Tour Birmania e Cambogia – Parte 3
Colazione e partiamo per Pakkoku, uscendo dalla città di Monywa noto delle palafitte di bambù ed altre di teak, lungo la strada vi sono delle segherie, dove, su concessione governativa, lavorano il legno di teak. La strada è contornata da piante di acacia con fiori rossi e gialli: l’accostamento è molto gradevole.
La strada che unisce le due città è stata costruita nel 1992, presenta innumerevoli buche e per lunghi tratti risulta non asfaltata. Per la manutenzione la strada viene suddivisa in tratti e l’esecuzione lavori viene appaltata a dei gruppi familiari. In quest’attività tutto il nucleo familiare lavora, gli uomini prendono i sassi dalle cave e a mano, li rompono fino a ridurli piccoli granelli che vengono messi nelle buche. Le donne, i ragazzi ed a volte si vedono anche dei bambini, sono parte attiva del lavoro; trasportano sassi dalle cave verso la strada oppure depositano i sassolini all’interno delle buche che poi ricoperte d’asfalto viene battuto con dei pesi. Il lavoro non è eseguito a “regola d’arte” in modo che la manutenzione sia continua e di conseguenza l’appalto del lavoro sia “garantito” nel tempo. Dopo due ore di viaggio, ci fermiamo nel villaggio di Mau, costruito interamente con bambù e palme nel 1997, dopo che un incendio lo aveva completamente distrutto. Appena scesi dal pullman, vediamo delle donne impegnate nella fabbricazione artigianale delle stecche per gli incensi che realizzano con l’ausilio di una macchina impastatrice; pongono una stecca di bambù e chiudendo la macchinetta, permettono a queste stecche di passare in un impasto grigio che li avvolge. La lavorazione avviene singolarmente per ogni stecca e le stesse, successivamente, sono adagiate per terra sostenute da un legno per l’essiccazione dell’impasto. Le bacchette d’incenso prevedono un secondo rivestimento che è fatto altrove, varie essenze conferiranno il profumo voluto dalla combustione della bacchetta. Mentre le donne sono intente nella lavorazione delle stecche per l’incenso, degli artigiani lavorano le foglie di palma creando suppellettili ed oggetti per la casa.
Vicino al villaggio vediamo delle pagode del XII sec. E sparse nella foresta, i resti di altre pagode, la guida “c’invita” a non addentrarci nell’alta erba presente onde evitare l’incontro, poco piacevole, con qualche strisciante rettile. Proseguiamo per le pagode, qualcuna è bianca, qualcuna è in stato d’abbandono, dopo un breve percorso arriviamo in una radura dove sorgono delle scuole. Sosò regala ai bambini della prima elementare dei quaderni e delle matite; i bambini, contentissimi, ringraziano per la donazione.
Poco distante in un’altra scuola vedo dei ragazzi/e impegnati nell’ora di educazione fisica, gli esercizi fisici appaiono come una ginnastica “di regime” e ricordano i vecchi filmati dell’istituto Luce, del periodo antecedente la seconda guerra mondiale.
Ritornando verso il pullman, mentre attraversiamo il villaggio vediamo prima dei campi coltivati a sesamo, con le piante dai fiori gialli; poi un gruppo di donne recarsi presso il tempio, è il settimo giorno dopo la luna piena e per il calendario buddista è un giorno sacro.
Mentre riprendiamo la strada parzialmente asfaltata dirigendoci verso Pakkoku, Sosò continua la descrizione delle tradizioni birmane; i regali offerti dagli stranieri ai ragazzi sono tenuti come souvenir. Anche le penne e la cancelleria varia, non è utilizzata. In Birmania penne e cancelleria, reperibile a basso prezzo arriva dalla vicina Cina, ma la qualità non è elevata.
Transitando vicino a piantagioni di palma, ce ne descrive l’uso delle sue parti. Alla palma servono 15 anni per produrre le noci di cocco; le piante sono maschi e femmine, le femmine producono le noci di cocco ed i maschi producono dei baccelli, i contadini utilizzando delle scale fatte di bambù legate al tronco, salgono in cima alla pianta ed incidendo i baccelli, appongono dei recipienti per la raccolta del liquido in essi contenuto. Questo liquido viene fatto fermentare e produce una bevanda chiamata Toddy (L72), simile ad una birra leggera.
Della palma si utilizza tutto, le foglie servono per la realizzazione dei tetti delle abitazioni, delle pareti laterali e delle stuoie; il tronco viene usato per fare i pali dove edificare le abitazioni; le radici, raccolte, vengono pulite ed una volta bollite sono commestibili.
Sosò racconta che la tradizione individua l’esistenza di cinque nemici della popolazione: l’alluvione, l’incendio, il rifiuto di una persona che non mi vuole, il Governatore o il Re, ed infine il ladro.
Arriviamo a Pakkoku (L298 – M134), rispetto al programma iniziale saltiamo la visita alle rovine del Monastero di Pakhangyi, e ci fermiamo al mercato cittadino che è parzialmente chiuso perché oggi è un giorno di festa per i buddisti. Visto che vi sono delle bancarelle e dei negozi aperti, facciamo un giro in cerca dei tessuti caratteristici del luogo in quanto questa è la zona di produzione dei tessuti birmani.
Girando per il mercato troviamo un bel negozio di tessuti ed entriamo a veder quello che c’è, all’interno vedo anche delle ciotole nere, sono quelle che i monaci usano per chiedere l’elemosina. M’informo e comprendo che le ciotole posso essere realizzate con tre materiali differenti, le tradizionali sono in terracotta smaltata o in bambù laccato, quelle più moderne e meno belle sono fatte di ferro smaltato.
Pakkoku è una città famosa per le piantagioni di tabacco e per la sua lavorazione; di proprietà dello stato sono le fabbriche di sigarette, mentre i sigari sono prodotti da artigiani locali. Anche le tessiture di cotone sono note e diffuse in città, qui sono presenti le fabbriche di abiti per tutti i vari ministeri della Birmania; ognuno con un proprio stile.
Ci fermiamo in città per la sosta per il pranzo; gamberi fritti, zuppa di verdura e pesce, pollo, patatine fritte (abbondanti dietro precise indicazioni di Sosò che ha notato come nei giorni precedenti le mangiavamo di gusto), banane.
Ripartiamo col pullman e ci dirigiamo presso un villaggio di capanne che sorge in riva al fiume, siamo circondati da bambini e di venditrici di tessuti; trasbordano le nostre valigie su barche, saliamo e partiamo verso Bagan.
Durante la navigazione sulle calme acque del fiume Ayeyarwady, vedo delle chiatte e delle barche cariche di mercanzia, qualcuna carica di sacchetti di riso e qualcuna carica di fusti metallici voti (comprendo che sono vuoti in quanto la linea di galleggiamento della barca è alta). Questo fiume ha la caratteristica di non avere la corrente due volte al giorno, ed in effetti navigare sulle ferme acque di un fiume è molto inusuale. La navigazione procede con calma, solo il rumore del motore diesel rompe il silenzio del fiume; ad un certo punto, improvvisamente compaiono delle onde, la corrente ha ripreso a muovere le ferme acque. Lungo il fiume le sponde sabbiose sono molto alte, segno dell’erosione prodotta dal fiume, solo in prossimità d’affluenti, le alte sponde degradano per poi risalire. Sopra le sponde, oltre all’erba che si affaccia sul fiume, delle capanne sparse indicano che vi sono delle zone coltivate. Ad un certo punto inizia la foresta, si procede costeggiandola, quando ad un tratto dal verde delle piante spuntano improvvisamente delle pagode marroni ed una, molto imponente, dorata. La navigazione prosegue in un susseguirsi di pinnacoli che stagliandosi verso il cielo, si perdono a vista d’occhio. La vista spazia dal marrone del fiume, e si perde nell’azzurro cielo illuminato da un sole caldo, sulla sponda il verde della foresta è frammentato dai colori e dalle forme di centinaia di pagode, una visione che lascia meravigliati da tanta bellezza.
Attracchiamo a Bagan (L282 – M125) dopo aver navigato per parecchi km sul fiume, attorno a noi vi sono dei battelli da crociera, il verde della foresta e le pagode. Essendo la composizione del terreno sabbiosa non ha mai permesso di coltivare riso, quindi storicamente quest’area è stata dedicata all’edificazione di pagode. Oggi, intorno all’area archeologica di 42 km quadrati, si estendono campi coltivati ad arachidi, mais e fagioli.
A Bagan, originariamente c’erano 4.400 pagode, poi con l’abbandono, i terremoti e l’azione del tempo molte sono crollate. Attualmente sono presenti 2.230 pagode tra originali e restaurate. Nel 1975 un terremoto ha fatto cadere le guglie sommitali di tutte le pagode esistenti ed è iniziata un’imponente opera di restauro finanziata dall’Unesco, opera che attualmente è sospesa per alcune tensioni tra l’organizzazione internazionale ed il governo birmano. Nell’area vi sono tre tipologie di pagode, le originali, quelle restaurate e quelle rifatte. Lungo la strada verso la città di Bagan noto la costruzione di una pagoda.
Il sole sta per tramontare e lo spettacolo è unico; dalla foresta emergono decine di pagode, il sole illumina le loro punte marroni, bianche o dorate che si stagliano verso il cielo azzurro, è un bel preludio per la giornata di domani.
Arriviamo all’albergo, entriamo nella hall e restiamo incantati, è tutta rivestita di lacca, colonne, pareti, soffitto, tutto rivestito con lacca finemente decorata. Sembra voler dire “benvenuto nel regno della lavorazione della lacca”.
Nel tempo libero prima di cena, qualche componente del gruppo esce dall’albergo per fare un giretto chi con dei calessi, chi a piedi. Io mi posiziono vicino alla piscina e mi dedico a leggere la storia del posto ed i luoghi che domani visiterò; sono proprio nel cuore del regno delle pagode, l’aria che si respira è magica.
La cena è una vera sorpresa, è all’occidentale, insalata fresca, zuppa di patate, pollo alla griglia con verdure e patate, per dolce uno squisito creme caramel, il tutto servito in piatti e fondine. Dopo tanti pasti birmani e cinesi, una cena con i nostri sapori. Terminata la cena improvvisamente le luci si spengono, che succede? … Compare un torta illuminata dalle candeline, è il compleanno di Mariarosa! Sosò, sei un grande!! Ha fatto una sorpresa a tutti preparando autonomamente il festeggiamento del compleanno, anche in quest’occasione si è dimostrato veramente una stupenda ed attenta persona.
La sera trascorre seduto ai bordi della piscina chiacchierando con i componenti del gruppo.
21 ottobre 2006 Sveglia e quando usciamo dalla stanza refrigerata, la giornata si presenta calda ed afosa, colazione e poi partiamo per la visita delle pagode.
Percorriamo parte della piana di Bagan ed arriviamo alla Shwezigon Paya (L331 – M131), adiacente allo stupa dorato, prototipo degli stupa di tutta la Birmania, troviamo delle costruzioni in legno del XVII sec. La pagoda risale al 1058, sui muri interni, sono presenti delle formelle con la storia della vita di Buddha. Il rivestimento originale della pagoda era di pozzolana, attualmente è disgregato rendendo visibili i mattoni della struttura. Davanti alla pagoda sono presenti delle ciotole bianche che servono per la raccolta delle offerte; questo è il secondo tempio più importante della Birmania. Vicino allo stupa un edificio rettangolare, è il tempio di transizione dal periodo animista al periodo buddista; all’interno dell’edificio sono presenti le 37 statue legate alla tradizione animista, come già visto nella pagoda di Hintha Gon Paya a Bago. Le statue di legno decorato avevano la funzione di realizzare i desideri. Adiacente al tempio c’è un padiglione ligneo intarsiato, risalente al 1880 contiene delle tavole che descrivono 10 storie di Buddha, le colonne sono decorate con vetri colorati. Poco distante un edificio contiene statue animiste e la pietra da sollevare per esaudire i desideri, simile a quella vista a Mandalay; due statue rappresentano il periodo di transizione delle religioni, il padre è animista, il figlio buddista. Proseguendo il giro della pagoda vediamo un padiglione ligneo contenente una statua di Buddha in piedi con un fiore di sicomoro, il plafone del padiglione è intagliato e decorato.
Poco distante, dal terreno affiora una tavola in arenaria dove vi è incisa la storia della pagoda, era tradizione che tutte le pagode avevano tavole simili, ma in molti casi sono state rotte o depredate. Vediamo un pozzetto posto per terra dal diametro di circa 10 cm., contenente acqua che crea il riflesso su cui è possibile osservare la punta della pagoda; la tradizione vuole che il re non potesse alzare la testa per vedere la punta della pagoda, altrimenti gli sarebbe caduta la corona e questo avrebbe portato sfortuna e disgrazie, compresa la caduta del regno. Ma il re utilizzando questo pozzetto poteva osservare la cima dello stupa, mantenendo saldamente in testa la corona.
Lasciamo la Shwezigon Paya e velocemente ci dirigiamo verso Kyan Si Tha Umin (L332), un tempio con all’interno degli affreschi che in origine era un centro di meditazione. La struttura presenta una serie di corridoi con soffitti a botte e nelle camere interne sono presenti porte in legno intarsiato; i corridoi sono affrescati con delle storie di Buddha; le camere hanno soffitti a volta incrociata. Sulle pareti vediamo affreschi raffiguranti danzatrici e mongoli (invasori del XIII sec.), la struttura è del XI sec. Gli affreschi sono del XIII sec.
Attraversiamo la strada e vediamo un altro tempio, quello di Wet Kyi Inn, saliamo su una scala ed accediamo al tempio contenente affreschi raffiguranti storie di Buddha, ma a causa dei terremoti e delle infiltrazioni d’acqua, gli affreschi sono in parte irrimediabilmente rovinati; la porta affrescata è stata interamente coperta di calce.
Proseguiamo il giro dei templi e ci fermiamo a veder il tempio di Wet Kyi In Gubyaukggyi (L323 – M133), realizzato in stile indiano, con soffitti ad arco acuto. Le pareti sono divise in tre fasce di decorazioni, nella parte bassa vi sono delle formelle geometriche con disegni di Buddha posizionati all’interno ed all’esterno delle singole formelle in modo da dare continuità. La fascia centrale è costituita da una greca con disegni a forma di goccia capovolta, la fascia verso il soffitto presenta su un affresco, forme geometriche raffiguranti la vita di Buddha. Questi pannelli sono stati parzialmente asportati da un europeo e sono visibili in un museo del vecchio continente. La parte posteriore del tempio è fatta a forma di croce, il tempio è completamente affrescato e gli artisti utilizzavano fino a sei strati di calce per poter lisciare completamente la superficie e poterli decorare.
Lasciamo il tempio di Wet Kyi In Gubyaukggyi e ci rechiamo a visitare il tempio di A Loto Pye, è un tempio del primo periodo.
Ma che significa primo periodo? I templi presenti nell’area di Bagan sono stati edificati in tre periodi storici ben precisi; il primo periodo dura dal 849 al 1113, il secondo periodo dal 1114 al 1174 ed infine il terzo periodo dal 1175 al 1287. Ogni periodo ha delle proprie caratteristiche architettoniche, gli edifici del primo periodo presentano delle finestre traforate da dove penetra poca luce, i mattoni utilizzati per la realizzazione di questi templi sono di grande formato; i templi del secondo periodo sono più alti, hanno finestre grandi e sono abbelliti con disegni di fiori; il terzo periodo è caratterizzato dalla costruzione di grandi templi realizzati in stile moderno, molto più luminosi dei precedenti e decorati all’esterno con pozzolana. Questo periodo che vede la fioritura di templi edificati da regine e dai ministri.
Ritorniamo alla descrizione del tempio di A Loto Pye, chiamato “Realizzare i desideri”, edificato nel 1090, secondo la tradizione birmana questo è il primo tempio da visitare; è un tempio solitamente tralasciato dai turisti e frequentato principalmente dai birmani. All’entrata troviamo un edificio di legno, all’interno vi sono quattro statue di Buddha, custodite in nicchie, alle pareti affreschi policromi, la volta è a volte incrociate. Le statue di Buddha sono ricoperte di pietre preziose, diamanti, rubini, zaffiri, perle e smeraldi.
Adiacente al tempio, uno stupa chiamato “pagoda verde”, è l’unica pagoda in tutta la Birmania ad essere ricoperta di piastrelle di vetro smaltato di colore verde. Essendo uno stupa, la salita alla terrazza è concessa solo agli uomini; salgo e dalla terrazza si domina la pianura che, seppur coperta dalla foresta tropicale, appare costellata di pagode di varie forme, dimensioni e colori; uno spettacolo veramente unico, scatto qualche foto e ridiscendo. Raggiungo il gruppo che, poco distante sta salendo sulla terrazza di un tempio, dove l’acceso è permesso anche alle donne, il gruppo incantato da tanta bellezza si ferma ad ammirare e fotografare. Scendiamo dalla terrazza del tempio, usciamo dal recinto delle pagode ed in pullman ci dirigiamo presso il tempio di Htilommlo Phato (L322), il “tempio del re e dell’ombrello”. Il nome deriva da una leggenda legata al sovrano che fece edificare il tempio; avendo quattro maschi e volendo far costruire un tempio per il figlio minore, suo prediletto, decise che il tempio fosse dedicato a chi era sorteggiato da un ombrello che cadeva, portati i figli sul luogo, l’ombrello che aveva in mano “cadde miracolosamente” sul figlio minore, allora fece costruire il tempio col nome del figlio, che successivamente divenne anche re.
Anche questo tempio era rivestito di pozzolana decorata, sulla facciata del tempio, nella parte dove la pozzolana è caduta, è possibile osservare il posizionamento dei mattoni che compongono la struttura. Posti su strati orizzontali, sono intervallati da uno strato verticale, questo oltre che creare un abbellimento della facciata, rafforza notevolmente la struttura, infatti, questa disposizione, ha permesso all’edificio di resistere ai vari terremoti nel corso dei secoli. Sulle pareti sono visibili dei pezzi del rivestimento originale di pozzolana con motivi a greca, a fiore, tutti finemente lavorati si alternano ricoprendo parte della parete, rendendo una vaga idea di quale fosse stata la bellezza originale.
L’edificio è costruito su due piani, le finestre ad arco acuto, permettono il passaggio di molta luce. All’interno vi sono affreschi, i cui disegni sono stati realizzati con tempera su sabbia. Sulla parete di destra, appena entrati troviamo un affresco che rappresenta un oroscopo; il tempio edificato nel 1218 conserva l’originale statua di Buddha di bronzo dorato. Il soffitto è interamente ricoperto d’affreschi con disegni floreali, le porte ed i soffitti sono ad arco acuto e manifestano una bell’armonia. Nella struttura del tempio sono presenti quattro ingressi tutti con il soffitto decorato a fiori.
Proseguiamo nel giro ed arriviamo al settimo edificio della mattinata, è il tempio di Ke Min Ga, una costruzione del XII sec.; all’interno il soffitto è ad arco acuto incrociato, le pareti sono interamente affrescate, è presente una statua di Buddha in arenaria, al piano superiore per sostenere la struttura vi sono due architrave in arenaria incrociate, ai bordi laterali delle stesse sono state costruite delle statue di Buddha, dove la testa poggia sulle travi e, sotto nello spazio tra la trave ed il pavimento, è stato realizzato il corpo della statua. Salendo sul terrazzo per vedere le statue, posso godere di un panorama a perdita d’occhio sulle pagode.
Vicino al tempio di Ke Min Ga, un tempio più piccolo contiene affreschi unici di colore verde, colore ricavato dalle foglie di the.
Saliamo sul pullman e ci dirigiamo al ristorante per il pranzo, durante il percorso transitiamo vicino ad un muraglione; è la cinta dell’antico palazzo reale, di cui vediamo l’imponente fossato ed una zona dove, gli archeologi hanno calcolato sorgesse il palazzo reale, essendo stato realizzato in legno, non rimane nessuna traccia. Dalla parte opposta della strada, lo stato birmano ha ricostruito un modello in dimensioni reali dell’antico palazzo reale utilizzando mattoni rossi, il tetto è in lamiera verde con decorazioni di ferro dorato; la struttura, seppur imponente, rispecchia molto lontanamente la bellezza dell’originale palazzo.
Pausa in un ristorante posto lungo il fiume, pranziamo all’aperto coperti da un’enorme tettoia, sotto di noi scorre placidamente il fiume Ayeyarwady. Verdure fritte, zuppa di verdura, maiale, manzo, gamberi alla griglia, verdure, melograno e papaia; terminato il pranzo rientriamo in albergo per evitare la calura delle prime ore pomeridiane di questa calda ed afosa giornata.
A metà pomeriggio riprendiamo il pullman e proseguiamo il tour dei templi. Facciamo sosta per visitare il Builthy Siem Nyet, edificato nel XII sec., il complesso realizzato in onore di due sorelle, è composto da tempio e stupa, i due edifici, seppur completamente diversi tra loro, sono stati edificati con lo stesso numero di mattoni; anche qui l’esterno era decorato con pozzolana.
Usciamo dal complesso e proseguiamo verso il Manuha Paya (L326 – M133), sul piazzale della pagoda è presente un’enorme ciotola in arenaria dorata; una volta l’anno la ciotola viene riempita di riso, che poi viene distribuito ai poveri: l’offerta serve per ricordare che la morte può sempre, improvvisamente, arrivare.
Il complesso contiene un edificio, dove sono presenti due statue, che ricordano un re e la moglie catturati durante una guerra, volutamente non uccisi, furono fatti prigionieri e segregati in questo luogo. Il re per manifestare la sofferenza che provava ad essere prigioniero, anche se era in una prigione dorata, ma pur sempre di prigione si trattava, decise di far edificare un tempio contenete delle enormi statue di Buddha, proprio per manifestare la sofferenza da lui provata durante la prigionia. Il tempio dall’altezza massima interna che non supera i 25 metri, contiene delle statue; la maggiore è alta 16 mt, ai lati altre due statue alte 11 mt.: opposta all’entrata, un’altra statua di Buddha sdraiato, lunga 27 mt.
A pochi metri di distanza visitiamo il Man Paya (L327), una costruzione realizzata interamente in arenaria, si dice che questa sia stata la prigione del re di cui sopra. L’edificio è uno dei quattro templi fondamentali di Bagan; realizzato dall’etnia Mon nel primo periodo quando l’induismo era ancora molto presente. Il tempio presenta delle finestre traforate che permettono il passaggio di poca aria e luce; all’interno le pareti sono di arenaria scolpita, nelle pareti sono presenti delle nicchie e dei ganci che fungevano da sostegno per le lampade dell’illuminazione.
Lasciamo questo complesso e ci dirigiamo verso Shwe Gugyi (L 319), è un tempio con una posizione particolare, da ogni finestra dell’edificio, si vede un pagoda; è unico nel suo genere. All’interno presenta il soffitto a botte, sull’altare è presente una statua dorata di Buddha, le finestre sono ad arco acuto.
Poco dopo visitiamo il tempio di Than Dan Gya, “sbadiglio del re”, edificato nel 1284, all’interno vediamo una statua di Buddha realizzata con mattoni di origine lavica, la statua è incompiuta. Anche qui il rivestimento era di pozzolana decorata. Usciamo dal tempio ed incontriamo un serpentello di colore verde, chiaramente ci allontaniamo lasciando il rettile a riposare.
Proseguiamo il giro ed arriviamo al Lokahteik, un tempio del XII sec. L’interno è completamente affrescato, il soffitto è a volte incrociate, è presente un altare con sopra una statua dorata di Buddha.
Usciamo che è pomeriggio inoltrato, ci apprestiamo a raggiungere il 14° ed ultimo tempio della giornata, la stanchezza comincia a farsi sentire, arriviamo presso la Shwesandaw Paya (L324 – M131), quando il tramonto sta per iniziare, saliamo i ripidi gradini che portano alle terrazze e mentre saliamo guardiamo il panorama. Qualcuno del gruppo si ferma, io proseguo e salgo tutte e cinque le terrazze, girando sulla terrazza più alta osservo le centinaia di pagode che si vedono ovunque a perdita d’occhio. Il sole sta tramontando dietro le nuvole, le pagode si perdono tra le palme, il bianco, l’oro, il marrone delle pagode pian piano sbiadisce lasciando spazio alla notte che sta calando. Scendiamo dalle terrazze del tempio, saliamo sul pullman e rientriamo in albergo, sistemo gli appunti presi durante la giornata, i riferimenti da cercare sono proprio numerosi, doccia e poi si riparte per la cena con spettacolo di marionette in un ristorante birmano.
Lungo la strada per il ristorante attraversiamo la piana con i templi che abbiamo visto nella giornata, qualche stupa dorato è illuminato e l’oro luccica nel buio della sera, lo spettacolo è veramente affascinate e sublime.
Arriviamo al ristorante, ceniamo all’aperto in un cortile, su un lato dello stesso c’è uno spazio dedicato all’orchestra ed il palco per lo spettacolo delle marionette. Inizia lo spettacolo, articolato in più scene monografiche; raccontando varie storie, scorrono 28 soggetti, oltre un giullare. Tutto lo spettacolo è accompagnato da musica e canti. La piacevole rappresentazione perdura quasi tutta la cena. E’ uno spettacolo fatto più per i turisti che per i birmani che “trascurano” qualsiasi forma di spettacolo tradizionale. Durante la cena ci servono sfoglie di riso fritte, zuppa di lenticchie, verza con limone, gamberi secchi conditi con peperoncino (un piatto tradizionale birmano, molto piccante), verdure cotte, pesce, maiale; la cucina è veramente gustosa. Verso la fine della cena arriva un piatto … Grana Padano !!! Mariella, lo ha portato dall’Italia, lo condivide con tutti, è una sorpresa per tutto il gruppo. Per terminare la cena arrivano delle banane flambé ed un buon caffè. Tutta la cena è accompagnata da riso bianco condito con succo di cocco, è un ottimo abbinamento per tutti i piatti.
Alla fine della cena rientriamo in albergo, il cielo appare sereno e stellato ma in lontananza si vedono dei lampi che rischiarano la notte; chissà come sarà la giornata domani?
22 ottobre 2006 E’ domenica, santifichiamo la festività, colazione e poi partiamo per la piana di Bagan, la prima tappa della giornata è il mercato locale nel quartiere di Gnaö, la felicità delle donne è incontenibile, dopo la precedente giornata dedicata interamente alla visita dei templi, un pò di shopping ci voleva proprio. Sulla strada verso il mercato transitiamo nella zona dei templi, seppur sono sul pullman in movimento, in alcuni templi attraverso le finestre si scorgono le statue di Buddha. Arriviamo al mercato cittadino dove, girandolo, si trova di tutto, tessuti, oggetti di lacca, artigianato locale, statue, gioielli, riso, pesce, carne e … La possibilità di acquistare carne cotta alla griglia, una specialità locale: roditori provenienti dalla campagna. Esatto !! Topi alla griglia; paese che vai, usanza che trovi! Lasciamo il mercato e riprendiamo il tour dei templi, arriviamo nella “zona dei monaci”, vediamo alcuni edifici quadrati e bassi, erano le abitazioni dei monaci, oggi abbandonate in quanto la zona è divenuta prettamente archeologica.
Il primo tempio che visitiamo è il Payathonzu (L330), “i tre templi”, l’edificio appare all’esterno di forma rettangolare e come dice il termine, racchiude tre templi ben distinti con entrate indipendenti ma collegati tra loro da un passaggio interno. Il tempio edificato nel XIII sec. Non fu terminato per l’invasione dei mongoli. Gli affreschi presenti sono originali, delle tre statue di Buddha presenti, una sola è originale. I tre templi hanno il soffitto a volte incrociate, le porte e le finestre sono ad arco acuto. Dall’entrata, il tempio di sinistra presenta le pareti completamente ricoperte di affreschi policromi, il tempio centrale ha gli affreschi quasi terminati, ed il tempio di destra è interamente affrescato e conserva la statua originale. Le statue erano apposte solo quando gli affreschi erano completamente terminati; l’incompiutezza dovuta all’invasione mongola ci permette di vedere le varie fasi della lavorazione.
Proseguiamo la visita vedendo Tham Bula Paya (L330), il tempio prende il nome dalla regina che lo fece edificare, l’intonaco esterno è in pozzolana decorata, quello interno è in pozzolana affrescata con episodi della vita di Buddha e dei monaci.
Il terzo tempio che visitiamo è Tayoke Pye Paya (L330), edificato nel 1287, è una costruzione spettacolare per le innumerevoli guglie presenti che creano un composto armonico. Un dato curioso va riportato, terminata la costruzione del tempio la cupola crollò.
Durante il trasferimento per il tempio successivo, ci fermiamo a visitare il villaggio di A Nout Pwa Saw. Scendiamo dal pullman e facciamo un giro in questo villaggio abitato dall’etnia Mon, dedicata alla pastorizia ed all’agricoltura; nel villaggio fatto di capanne di bambù tutte recintate, vediamo un frantoio che mosso da mucche girando in circolo azionano la macina per la produzione dell’olio di sesamo. Successivamente in una capanna, possiamo osservare la lavorazione artigianale del bambù per produrre oggetti di lacca. Il bambù viene diviso in sottili strisce che vengono utilizzate per dare forma agli oggetti. Del bambù si utilizza la parte centrale del fusto, viene scartato l’esterno e viene utilizzata solo l’anima. Questi artigiani producono oggetti fatti con quattro strati di lacca.
Riprendiamo il nostro itinerario per i templi e visitiamo il Gubyaukgyi Myin Ka Bar (L326), il tempio a pianta quadrata presenta delle finestre traforate, ed anche in questo caso, l’aria che circola e la luce che entra sono limitate. Al centro del tempio una cappella, anch’essa quadrata custodisce una statua di Buddha in arenaria colorata; il corridoio che esiste tra la struttura perimetrale esterna e la cappella interna, ha pareti completamente affrescate. Sono gli affreschi più belli di tutta la piana di Bagan; realizzati su uno strato di pozzolana sono policromi, raffigurano storie di Buddha. Sulle pareti, oltre agli affreschi, sono presenti delle scritte di etnia Mon. Nelle pareti esterne della cappella centrale, sono presenti delle nicchie contenenti delle piccole statue di Buddha.
Usciamo dal tempio e poco vicino visitiamo una pagoda contenente una stele scritta in quattro lingue; è il primo documento scritto in birmano e risale al 1113. La prima forma di scrittura birmana utilizzava caratteri quadrati, mentre la scrittura attuale utilizza esclusivamente caratteri di forma rotonda.
Proseguiamo il tour arrivando al quinto tempio della mattinata è Ananda Pahto (L321 – M129), il tempio per eccellenza, il tempio delle 10.000 guglie. Imponente, bianco, circondato da una cinta da cui si accede da quattro portali che immettono in colonnati; la struttura del tempio, all’esterno, manifesta la storia di Buddha in tre modi: • tramite 1.447 piastrelle smaltate poste sull’edificio; • tramite gli affreschi; • tramite le statue.
E’ l’unico tempio di tutta la piana di Bagan realizzato a forma di croce greca, la struttura si sviluppa su più piani. Il tempio presenta finestre a sesto acuto, all’interno la luce entra ed illumina i corridoi, è veramente uno stile unico per la bellezza e l’armonia espressa. Alle quattro entrate sono poste delle statue di Buddha, due sono originali, realizzate in un unico pezzo di legno di teak dorato. Le statue hanno una struttura il cui viso sembra modificarsi con la prospettiva, infatti osservandola da lontano, la statua sembra abbia un aspetto molto severo, avvicinandosi, l’espressione seria si trasforma in un dolce sorriso. Le porte d’entrata sono alte 10 mt dal peso di una tonnellata ad anta.
All’interno il tempio presenta un interno quadrato, circondato da due corridoi che percorrono l’intero perimetro, uno più esterno e l’altro più interno; alle pareti degli stessi sono presenti delle nicchie contenenti statue dorate di Buddha in legno ed in arenaria.
Lasciamo Ananda Pahto e ci apprestiamo a visitare l’ultimo tempio della mattinata e, durante il viaggio ci fermiamo a fotografare uno stupa interamente rivestito in oro, la pagoda di Da Ma Ra Zika, il rivestimento e l’illuminazione notturna è stata voluta e pagata dal primo ministro del governo birmano. Proseguiamo il tragitto ed arriviamo al tempio di Dhammayangyi (L324 – M131), realizzato da un sovrano che per acceder al trono ha ammazzato il padre ed il fratello: per dimostrare il suo pentimento fece edificare questo tempio. La costruzione della struttura procedette volutamente a rilento, questo per creare una solida e ben assestata struttura, resistente nei secoli ai terremoti. Attualmente, l’interno è abitato da pipistrelli e noi ci soffermiamo ad osservare l’imponente tempio dell’esterno, scattiamo qualche foto e poi ripartiamo La mattinata è trascorsa velocemente e si avvicina l’ora di pranzo, ci rechiamo presso un ristorante posto sulla riva del fiume dove ci servono: verdura fritta, zuppa di lenticchie, manzo, pollo, gamberi alla griglia, verdure con aglio, banane fritte, Nescaffè.
Alla fine del pranzo, visto che è l’ultimo giorno prima della partenza per la Cambogia, diamo a Sosò un piccolo pensiero per la sua disponibilità, la professionalità e la puntigliosità dimostrata; un pò di commozione serpeggia tra il gruppo.
Lasciamo il ristorante ed andiamo a visitare un laboratorio artigianale dove creano oggetti di lacca; la lacca è una vernice ottenuta dal lattice estratto dalla corteccia dell’albero della lacca (Rhus Vernicifera) e fatta essiccare in apposite condizioni di temperatura ed umidità. La lacca proviene dallo stato di Shan. Come avevamo già visto nel villaggio di A Nout Pwa Saw, nella mattinata, il bambù viene tagliato in sottili listarelle che vengono usate per dar forma ad oggetti vari; per realizzare oggetti particolarmente flessibili (tipo bicchieri), le listarelle vengono intrecciate con crini di cavallo. Una volta che l’oggetto ha assunto la forma voluta, l’artigiano applica un primo strato di lacca di colore nero; poi l’oggetto viene posto in una cantina per la giusta asciugatura, questa permanenza dura una settimana; così gli artigiani procedono per i vari strati di lacca. Gli oggetti prodotti qui hanno, 12 strati di lacca, quindi servono ben 84 giorni solo per la corretta asciugatura. Terminati gli strati di lacca nera vengono applicati degli strati colorati; lo strato colorato viene apposto e viene fissato con una resina di acacia, successivamente viene apposto un altro colore ed anch’esso fissato con la resina, così procedono con tutti gli strati di colore che l’artista decide di apporre.
Terminata questa lavorazione, passano alla decorazione, la prima fase è eseguita con una penna di ferro, che serve per le incisioni sulla lacca; gli uomini lavorano le figure grandi, le donne rifiniscono i dettagli ed i particolari. La lavorazione è un lavoro di squadra, dove ognuno con la propria sapienza ed arte, crea il presupposto affinché il prodotto finito sia di elevata bellezza.
Essendo nel regno della produzione della lacca birmana, quale migliore occasione per non procedere agli acquisti? Con le ultime compere termina il tour a Bagan, rientriamo in albergo per controllare le nostre valige e rinfrescarci velocemente prima di partire per l’aeroporto diretti a Yangon. All’aeroporto di Bagan c’imbarchiamo sul volo diretto alla capitale, purtroppo il soggiorno in Birmania si sta concludendo. Durante il volo ne approfitto per controllare le foto fatte e veder quante ne ho ancora a disposizione sulla scheda, sono 470, sicuramente basteranno per il soggiorno in Cambogia.
La sensazione che ho avuto girando per la Birmania, è quella di passare in luoghi conosciuti, davvero è una strana percezione, sarò un caso di reincarnazione? Se si spero d’essere in uno dei 26 paradisi della religione buddista.
Non so cosa mi aspetterà in Cambogia, ma la Birmania è davvero bella, Sosò afferma che in questo tour abbiamo visto i posti più belli del suo paese. Personalmente mi sarebbe piaciuto restare qualche giorno in più e poter liberamente girare per le città e per i paesi osservando meglio la vita delle persone, poter visitare altri luoghi meno battuti dai turisti e più frequentati dalla popolazione.
Arriviamo a Yangon e ci dirigiamo all’hotel, riprendiamo le valigie lasciate qualche giorno fa. Durante la cena buffet nell’albergo, ritroviamo qualche sapore europeo, sempre gradito dopo qualche giorno di cucina birmana e cinese. Il dopo cena è dedicato alla preparazione della valigia per la partenza ed alla sistemazione degli appunti del viaggio in Birmania.
23 ottobre 2006 Sveglia, colazione e prima di uscire dall’albergo lascio a Sosò i pochi khat rimastimi oltre a delle magliette e pantaloni da dare ai lebbrosi; Sosò ringrazia anche a nome della sua gente. Con tutte le nostre valigie saliamo sul pullman ed attraversando per l’ultima volta Yangon ci dirigiamo verso l’aeroporto. Ci fermiamo a scattare le ultime foto della città, transitiamo vicino alla Shwedagon Paya, che è stata la prima pagoda visitata, il sole è dalla parte opposta, quasi a voler nascondere la bellezza dello stupa dorato, il cielo è azzurro turchino, interpreto questa visione come un bel saluto ed un invito a tornare in questa meravigliosa terra costellata di migliaia di pagode dorate.
Velocemente arriviamo all’aeroporto e Sosò, con un suo collega dell’agenzia, si dedicano a sbrigare tutte le pratiche per la partenza; veramente un ottimo e completo servizio fornito dall’agenzia birmana. Imbarcate le valige, salutiamo Sosò e tutto il gruppo transitando dal check-in, si ferma nella sala d’attesa aspettando l’aereo per Bangkok. Guardo l’aeroporto che è in fase di costruzione, sulla pista sono fermi degli aerei, ogni tanto decolla qualche aereo militare con varie tonalità di colore, verde, marrone, azzurro e bianco. Siamo in una sala della vecchia struttura dell’aeroporto, si nota che è datata. Decolliamo con un aereo della Thai, il servizio a bordo è sempre ottimo, il viaggio è allietato da uno spuntino di pesce e riso. Nello zaino deposito la guida della Birmania ed estraggo quella della Cambogia, approfitto del volo per leggere la storia e qualche informazione sul paese dove ci stiamo recando. Passare da uno stato all’altro, seppur vicini è sempre un notevole salto mentale; cultura, storia, tradizioni usanze differenti creano sempre qualche problema nell’immediato adattamento. La tecnica della “conoscenza zero” funziona sempre, mai dare qualcosa per conosciuto o per assodato, ma adattarsi sempre al paese dove vai.
Atterriamo a Bangkok, finalmente posso accendere il cellulare e leggere gli sms che nel frattempo erano arrivati, qui è mezza mattina ed in Italia è ancora notte, è “poco delicato” telefonare a quell’ora. Invio degli sms dicendo dove sono e che sto bene e, durante la permanenza in aeroporto, qualche telefonata e qualche sms dall’Italia arrivano ”bentornato nella civiltà …” recita uno degli sms, in effetti è vero, abituati ai servizi offerti dalla tecnologia, il non poter comunicare liberamente era un poco limitativo.
Dopo qualche ora d’attesa c’imbarchiamo su un ART 72 della Bangkok Airways, l’aeromobile è completa, decolliamo in ritardo. Durante il volo sorvoliamo sterminate pianure coltivate, i rilievi montuosi sembrano assenti, dall’alto si vede solo qualche piccola collina sparsa qua e là. Parrebbe di vedere enormi estensioni coltivate a riso; noto delle macchie verdi poste in prossimità dei villaggi e lungo i percorsi dei fiumi, sono piante di palme e tratti di foresta. Per diversi minuti sorvoliamo terreni allagati, non comprendo che sia, alla fine noto che l’acqua lambisce la pista dell’aeroporto. Scoprirò poi che si tratta del lago Tonlé Sap, che in seguito all’abbondante pioggia delle giornate precedenti è al suo massimo livello.
Atterriamo all’aeroporto di Siem Reap (L114 – M92), una città posta nel nord della Cambogia. Alla dogana aeroportuale dobbiamo presentare i passaporti, i visti, le foto e tutto quanto richiesto dalla burocrazia cambogiana. Ad aspettarci c’è un inviato dell’agenzia locale, che raccoglie tutti i nostri documenti e s’interessa lui per il nostro ingresso; usciamo dall’aeroporto e saliamo su un pullman da 30 posti, mentre le valigie vengono caricate su furgoncini ci saranno recapitate direttamente in albergo.
Facciamo conoscenza con la guida che ci accompagnerà in questo breve soggiorno, si chiama Sarath, parla un italiano non fluente, ma con attenzione è comprensibile. A causa del volo aereo siamo in ritardo, avremmo dovuto vedere il tramonto sul lago da una collina, ma vista l’ora si cambia programma.
Col pulmino, avvicinandoci alla città vediamo molta gente che a bordo di biciclette lascia il centro città dirigendosi verso la campagna. Sarath ci spiega che sono lavoratori edili che si alzano alle 5 del mattino, arrivano in città dove lavorano fino alle 17; per recarsi al lavoro percorrono anche 20 km.
Siem Reap dista 310 km dalla capitale della Cambogia; uno stato che dopo la dittatura dei khmer rossi, terminata nel 1979, non si è ancora ripreso.
Durante il tragitto noto che le abitazioni sono di bambù, di teak e di mattoni, tutte a palafitta ed i pilastri portanti sono di teak o di cemento.
Attraversata la città, velocemente arriviamo al Tonlé Sap (L51 – M91), il lago a seguito delle piogge ha un livello molto alto, c’imbarchiamo su un battello e navigando vediamo un villaggio galleggiante, le abitazioni sono realizzate su zattere o su barconi; durante la navigazione il sole che tramonta dietro le montagne crea un effetto suggestivo.
Ci fermiamo presso un battello che funge da negozio e da bar, adiacente al battello, un recinto posto nell’acqua contiene dei coccodrilli allevati per la pelletteria.
Rientriamo verso la terraferma che è buio, il timoniere si fa guidare dalle stelle e dal riflesso dell’acqua, verso riva un ragazzo con una torcia elettrica lo aiuta ad illuminare lo specchio lacustre ed evitare di travolgere qualche piroga presente. Dalle case galleggianti si vedono le scene di vita quotidiana, le barche sono destinate ad abitazioni, a negozi, a bar, perfino un ospedale ed una chiesa. Tutto il villaggio galleggiante segue l’andamento dell’acqua del lago. Dopo le piogge la superficie del lago diventa di 10.000 km quadrati, mentre alla fine della stagione secca la superficie è ridotta a 3.000 km quadrati.
Nelle abitazioni, noto uomini e donne sdraiati sulle amache, bimbi che giocano, famiglie a cena, TV che funzionano, insomma uno spaccato della normale vita quotidiana di queste persone. Qui vivono numerosi vietnamiti immigrati, i cui figli, sulla terraferma, chiedono in modo insistente la carità.
La calma navigazione è disturbata da nugoli di zanzare che s’abbattono si di noi; attracchiamo, abbandoniamo il battello e saliti sul pulmino, ci dirigiamo verso Siem Reap; il traffico è sensibilmente diminuito, lungo la strada si vedono dei mercatini.
Un particolare attira la mia attenzione, i semafori sono dotati di un cronometro che indica il tempo mancante prima che cambi colore, si ferma 30 secondi sul rosso e 30 secondi sul verde.
L’impatto è d’essere in un paese molto diverso dalla Birmania, qui i telefonini funzionano, molte automobili girano, vi sono distributori di benzina, alberghi e negozi appaiono ordinati e puliti; i tratti somatici della gente sono diversi da quelli birmani.
Arriviamo in albergo; è ampio e lussuoso, veramente un altro confort rispetto alla Birmania. La cena a buffet, con una cucina orientale che tenta d’avvicinarsi al gusto occidentale, o forse è solo un’impressione in quanto abbiamo cambiato nazione? Alla fine della cena tento d’uscire dall’albergo, ma il caldo umido è insopportabile, rientro e con l’aria condizionate si sta decisamente meglio.
24 ottobre 2006 Sveglia alle 7,00, l’albergo è pieno di giapponesi, a colazione sembrano delle cavallette affamate, divorano di tutto, e come tradizione vuole, sono armati di ogni prodotto per tecnologico; con le macchine fotografiche fotografano di tutto, compresa la hall dell’albergo e le sale adiacenti. Partiamo per le escursioni della giornata a bordo del pulmino, questo è lo standard dei bus che qui viaggiano, 30 posti calcolati sulle dimensioni degli asiatici, facciamo fatica a restare seduti a lungo, le nostre gambe sono praticamente incastrate tra i sedili. Partiamo ed attraversiamo Siem Reap, Sarath sforzandosi di parlare correttamente italiano, ci spiega alcune cose della Cambogia.
La nazione vede una prevalenza buddista del 90%, l’analfabetismo è al 25%, il 70% sono contadini. Attualmente la nazione punta sul turismo come fonte primaria di valuta pregiata, per questo molti alberghi sono in costruzione, in parte vedono la partecipazione di capitali stranieri. La costruzione degli edifici che posso notare lungo le strade è curiosa, una volta terminato il tetto, vengono subito fatte le rifiniture esterne e successivamente proseguono i lavori interni, come per voler dimostrare la bellezza della costruzione. Sarath, a volte si confonde con i termini italiani, occorre molta attenzione nell’ascoltarlo e prendere appunti in queste condizioni si rivela un poco complesso.
Attraversando la città arriviamo nella zona archeologica di Angkor Thom (L159 – M112), ci fermiamo ad un chek-point, ci vengono consegnati dei pass personali con nome e foto, validi per accedere alla zona archeologica. Dal punto di vista organizzativo veramente una bella idea per poter girare tutti i templi senza fare ulteriori code per pagare il biglietto, questo potrebbe essere un modello da importare nelle nostre città d’arte italiane.
Angkor (L137 – M101) era la capitale della Cambogia antica, i templi edificati nell’area sono stati realizzati dal 802 al 1434, nei due periodi della “Cambogia classica”, vedremo opere risalenti dal periodo induista fino al periodo buddista, queste due religioni sono una costante presenza. L’ingresso alla zona avviene da un’enorme portale posto nella cinta muraria periferica. La pietra usata per la realizzazione della maggior parte dei templi è arenaria, il colore grigio della pietra si mescola col verde e marrone dei licheni cresciuti sulla pietra stessa. Il colore, le forme ricordano molto i templi maya presenti in Messico, d’altronde qui a dividere le due culture c’era “solo” l’oceano pacifico. Prima d’accedere al portale d’ingresso percorriamo un ponte al cui lato sono collocati delle statue che sostengono un enorme serpente, il naga, il serpente mitico della tradizione buddista, spesso raffigurato con più teste, fino a sette, è un simbolo molto usato nell’architettura angkoriana. Queste figure, posizionate all’ingresso, sono a protezione dell’intera struttura.
Sulla cinta e sulla porta, incise nell’arenaria, vediamo delle decorazioni raffiguranti fiori di loto, danzatrici, elefanti ed un cavallo a 5 teste. L’enorme portale d’ingresso è decorato con ai lati un elefante a tre teste.
Il ponte, le statue ed il portale sono parzialmente danneggiati a causa sia della foresta che fino a qualche anno fa ricopriva tutto, sia causa delle guerre e della dominazione dei khmer rossi, durante la quale molti monumenti sono stati oggetto di tiro al bersaglio.
Attraversiamo il portale ed entriamo in quella che una volta era la zona religiosa e sede del palazzo reale. Saliamo su due piccoli pulmini che ci accompagnano a vedere i monumenti presenti in quest’area. Le pietre utilizzate per la costruzione di questi templi provengono da cave distanti 50 km, trasportate qui su zattere; l’edificazione di queste strutture richiese l’impiego di migliaia di operai.
Entrati nell’area archeologica il primo tempio che vediamo è il Bayon (L160 – M113), il nome del tempio fu modificato sotto il dominio francese, parte della struttura è crollata a causa del tempo e dell’avanzare della foresta; la Cambogia, avendo un terreno alluvionale, non è soggetta a terremoti. Partendo dalla cinta esterna si vedono dei resti di naga sostenuti da angeli, oltre che da leoni; il muro esterno del tempio è completamente coperto da bassorilievi raffiguranti 15 storie, l’estensione di questi bassorilievi è di 1.200 mt. Il tempio costruito su tre piani aveva 54 guglie goticheggianti contenenti 216 giganteschi volti del re, praticamente l’impressione girando all’interno del tempio è quella d’essere costantemente osservati e controllati dal re. Accedendo al secondo piano del tempio, vediamo delle storie di Buddha, con colorazione policrome del XII sec. Qui sono in corso dei lavori di restauro da parte di archeologi giapponesi. Dalla base, il complesso con le sue guglie appare un ammasso disomogeneo di pietre, solo salendo al terzo piano in cui, a differenza degli altri due piani quadrati esiste una piattaforma circolare, appaiono chiaramente i visi del re e, come voleva il costruttore, lo sguardo del re ti osserva sempre. Il tempio è stato iniziato nel 1181 e terminato nel 1190. La simbologia identifica il regnante con la divinità e questa caratteristica la troveremo ovunque in questi templi.
Lasciamo il tempio di Bayon e poche centinaia di metri dopo troviamo il Baphuon (L163 – M114), un monumento che è la rappresentazione del Monte Merù, un edificio costruito prima del Bayon, anche questo edificio ha tre piani, con 12 torri laterali più una centrale. Attualmente è in fase di restauro da parte di equipe francese. Le pietre del tempio erano alloggiate su un letto sabbioso, nel tempo le radici delle piante sono penetrate fra i massi spostandoli, permettendo così all’acqua piovana di penetrare ed asportare il letto sabbioso sottostante che ha fatto rovinosamente crollare il tempio. Nel 1960 iniziarono i primi lavori di restauro da parte dei francesi, interrotti a causa della guerra civile; attualmente il restauro prosegue, e grazie alla documentazione fotografica del secolo scorso i blocchi di arenaria vengono riposti nella loro posizione originale e qualora fossero troppo rovinati, vengono sostituiti con dei blocchi nuovi fedelmente riprodotti con l’ausilio della documentazione in archivio; oggi si possono vedere due delle 12 torri, fedelmente restaurate. L’ingresso del tempio era ad est, preceduto da una piattaforma di arenaria lunga 200 mt.
Proseguiamo il giro nell’immensa area e superata una cinta, dal perimetro di 600 per 350 mt, accediamo passando da un portale, restaurato nel 1990 da archeologi indocinesi, verso quella che era la Corte Reale (L164 – M115). Il primo tempio che vediamo è Phimeanakas (L164 – M115), “Palazzo nel cielo”, risale al 944, anch’esso è una raffigurazione del Monte Merù, serviva esclusivamente per l’incoronazione dei regnanti; sono visibili due vasche che venivano usate per le abluzioni reali. Il palazzo reale in legno dorato distava 50 mt dal tempio, ma è stato distrutto nella guerra contro i siamesi.
Uscendo dal perimetro murario accediamo direttamente (da sud) alla “Terrazza degli elefanti” (L165 – M115), una gigantesca tribuna lunga 350 mt, che era dedicata alle cerimonie pubbliche ed agli spettacoli del circo, qui si organizzavano combattimenti di bufali, lotte tra galli o tra cinghiali. Nella stessa area, quando un sovrano era incoronato, si svolgeva una festa che durava 5 giorni. Frontali e poste al limite opposto dell’area, si ergono delle torri; fra di esse venivano tirate delle funi dove si esibivano degli equilibristi. La terrazza, per la gente cambogiana, prende il nome dalle sculture di elefanti che sono scolpite sulla facciata. Alla fine della terrazza sorge un muro con due elefanti a tre teste, simbolo che rappresenta le tre divinità induiste.
Poco distante una terrazza più piccola ha alla sua sommità una statua; originariamente era la statua del “Dio della morte” ed era posizionata nel luogo dove i re venivano cremati, la gente l’ha denominata “la statua del re lebbroso” (L165 – M115); l’origine del nome popolare deriva dal fatto che la statua in arenaria si presenta con le dita mutilate e guardandola così asetticamente, assomiglia veramente ad un lebbroso.
Lasciamo il luogo archeologico e rientriamo in albergo, pranzo a buffet, una breve sosta e poi ripartiamo. Ritorniamo nella zona dei templi, chek-point dove si devono mostrare i permessi che vengono controllati scrupolosamente dalla guardia e poco dopo arriviamo ad Angkor Wat (L154 – M108), quest’edificio è il secondo complesso tutelato dall’Unesco: il tempio per eccellenza di Angkor, iniziato nel 1113 e terminato nel 1150. Entriamo dall’ingresso ovest, quello destinato al transito dei regnanti. Il sole illumina l’edificio infondendo una luce particolare, è veramente una delle meraviglie del mondo. La costruzione di origine induista è maestosa ed imponente, realizzata anch’essa in arenaria; rappresenta il Monte Merù; è circondata da un fossato simboleggiante i sette monti ed i sette mari che bisogna superare per raggiungere la montagna sacra. Vicino al fossato nelle acque calme, ricoperte di ninfee, il tempio si riflette creando un’atmosfera ed una visione degna delle più belle foto. Troviamo un gruppo di italiani provenienti da Milano, scambiare qualche parola con connazionali è sempre bello. Giriamo intorno al fossato, ci avviciniamo all’imponente palazzo, tutto il muro esterno è circondato da un colonnato, sul muro è scolpito un bassorilievo con storie induiste, nel sec. XVI il bassorilievo è stato dipinto, alcune tracce di colore sono ancora visibili. Al piano rialzato il palazzo presenta quattro cortili circondati da colonnati interamente coperti, al centro dei cortili accessibile da una gradinata e circondati da un bordo, sono presenti delle piscine che servivano per il recupero dell’acqua piovana. L’arenaria è stata deteriorata dal tempo e dalla foresta, anche questo tempio poggia su un letto sabbioso, quindi nelle vasche è bene che l’acqua piovana resti il meno possibile onde evitare di rovinare ulteriormente la struttura (solo il fossato esterno, che abbiamo visto in precedenza ha una base non sabbiosa che permette la permanenza dell’acqua).
Nei porticati sono presenti 1.000 statue di Buddha risalenti al XVI sec.; le cornici del tetto del porticato sono decorate con la testa di naga, il serpente sacro. Il porticato è costituito da una struttura formata da quattro colonne sormontate da un soffitto con una forma particolare; le colonne sono disposte in modo da creare un passaggio centrale più ampio e due passaggi laterali più stretti; nei due transiti laterali il soffitto è un quarto di cerchio, dove la parte bassa è all’esterno e la parte alta all’interno. Nella parte centrale il soffitto è costituito da due pareti di arenaria che salgono verticalmente e poi da dei blocchi, sempre d’arenaria, che degradando con forma triangolare verso l’alto vanno a chiudere la volta.
Procedendo nella visita del palazzo, transitando per una stretta e ripida scala accediamo al secondo piano, dove in un cortile è collocata la piramide terminale. Il gruppo si ferma nel cortile e, solo in pochi saliamo sulla piramide, l’acceso alla stessa è dato da una ripida scala che si restringe man mano che si sale, dall’alto la vista spazia sui templi circostanti e sui particolari della sottostante struttura. La discesa è facilitata da una fune, i gradini della piramide sono veramente alti e stretti, mi chiedo come facevano i khmer a salire e scendere, visto che la loro altezza non è elevata.
Usciamo dal tempio quando il tramonto si sta avvicinando, illuminando di arancione ogni particolare della pietra, la vista è davvero suggestiva, è davvero una delle meraviglie del mondo.
Proseguiamo il giro e poco distante il pullman si ferma perché siamo alla base della collina dove sorge il tempio di Phnom Bakheng (L168 – M111). E’ possibile acceder alla cima della collina utilizzando un sevizio di trasporto a dorso di elefanti. Qualcuno del gruppo approfitta di questo servizio, ma non essendoci più disponibilità salgo a piedi lungo una strada forestale che dolcemente gira intorno alla collina alta 60 mt. Alla sommità della stessa sorge il tempio, meta di molti turisti più per vedere il tramonto sulla sottostante pianura, che per visitare questa struttura realizzata su 5 terrazze con scale abbellite da leoni. Dall’alto si vede il sole che tramontando illumina dorando l’acqua del lago e la pianura alla base della collina; il contrasto con la foresta è sempre forte, luci ed ombre lottano perennemente e la luce lascia spazio al buio della notte che scende.
Ridiscendiamo la collina, quando ormai la notte prevale, gli ultimi metri sono fatti al buio, per fortuna che qualcuno aveva delle torce elettriche. Rientriamo in albergo, doccia, cena a buffet e poi … Il gruppo si ritrova nel bar dell’albergo, è il compleanno di Luigia, che festeggiamo con una buona torta. Auguri!! Questo tour è caratterizzato da compleanni; veramente carino.
Alla fine del festeggiamento un pò di conversazione con qualcuno del gruppo ed infine un sonno restauratore.
25 ottobre 2006 Colazione e poi, partenza per il giro degli ultimi templi, Sarath ci saluta sempre con “buongiorno signore e signori, come state, tutto bene?“; è’ un saluto che è divenuto un piacevole rituale. Come tutte le guide cambogiane Sarath indossa la sua divisa; scarpe nere, pantaloni blu, camicia cachi con apposti sulle maniche dei distintivi di guida turistica. Girando per i templi, le guide sono sempre ben individuabili.
Rientriamo nella zona archeologica ed il primo tempio che vediamo è Banteay Srei (L178 – M123), “Il tempio delle donne“, edificato nel 967, è realizzato in arenaria rosa-giallo che gli infonde un aspetto molto piacevole, i colori sono delicati e tutta la struttura è interamente decorata. Nel portale i bassorilievi illustrano storie indusiste della dea Vishnu, dentro la cinta, a fianco del tempio principale, sorge un edificio finemente decorato, è la biblioteca. Alcuni bassorilievi “prelevati“ da un francese (e tutt’ora presenti nei musei parigini) sono stati sostituiti con delle copie fedelmente riprodotte. I bassorilievi scolpiti nell’arenaria colorata infondono la sensazione che la struttura sia di legno scolpito e non di pietra, i colori sono caldi, armonici ed avvolgenti.
Fuori dal tempio dei venditori insistenti, a tratti esasperanti cercano di vendere souvenir. Lungo la strada un mercatino: confrontando i prezzi con la Birmania, in Cambogia risultano molto più elevati, potrebbe essere l’effetto di un turismo molto più diffuso qui che nell’altro stato.
Ripartiamo verso altri templi e lungo la strada ci fermiamo in un villaggio dove i contadini preparano lo zucchero utilizzando i frutti delle palme. Con scale spartane, praticamente un semplice fusto di bambù con le propaggini delle foglie che è legato al tronco; i contadini salgono sulle piante raccogliendo i prodotti delle piante femmine (le noci di cocco ancora in fase embrionale) ed i baccelli delle piante maschio: le portano a terra e tramite un rudimentale strumento, le schiacciano per far uscire il liquido in esse contenute. Questo liquido viene fatto bollire in pentole ovalizzate poste su un fuoco a legna e dopo due ore di cottura il prodotto viene fatto raffreddare; è pronto uno zucchero marrone e molto dolce.
Lasciamo il villaggio e proseguiamo per il tempio di Banteay Samré (L174), anche questo tempio è stato realizzato dagli induisti per la dea Vishnu; in origine era il tempio dei contadini, ma è stato utilizzato dai khmer rossi come prigione. L’ingresso al tempio, rialzato rispetto al terreno circostante, è collocato alla fine di un viale posto su una terrazza con ai fianchi statue di leoni e di naga., la struttura interna del tempio è realizzata in arenaria grigia, mentre le mura di cinta sono costruite con laterite marrone, il gioco dei colori crea un bel contrasto cromatico; all’interno del tempio vi sono altre cinte murarie ed una serie di cortili, oltre che una serie di colonnati e di bassorilievi.
Dirigendoci verso l’albergo sul percorso vediamo il tempio di Pre Rup (L174 – M119), struttura unica con quattro torri poste verso i punti cardinali ed una centrale, l’imponenza delle cinque torri si nota anche da lontano.
Rientriamo in albergo per il pranzo a buffet, breve sosta per evitare la calura e poi ripartiamo per visitare il tempio di Preah Khan (L171 – M119), il tempio è stato avvolto completamente dalla foresta che lo ha fatto crollare, parzialmente restaurato dagli americani, presenta molti blocchi d’arenaria sparsi disordinatamente per terra. Il tempio di origine induista-buddista, ha alle pareti dei bassorilievi e sulle architravi supportate da colonnati, sono presenti una serie di bassorilievi raffiguranti danzatrici. Il centro del tempio è caratterizzato da una stanza da dove, sui quattro lati cardinali, si aprono dei corridoi costellati da colonne sormontate da travi. L’effetto ottico è veramente bello, da ogni parte si guarda, la prospettiva è la medesima (tolte le parti crollate e non restaurate).
Proseguiamo nella visita e vediamo il quarto tempio della giornata il Preah Neak Pean (L172 – M120). Il tempio è costruito su un terrapieno dove, tutt’intorno è stata realizzata una diga di contenimento dell’acqua per l’irrigazione delle risaie, si accede al tempio transitando su una strada sterrata circondata da acqua. Il complesso è formato da una parte centrale e da quattro vasche laterali. La parte centrale quadrata è circondata anch’essa da una vasca, al centro della stessa un edificio rotondo costituisce il tempio; alla base sono presenti due naga aventi le code incrociate, le teste sono rivolte a est e le code rivolte a ovest. Un tempo era luogo di venerazione e cura dei malati, i quali attingevano l’acqua dalla vasca centrale e la usavano per guarire dai malanni. Ai lati, adiacenti alle quattro vasche laterali quattro cappelle, ognuna contenente una statua/simbolo: a est la statua dell’uomo che significa saggezza; a nord la statua dell’elefante che significa felicità; a ovest la statua del cavallo che significa velocità; a sud la statua del leone che significa potenza.
Proseguiamo il giro visitando l’ultimo tempio della giornata il Ta Prohm (L166 – M117), forse è il tempio più famoso dell’area, completamente avvolto dalla giungla è fotografato ed è presente su tutte le guide turistiche. Le piante avendo posto radici fra i massi d’arenaria sono cresciute ed hanno divelto gran parte del complesso; enormi piante, con le loro grandi radici avvinghiano gli enormi massi di arenaria. Attualmente sono in corso delle opere di restauro. All’interno del tempio è presente una statua di Buddha con dell’incenso acceso. Originariamente la statua era abbellita da pietre preziose, che nel tempo sono state asportate. Rientriamo in città e ci fermiamo in un negozio per turisti; anche qui bisogna contrattare il prezzo ma la merce, anche se artigianale e tradizionale è molto per turisti.
Durante il rientro Sarath, ci illustra la situazione della Cambogia e di Siem Reap; la città ha 80 alberghi; in Cambogia esistono solo sette guide turistiche che parlano italiano, in quanto gli italiani sono presenti in modo organizzato da soli due anni.
Transitiamo presso delle scuole elementari che sono presenti in tutto il paese, le scuole medie invece sono dislocate solo nelle grandi città e per i contadini risulta impossibile mandare ai figli a scuola per i costi da sostenere.
Gli agricoltori coltivano riso di cui fanno un solo raccolto l’anno e poi seminano angurie; per incrementare il guadagno, tagliano legname nella foresta e lavorano lo zucchero dalle palme. Le risaie sono ben tenute, l’allagamento naturale annuale viene ben sfruttano, i terreni sono circondati da palme per le noci di cocco e per la produzione dello zucchero. In Cambogia è presente qualche bacino artificiale che serve per trattenere l’acqua piovana per alimentare le risaie.
Gli impiegati statali percepiscono uno stipendio di circa 50 $ al mese, la corruzione, anche qui, è molto diffusa.
Le case cambogiane sono palafitte con i pilastri in legno o in cemento, l’altezza delle abitazioni serve per evitare le alluvioni o come deposito di riso e prodotti vari; per accedere ai piani superiori sono presenti sempre della ampie e decorate scale di legno.
Transitiamo vicino ad una struttura in costruzione, è la fiera di Siem Reap, il 25 novembre ci sarà una fiera internazionale con la presenza di 121 paesi stranieri; intorno alla fiera sono in costruzione delle strade d’accesso, vediamo un camion che trasportava sabbia ribaltato in un fosso per il cedimento del terreno.
L’economia cambogiana si basa sulla produzione di riso che alla fine è sufficiente per il fabbisogno nazionale, la frutta viene importata dalla vicina Thailandia e dal Vietnam. Come export vi è abbigliamento e seta, i manufatti sono esportati in Cina, Malesia e Stati Uniti.
Rientriamo in albergo che è sera, doccia e poi cena all’aperto rallegrata da uno spettacolo con danze e musiche cambogiane. Dopo la cena, qualche parola con il gruppo e poi a nanna.
26 ottobre 2006 Sveglia alle 6,15, predisponiamo le valigie per il rientro a casa, gli indumenti pesanti vengono messi a portata di mano per essere recuperati questa sera prima dell’imbarco per l’Italia dove la temperatura è decisamente meno calda che qui in Cambogia; indossiamo per l’ultimo giorno pantaloni leggeri e maglietta. Colazione e poi prima di partire, diamo a Sarath degli indumenti da distribuire a contadini ed operai locali. Lasciando l’albergo ci rechiamo all’aeroporto della città per prendere il volo diretto alla capitale, per poterci imbarcare occorre pagare una tassa aeroportuale di 6 $. Pagata la tassa possiamo accedere alla sala d’attesa e con un ART 72 voliamo su Phnom Penh. In Italia sono le 3, qui sono le 8.
Noto che gli aeroporti della Cambogia e precedentemente della Birmania, espongono ovunque la scritta ISO 9001, quasi per dimostrare che tutto va bene, che sono rispettosi delle normative e del sistema di qualità internazionale.
Decolliamo e sorvoliamo le ordinate risaie circondate da palme, vedo l’estensione del Tonlé Sap, poi altre risaie, un fiume solca la pianura e con sinuose curve si perde all’orizzonte; una catena montuosa ricoperta da foresta interrompe le risaie che sono a perdita d’occhio.
Atterriamo a Phnom Penh, troviamo la guida che ci accompagnerà per l’intera giornata, si chiama Ra è cambogiano ed è stato in Italia sette anni, lavorava come metalmeccanico in provincia di Brescia, parla un italiano corretto con accento bresciano.
Girando per le strade della capitale notiamo che la circolazione è un pò “libera”, in effetti, le biciclette ed i motorini sembrano muoversi senza nessuna regola e pare vale la regola del “chi passa per primo, passa”. Ra ci racconta che in Cambogia l’assicurazione è facoltativa per i cambogiani ma è obbligatoria per gli stranieri, in caso d’incidente le questioni vengono risolte fra i due contendenti, ed in caso d’incidente mortale esiste la prigione.
Osserviamo che le donne cambogiane tendono a coprirsi il viso, Ra ci spiega che questo serve per evitare di prendere il sole; è molto diffusa la convinzione che le persone abbronzate siano contadini e di conseguenza le donne poco abbronzate hanno più possibilità di trovare marito.
La prima sosta nella capitale è presso il Museo Nazionale (L80 – M73), il museo è strutturato seguendo i quattro periodi storici della Cambogia e le sale sono organizzate per oggetti costruiti con materiali similari, quasi per mostrare l’evoluzione. S’inizia il giro del museo con la sala contenente statue di bronzo dal XI al XVIII sec.; alcune di elevata fattura. Nella sala successiva sono presenti delle statue di arenaria. Delle statue di scisto e di marmo; molte di esse provengono da templi, in quanto prima del XIV sec. Nei templi non erano presenti monaci ma solo statue. Proseguiamo per il museo e vediamo delle sedie per monaci e delle selle per l’elefante reale; notoriamente un elefante albino. Sono esposte delle portantine reali realizzate con bambù ed impreziosite con tessuti dorati. In altre sale si vedono tessuti, ceramiche, vasi di terracotta, infine una sala contenente statue di Buddha provenienti da varie pagode.
Usciamo dal museo nazionale e ci dirigiamo verso il Mercato Russo (L104 – M75), dove in una struttura coperta si trova di tutto, abbigliamento, prodotti artigianali, ferramenta, gioielli prodotti musicali; i prezzi a volte sono trattabili, a volte molto meno, del gruppo c’è chi acquista e chi solo gira tra le bancarelle.
Attraversiamo la città per recarci al ristorante posto in riva al fiume, lungo la strada vediamo l’edificio in costruzione del parlamento, ed in una piazza il colossale e moderno Mausoleo dell’indipendenza (L83 – M77).
Arriviamo al ristorante, finalmente la possibilità d’assaggiare la vera cucina cambogiana e non solo il buffet internazionale proposto dall’albergo di Siem Reap; noccioline, involtini di riso, pasta di riso con gamberi, carpaccio cambogiano (manzo, cipolla, peperoni, tutto condito con succhi di frutta locali), verdure saltate, un piatto locale (pesce, funghi e citronella), dolci (ananas in pasta di riso e fritto, polpa di cocco in foglia di banana ed altri dolci locali), alla fine del pranzo la frutta: ananas, banana e anguria.
Lasciamo il ristorante per dirigersi verso il Palazzo Reale (L78 – M69), nel cortile su un pennone sventola la bandiera cambogiana; questo significa che il re è nel paese, altrimenti la bandiera sarebbe posizionata più bassa. Vicino al palazzo un edificio molto decorato attira l’attenzione, è il luogo dove i regnanti vengono cremati. Entriamo nel palazzo, nella parte accessibile al pubblico. Il palazzo edificato nel 1913, nel rigoroso rispetto della tradizione era solo in legno, oggi ricostruito, è una solida struttura in muratura abbellita da decorazioni dorate. Il palazzo ha in totale cinque ingressi, ognuno dedicato ad un transito ben preciso tipo; l’entrata del re, quella per il popolo, quella per i monaci, quella per l’uscita dei regnanti deceduti; la parte visitabile del palazzo è solo di tre settori.
Tutti gli edifici sono decorati e colorati con quattro colori; verde cha rappresenta la vegetazione, blu che rappresenta il colore reale, giallo che rappresenta i buddismo ed il bianco che utilizzato per le colonne rappresenta l’induismo.
Entriamo in un cortile e ci appaiono una serie di edifici tutti finemente decorati, l’armonia è notevole, i giardini sono perfettamente curati, l’atmosfera che si respira è profondamente regale.
Un imponente edificio con una larga scalinata, indica la sala del trono; per accedervi occorre togliere le scarpe in segno di rispetto, si transita solo sulla parte laterale destra della sala; la sala è imponente, il soffitto è affrescato con storie di divinità. Il trono in oro è usato solo per l’incoronazione del re, le pareti laterali sono affrescate con motivi geometrici e floreali di colore bianco e giallo che danno un tocco di preziosità unica. Dietro il trono usato per l’incoronazione del re, s’intravede il trono della regina.
Usciamo dalla sala del trono e sulla sinistra (guardando l’entrata della sala) visitiamo un museo dove sono custoditi abiti del re, della regina, dei soldati del palazzo reale; tutti sono dorati e finemente lavorati. In fondo alla sala dei manichini indossano i vestiti usati dalle ancelle del re, sono sette modelli, con sette colori differenti che rappresentano i sette giorni della settimana e sette pianeti. In vetrine adiacenti ad una parete si vedono oggetti in argento ed abiti sacerdotali usati nelle cerimonie reali.
Poco distante un edificio in ferro decorato, è il padiglione donato da Napoleone III alla Cambogia.
Percorriamo il cortile, oltrepassiamo una cinta ed accediamo ad un altro settore del palazzo, circondato da porticati interamente affrescati, in un cortile vediamo molte aiuole perfettamente tenute con piante e fiori, i cui colori ravvivano l’intero settore. Al centro la Pagoda d’argento (L79 – M72); dopo aver tolto le scarpe possiamo accedere a questo tempio il cui nome deriva dalle mattonelle d’argento che compongono il pavimento, al centro del tempio una statua di Buddha attira l’attenzione, è ad altezza naturale realizzata con 90 kg d’oro. Dietro un altare che nel suo sviluppo verticale raggiunge il soffitto, vediamo una statua di Buddha interamente in smeraldo. Lungo le pareti sono presenti statue di Buddha; d’oro, dorate, di giada, di marmo. In una teca si vedono le maschere funerarie e la portantina reale. Sono presenti numerosi oggetti votivi (statue d’oro, vasellame in oro ed argento). Il servizio di sorveglianza è discreto e costantemente presente, nella struttura non vi sono grandi sistemi di sorveglianza elettronica, ma basta che qualcuno solo tenti di sottrarre un qualsiasi oggetto che le guardi danno l’allarme ed il “malcapitato” viene sottoposto a “giudizio sommario” della gente sulla pubblica piazza. Un metodo, semplice ed efficace per scoraggiare qualunque malintenzionato.
Lasciamo il palazzo reale con i suoi colori, i suoi giardini i suoi edifici che manifestano raffinata bellezza, ed attraversando la città arriviamo alla base di una collina artificiale; la Wat Phnom (L82 – M77). Voluta dalla principessa Penh, la collina è stata costruita nel 1372 il nome della capitale deriva da quest’unione “la città di Phnom e la collina di Penh”. Sulla cima della collina, un tempio, tutt’oggi meta di molti pellegrinaggi, all’interno un altare con quattro statue di Buddha lignee dorate, al centro del tempio un’altra statua di Buddha. Le pareti sono costellate di dipinti, olio su tavola di legno, raffiguranti la vita di Buddha. Usciamo dal tempio e scendiamo dalla collina circondati da ragazzini che vogliono vendere di tutto, lungo la discesa troviamo dei mendicanti e dal parco circostante compaiono delle scimmie.
Proseguiamo il percorso verso l’aeroporto e ci fermiamo a vedere Wat Ounalom (L82 – M77), il monastero centrale, all’interno vi è uno stupa con un tempio interno che racchiude un ciglio di Buddha, lo stupa dorato del XIV sec., è stato recentemente restaurato, la struttura interna del tempio è in arenaria. All’esterno sono presenti delle statue bronzee del XIII sec., provengono da vari templi e, come abbiamo già visto al museo nazionale, erano le statue presenti nei templi prima dell’arrivo dei monaci. Ai lati destro e sinistro dello stupa centrale sono presenti una serie di sei stupa più piccoli di colore bianco.
Riprendiamo il nostro viaggio e ci fermiamo a vedere la confluenza dei quattro fiumi che si fondono in tutt’uno, qui alcune bancarelle vendono delle ghiottonerie per i cambogiani. Guardo bene, e non posso credere ai miei occhi! M’avvicino e mi accorgo che la vista non m’inganna, sulle bancarelle disposti in pile ben ordinate e divise vi sono; ragni neri, scarafaggi, bachi da seta, gamberetti, cavallette tutto fritto, oltre che quaglie e granchi arrostiti. Il venditore, tutto contento di quanto espone invita qualcuno del gruppo ad assaggiare queste “prelibatezze”, un gentile rifiuto appare la scelta migliore, risaliamo sul pullman restando colpiti per il gusto particolare dei cambogiani. Proseguiamo il giro della città e ci fermiamo a fotografare il moderno Mausoleo dell’indipendenza che avevamo intravisto nella mattinata.
Riprendiamo il viaggio verso l’aeroporto in mezzo ad un traffico caotico e disordinato dove sembra veramente che il primo che passa abbia la precedenza ovunque voglia andare. Ra ci racconta che in Cambogia la sanità pubblica è per tutti, ma la sanità funzionante è quella privata, la pensione esiste solo per gli impiegati statali.
Lasciamo di Phnom Penh che il cielo si sta annuvolando e minaccia pioggia; abbiamo proprio vissuto giorni i post monsone, qualche scroscio, ma tutto sommato non ci siamo bagnati molto.
Arriviamo all’aeroporto e prima d’imbarcare le valigie dirette a Milano, prendiamo i vestiti pesanti che avevamo preparato. Le 31 valigie vengono imbarcate, muoversi in gruppo aumenta un poco i tempi d’attesa, ma quando c’è organizzazione va tutto bene. I controlli in uscita sono rigorosi e “rigorosa” è anche l’inaspettata tassa aeroportuale per uscire dal paese 25 $, un vero e proprio furto. Ma è un modo “elegante” per chiedere un contributo per la costruzione dell’aeroporto e di un nuovo ponte; se lo stato Italiano adottasse questo sistema, noi eviteremmo parte delle tasse.
Voliamo verso Bangkok, il volo procede tranquillo, dopo circa un’ora sotto di noi appare una miriade di luci, siamo in Thailandia, atterriamo a Bangkok, appena l’aereo vira vedo quattro aerei dietro di noi che si stanno apprestando all’atterraggio. Per l’ennesima volta transitiamo per l’aeroporto, qualche ora d’attesa per il volo per l’Italia, ci cambiamo, abbandoniamo i pantaloni e magliette leggere ed indossiamo le felpe. Approfitto della sosta per sistemare gli appunti e scrivere le prime riflessioni del viaggio.
C’imbarchiamo accolti dall’ospitalità della Thaj, il volo per Milano Malpensa è tranquillo, alle 7,40 italiane atterriamo, in Birmania sono le 12,40. Negli occhi le mille pagode dorate, le centinaia di statue di Buddha, le imponenti costruzioni di Ankor … Scrivendo questo diario la mente ripercorre come in un lungo film tutto il viaggio e mi auguro che anche il lettore possa farsi trascinare da queste sensazioni.
E … Da buon curioso viaggiatore, anche se la Birmania mi ha particolarmente colpito con la sua bellezza, la mente sta già pensando dove andare nel prossimo viaggio …
Tre motivi per andare in: Birmania • Andare oggi in Birmania significa viaggiare a ritroso di qualche decennio rispetto all’Italia, ma questo non deve essere un deterrente ma uno stimolo a visitare questo meraviglioso paese dove la gente è educata, ospitale e rispettosa di chi si avvicina a loro con semplicità.
• Poter girare in un paese dove colori, profumi, sapori sono caratteristiche della vita quotidiana; dove storia, arte, cultura e religiosità si mescolano in un tutt’uno creando una realtà unica di irripetibile bellezza.
• Recarsi in questo paese significa anche aiutare la popolazione a crescere per raggiungere un’autonomia ed un’economia sostenibile; sviluppare un cambiamento verso un futuro migliore che non dovrà più vedere i bambini lavorare nei campi, nei laboratori artigianali, nella manutenzione delle strade. Una presenza costante darebbe la possibilità di testimoniare direttamente avvenimenti drammatici, come la decisione delle autorità di inondare enormi aree aprendo una diga fluviale, con enormi danni umani, materiali e culturali alla popolazione.
Cambogia • Recarsi in Cambogia equivale ad entrare in contatto con una nazione da poco uscita dalla repressione dei khmer rossi. Significa poter osservare una civiltà che è in piena evoluzione, dove le città che si stanno ampliando urbanisticamente e dove la vita rurale è ancora la caratteristica predominante.
• Visitare oggi la Cambogia permette di vedere, nella zona archeologica, molti templi ancora avvolti dalla foresta e poter così essere testimoni della riscoperta dei segni di una antica civiltà.
• Viaggiare in questa nazione significa usufruire di un turismo già perfettamente organizzato, dove gli italiani sono ben visti e sono attesi dal popolo cambogiano.
Ringraziamenti Alla fine di questo lavoro, sento di esprimere il mio personale ringraziamento a tutti coloro che hanno permesso la realizzazione di questo viaggio si bello ed affascinate; ricco di luoghi religiosi, storici, culturali ma anche impregnato dell’umanità, della dignità dei popoli e delle persone che ho avuto modo d’incontrare. Riconoscenza anche a chi mi ha esortato e a chi mi ha assistito alla realizzazione di questo diario.
Un particolare grazie a: • Don Maurizio Corbetta, Parroco di Rovello Porro (CO), ideatore del viaggio.
• L’agenzia di viaggio Alohatour di Pavia (www.Alohatour.It – tel. 0382.5395.65) per l’organizzazione complessiva.
• Il tour operator Antichi Splendori di Torino (www.Antichisplendori.It – tel. 011.8126.715) per il programma ben articolato e per notizie utili fornite.
• Sosò, la guida Birmania, per l’alta professionalità dimostrata; per averci fatto avvicinare con competenza, preparazione ed assoluto rispetto alla cultura e alla tradizione birmana.
• Sarath e Ra, le guide Cambogiane, per lo sforzo dimostrato nel parlare italiano e per la loro preparazione.
• Le agenzie corrispondenti in Birmania (Interconnection Travels Myanmar) ed in Cambogia (Monsoon Tour Phnom Penh), per l’ottima competenza dimostrata nell’organizzare i soggiorni e tutti gli spostamenti terresti, fluviali ed aerei. • La società Micro-e di Saronno (www.Micro-e.It – tel. 02.9602.887) per il materiale tecnologico, informatico e per l’assistenza fornitami alla realizzazione del diario nella versione multimediale.
• A chi (Francesca, Natalia, Francesco, Laura e Pietro) in varia natura hanno contribuito alla progettazione, alla presentazione, alla correzione del diario e all’ideazione degli ipertesti.