Thailandia senza sorrisi

Un diario dettagliato in cui cerco di esprimere le mie impressioni verso un Paese che non ho amato ma che non ha mancato di colpirmi
Scritto da: persopersempre
thailandia senza sorrisi
Partenza il: 10/03/2013
Ritorno il: 19/03/2013
Viaggiatori: 1
Spesa: 1000 €
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Un diario dettagliato (forse troppo) in cui cerco di esprimere le mie personalissime impressioni verso un Paese che non ho amato ma che non ha mancato di colpirmi. Utile per gli indecisi che sapranno o meno identificarsi con il mio punto di vista.

Vacanze piombate senza preavviso a fine inverno, scelgo senza troppo pensarci la Thailandia. Prendo una guida Routard che ho a malapena il tempo di sfogliare e una settimana più tardi sono in volo. Zaino ridotto all’osso, di soli 30lt/5kg per la caldissima Thailandia; il mio consiglio per tutti i backpackers è di fare altrettanto, saper rinunciare ad inutili cambi d’abito che francamente non hanno senso in un luogo dove di notte ci sono 27 gradi e di giorno, dopo una bella lavata e una strizzata, tutto s’asciuga in un paio d’ore. Consigli particolari: partire con un paio pantaloni di quelli che s’accorciano (per essere subito pronti al caldo di Bangkok e utili per visitare i templi) e una bussola: infilata nello zaino quasi per caso si è rilevata quantomai preziosa nei vicoli di Bangkok e in molte altre situazioni.

L’unica cosa prenotata è dunque il volo da Malpensa con Royal Jordanian, operatore scelto perchè il meno caro sul mercato ad una settimana dalla partenza (580€). Primo volo intercontinentale con scalo per me quindi non ho modo di fare confronti diretti ma le impressioni sono positive: flotta in buonissimo stato, bagaglio integro (zaino senza particolari protezioni), personale di bordo gentile, pasti soddisfacenti, sistema di intrattenimento completo e non ultimo, tanti curiosi abiti, volti e barbe da osservare durante lo scalo ad Amman. Soltanto qualche problema a Milano per la verifica del pagamento effettuato con Paypal, risolto dopo 15 min di telefonate. Ecco, se prenotate il volo online con RJ consiglio di evitare Paypal ed usare direttamente la carta di credito che va poi portata al check in.

[10/03/13] ARRIVO A BANGKOK

Al controllo passaporti va consegnato il cedolino con i dati per la permanenza e il rientro (ve lo danno sul’aereo). Si richiede obbligatoriamente di fornire un indirizzo per la permanenza; se come me ancora non lo sapete inventatene uno, ad esempio io ho scritto Khaosan Road più un numero a caso.

Cambio subito del contante in uno dei tantissimi money exchange; il tasso è pessimo, 1 euro -> 36baht, siamo attorno al 6% di commissione. Consiglio di usare il bancomat oppure di cambiate il minimo indispensabile e poi valutate in città. A Patong ad esempio ho cambiato 1€ -> 38B.

Al piano sotterraneo si può prendere il modernissimo treno della city line che porta in centro in 40 minuti per soli 45 baht. Dalla sopraelevata si possono già osservare tutte le sfaccettature edilizie di Bangkok che spesso si condensano in un solo sguardo, dalla capanna sulla palude alla villetta a schiera neo borghese al mega condominio, il tutto disponibile in vari livelli di fatiscenza.

Alla stazione di Phaya Thai termina bruscamente la parte del viaggio sotto incubatrice e si viene immediatamente catapultati nella traumatizzante realtà cittadina. Caldo anzi caldissimo, rumore, traffico, sporcizia e tutto quello che in fondo ti aspetti dall’infernale Bangkok ma ancora non sai in che proporzioni. Proprio per immergermi subito nella città la mia idea è di raggiungere il quartiere di Khao san a piedi; occhio e croce dovrebbe volerci un’ora o poco più… senza smarrirsi. Non riesco a fare 20 passi che già una donna (thai) mi ferma e mi dice che se, come sospetta, voglio andare a Khao san (che fantasia ‘sti turisti) sto sbagliando direzione. Questo primo incontro si rivelerà molto interessante perchè piuttosto anomalo: innanzitutto non mi capiterà più a Bkk di essere fermato per strada per disinteressata cortesia (tuttora sto dubitando che quella donna non abbia cercato di rifilarmi qualcosa) e poi perchè rivelatore di una carattarestica che riscontrerò invece spesso, ovvero il pessimo senso dell’orientamento dei thailandesi. L’indicazione infatti contrasta con quanto dice la bussola ma io seguo il consiglio per non mostrarmi scortese, salvo cambiare nuovamente direzione dopo poche centinaia di metri. Questa deviazione si rivela tuttosommato vincente perchè mi porta in una zona sorprendentemente tranquilla della città, fatta di palazzi della pubblica amministrazione presieduti da guardie sonnacchiose e dall’immancabile effige del re; in generale per la città sono moltissimi gli edifici con un qualche tipo di vigilanza, armata o meno. Sui marciapiedi tanti giovani uomini accovacciati in attesa non si capisce bene di cosa, anziani che giocano lanciando monete oppure conducenti di minivan collassati nel loro mezzo oppure intenti a scegliere un brano sull’autoradio in grado di rendere giustizia ai bassi pompati dal proprio impianto maggiorato, altra caratteristica nazionale e grande motivo di orgoglio personale dei giovani thailandesi. Sarà il caldo, sarà che tutte queste novità mi disorientano, sarà che tutti i miei tentativi di chiedere indicazioni falliscono miseramente (l’inglese dei thailandesi ve lo raccomando tanto quanto la loro capacità di orientarsi) alla fine decido di arrendermi e prendere (strapagandolo) il mio primo tuk tuk che mi porta in Khao san che ovviamente era lì a pochi passi. Dopo aver perlustrato brevemente la zona trovo da dormire alla guesthouse “Cozy place” che si trova in posizione strategica lungo una via leggermente defilata; 650 baht a notte con aria condizionata e colazione. Camera un po’ triste, senza finestra e con scarafaggio in agguato ma fortunatamente senza bedbugs e relativamente silenziona nonostante i muri in cartone e gli inevitabili schiamazzi dei vari rientri notturni.

Trascorro la serata nelle vie limitrofe, in un’atmosfera da fiera di paese tutto sommato simpatica, con le bancarelle di insetti ed aracnidi fritti (che non vedrò altrove) ma anche di ottimo pad thai fatto al momento all’onestissima cifra di 20baht, con la birra, Singha o Chang, che scorre a fiumi nei bar-ristoranti dove alcuni chitarristi locali interpretano canzoni occidentali con risultati talvolta mirabili. Procacciatori poliglotti di “ping pong show” un po’ ovunque. Se proprio ci tenete attenzione che si tratta ovviamente di mezze truffe, “only sixty baht” un par di cojoni. Lasciano perplessi i cartelli che minacciano multe a chi fosse colto a gettare rifiuti per terra, infatti non esistono cestini e ho dovuto percorrere tutta la via avanti e indietro con un piatto di plastica in mano prima di abbandonarlo impotente sul marciapiede. Inevitabilmente durante la serata avrò modo di incontrare scarafaggi non solo grigliati ma anche belli vispi e toponi più o meno timidi.

[11/03/13] BANGKOK – GIORNO 2

Colazione alla guesthouse: in un caldo già opprimente opto a scatola chiusa per l’asian breakfast che non è altro che una bella minestrina di riso bollente… tuttosommato niente male, ripeterò la mattina seguente, magari aggiungendo meno peperoncino.

Giro della città in direzione dei templi. Ancora una volta spostarmi a piedi mi permette di vedere un po’ di quelle cose che sicuramente mi perderei spostandomi in taxi e tuk tuk. Mentre mi dirigo a sud al lato di un canale attraverso un mercatino che più miserabile non l’ho mai visto, non di cianfrusaglie ma di frammenti di cianfrusaglie, rottami non identificati e del tutto inservibili. Nessuno compra niente com’è ovvio che sia.

Poi iniziano i templi. Mi imbatto in quello che sembra il Wat Pho, quello del grande buddha disteso. Un simpatico omino mi approccia fuori dalle mura avvisandomi che il tempio è chiuso perchè c’è la messa (o quello che è). Non lo lascio proseguire nel suo adescamento. Girato l’angolo infatti colonne di autobus privati scaricano derrate di turisti. Ingresso 200 baht. Io stupidamente ho dimenticato il pezzo sotto dei pantaloncini ma non mi vengono fatte storie. Visita tuttosommato interessante, con la possibilità di entrare in uno degli edifici durante la funzione; da segnalare come sempre molti turisti maleducati che proprio non sanno chiudere la boccaccia e sparaflashano ogni cosa e persona. Lascio il pezzo forte, il Buddha dorato, per ultimo ma anche qui troppo casino e troppi smartphone svolazzanti per percepire una benché minima spiritualità. Più che del Buddha dorato sembra il tempio di Steve Jobs.

Sazio di monumenti mi avventuro nella chinatown. Bancarelle ovunque, mi lascio vagabondare dentro vicoli strettissimi e pieni di mercanzie, perlopiù alimentari, di cui non ho nessuna nozione. Un’esperienza completamente aliena per un occidentale. Le strade trafficate sono invece una lunga sequenza di botteghe specializzate: quella che vende tubi dritti e quella che vende tubi ricurvi, il negozio di ventilatori e quello di seggiole, il chiosco con le schedine del lotto e quello coi dvd taroccati (non credo che in Thailandia esista il concetto di diritto d’autore). Di nuovo e moderno c’è ben poco, mi imbatto persino in una rivendita di musicassette; unica eccezione sono i negozi di accessori per smartphone e tablet, veri oggetti di culto per i giovani thai di qualsiasi estrazione sociale. Altre volte invece riesce difficile indentificare il tipo di attività, si notano solo rottami arrugginiti e maleodoranti accatastati senza logica e nessuna attività in corso, ma la saracinesca è alzata e dentro qualcuno ci sta. In generale non sembra che i bottegai si ammazzino di lavoro, se ne stanno seduti a mangiare la loro scodella di noodle oppure guardano la strada inebetiti. A sbattersi sono come sempre soprattutto le donne. Ogni tanto ci si imbatte in squadra di operai di manutenzione, generalmente composta da 5 o 6 individui: uno lavora, un altro regge la scala, gli altri guardano… forse servono come ricambi in caso di infortunio (misure di sicurezza adottate, ovviamente, zero). Lo stato degli impianti cittadini, elettrico e idraulico, è semplicemente agghiacciante.

Moltissimi cani per la strada, assolutamente privi di vitalità, non sembrano nemmeno gli stessi animali che siamo abituati a vedere qui da noi. Comunque mai pericolosi. Nessuno di essi è sterilizzato e non è infrequente vederli mentre si accoppiano (l’unica attività che si concedono) ma sinceramente non ho mai visto cuccioli.

In ogni bottega e in ogni casa che vedrò in Thailandia si trova almeno una foto del re, molto spesso l’intera collezione, e un piccolo santuario buddista illuminato da lucette colorate. E una tv accesa.

In qualche modo riesco a raggiungere la stazione ferroviaria dove prenoto treno e traghetto per Ko Samui per la notte seguente; le cuccette e i posti con aria condizionata sono già tutti presi, vada dunque per seconda classe con ventilatori, 680 baht in totale. Torno a Khao San con moto-taxi e mi riposo fino a sera nell’aria condizionata della camera.

Serata di nuovo Khao san road ma la magia del primo giorno si è già dissolta e la trascorro in gran parte seduto sul marciapiede ad osservare questa piccola riserva per turisti dalla prospettiva annoiata di un venditore ambulante.

(12/03/13) BANGKOK – GIORNO 3

Oggi spero di visitare Ayutthaya, città storica e piena di antichi templi a 80km a nord di Bangkok. Treno di sola terza classe, ma almeno i ventilatori ci sono. Tempo previsto per il viaggio meno di tre ore ma presto mi rendo conto che non verranno rispettate. La ferrovia si fa strada attraverso gli slum di Bangkok, sul suo percorso catapecchie e sporcizia oltre ogni comprensione per un occidentale. Venditori ambulanti fanno avanti e indietro con i loro secchi di bibite e cibarie non meglio identificate. Vicino a me si siede una coppia thai sulla quarantina in gita anche loro ad Ayutthaya, hanno voglia di chiacchierare. Nonostante l’estrazione sociale evidentemente umile la donna mastica un pochino d’inglese e cerchiamo faticosamente di comunicare. Il dialogo è piuttosto surreale e senza un filo conduttore… tra le altre cose ci tengono a spiegarmi che cosa devo dire e che gesti devo compiere quando vedo una foto del beneamato re, quindi mi spiegano il significato di alcuni numeri (sul genere smorfia napoletana) e fanno qualche commento (lusinghiero!) sul mio aspetto e sul rispettivo colore di pelle, sbattendoci dentro un “monkey” quasi a volermi dimostrare la consapevolezza di apparire come inferiori in quanto di pelle più scura. Più volte mi è parso di intuire questa specie di complesso di inferiorità indotto nei confronti dello straniero occidentale.. ricordo ad esempio questa cretinissima pubblicità televisiva di uno smartphone in cui la figa thai di successo, impiegata fancazzista per qualche multinazionale, si strugge d’amore per il suo fidanzatino farang a Londra.

Arrivo ad Ayutthaya in piena canicola. Molte energie se ne sono già andate per il viaggio. Stolidamente fedele alla mia filosofia dello spostarsi a piedi ben presto mi rendo conto che è da pazzi, considerando che il sito archeologico è vasto. Dopo un paio d’ore di cammino in cui a stento riesco a sollevare lo sguardo verso le stupe, pena l’accecamento, decido che la mia gita deve avviarsi a prematura conclusione e mi trascino fino alla stazione dove scopro che i treni verso Bkk hanno tutti ritardi pesantissimi. Prendo il primo in transito, stracarico di gente. Viaggio polveroso e interminabile a ritroso nelle periferie. L’estenuante lentezza del convoglio mi consente di “apprezzare” tutti i piccoli dettagli degli slum, cumuli di spazzatura dove una miriade di poveracci tira a campare. A un certo punto, treno immobile causa passaggio a livello nel traffico, a pochi metri da me vedo un bambino, avrà 7-8 anni, che si trascina con aria smarrita tra le lamiere. Penso “ma perchè non va a giocare con i suoi coetanei?”. Si ferma, estrae dalla tasca un barattolo di quello che sembra solvente e se lo porta al naso. Voglia di piangere.

Finalmente arrivo in stazione, mangio qualche spiedino e della frutta dagli ambulanti nei dintorni e prendo il treno delle 19.30 per Surat Thani. Di fianco a me si posiziona una coppia di giovanissimi americani cafoni e chiassosi ai limiti dello stereotipo. Passano ore a guardarsi filmini sul tablet sparato a tutto volume, addentando schifezze sputacchiando e seminando spazzatura ovunque. Non so se provare invidia per la loro capacità di godersi la vita o disprezzo per la maleducazione e la beata ignoranza, e quando ormai ho virato per quest’ultimo passa una venditrice ambulante e il ragazzo le parla in perfetto thailandese lasciandomi completamente di stucco.

[13/03/13] KO PHA NGAN – GIORNO 1

Dopo una notte fradicia e da dimenticare il treno arriva a destinazione con il consueto ritardo. Al chiosco dei traghetti cambio la mia destinazione da Ko Samui a Ko Pha Ngan per altri 250 baht (sarebbe stato meglio scendere a Chumphon, ma ormai avevo prenotato per Ko Samui). Salgo sul pullman della compagnia immaginando un breve tragitto al molo, invece è un viaggio di quasi 2 ore trascorse ad approfondire i gusti musicali dell’autista che, ovviamente pompando i bassi ai limiti dell’impianto, ci allieta col suo repertorio un po’ tanto da bimbominkia che culmina col doveroso incremento di volume sulle soavi note del gam gam style, il tutto sottolineato dal generoso strombazzare del clacson. I thailandesi in fondo sono degli eterni bambinoni.

Approdato all’isola mi dirigo (ovviamente a piedi) al resort “Beck’s” menzionato dalla guida Routard. La guida descrive la spiaggia come un tranquillo angolo di paradiso, quello che trovo invece sono tutti questi bungalow di cemento a 5 metri dal mare inframmezzati da una spiaggia ricoperta di alghe mucilagginose. Ognuno ha il paradiso che si immagina, suppongo. Come preannunciato l’acqua è davvero bassa, per almeno un centinaio di metri vi si può camminare. Non ci sono onde. Io non so nuotare quindi l’acqua mi interessa poco, ma amo il rumore delle onde. Per il bungalow fanno 850 baht a notte più 300 per cauzione chiave. Pago 3 notti con carta di credito (+3% di commissione) purtroppo senza dare un’occhiata né alla spiaggia né alla camera. Quest’ultima è un brutto stanzone senza aria condizionata e male ventilato non riparato dalla vegetazione, insomma un fornetto. Tra il bungalow e la spiaggia c’è un increbile muretto di calcinacci e scarti edilizi tra cui parecchio ethernit. Il baretto della spiaggia irradia un sottofondo musicale a volume per niente fastidioso che l’autore della Routard definisce “triste”, ma che io non ho trovato affatto tale (reggae, dub reggae, funk, un pochino di r’n’b… black music in genere e qualche più che tollerabile escursione nel pop). Il resort è frequentato in prevalenza da francesi, perlopiù giovani coppie.

La sera giro nel paesello del porto dove è presente un mercatino-mensa serale a cui non manca niente. Decido di provare il Tom Yum, ma sarà l’ultima volta: si tratta di una brodaglia a base di citronella la cui temperatura non scende mai sotto i 95°C con dentro un po’ quello che si vuole (pollo o pesce e altro materiale, es funghi, verdure, bastoncini di legno etc) e irrorato di peperoncino a volontà. Non sono affatto schizzinoso, ma sinceramente la nota prepotentissima di citronella non me lo rende più invitante di una scodella di spray per zanzare.

[14/03/13] KO PHA NGAN – GIORNO 2

Sono in vacanza e dovrei riposarmi, ma per chi come me non è abituato al riposo il ritmo della solita vita è difficile da abbandonare. Decido di addentrarmi nell’isola… ovviamente a piedi. Premesso che tutti qui si spostano con un mezzo a motore, thailandesi inclusi… ora, non che mi sembri la popolazione più attiva del mondo, ma un motivo ci sarà se loro a piedi non ci vanno… e questo motivo è, manco a dirlo, il caldo fottuto.

In poco più di un’ora in cui posso osservare da vicino il disadorno vivere quotidiano dei thailandesi nelle rispettive case (“case” che a volte non sono altro che garage con letto, televisore e foto del re) giungo dalle parti della più celebre cascata dell’isola. Sulla strada un tenerissimo elefante (non ne avevo mai visto uno dal vivo!) attende con la cesta già in groppa l’arrivo di qualche turista mentre sgranocchia qualche ramo. Da lì alla cascata ci si arriva in pochissimi minuti, peccato che di acqua non ce ne sia, siamo nella stagione secca dopotutto, e lo spettacolo offerto da quello che è poco più di un rigagnolo è parecchio desolante. Avevo contemplato la possibilità di raggiungere la cima più alta dell’isola che si trova a circa 600mt s.l.m, ma l’umidità pazzesca della foresta e il suo inquietante sottofondo musicale (una nota stridula e senza fine prodotta da non so quale creatura) annientano la mia già fiacca volontà. Torno al resort dove perdo i sensi in camera, nonostante i 40 gradi della stessa.

La sera faccio di nuovo un giro in città, mangio del pad thai stracotto al solito mercatino, quindi girovago un po’ per le strade bevendo la mia solita Chang. A un certo punto sento dell’ottima musica live provenire da quella che sembra la hall di un hotel. “Open mic night” c’è scritto fuori. Un duetto di chitarristi americani sta suonando dei pezzi contry-folk, non conosco le canzoni ma sono bravissimi. Ad assistere al concerto ci sono 4 persone in tutto. Io resto sul marciapiede e applaudo la loro performance, loro mi sentono e mi invitano ad entrare. L’atmosfera è (per forza di numeri) molto intima e anche molto americana e con ciò intendo un po’ emotivamente over-the-top per un europeo, non so se mi capite… fatto sta che quella è la loro ultima canzone terminata la quale, non potendo contribuire né musicalmente né emotivamente decido di defilarmi senza farmi notare (grazie a sofisticatissime tecniche acquisite in decenni di solitudine compulsiva).

[15/03/13] KO PHA NGAN – GIORNO 3

Oggi decido di non fare niente e quasi quasi ci riesco, ma che fatica! Al calar della sera passeggio sulla spiaggia e scatto qualche orribile foto del tramonto. Cena tanto per cambiare al mercatino, ma stavolta assaggio il sushi, presente in numerose varietà quasi tutte vegetariane o con pesce fritto (c’è anche il classico pesce crudo ma preferisco lasciar perdere). Le farciture dei rotolini sono ottime, con quel tocco di sapore in più che ti aspetti dalla cucina thai, il riso invece non è granchè, parecchio colloso.. ma a 10baht al pezzo (25 centesimi) chi si lamenta?!? Domani sveglia presto per essere al molo alle 6.30, peccato che sia venerdì e che il baretto del resort resti aperto ad oltranza, lubrificando il gorgogliare di conversazioni francofone. Alle 3 e mezza risuona un disco dei Pink Floyd a chiusura della serata musicale. Poteva andare peggio.

[16/03/13] KO PHUKET (PATONG) – GIORNO 1

Traghetto della compagnia Songserm e quindi, stando agli accordi con la stessa, minivan verso Phuket, partenza ore 7 arrivo previsto ore 16. Se pensavo di avere già toccato il fondo con la qualità degli spostamenti in Thailandia, ebbene, mi sbagliavo. Col traghetto tutto ok ma l’odissea inizia a terra: per tutto il giorno verrò sballottato da un minivan all’altro con soste continue e senza informazioni, cambiando ben 5 mezzi differenti, impiegandoci più di 12 ore e spendendo pure qualche baht extra per arrivare finalmente a destinazione, ovvero la località di Patong.

Perchè Patong? Di Patong si parla malissimo nella guida Routard e visto che finora la guida mi ha messo fuori strada decido di remarle contro. In verità mi incuriosiva vedere coi miei occhi questa località che ha assunto quasi contorni mitologici per la sua fama di “capitale del divertimento”, anche se io, come ormai avrete capito, non sono certo un maestro nell’arte del divertirsi. Pernotto alla guesthouse Thana per soli 600 baht a notte, in zona tranquillissima a 15-20 minuti a piedi dal centro; proprietaria dolce e sorridente, tra i pochissimi sorrisi che mi sia capitato di vedere nella cosiddetta “terra del sorriso”; camera tutta nuova e confortevole, scelta azzeccata insomma. Mangio qualcosa in un ristorantino lì vicino in una bella posizione in piazzetta, servizio super gentile, cibo non esaltante. Infine mi avvio verso il centro di Patong che fa perno sulla famigerata Bangla road, un vialone di mega locali aperti sulla strada con donne che ballano senza gioia 7 giorni su 7. Nei vicoli laterali molti locali al coperto dove probabilmente lo spettacolino si fa un po’ meno adatto per le famiglie. Mi siedo con la mia bottiglia Chang sul marciapiede e osservo la gente passare. Come già avevo notato al ristorante, sono numerose le coppie formate da uomini farang e ragazza thai che conduce i giochi e indica col ditino cosa comprare. Gli uomini sono in genere di età superiore ai 50 anni anche se hanno tutta l’aria di sentirsi dei ventenni; ma ce ne sono anche più giovani, individui dall’aria timida, bruttini, un po’ sfigati, in fuga da una vita senza amore così come dalla realtà. Provo una strana simpatia e anche un po’ di ammirazione per tutti costoro che se non altro hanno il coraggio di una tardiva incoscienza mentre barattano il proprio orgoglio per un po’ di felicità. Io non ne sarei capace. E infatti eccomi lì, a bordo strada ma lontano milioni di chilometri.

[17/03/13] KO PHUKET (PATONG) – GIORNO 2

Oramai la decisione di anticipare il volo di ritorno, inizialmente previsto per il 27, è presa. Decido di visitare la spiaggia. E’ sporca, tetra, sembra un luogo morto, artificiale, come la città alle sue spalle. Un motoscafo parte dalla riva trascinando una corda alla cui estremità è appeso un ragazzo; la corda si tende, lui si alza in volo senza emettere un suono; la piccola folla si disperde.

Serata di nuovo sulla Bangla. Finalmente mi imbatto nei celeberrimi transessuali di Patong che sfilano al centro della strada coi loro succinti abiti carnevaleschi, col loro fare provocatore ed aggressivo al contempo. Creature di inarrivabile bellezza e sensualità che alimentano i sogni proibiti di molti passanti incapaci di distogliere lo sguardo. Foto e filmati si pagano. Al mio ritorno le stangone non ci sono più ma la folla è rimasta, osserva morbosamente l’interno di un locale dove ballano alcuni katoey dalle fattezze decisamente meno pregiate di quelle del gruppo precedente, ma la fame è tanta. In pochi entrano a bere qualcosa, sebbene i prezzi delle consumazioni siano gli stessi degli altri locali. Anche a 8000km da casa ci sono cose che non si possono fare.

[18/03/13] KO PHUKET (PHUKET TOWN) – GIORNO 3

Mi preparo al ritorno a Bangkok passando da Phuket Town. Ammazzo il tempo fino alla partenza del pullman prevista alle 16.30 Seduto al mio fianco un monaco buddista. Musica pop thailandese, copia manieristica del pop occidentale più insulso, sparata ad alto volume per almeno un paio d’ore. Dalla mia posizione frontale posso apprezzare la guida anarchica e spericolata dei thailandesi: ci si fa largo a colpi di clacson e nei sorpassi eseguiti quasi sempre alla cieca vince chi è più grosso, indipendentemente dal corretto senso di marcia. Sosta notturna in una specie di Autogrill con mensa tipicamente thai, esperienza strana e divertente. Le strade, prive di illuminazione, sono colorate dalle luci al neon verdi, azzurre e rosse dei camion che le percorrono.

[19/03/13] BANGKOK

Vorrei visitare il national museum ma scopro che il martedì è chiuso. Passeggio fino al quartiere “elegante”, quello dei centri commerciali e della finanza, dove tutto è lindo e occidentalizzato e fuori luogo. Me lo lascio alle spalle e di nuovo mi ritrovo in mezzo a strade sporchissime e piene di miseria. Decido che ne ho abbastanza di Bangkok e mi avvio prematuramente all’aeroporto. Segnalo che al pian terreno dell’aeroporto è presente una validissima mensa a prezzi popolari con tutti i cibi che si possono trovare nelle strade della Thailandia e il cui piacevolissimo ricordo si vuole trascinare fino al termine del viaggio.



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