Tervetuloa – la mia finlandia
Dunque. Tutti i miei colleghi viaggiatori conoscono bene quel friccichìo ai piedi, quell’ansia gioiosa, quell’incertezza mista a curiosità che ti prendono all’aeroporto, quando il tuo volo sta per partire … Però, quella volta, il 12 giugno 1999, ero più agitata del solito. Capirete: da appena due giorni avevo saputo di essere incinta e la mia gioia (nonché la voglia di restare a casa) erano al massimo, in quel giorno medesimo avevo pure smesso di fumare ed ero più nervosa di un leone in gabbia … Invece avevo di fronte a me una lunga settimana in un paese nuovo, incognito, con un volo massacrante con ben due scali intermedi (partenza da Roma, scalo e cambio a Milano-Linate ed Helsinki, arrivo a Joensuu). E mi dicevo : “Speriamo bene…”.
In tutto questo clima di agitazione interiore, fra aerei ed aeroporti, qual è stata la mia prima impressione della Finlandia? Strana, molto strana, un posto tutto diverso dall’Italia, e tanto.Sorvolando il paese per circa cinquecento chilometri riuscii a vedere solo foreste e foreste per lo più di pino silvestre, piatte, lisce ed ordinate come un immenso campo di mais, inframmezzate da laghi e laghetti scuri e tondeggianti, qualche fiume, pochissime case e strade. Un po’ come ammirare dall’alto una moquette verde con tanti buchi scuri. E mi chiedevo: ma dove sono le colline, le montagne, le città, la gente, le automobili, i monumenti? Ma semplice: in un Paese vasto circa come l’Italia ma con meno di un decimo dei suoi abitanti, prossimo al Polo e per buona parte dell’anno gelato e /o coperto di neve… ovviamente non ci sono! Piombai a Joensuu, una graziosissima città universitaria della Karelia, durante un sabato pomeriggio, portata dall’aeroporto – un piccolo spiazzo ordinato assediato dalla foresta nordica – da un minibus pubblico guidato da un gentilissimo signore finlandese che non spiccicava una parola d’inglese ma che, in compenso, non essendo io ancora riuscita a cambiare i miei soldi in valuta locale, mi lasciò con un sorriso smagliante davanti al mio albergo senza farsi pagare il viaggio.
Avevo il week-end libero: e fu così che nel giro di circa ventiquattro ore visitai tutto quello che c’era da visitare in città, vale a dire: il municipio (se date un’occhiata al sito www.Jns.Fi , vi accorgerete che ha una forma quanto meno … bizzarra!) l’orto botanico universitario con tanto di serre, il museo di storia e cultura locale (il Karelicum), la sede dell’Istituto Forestale Europeo, i grandi magazzini Sokos, il mercatino dei fiori, il parco lungo il fiume, il lago, la chiesa ortodossa, quella protestante, il cimitero… basta! Visto tutto, ripeto, in circa un giorno, girata in lungo e largo una cittadina linda ed ordinata, molto verde, ma desolatamente vuota, che ai miei occhi di italiana abituata al traffico di Roma dava l’idea di essere decisamente sovradimensionata rispetto ai suoi abitanti. L’inghippo l’ho poi in parte capito quando mi venne spiegato che erano iniziate le vacanze scolastiche, e quasi tutti i suoi abitanti – giovani studenti universitari – erano tornati a casa.
Quindi, visto tutto il vedibile, la domenica pomeriggio mi ritirai su una panchina lungo il fiume, a leggermi un bel libro di Tiziano Terzani (“La porta proibita” , la storia della vita in Cina di questo simpatico giornalista e profondo e della sua famiglia) ed a meditare sul mio prossimo futuro di mamma. Fu un bel pomeriggio: c’era il sole, un venticello fresco, gli alberi facevano un’ombra piacevole, fui pure gratificata dalla visione – la prima nella mia vita – della fluitazione di un bel banco di tronchi sul fiume, prontamente fotografata.
Era giugno, ed ero abbastanza vicino al circolo polare artico: non c’era quindi da stupirsi se le giornate fossero davvero molto lunghe. Troppo. Verso le undici di sera cominciava una sorta di lungo tramonto, che arrivava fin quasi alle due, dopodiché un paio d’ore di relativo crepuscolo e poi via! alba di nuovo: della notte vera e propria neanche l’ombra. La cosa era una bizzarria che dopo un paio di giorni cominciava a farsi un po’ scocciante: c’è poco da dire, noi mediterranei non dormiamo molto bene con una luce continua alla finestra. E quando domandai alla gentile signora della reception “Ma voi come fate a dormire con questa luce?” e lei mi rispose ” Semplice, dormiamo d’inverno” capii che, si, sei mesi di giorno possono anche essere pesanti, ma sei mesi di notte sono decisamente poco digeribili! Sembra addirittura che in Finlandia se l’inverno tarda ad arrivare la depressione della gente arrivi ad un punto tale da far lievitare il tasso di suicidi: non so se sia vero, ma non mi è affatto difficile crederlo.
La gente del posto è cordiale, gentile e corretta, forse un po’ troppo fredda e distante. Da giovani sono piuttosto magri ed atletici, ci tengono molto al fisico e lo curano tra saune, ginnastica, tanta bicicletta: ma passati i venti-trent’anni, complice la birra ingurgitata in quantitativi industriali ed il mangiare assai grasso, virano spesso e nettamente verso l’extralarge. In effetti il tipo medio è abbastanza grazioso, di tipo nordico, uomini e donne di pelle chiara, occhi azzurri e capelli biondi, quasi albini: anche se per i gusti medi di noi italiani sono un po’ slavati, insomma, sanno di poco. In compenso la lingua è incredibilmente incomprensibile e gutturale, tipo “tervetuloa” (benvenuto) e “kitos” (grazie). Insomma, sono persone assai cortesi ma lontane, si vede che il peso di tanti inverni lunghi e freddi gli lascia una sorta di malinconia sull’animo. Ho molti colleghi finlandesi, li incontro spesso in giro per l’Europa e l’impressione che mi fanno è sempre la stessa, una correttezza un po’ rigida e velata di tristezza.
L’aspetto più stravagante della mia esperienza finlandese è rappresentato dal cibo: io mangio di tutto, sono riuscita ad ingrassare perfino in Grecia e Tailandia, eppure la Finlandia ha superato ogni limite… la prima brutta sorpresa la ebbi la domenica mattina a colazione, quando individuai una ciotola di tocchetti di aringhe (che personalmente adoro, anche se ritengo poco usuale mangiarle alle otto del mattino) corretti con una strana marmellata agrodolce che dava all’insieme un gusto vomitevole! L’insalata cipolle-carote-ribes-mandarino, la minestra patate-finocchio-salmone, la zuppa alla panna liquida e salsicce… non fecero altro che farmi sentire per la prima volta la mancanza della cucina di casa. L’unica cosa veramente buona l’ho mangiata in un grazioso ristorantino che si chiama Rosso, si trattava di una squisita e notevole trancia di salmone con verdure ed una salsa chiara non ben identificata: mi dissero poi essere salmone norvegese, che delusione! Buone anche certe frittelline locali, che si chiamano qualcosa tipo “carelian pirakka”, servite a tute le ore con una salsa a base di uovo sodo schiacciato e burro che è una sinfonia per il colesterolo. Durante un escursione in bosco ho avuto modo di assaggiare anche l’acqua di betulla, ovvero la linfa tirata fuori dagli omonimi alberi durante la buona stagione, quando abbonda: dolciastra, piacevole, ma veramente molto lontana dal gusto esotico e frizzante dell’acqua di cocco dei tropici, che ovviamente preferisco.
Una buona cena fredda a base di pesce ci venne offerta durante un grazioso party serale in un villino in riva al lago, organizzato dall’associazione che ci ospitava: l’estrema gradevolezza della serata, allietata anche da danze e bevande più o meno alcoliche, venne giusto appena turbata dalle avances del “professore matto”, un anziano e stravagante finlandese vittima del fascino latino delle donne mediterranee.
Ad un certo punto della piacevole riunione ci fu la calata in massa delle zanzare artiche: piccole da vedere ma tutte da sentire, quelle voraci bestiole se ne fregano altamente di repellenti e vestiti e ci assalirono a tutti con un appetito, ma un appetito… la portoghese portava gonna e calze velate, che permisero alle sue gambe di diventare in breve la sagra delle zanzare. Un norvegese che, con gusto tutto nordico, portava calzettoni e sandali, dopo la “cura” ebbe modo di dire: “Non credevo che nessuno avrebbe mai mostrato di gradire così tanto i miei piedi”. Non c’è rimedio alle sorelle nordiche delle nostre ben più affabili succhiasangue, in estate lassù ad una certa ora bisogna bardarsi al chiuso e basta, specie se si sta vicini all’acqua.
Purtroppo non potei provare la sauna finlandese originale, sospirata da tutta una vita. A Joensuu ci sono più saune che persone, tutti ne hanno una: hotel, famiglie, fattorie, banche, perfino la rimessa dell’imbarcadero sul lago! Ed io ci dovetti rinunciare, il rischio di disturbare la piccola vita che ospitavo era piuttosto remoto ma concreto: sarà per la prossima volta, mi dissi. Non annoierò nessuno con la descrizione degli argomenti trattati durante gli incontri, sono cose che sicuramente risulterebbero ammorbanti per i più (ed a questo punto siete tutti invitati ad indovinare il mio lavoro! Qualche indizio l’avete avuto, per chi l’azzecca prometto in premio …La spedizione via Internet di una raccolta completa di barzellette, vignette e foto buffe). Ad ogni modo, a conclusione dei nostri lavori, venne organizzata una gita nel vicino Parco Nazionale di Koli, uno dei posti più famosi dell’intera Finlandia. Tra i vari posti che visitammo, tutti chiaramente sprofondati nel bosco, fummo accolti da una funivia, realizzata per portare la gente tra gli abeti su un cocuzzolo alto la bellezza di … trecento metri, roba da far ridere i polli. Eppure in cima a quel montarozzo si spalancava, inaspettato, un paesaggio mozzafiato, la serie dei laghi e dei lunghi e sottili isolotti boscosi che stanno sul confine russo, verso San Pietroburgo, città che, ahimè, non ho ancora avuto modo di visitare. Insomma, un panorama veramente da urlo: peccato che ci venne illustrato per oltre un’ora con eccessiva dovizia di particolari e con una puntigliosità tutta scandinava. Il pomeriggio si concluse poi con una cena in una stalla buia in una specie di agriturismo, una cosa un po’ patetica e dall’aroma di letame, ma che in compenso ci costò piuttosto cara. Il mio viaggio di ritorno è stato un vero incubo, una lunga e trafelata odissea tra aeroporti di mezza Europa. A dimostrazione del fatto che casini e disorganizzazione non sono sempre e solo prerogativa italiana, quel giorno problemi non ben identificati al centro di volo di Tampere avevano mandato per aria gli orari di tutti gli aerei su Finlandia e dintorni: in compenso la ritardata partenza dal minuscolo aeroporto di Joensuu mi fruttò una colazione gratuita a spese della Finnair, con una ciambella zuccherata ed alla cannella, un po’ pesante ma decisamente deliziosa, una volta tanto.
Dopo tante corse ed incertezze, borsone in spalla ed occhio ai monitor, nell’ultima tratta da Milano persi il mio volo e riuscii a partire in ritardo, imbarcandomi su un aereo strapieno e sedendo nientepopodimenoché dietro a Laura Pausini. Lo strapazzo ed il mio stato – e forse anche la famosa ciambella fritta alla cannella – mi avevano stimolato il voltastomaco, tanto che quando passarono il vassoio col cibo riuscii appena a strabuzzare gli occhi e scansare gli stuart che, allarmati dalla mia faccia, riuscirono in qualche modo a farsi di lato, lasciandomi correre verso la toilette con uno scatto da centometrista. La simpatica cantante non si è mai resa conto del serio rischio di … ricadute gastriche che ha corso quel giorno.
Strana esperienza, la mia settimana trascorsa a Joensuu, la mia Finlandia. Tornai in Italia con un bagaglio di sensazioni e ricordi un po’ strani, con la mia bimba che sarebbe nata circa sette mesi dopo: ero, inoltre, definitivamente guarita dal vizio del fumo, pizzicata dalle zanzare, affamata di spaghetti e maccheroni. Eppure, volete sapere una cosa? Ogni tanto mi mancano quei tramonti rosei e perlati senza fine, quei laghi dalle acque tranquille e misteriose, quei tappeti morbidi di mughetti nascosti nell’ombra di boschi verdi e senza fine, quei sorrisi dolci e un po’ malinconici: mi manca la Finlandia, la sua poesia un po’ triste, il suo mistero non del tutto svelato.
———————– Lorenza Colletti