sono tutte di straordinario interesse. Passiamo qui un paio d’ore, ma dobbiamo limitarci – per mancanza di tempo – a vedere le moto e poco altro del museo, che invece meriterebbe una visita approfondita (quadri degli impressionisti francesi, sculture moderne, etc.). Lasciato il Guggenheim, riprendiamo il metro e torniamo sulla Quinta, per un’ultima ‘full immersion’ nella strada piu’ eccitante del mondo. Ma ormai il tempo stringe: ci facciamo uno spuntino da Mc Donald’s (e’ la prima volta che andiamo da Mac durante questa vacanza !), e salutiamo NY da Times Square, sorseggiando un cappuccino gelato. Poi non ci resta che prendere al volo un taxi che ci riporta all’hotel, dove recuperiamo i bagagli; una limousine guidata da un ciarliero cinese ci porta a Newark, dove ci imbarchiamo sul DC10 della Continental che ci riporta in Italia. Tra uno spuntino ed una dormitina, troviamo il tempo per aggiornare il nostro diario, e per ricordare i momenti piu’ memorabili della nostra vacanza: Boston, con il freedom trail, l’acquario, Faneuil place, le universita’, la bella costa del Maine, la nostra sorniona Chevrolet Malibu, il frenetico shopping a Freeport, con LLBean e gli altri empori raccolti lungo Main Street, Bar Harbor, con le mangiate di aragoste, lo spettacolare parco Acadia, con la spiaggia dalle gelide acque, il lago ed il monte Cadillac, Cape Cod, con le enormi spiagge, l’oceano spumeggiante, i bei paesini e le ville eleganti di Sandwich, Yarmouth e Province Town, compresi i suoi strambi abitanti, la bella Mystic, con l’interessante porto-museo e la baleniera, e finalmente la scoppiettante New York, con l’Empire State Building, la Quinta Strada, il Central Park, l’Hard Rock Cafe, i negozioni, il Metropolitan, l’avventura in metropolitana, la skyline al tramonto, la cena con l’anatra alla pechinese, il Guggenheim, la bizzarra gente per strada, e – naturalmente- Fao Shwartz… fine



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