Ti racconto Pushkar

Devi arrivare in punta di piedi, con pazienza, curiosità e spirito di adattamento
Scritto da: bikaner1948
ti racconto pushkar
Partenza il: 06/01/2005
Ritorno il: 07/03/2005
Viaggiatori: 2
Spesa: 2000 €
…Verso il deserto. Te l’immagini come un posto desolato e caldo e invece fa fresco e piove… Sì, una pioggia leggera e fastidiosa ci accompagna per quasi tutto il viaggio. Grandi dune di sabbia fanno ormai parte del paesaggio, il traffico si è di molto diradato e la piccola città di Pushkar mi è subito simpatica. Mi faccio largo tra le vacche per arrivare all’ hotel, in fondo ad un vicolo, dal nome molto pretenzioso: White House. Di bianco c’ è rimasto gran poco, ma l’ospitalità è deliziosa. L’hotel è una classica haveli, case costruite in altezza tutto intorno ad un cortile che fa parte anch’esso della casa, la stanza è immacolata e la biancheria profuma finalmente di bucato; certo un bel po’ d’ India è vigente anche qui: se mi affaccio al balcone devo fare attenzione ai fili dell’ alta tensione terribilmente vicini al mio viso… ma diversamente che India sarebbe? Il ristorante è sul terrazzo, dal suo interno si spande una musica piacevole per le mie orecchie, un po’ frick se vuoi, musica che non sentivo da parecchi anni… Sì, è ancora una città terribilmente hippy e sento già che quest’atmosfera, quest’aria mi farà senz’ altro bene. Pushkar è un’altra delle numerose città sante dell’ India, in questa piccola città non si possono consumare alcolici, niente carne e uova; “only vegetable “ dice il mio caro driver, ma i cuochi sanno inventare dei piatti grandiosi e la fame è l’ ultimo dei miei problemi. Turisti? molto pochi, in compenso è pieno di viaggiatori…No, non è la stessa cosa. I viaggiatori arrivano in punta di piedi, armati di pazienza, curiosità, buono spirito d’adattamento, un libro come guida e mille informazione raccolte con il passa parola. I turisti? Sono l’ esatto contrario! Qui non c’ è l’ aggressione continua dei commercianti e dei mendicanti, una volta che hai adempiuto il rituale del posto più nessuno t’infastidirà. Oh, un rituale molto simpatico e bizzarro: sarai avvicinato per strada da uno dei numerosi sadhu e in cambio di una piccola offerta ti sarà consegnato un pezzo di spago da tenere sempre in mano: questo sarà il salvacondotto che ti permetterà di girare il paese senza più essere importunato…Ed è finalmente mentre percorro i piccoli vicoli della città che la gente del rajasthan si scopre ai miei occhi; le grandi città tendono ad appiattire tutto e la confusione non aiuta di certo a concentrarsi, qui nella serenità, ho finalmente il tempo di gustare gli odori e i colori di questo posto. Gli uomini rajasthani siedono a chiacchierare e mercanteggiare lungo la via sorseggiando il chai, portano coloratissimi turbanti, i lunghi baffi impomatati e i tratti dei loro visi svelano la loro battagliera discendenza, le donne sfilano veloci e riservate nei loro colorati sari, i loro occhi ti penetrano e le vedi allontanarsi accompagnate dal tintinnio delle cavigliere. I sorrisi sono sinceri e cordiali, i commercianti ti fanno accomodare all’ interno del loro negozio, ti offrono un chai mentre fai le compere e alla fine la trattativa è garbata, con stile. L’ odore delle spezie ti procura ebbrezza; sono accatastate in enormi coni profumati e variopinti e il loro odore si mescola con quello degli incensi del vicino tempio o della frutta esposta ad ogni angolo. Le immancabili scimmie roteano veloci sopra i tetti dei negozi senza strilli, scendono veloci a terra solo per raccogliere qualche gustosa rimanenza e scompaiono tra i tetti. Ho spiegato al driver che poteva prendersi due giorni tutti per se, beh, ieri sera è sparito, ma stamani è qui, assieme a me.I bimbi ci fanno sempre da corona, chiedono penne e bon-bon, tutti non li posso accontentare, ma mi seguono lo stesso, le loro risa e le loro domande non sono più un tormento. I viaggiatori che incrocio arrivano da tutto il mondo. Tanti ragazzi di una volta e tanti ragazzi di adesso. Sì,i richiami di questa piccola e magica città sono complessi: alcuni vengono a rivivere una gioventù che non tornerà mai più indietro, altri a cogliere l’ elevata spiritualità di questo posto ai margini del deserto, altri ancora attratti da quell’atmosfera anni settanta, con tutti gli annessi, che qui è dura a morire. Il driver trova un gruppo di colleghi fermi ad un parcheggio e devo insistere per farlo restare; proseguo da solo verso il cuore di Pushkar: un piccolo lago dove le case bianche e azzurre si rispecchiano. Una scalinata scende verso l’ acqua ed è con fatica che riesco a trovare un posto per accomodarmi. Tutta l’ India dei saltimbanchi, dei ciarlatani, dei buffoni, dei suonatori a pagamento, dei bimbi bellissimi che scoprono il loro sorriso davanti ad una macchina fotografica, dei curiosi è radunata sulle rive del piccolo lago nell’attesa del tramonto. Brividi d’emozione mi scorrono lungo la schiena mentre alle mie spalle iniziano a percuotere sui tamburi con un ritmo sempre più insistente. Il cielo s’infiamma sempre più e le bianche case si tingono dei toni dell’ azzurro; alcuni giovani fanno roteare lunghe corde che terminano con delle coppe dove arde del fuoco e disegnano nell’ aria comete screziate e roventi; di fronte a me un ragazzo, seduto nella posizione del loto, tenta di vincere la legge di gravità poggiando, sulla testa calva, grosse sfere di cristallo azzurro per un improbabile equilibrio. Il suono dei tamburi è incalzante, anche i vecchi rajasthani sostano rapiti e incuriositi, come bambini ai parchi divertimenti; le mucche, altere e apatiche, salgono e scendono dalle scale infilando la lingua nei bicchieri colmi di chai facendo trasalire e sbellicare dalle risate i presenti. Si, mentre decine di nuvole azzurre salgono inebrianti verso il cielo, sento la magia di questa piccola città che mi entra sempre più nel cuore e nella mente. L’ applauso si alza spontaneo quando il sole sferza il cielo con i suoi ultimi raggi e la sera scende veloce e buia…


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