Tour de France
Come ogni anno, agosto è tempo di decisioni. Decisioni sulla meta delle nostre vacanze. Ed ogni anno ci sono sempre i soliti problemi: bisogna trovare un viaggio bello, un paese interessante, ad un costo “equo”. Sul punto, ben possono testimoniare le nostre amiche delle varie agenzie di viaggio che oramai, quando ci vedono, si disperano…. Quindi, fin dall’inizio del mese cominciano ad andare a prendere cataloghi (tanto che la casa sembra una succursale di un’agenzia viaggio), a smanettare su internet e sulle pagine del televideo, a parlare, discutere litigare e ‘maledire” i tour operator (ma in questi paesi dove mangiano un pugno di riso, come mai viaggiare costa così tanto???”). Quest’anno non prometteva niente di buono. Tutto troppo caro o troppo turistico. Non riuscivamo a decidere nulla finchè un bel giorno Stefano tira fuori il coniglio dal cilindro: “perché non ce ne andiamo a fare il famoso viaggio in Francia?”. Famoso perché più e più volte era stato valutato e poi “scartato”. Detto fatto. Nel giro di un settimana, dopo aver acquistato ben tre Lonely Planet, visitato vari siti di Chambre d’Hotes e alberghi vari nonché letto forum di altri viaggiatori amanti della Francia, carichiamo la Punto Gialla di bagagli e viveri (grazie Lando!!) e imbocchiamo il Terraglio. Destinazione, appunto, Francia. Meta finale Bretagna e Normandia, passando per Provenza, Camargue, Limousin, Dordogne, Costa Atlantica. E se poi qualche giorno ci avanza, magari la Valle della Loira…Il cielo è grigio, non c’è sole. Cominciamo a macinare chilometri. Dopo aver lasciato la A4, un bivio non segnalato sull’itinerario Via-Michelin, ci si para davanti: da una parte Ventimiglia dall’altra Genova.Dove andiamo? L’istinto ci dice Ventimiglia, ma sull’itinerario c’è segnato Genova. Meglio non lasciare la strada indicata e quindi proseguiamo per il capoluogo ligure.Comincia a piovere, e l’autostrada diventa una sorta di carrozzabile di montagna che sale sempre più verso l’alto. L’acqua scende sempre più forte, passiamo viadotti, gallerie, gole, rocce a strapiombo. Ma dove cavolo stiamo andando? Forse abbiamo sbagliato, dovevamo andare per Ventimiglia. Insomma, l’allunghiamo di un bel po’ ma alla fine riusciamo a imboccare l’autostrada con direzione “Mentone-Nizza-Cannes”.Ora c’è da fare una premessa. In uno dei vari forum letti da Stefano, si parlava della pericolosità della città di Nizza, in particolare del quartiere de L’Arianne. Venivano riportati episodi con bande di nordafricani che rapinavano le macchine ai semafori sbarre di ferro alla mano; consigliavano di chiudersi dentro la macchina, di non scendere assolutamente e, possibilmente di “tirare dritto” (come si faccia “tirare dritto” se il semaforo è rosso rimane un mistero….). Il problema non ci toccava più di tanto, visto che avevamo deciso di evitare accuratamente tutte le grosse città francesi, prediligendo i piccoli centri, ma la cosa ci aveva stupito parecchio.
Comunque, per arrivare al punto, un giorno prima di partire avevamo prenotato un piccolo albergo dove fermarci la prima notte, visto che il viaggio dall’Italia era lungo e preferivamo per la prima sera avere già un letto. Luca aveva stampato l’itinerario per raggiungere un tranquillo Logis de France proprio attaccato a Levens, un piccolo borgo ai piedi delle dolci montagnole provenzali sopra la Costa Azzurra, itinerario che prevedeva di prendere l’uscita “55” dall’autostrada A8 che percorre tutta la costa e seguire le indicazioni per il paese. Arrivati in prossimità dell’uscita 54, ci prepariamo ad uscire. Ecco il cartello: “sortie 55 – Nice – Quartier Arianne”. All’interno dell’abitacolo scende il silenzio, lentamente ci guardiamo e…sbianchiamo. Quartiere Arianne? Quel Quartier Arianne? O porca zozza. E ora che facciamo? Non conosciamo altre uscite, altre strade e poi sono le tre del pomeriggio, che mai potrà succedere? Dopo aver pagato il “peage” (caro) le mani scattano automaticamente verso il pulsante blocca portiere, i finestrini vengono sigillati (nonostante sia uscito un sole incredibile e faccia caldo) e allunghiamo colli e occhi per vedere le indicazioni per Levens. Primo bivio. Nessuna indicazione. Destra o sinistra? Tiriamo a caso, andiamo a sinistra. Semaforo. Rosso. Già ci vedevamo le bande di nordafricani con le loro spranghe d’acciaio arrivare ma ai bordi dei palazzoni c’è solo qualche sonnacchioso passante. Proseguiamo. Nessuna indicazione. Che facciamo, chiediamo a qualcuno? Non se ne parla neanche! Ad un incrocio, per caso, Stefano gira la testa all’indietro e vede la freccia per Levens. Da qui in poi impareremo che i francesi hanno uno strano modo di segnalare le direzioni: saranno sempre dalla parte opposta rispetto al senso di marcia, ossia alle nostre spalle. E infatti torneremo a casa con un gran mal di collo! A tutta birra facciamo una semi inversione ed imbocchiamo la strada che sale verso la montagna, tirando un sospiro di sollievo e aprendo finalmente i finestrini! Pericolo scampato! L’albergo è così così, ci sistemiamo, facciamo una doccia e cominciamo ad esplorare i dintorni.
Levens è un paesino arroccato su una collina, un borgo di case tra stradine ripide e strette. Una boulangerie, un’episserie, un bar a vins con qualche cliente seduto ai tavolini. Qualcuno ci guarda incuriosito, non si vedono turisti da queste parti. Riprendiamo l’auto e, cartina alla mano, ci dirigiamo verso Saint Paul de Vence. Solo che le strade sono “di montagna” e trovare la direzione non è facile. Ci fermiamo in un paesino per chiedere informazioni. Luca entra in una salone di bellezza dove una simpatica parrucchiera si offre di scrivere le indicazioni per raggiungere la nota località provenzale. Luca esordisce dicendo “Je suis arrivè aujourd’hui” e lei capisce “Je me suis mariè aujourd’hui” e si lancia in complimenti e gridolini. Al che Luca dice che non ha capito, ma che non fa niente. Prende il foglietto dalle mani della parrucchiera e risale sulla punto gialla ridendo sotto i baffi. La strada verso Saint Paul è bellissima, passiamo una serie di paesini tutti uguali ma tutti affascinanti: La Roquettes, Saint Martin Le Var, Vence e poi, dopo tornanti, bei paesaggi, accostate a destra per lasciar passare montanari francesi impetuosi, arriviamo a St. Paul. Tanti turisti, tanti italiani, ma il paesino è carino, in particolare il campo da bocce situato all’inizio del borgo dove un sacco di gente gioca ridendo, fumando e bevendo. Il sole sta scendendo, i lampioni gialli si accendono dando alle strette stradine un fascino caldo, i turisti cominciano ad andarsene e noi ci concediamo una sigaretta su una terrazza che guarda le bella vallata. Siamo stanchi, il viaggio è stato lungo e decidiamo di rientrare in albergo passando per Cagnet Sur Mer dove, siamo sicuri, ci potremo fermare una mezzora prima di trovare la strada per Levens. Solo che, facciamo i conti senza l’oste. Cagnet si rivela un vero inferno, non troviamo parcheggio e comunque non ci attira per nulla piena di traffico e caotica com’è. Cerchiamo le indicazioni per Levens che non troviamo e, imboccando una strada che ci sembra, finalmente, quella giusta, ci ritroviamo imbottigliati in una coda mostruosa che va avanti a passo d’uomo. Incrociamo una macchina e chiediamo che sta succedendo. Sembra che in città ci sia una corsa di cavalli che richiama un sacco di gente. E ti pareva! Dopo una buona mezzora a respirare gas di scarico, finalmente troviamo le indicazioni per l’autostrada che prendiamo salvo poco dopo renderci conto che… dobbiamo uscire a l’Arianne. Ancora. E di sera tardi! La fortuna però ci assiste: dopo aver pagato numerosi “peages”, la famigerata “sortie 55” occhieggia alla nostra destra. Di nuovo serrature bloccate e finestrini sigillati. Finita la curva d’uscita ci appare, magnificamente illuminata, la freccia “Levens”. Ah, che sollievo. Raggiungiamo il nostro piccolo hotel perso tra i monti e ci infiliamo a letto.
Il mattino dopo piove e fa freddo. Facciamo colazione, carichiamo i bagagli in macchina e partiamo diretti in Carmague. Passiamo velocemente per Cannes: il palazzo del Festival, la Croisette, la lunga spiaggia e lungo la strada costiera, raggiungiamo Les Saintes Maries de la Mer “capoluogo della Camargue”. Sotto un cielo grigio comincia la caccia alla Chambre d’Hotes, un rito che ci accompagnerà per tutta la vacanza e che a volte risulterà davvero snervante. Dopo un po’ di passaggi lungo la D570 che collega Arlès a Les St. Maries, troviamo un vecchio cascinale alla fine di un sentiero sterrato. I proprietari non ci sono. Un ospite francese che sta leggendo un libro in giardino, incurante della pioggia che cade ci dice che Madame Isabelle dovrebbe arrivare più tardi. Facciamo altri giri, vediamo altre soluzioni che non ci convincono e, alla fine, torniamo alla vecchia casa di campagna dove finalmente Isabelle, subito ribattezzata da Stefano “Liselotte” si fa trovare e ci assegna una stanza. Decidiamo di fare una doccia veloce e poi via ad Arlès “la spagnola di Francia”. Più che una città è una chicca, piena di vicoletti stretti, di vecchi palazzi un po’ sgarruppati, di piazzette. Bellissima la vista sul Rodano, lungo le vecchie mura, così come bella è l’arena e l’anfiteatro di matrice romana. Il cielo si è aperto improvvisamente e diventa blu intenso, con un sole pazzesco. L’aria è fresca e l’atmosfera della città tranquilla e rilassata. Ceniamo in Place de Forum, un’unica, grande tavolata, dove sono riuniti tutti i tavolini dei ristoranti che la circondano. Moules e Frites a volontà, di un buono pauroso. Dopo una camminata per le vie della città vecchia per smaltire l’aglio che condiva i molluschi, la Punto Gialla prende la buia D570. Il cartello del Mas De Layalle ci appare, svoltiamo nella stradina di campagna dove raggiungiamo l’aia rigorosamente buia. Gli occhi salgono al cielo dove una magnifica stellata risplende. Mai vista una notte così. Andiamo a letto contenti.
Domenica 28 Agosto
La giornata sarà dedicata alla scoperta della Camargue che percorreremo in lungo e in largo. Ci dirigiamo ad Aigues Mortes facendo una piccola sosta in un paesino sulle rive del P’tit Rhodan con quattro case ed una scuola (Pin Fourcat che tradotto in dialetto veneto significa “un pin e quatro gati”) ed una alla Tour Carbonierre, torre d’avvistamento medievale da cui si gode un panorama splendido. Aigues Mortes ci delude un pochino: tanti turisti e 8 Euro per fare un giro lungo le mura. Scappiamo dalla folla e, colpiti da una gigantesca costruzione diroccata, imbocchiamo una stradina che ci porta al villaggio di Montcalm. Qui le case forse erano tre, ma il castello abbandonato e pericolante è bellissimo. Parcheggiamo la Punto e imbocchiamo un viottolo di campagna per raggiungere una piccola chiesa, passando in mezzo a bassi vigneti di uva nera. Chiediamo il permesso al contadino di prenderne un grappolo che mangiamo sotto un sole incredibile. Ritornati sulla D570 decidiamo di visitare lo Chateau d’Avignon, un bellissimo palazzo con molte costruzioni intorno: la caldaia, la torre e la stazione di filtraggio dell’acqua, la rimessa, edificate con l’intento di fornire al maniero tutti i confort. Da tener conto che stiamo parlando di una costruzione che risale al XIII secolo! Una simpatica ragazza ci propone la visita all’interno al costo di 3 Euro. Accettiamo e con una coppia di tedeschi visitiamo le sfarzose stanze piene di arazzi e mobili d’epoca. Tutte le imposte sono chiuse e non vengono mai aperte per impedire che la carta da parati ed i tessuti tutti originali si rovinino. La guida è un’allegra cicciotta che ci spiega funzionamento del riscaldamento, dell’acqua corrente, dello scaldavivande e via di seguito. Dopo un panino mangiato in fretta dentro alla Punto sul cortile dello Chateau (in fretta perché un improvviso nugolo di zanzare Camarguesi imbestialite stavano cercando di mangiare noi), ci dirigiamo verso l’estremità est della Camargue, forse la più selvaggia. Qui, fra allevamenti di tori e cavalli in libertà, cominciamo a scoprire l’Etang du Vaccarès, riserva biologica piena di uccelli. Un vento forte ci aggredisce sulla torretta di osservazione, ma il sole non ci abbandona. Ci dirigiamo verso Salin de Giraud e da qui verso la Plage de Pietmanson. La strada per arrivare alla spiaggia è di una bellezza incredibile: una sottile striscia d’asfalto circondata a destra e a sinistra da paludi piene di fenicotteri rosa.
La spiaggia è un grande baraccamento: roulotte, tende, ombrelloni, gente anziana, alternativi, bambini, cani gatti e via di seguito. Il mare è bello. Dal bagagliaio della Punto spuntano costumi ed asciugamani. Col caldo che fa un bagno ci rinfrescherà sicuramente. Solo che non abbiamo tenuto conto della temperatura dell’acqua a dir poco gelida. Ci bagniamo, così, solo le gambe e ci distendiamo mezz’ora al sole. Ripartiamo facendo sosta a Salin de Giraud città. Oddio, città… Chiamarla città è troppo, paesotto forse è più appropriato. Arriviamo proprio al culmine di una festa paesana con tanto di braciole e salsicce che sfrigolano sulla griglia. Non capiamo perché lungo i due lati della stradina principale siano state messe delle griglie alte due metri quasi a creare un corridoio. Un furgoncino percorre il corridoio con un rudimentale megafono installato sul cofano. Capiamo solo “Par votre securitè” e “toròs”. Chiediamo informazioni alla gente del posto (qui non ci sono turisti) e ci spiegano che fra un po’ inizierà la corsa dei tori. Uno spettacolo a dir poco bizzarro, anche se particolare: alle due estremità del corridoio sono sistemati due tir; al via un gruppo di “butteri” Camarguesi a cavallo si pongono davanti al portellone del tir che viene improvvisamente aperto lasciando uscire due o tre torelli che vengono stretti tra i cavalli. Così cavalli e tori percorrono tutto il corridoio fino al tir successivo dove i tori vengono rinchiusi. Lo scopo del tutto (da quanto abbiamo capito) è evitare che i tori si liberino dalla stretta dei cavalli e la corsa dovrebbe dimostrare l’abilità dei cavalieri. Per ravvivare il tutto, un gruppo di ragazzotti locali con le maglie rosse, tormenta i poveri tori, tirandoli per la coda e cercando di frenarne la corsa. Bizzarrie della Camargue. Con un bel pacchetto di foto fatte, al tramonto ci incamminiamo verso il nostro cascinale. Bellissime le vedute sull’Etang du Vaccarès con il sole basso che sprofonda nelle acque e i fenicotteri che fanno il loro ultimo pasto. La serata la passiamo a Les Saintes Maries de la Mer dove ogni locale serve paella ed ha dei suonatori di chitarra che cantano in spagnolo. Sembra quasi che i Gipsy King si siano sciolti e lavorino a coppie nei ristoranti! Pare di essere in Spagna, ma noi non cediamo e alla Paella preferiamo una tipica Salade Camargueise.
Il giorno successivo ci dirigiamo verso il centro della Francia. Ci fermiamo a Carcassonne, bella cittadina, ma con tantissimi pullman di turisti che, immancabilmente, finiscono per rovinarne l’aspetto. Mezz’ora è più che sufficiente. Dopo un bel po’ di chilometri arriviamo alla nostra meta “di mezzo”: Quecy-Dordogne-Limousin. La Lonely ne parla molto bene. Per caso arriviamo in una paesino che risulterà essere la vera sorpresa del viaggio: Martel, villaggio medievale con case vecchissime e pieno di fiori. Lungo una stradina deserta, scopriamo per caso un cartello che indica “Deux chambres romantique qui donne sur un p’tit jardin”. La proprietaria (soprannominata da Luca “Edna”) ci fa vedere la stanza che ha un’entrata indipendente da un piccolo giardino. Scarichiamo i bagagli stanchi e sfiniti. Doccia e cena a Martel sulla terrazza di una brasserie dove mangiamo una pizza discreta. Il mattino dopo decidiamo di fermarci un’altra notte a Martel per avere il tempo di esplorare la valle del Lot. Purtroppo però Edna ci dice che la stanza è prenotata. Ci dirigiamo allora all’Ufficio del Turismo dove ci indirizzano in un’altra Chambre d’Hotes. Qui c’è posto. Trasferiamo i bagagli e partiamo alla scoperta di questa bellissima valle.
I paesini sono uno meglio dell’altro: Vayrac, Betaille, Beaulieu sur Dordogne, Thegua, Gourdon, Domme; visitiamo diversi castelli lungo la Route de La Noix: lo Chateau d’Estress, lo Chateau de Castelnau e lo Chateau de Montal. Ed infine Rocamadour, una citta costruita “in verticale” su una parete di roccia altissima. Il colpo d’occhio sulla valle con la città sullo sfondo è pazzesco. Un altro giorno è passato.
Il 31 Agosto lasciamo la zona del Lot per dirigerci verso la Bretagna. Dopo una lunga tirata, arriviamo a Quistempert dove le gentili ragazze dell’Office du Tourisme ci indirizzano verso una Chambre d’Hotes in mezzo alla bella campagna Bretone. La signora ci accoglie con calore. Unico “inconveniente” della sistemazione, la doccia in comune con i proprietari. Ma non c’è problema: basta dire a che ora vogliamo “prendre la douche” e la signora ci fa trovare il bagno in perfetto ordine e pulizia. Ci dirigiamo verso la costa passando per una serie di piccoli paesini lungo la Route du Duc de Bretagne: Berrich, Lanzach, Surzur, Sarceau, Arzon. Tutte queste “z” questi suoni duri ci fanno capire subito che la Bretagna è un po’ meno Francia e un po’ più “mondo a sé”. Arriviamo a Port de Crouesty dove mangiamo l’ennesima “cocotte de Moules e Frites” con un vento davvero freddo che sale dal mare.
Il primo settembre partiamo alla scoperta dell’entroterra del Morbihan. Dopo molti giorni di sole arriva anche un po’ di pioggia: il cielo è grigio sopra Roquefort en Terre, piccolo paese medievale pieno di fiori e con palazzi vecchissimi costruiti in legno e pietra. Dopo la visita ci fermiamo a Malestroit all’Hiper Casinò, catena di supermercati francesi, per comprarci il pranzo (baguette, jambon et fromage aux herbes fines). E qui, assistiti dalla nostra solita fortuna, vinciamo pure un concorso: un buono da 3 Euro da spendere come vogliamo! La scorta di lattine è assicurata. Ci dirigiamo quindi verso la mitica Forête de Broceliande dove pare si sia svolta la saga di Re Artù e di Mago Merlino. Alberi vecchissimi, boschi fitti, corsi d’acqua… arriviamo nel piccolo borgo di Trehorenterc dove c’è una chiesetta con splendidi quadri che illustrano la saga e vetrate coloratissime. Poi Carpeneac, lo Chateau de Trecessor e la bellissima Josselin con il suo castello sul fiume. La sera ci spostiamo verso ovest facendo una piccola sosta a Guehenno dove vediamo forse il più antico Calvaire della Bretagna: si tratta della rappresentazione della crocifissione scolpita su granito, con bellissime statue e simbolismi. Non troviamo nessuna Chambre d’Hotes disponibile e quindi ci dirigiamo spediti verso l’Etap Hotel di Hennebon. La serata la passiamo a Vannes, “capoluogo” del Morbihan.
Il mattino successivo entriamo nel Finistère e ci dirigiamo verso la costa meridionale percorrendo la strada costiera. Una serie di paesini di mare, Point l’Abbè, Pointe St. Pierre dove prendiamo un caffè in un baretto in riva al mare con un sole accecante, St. Guenolè. Saliamo fino in cima al faro di Ekmule: un sacco di scalini ma la fatica viene ripagata da una vista splendida. Affrontiamo poi la costa est: Pointe du Raz viene descritta dalla Lonely come un luogo unico. Arriviamo al parcheggio (parcheggio?) pieno di macchine e autobus turistici. Lasciare lì la macchina costa 5 Euro. Una lunga fila di persone che si inerpica su per la collina. Ci guardiamo e facciamo dietro front. Dov’è la Bretagna desolata? Continuiamo il viaggio su una carrozzabile lungo la costa e troviamo l’indicazione per Point de Castelmeur: una stradina sterrata si addentra tra le basse dune, un parcheggino con una macchina solitaria, un breve sentiero e poi si apre davanti a noi un panorama splendido. Camminando in mezzo a ginestre in fiore e distese di erica, giungiamo sulla punta del promontorio, a destra e a sinistra falesie a strapiombo sul mare, onde che si infrangono con una potenza incredibile. Che avrà di diverso da Pointe du Raz? Per noi niente, solo di là c’era più gente. Qui siamo solo noi due! La giornata sta volgendo al termine e comincia il pellegrinaggio verso le Chambres d’Hotes: ci sentiamo ripetere per 5 o 6 volte “complet”; altre tre case sono deserte; alla fine troviamo una piccola casettina abitata da due simpatici anziani che ci ospitano per la notte. Non sappiamo bene dove ci troviamo perché a forza di girare ci siamo persi! Più o meno nelle vicinanze ci dovrebbe essere Locronan quindi ci prepariamo e saliamo in macchina per andare a cenare lì. Ma girando la chiave non succede nulla. Silenzio completo solo un debole “wow wow wow”. La Punto Gialla non parte, non dà segni di vita. Oddio, che sarà mai? La proprietaria chiama il marito che, prontamente, estrae dall’autorimessa un carica batterie elettrico per auto, un aggeggio che sembra uscito dalla prima guerra mondiale mai visto prima. Mette in carica la batteria della Punto come se fosse un Nokia e ci promette che la mattina successiva sentirà il suo meccanico. Quanta gentilezza e disponibilità ragazzi! Quindi ricapitoliamo: ci troviamo in un posto di cui non sappiamo nulla, in una casa lungo una strada come tante, senza auto che potrebbe essere da demolire, sono le otto di sera, abbiamo fame, siamo stanchi. Chiediamo al proprietario se lì intorno c’è qualche ristorante e lui ci dice “Mais oui, vous pouvez aller a Locronan”. Locronan? Ma quanto lontano è? “400 metrès a pied!”. Quattrocento metri a piedi? Incredibile! E così con una passeggiata di 3 minuti, arriviamo in questo paese dove non esistono fili elettrici ed è stato utilizzato da Roman Polansky per girare “Tess”. Tutto sembra essere come centinaia di anni fa. E non c’è nemmeno l’ombra di un turista. Solo qualche francese seduto in uno dei due ristoranti aperti. Il sole sta tramontando (qui fino alle otto e mezza scalda da morire!). Esperienza incredibile. Solite Moules et Frites, buonissime e da bere un Kyr, aperitivo francese fattoci conoscere da Berna in quel di Parigi a base di vino bianco e sciroppo di mirtillo.
La mattina successiva la macchina parte e il proprietario della casa ci indica la strada per arrivare dal suo meccanico che nel giro di cinque minuti ci mette una batteria nuova ad un costo più che onesto. Sollevati, partiamo verso il nord della Bretagna: oggi percorreremo il circuito degli Enclòs Parroissiaux, una serie di paesi ognuno con hiesa, cimitero, calvaire e ossario risalenti al XV secolo. Sotto un sole cocente (ma dov’è la Bretagna umida e piovosa?) visitiamo Sizun, La Martyre, La Roche Maurice, Guimiliau percorrendo stradine di pianura assolutamente deserte. Verso fine pomeriggio ci dirigiamo verso la costa del nord con le due cittadine principali Roscoff e St. Paul de Leòn. Bella strada costiera, ma Chambres d’Hotes tutte complèt! Siamo quindi costretti dopo due ore a tornare verso l’entroterra dove troviamo la nostra stanza a St. Theogonnec.
L’ultimo giorno in Bretagna lo passiamo a visitare i due siti storici di questa terra: St. Malò e Le Mont Saint Michel (anche se a dir la verità quest’ultimo si trova in Normandia). St. Malò è una bella città sul mare, contornata da alte mura, ma essendo stata distrutta dai bombardamenti durante la seconda guerra mondiale, i suoi edifici sono tutti stati ricostruiti a metà secolo scorso. Piena di turisti, la visitiamo in velocità. Ci dirigiamo quindi verso Le Mont Saint Michel ma non prendiamo la Route Nazionale bensì una piccola strada dèpartemental (la Route de la Baie) che corre parallela alla costa e ci consente di scoprire il monte piano piano. Bello. Non c’è che dire. Questa città, unica al mondo, è costruita su un’isola collegata alla terra ferma da una diga. Con l’alzarsi delle maree il monte viene circondato dal mare. Praticamente sorge sulla sabbia. Percorriamo le strette stradine della città intasate di turisti, fino a raggiungere i bastioni più in alto sotto l’Abbaye. Il panorama che si gode da qui è incredibile: sabbie, sabbie, sabbie e rivoli di acqua salata. Di nuovo verso l’entroterra, visitiamo Fougères dove è in corso una festa paesana anche qui con salsicce e braciole. Cerchiamo la strada per Billè dove sappiamo esserci una Chambre d’Hotes: non la troviamo a causa dell’intasamento provocato dal traffico della festa. Niente paura: due poliziotti locali ci fanno strada con la loro auto portandoci direttamente fino a destinazione! La nostra camera è l’ex chiesetta di un vecchio castello. Sistemazione unica e particolare, anche se il materasso del letto matrimoniale risulta essere inclinato verso il centro, per cui in piena notte, Stefano decide di dormire sul lettino dei bambini! Ceniamo a Vitrè ennesimo borgo medievale pieno di fascino.
Il mattino dopo decidiamo di abbandonare il nord per dirigerci verso la Val de Loire. Percorriamo la strada panoramica chiamata Leveè de Loire che corre sull’argine della Loira per l’appunto e attraversiamo un sacco di bei paesini. Cominciano i primi castelli: Chateau de Saumur, Chateau de Langeais, Chateau de Luynes. Poi Tours, capoluogo della valle, dove ci perdiamo a causa del traffico. Raggiungiamo quindi Amboise con il suo meraviglioso castello e troviamo da dormire in una bellissima casa dell’ottocento proprio sulla Loira. La proprietaria è una persona splendida e la camera è “da favola”. La sera visitiamo Amboise e ceniamo con Crèpes e Gallettes.
Il giorno successivo (dopo una meravigliosa colazione a base di Crèpes “orange et cannelle” preparate espressamente per noi da Madame Adeline) vistiamo prima Loches poi i tre castelli più famosi della Valle: Chateau de Chenonceux, Chateau de Chambord e Chateau de Cheverny. Tutti belli, tutti immensi, tutti incantevoli. Passiamo per stradine di campagna tra boschi, piccoli borghi, vigneti bassi carichi di uva nera, campi di girasoli. Nessuna macchina, nessun camion. Ah, questa Francia ci piace proprio! La vacanza sta per finire e dopo una chiacchierata di un’ora con Madame Adeline che sembrava non voler lasciarci andar via, decidiamo di lasciare la Valle della Loira e dirigerci verso Vichy per riposarci, dove però non troviamo nessun albergo con centro termale. La città, pur avendo elementi architettonici di inizio secolo molto belli ed interessanti, è apatica e, soprattutto, alle nove di sera completamente deserta.
Il giorno successivo, l’ultimo in terra francese, ci dirigiamo verso il confine. A Modane, imbocchiamo il Tunnel del Frejus (costo Euro 30,50 per fare 12 Km.) e sbuchiamo nei pressi di Bardonecchia. L’Italia ci accoglie con una pioggia torrenziale e con un’autostrada Torino-Milano piena di lavori in corso e conseguente coda. Ma il top lo tocchiamo a Milano dove proprio alle sei di sera ci becchiamo un’ora di tangenziale a 30 km orari intasati in un traffico bestiale! Piano piano ci avviciniamo a Treviso. Parcheggiamo in Via delle Absidi quando il contachilometri segna 5.865. Ecco, questo è tutto. Noi due, che per anni abbiamo viaggiato “tutto organizzato” in posti lontani migliaia di chilometri, questa volta abbiamo voluto fare un fai da te “vicino a casa”, con i pro e i contro.
Il bilancio? Sicuramente positivo, anche se abbiamo avuto qualche intoppo tutto è andato bene, 15 giorni di sole pieno e tempo bellissimo. Foto tante (589), ve ne mandiamo qualcuna e il resto è a disposizione per chi volesse … sorbirsele tutte. Ci siamo dilungati forse un po’, ma era impossibile descrivere tutto in poche righe. Speriamo di non avervi annoiato.
Au revoir, France!