Tanzania: Parchi, Animali, Paesaggi Magnifici
Fantastici fotosafari! un sacco di animali, paesaggi sempre vari, un viaggio breve ma ricco, organizzazione perfetta!
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…siamo tornati da quasi due mesi e non riusciamo a smettere di pensare al magnifico viaggio in Tanzania. Non siamo viaggiatori di primo pelo, abbiamo girato abbastanza, in Africa avevamo già visitato la Namibia, il Botswana e il Kenya, ma devo dire che questo viaggio ci è restato davvero nel cuore. Ci tenevo a rendere partecipi altri viaggiatori di questa nostra esperienza. Io e mio marito Marco, insieme a due cari amici e già collaudati compagni di viaggio – Katia e Francesco – abbiamo iniziato a pensare a questo viaggio già ai primi di settembre. In altre occasioni precedenti abbiamo fatto viaggi ben più spartani, ma questa volta, anche a causa del poco tempo a disposizione (10 giorni), abbiamo deciso di regalarci qualche piccolo lusso, scegliendo campi tendati e lodges di livello. 10 giorni possono sembrare pochi in altre parti dell’Africa, ma la Tanzania del Nord ha il vantaggio di avere tutti i parchi uno vicino all’altro, con brevi trasferimenti (che per latro, non sono affatto noiosi, vista la bellezza dei paesaggi). Con qualche giorno in più avremmo potuto visitare Lake Eyasi, patria di interessanti minoranze etniche, il Parco Tarangire (che in realtà è forse meglio in estate) e la regione del Lago Natron, oppure concederci qualche giorno di relax al mare, ma purtroppo quest’anno il tempo a disposizione era quello, anche se è comunque bastato a fare un bel viaggio. Come è nostra abitudine abbiamo iniziato a chiedere preventivi e informazioni in giro, a vari operatori sia italiani che locali. Scartati a priori tutti gli operatori classici che vendono attraverso le agenzie dettaglianti – decisamente più cari perchè i loro prezzi includono le commissioni per le agenzie – abbiamo messo a confronto 6 proposte, 3 di operatori italiani e 3 di operatori locali e, alla fine, pensa, ripensa, spulcia e paragona, la nostra scelta è ricaduta su Harmattan, un piccolo operatore veneto specializzato in viaggi in Africa che si è rivelato esperto e con prezzi competitivi. La prima cosa positiva che ho notato dopo l’invio della solita e-mail di rito nella quale davo delle indicazioni di massima sulle nostre intenzioni è che non mi è stato risposto – a differenza che dagli altri operatori – con un programma già pronto. Il Sig. Rocco Lastella – responsabile dell’Africa centrale, orientale e australe – mi ha soltanto mandato in allegato un file di informazioni di carattere generale sul paese, il clima, i periodi migliori in riferimento alle varie zone, gli alloggi, etc. E mi ha invitato a chiamarlo al telefono, scrivendo che una chiacchierata gli avrebbe chiarito le idee e gli avrebbe permesso di elaborare una proposta in linea con le nostre aspettative. Alla fine l’organizzazione si è rivelata perfetta, la consulenza e i suggerimenti di Rocco preziosissimi e il viaggio è stato un successo. Dopo varie telefonate, e-mails, suoi suggerimenti, nostri ripensamenti e modifiche siamo giunti al nostro programma di viaggio e, ai primi di novembre, convinti, abbiamo confermato! Sapevamo infatti da esperienze precedenti di amici che se si vuole trovare posto in determinati lodges e campi tendati piccoli e di gusto (evitando gli alberghi della savana da 70 camere) e nelle zone dei parchi che in un dato periodo dell’anno sono più popolate da animali bisogna prenotare con largo anticipo. A noi interessava stare per alcuni giorni nella zona di Ndutu-Masek (tra Ngorongoro Conservation Area e Serengeti) che nel periodo da fine gennaio ai primi di aprile è interessata dalla celebre migrazione degli gnu. Tra siti internet, guide di viaggio e documentari ci eravamo informati molto su questo spostamento in massa di milioni di erbivori che sono alla costante ricerca di pascoli all’interno del grande ecosistema Serengeti ed eravamo quindi a conoscenza di quella che era la zona interessata dalla migrazione nel periodo in cui potevamo viaggiare. Inizia il conto alla rovescia, mancano ancora 3 mesi, poi, finalmente, arriva il corriere con i biglietti, le cartine e qualche gadget. Un freddo venerdì di fine gennaio, condito con qualche spruzzatina di neve, finalmente si parte! 30 gennaio: il nostro volo da Linate a Fiumicino è puntuale. Va detto che non ci sono collegamenti aerei diretti tra Italia e Tanzania, le alternative, per arrivare a Kilimanjaro-Arusha (decisamente più conveniente per un circuito nel nord del paese che atterrare a Dar es Salaam) sono 2: KLM e Ethiopian Arlines. La nostra scelta è ricaduta su Ethiopian: KLM implica uno scalo ad Amsterdam, quindi vai prima a nord e poi scendi a sud, il volo da Amsterdam a Kilimanjaro parte intorno alle 11 del mattino e ciò impone una partenza da Linate alle 6; Ethiopian vola da Fiumicino via Addis Abeba nella notte (anche il ritorno è notturno), e offre collegamenti nazionali a tariffa fissa. Partire e rientrare con voli notturni significa 2 cose: 1) magari si dorme un po’ e 2) si risparmiano 2 notti d’albergo/lodge. Giunti a Fiumicino ritiriamo i bagagli (mio marito è ossessionato dalla possibilità di perderli!) e procediamo al check in di Ethiopian. Partiamo poco dopo la mezzanotte, arriveremo all’aeroporto di Addis Abeba alle 7 del mattino locali (le 5 in Italia). 31 gennaio: l’aeroporto di Addis Abeba non si rivela affatto male: struttura in vetro, acciaio e cemento, duty free relativamente forniti, decisamente pulito e moderno. Dopo circa 3 ore procediamo per Kilimanjaro, con una breve sosta a Mombasa senza cambio di aeromobile per far scendere alcuni passeggeri e poco prima delle 2 del pomeriggio eccoci arrivati! Avevamo già acquistato i visti in Italia, passiamo rapidamente il controllo dell’health (richiedono il certificato di vaccinazione contro la febbre gialla) e il controllo doganale, ritiriamo i bagagli (ci sono tutti!!!) e usciamo. L’aeroporto è piccolo, ma funziona, ci colpisce un ordine sconosciuto in altri scali africani (come a Douala ad esempio). Nella hall troviamo un uomo sulla quarantina con un cartello recante i nostri nomi, è Leonard, la nostra guida in questa nuova avventura. Raggiungiamo velocemente il parcheggio e montiamo su una Toyota Land Cruiser a 3 file di posti, dotata di radio trasmittente, cooler box e tetto rigido che si può sollevare su 4 paletti in modo da poter guardare comodamente fuori durante i fotosafari. Una moderna strada asfaltata costeggiata da piante di mango, piantagioni di caffè e campi dalle mille sfumature di verde conduce ad Arusha, che dista circa un’ora dall’aeroporto internazionale. Il nostro lodge, per questa sera, è il Moivaro www.moivaro.com , a una decina di minuti dalla città e a qualche chilometro di sterrato dalla strada principale che come recitava il nostro programma con ha “bianchi bungalows disseminati nei curatissimi giardini”. Si tratta di una piantagione di caffè trasformata in residenza turistica sotto il Monte Meru (la seconda vetta del paese). C’è una grande casa bianca col tettone di paglia e belle travi a vista (che ospita la reception, il ristorante e il bar), un ampio portico che affaccia su un verdissimo prato, una piccola ma gradevolissima piscina e una serie di vialetti tra i fiori che conducono alle camere. Le camere sono sparse sella tenuta, non grandissime ma accoglienti, letti con ampie zanzariere, caminetto, ampio bagno con zona wc separata dal resto, arredi in legno massiccio. Facciamo una doccia e decidiamo di berci la nostra prima birra (di marca Safari, naturalmente) a bordo piscina. Siamo stanchi, ma eccitati, torniamo in camere per una doccia, poi a cena. Ci aspetta un magnifico barbecue di carne (filetto di manzo, bistecche, pollo) con moltissimi contorni di verdure e riso. Dopo cena, stremati, piombiamo in un sonno profondo. Domani ci aspetta il prima parco. 1 febbraio: ci svegliamo ristorati da un bel sonno nel nostro lettone al canto dei numerosissimi uccelli che popolano i giardini del Moivaro Lodge. Dopo una generosa, abbondante colazione, alle 7.30 partiamo con Leonard a bordo del nostro Land Cruiser, destinazione Parco Lake Manyara. Ci fermiamo dopo poco ad Arusha per cambiare un po’ di soldi, la cittadina appare piena di vita, al centro c’è una torre con in cima un orologia che segna la metà strada tra Cairo e Capetown. Poi via, verso la savana. L’asfalto è ampio, liscio, si viaggia comodamente a 90 km/h. Lungo la strada pochi insediamenti sparsi, qualche pastore maasai con la sua mandria e … ecco i primi animali! Un gruppo di giraffe dalla caratteristica andatura ci attraversa la strada! Poi, ancora, zebre e facoceri! E siamo ancora sull’”autostrada”! In un’ora e mezza raggiungiamo il villaggio di Mto wa Mbu, dove si trova l’ingresso del Parco Lake Manyara. Il Manyara è un parco piccolo, ma estremamente vario. Si trova proprio sotto la scarpata della Rift Valley (che si vede benissimo venire giù a strapiombo quando ci si avvicina al gate del parco). Le risorgive che sgorgano sotto la Rift Valley permettono a un fitto manto di foresta di prosperare. In questa zona sono moltissimi i babbuini, curiosi e quasi umani nelle movenze, alcuni con le caratteristiche chiappe blu, altri intenti a spulciarsi, altri ancora con un piccolo di pochi giorni sulle spalle. Eravamo da poco entrati che Leonard si ferma e dice “it smels like elephant”. Poco distante, infatti, tra il fitto fogliame, scorgiamo la sagoma di un’elefantessa intenta a brucare con la sua forte proboscide le foglie da un albero, al suo fianco un cucciolo. Poco più avanti, altri 7 pachidermi. Man mano che ci si avvicina alla piana la foresta si apre, per lasciare spazio a una savana di acacie. Dikdik, impala e moltissime giraffe e zebre popolano questo ambiente. Ci fermiamo per un picnic in una radura ombrosa attrezzata con tavoli di legno, davanti a noi la depressione occupata dal lago che appare “strisciato” di rosa, tanti sono i fenicotteri. A breve distanza da noi pascolano bufali, zebre, giraffe, gnu…incredibile starsene seduti con una coscia di pollo in mano e una gustosissima samosa mentre si ammira questo spettacolo! Nel pomeriggio procediamo verso il lago, verso l’hippo pool, attraverso una zona di prateria estremamente pianeggiante. Ci colpiscono gruppi di giraffe stese in pieno sole, nelle ore più calde del giorno. Leonard ci spiega che si riposanolì perché nrella pianura senza alberi riescono ad avvistare da lontano eventuali predatori. Raggiungiamo l’hippo pool, ma fa caldo e degli ippopotami spuntano soltanto le orecchie e le narici, sono completamente immersi nell’acqua. In compenso però ci sono centinaia di uccelli, moltissime specie di cicogne, garzette, cavalieri d’Italia… Sono ormai le 16.30, lentamente decidiamo di dirigerci verso il gate. Giunti all’asfalto la strada sale ripida e tortuosa lungo la parete del Rift, la vista sulla depressione del Manyara è magnifica. Su in cima il paesaggio cambia completamente: fa molto meno caldo, la terra è rossa, le morbide colline sono quadrettate da campi coltivati…sembra quasi di non essere in Africa. E’ Karatu, sulle Ngorongoro Highlands, clima salubre e piantagioni. Una deviazione a destra dalla strada principale conduce alla nostra sistemazione di stasera, il Plantation lodge (www.plantation-lodge.com ), definito dal nostro itinerario “un pezzo di old colonial Africa”. Posto in cima a una colilna, il Plantation si presenta subito come un posto affascinante. Sembra proprio di tornare ai primi del secolo scorso: la proprietaria tedesca vestita di bianco, il grosso cane (anch’esso un pastore tedesco) che scorazza per il giardino, le domestiche in camice a quadretti. Le belle costruzioni basse sono disseminate tra giardini magnifici e piante curatissime. Ci viene assegnata la “Plantation House”, 2 camere intercomunicanti con in comune un’ampia veranda e con accesso a una sala da pranzo che sa di storia, piena di foto d’epoca, cimeli, libri, arredi in legno massiccio. Le camere sono grandi, immacolate, il bagno è enorme e funzionale, dalla veranda si gode una privacy incredibile, nessuno ti guarda dentro. Facciamo un tuffo ristoratore nella piscina che domina un’ampia valle coltivata a caffè e ceniamo nella sala da pranzo privata attigua, cucina magnifica, torte salate, verdure freschissime biologiche appena colte dall’orto, un ottimo arrosto, perfino il gelato, il tutto annaffiato con una buona bottiglia di Shiraz del Sudafrica. 2 febbraio: Oggi ci aspetta il Cratere di Ngorongoro, definito dal nostro itinerario “ecosistema unico, mondo fatato”. Lasciare il Plantation fa male al cuore, è un posto che fa bene allo spirito. Anyway, in circa mezzora siamo al gate del Parco. Scendiamo per una fugace visita al visitors’ centre mentre Leonard procede alle formalità di registrazione e siamo dentro. L’asfalto è finito “finalmente” e una pista di terra rossa si inerpica tortuosa attraverso un ambiente fatto di foresta e di alberi altissimi. Poi, a un certo punto, dietro a una curva, compare in tutto il suo splendore il fondo della Caldera. Restiamo ammutoliti di fronte a tanto splendore, la vista sulla piana che occupa il fondo è da togliere il fiato. Alla foresta che ricopre interamente le pendici esterne fa da contrasto una savana piatta e quasi interamente senz’alberi. Qui – ci dice Leonard – vivono indisturbati circa 20mila grandi animali, ad eccezione delle giraffe (che non trovano piante adatte alla loro alimentazione) ci sono tutti gli animali tipici della savana. Lasciato il view point procediamo alla volta del fondo, seguendo una pista che scende ripida. E inizia lo spettacolo! Gnu, zebre e bufali in quantità, assolutamente indisturbati dai veicoli, eland, facoceri, non si contano le specie di uccelli. Avvistare gli animali a Ngorongoro è facile, fin troppo: la natura perfettamente piatta del fondo del Cratere permette di sporgersi con la vista fino ai bordi rialzati (con un binocolo) e dirigersi là dove si scorge qualcosa; inoltre i veicoli sono (ahinoi) piuttosto numerosi e impariamo presto che là dove ci sono 2 o 4 auto ferme tutte insieme c’è qualcosa di interessante. Abbiamo da poco terminata la ripida discesa che Leonard si ferma, afferra il binocolo e scruta il pendio. Individua a mezz’altezza un bufalo con un cucciolo, circondato da 3 leoni: l’obiettivo dei felini è quello di catturare il piccolo, un bufalo adulto è una preda difficile. La mamma fa scudo al vitello col suo corpo, sembra un gioco di scacchi, i leoni sono riusciti a isolare i due ungulati e attendono un calo di attenzione della madre per sferrare l’attacco. Ci fermiamo per un bel po’, ma nulla accade. Leonard dice che potranno volerci delle ore, magari calerà la sera prima che la cosa si concluda. Decidiamo di procedere il nostro giro. Le sponde del Lago Magadi sono un interessante punto di osservazione per ammirare diverse specie di animali. E’ incredibile come, su di una superficie così limitata, si possano incontrare così tanti animali diversi. Si avvicina l’ora di pranzo e Leonard suggerisce di andare al posto designato per il picnic: per ovvi motivi di sicurezza non è permesso scendere dall’auto dove si vuole, c’è una zona predefinita dove è possibile fermarsi a pranzare. Niente tavoli o sedie. Apriamo i nostri lunch box (vezzosamente chiusi con una striscia di “kanga”, un pezzo di pareo tipico della Tanzania) e veniamo subito avvertiti: “kites steal food here”, i nibbi rubano il cibo! È incredibile come questi rapaci siano in grado di sfilare, mentre volano, cosce di pollo e sandwitches dalle mani dei malcapitati turisti, senza neppure sfiorarli!. Mangiamo velocemente, chi in auto, chi appena sporto fuori, decidiamo di fermarci una mezz’oretta prima di riprendere il cammino. Ed ecco che un grosso elefante dalle zanne enormi passa a breve distanza dalle auto in sosta, è incredibile vederlo così, e, senza dar disturbo, procede per la sua strada. Partiamo, dopo pochi minuti… eccoli là, 2 ghepardi sinuosi intenti a farsi la toilette…Il tempo vola, sono già le 16.30, decidiamo di dirigerci al nostro lodge di stasera, Ngorongoro Sopa Lodge. All’arrivo l’impressione non è delle migliori: moltissime le auto intorno alla rotonda di carico e scarico, hall immensa, ma…il nostro sguardo viene immediatamente catturato da quello che c’è oltre la vetrata: prato, piscina e vista mozzafiato sul Cratere. Aperitivo, doccia in camera e poi a vedere il tramonto. La camera è grande ci sono due bei lettoni, il bagno rinnovato da poco, ci sono tutte le facilities tipiche di un albergo. Vista la quantità di turisti in giro Marco decide che forse è meglio riservarci un tavolo al ristorante. Il ristorante è grande, un po’ scuro, sembra quello di un hotel di montagna anni ‘70/’80. E’ evidente che le camere sono state rinnovate, il ristorante no. Il servizio è veloce, il cibo non è nulla di che, non cattivo ma lontano anni luce dalle delizie del Plantation. A fine cena tristissima canzoncina “Jambo Bwana” intonata da tutto lo staff, mentre corpulenti turisti divertiti filmano la scena, mi pare di essere in un villaggio di Malindi. Sono mortificata per lo staff e mi rattristano quelli che attorno a me sono divertiti da tale spettacolo. Ripenso a quello che Rocco ci aveva detto: “il mio consiglio spassionato è di trascorrere due notti al Plantation, di farvi ritorno anche dopo il game drive nel Cratere. Se proprio ci tenete a trascorrere una notte sul bordo della Caldera e non intendete spendere le cifre da capogiro del Crater Lodge vi consiglio Ngorongoro Sopa Lodge www.sopalodges.com : il Sopa ha una magnifica posizione, è confortevole e nessuno troverà nulla da ridire sia per il comfort che per la location, le viste sono magnifiche, ma con 65 camere è più un hotel nel bush che un lodge”. Dal 3 al 5 febbraio: ridestati da un sonno profondo rieccoci di nuovo in pista. Ci aspetta il mitico Serengeti. In realtà dal punto di vista tecnico/amministrativo non entreremo mai nel Parco Serengeti: aldilà delle distinzioni amministrative, l’ecosistema Serengeti include anche il Maasai Mara, che è in Kenya, e gli Ngorongoro Plains, le pianure che si estendono a Sud del Serengeti, a Nord Est del Cratere e che sono gestite dalla Ngorongoro Conservation Area, di cui costituiscono la superficie maggiore. Tuttavia in questo periodo dell’anno è proprio in questa zona che la Grande Migrazione di gnu e zebre dovrebbe trovarsi. Ed è in questa zona che, dietro consiglio di Rocco, abbiamo deciso di concentrare i nostri fotosafari. Scendiamo dal bordo della Caldera, le pendici più alte sono ricoperte da una foresta che si fa via via più rada. A bordo pista un nutrito gruppo di giraffe è intenta a brucare foglioline da cespugli ben più bassi del loro lungo collo e sono costrette quindi a piegarsi in avanti. Procediamo, mentre ai lati della pista compaiono boma di maasai e le mandrie di armenti si mescolano a zebre e altri erbivori. A valle il paesaggio è completamente cambiato, davanti a noi una pianura piatta, senza neppure un albero, sembra estendersi all’infinito. Tutt’intorno gazzelle di Thompson, di Grant, zebre, gnu, struzzi, è impossibile descrivere la quantità e la varietà di animali…Siamo entusiasti, Leonard se ne accorge e ci dice nel suo inglese dall’inconfondibile pronuncia “that’s nothing compared to Ndutu & Masek”. Le aspettative aumentano, mentre si profilano all’orizzonte boschi di acacie e il paesaggio diviene leggermente ondulato. Tra i boschetti di acacie inizia un vero spettacolo, sembra di essere nel paradiso terrestre: centinaia e centinaia di gnu corrono, giocano tra di loro, notiamo la presenza di moltissimi piccoli: è la calving season, la stagione delle nascite – spiega Leonard – e questo fenomeno attira numerosissimi predatori. Sfioriamo le sponde del Lake Ndutu, è semplicemente meraviglioso ammirare lo spettacolo di tanti animali che, felici, corrono nell’acqua a mandrie più o meno numerose. Superata una collina giungiamo in vista del Lake Masek, ai cui bordi si trova il nostro lodge di stasera, il Lake Masek Camp www.tanganyikawildernesscamps.com/camps/lakemasektentedcamp . Arriviamo e dopo il briefing di rito prendiamo possesso delle camere. In realtà si tratta di camere tendate, semplicemente spettacolari: 20 enormi tende poste su piattaforme di legno dalla cui veranda la vista spazia sul lago antistante e sui numerosi animali che passeggiano indisturbati, grandi letti con baldacchino e zanzariera, arredi in legno, abbondanza di prese elettriche, dietro due lavandini immacolati e un’enorme vasca da bagno. Una porta sul retro porta alla doccia scoperta (solo pareti niente tetto). Il campo è nuovissimo, ha aperto nel dicembre 2009, e si vede. La sala che ospita bar, ristorante e zona divani è enorme, ombreggiata, e dà su di una terrazza semicircolare che si affaccia sul lago. Un posto magnifico! E proprio nel bel mezzo di una vita animale intensissima! Estremamente chic, direi lussuoso, ma di un lusso garbato, per niente pacchiano o invasivo, perfettamente inserito nell’ambiente. Ci fermiamo a pranzo (buffet molto vario e gustoso!) e decidiamo di fermarci un paio d’ore a riposare. L’uscita pomeridiana ci riserva subito una magnifica sorpresa: a 10 minuti dal lodge, a poca distanza dal lago, ci imbattiamo in un gruppo di leoni intenti a crogiolarsi all’ombra di un’acacia, alcuni si rotolano a pancia all’aria! Sono 25 tra femmine adulte e piccoli! Ci fermiamo, spegniamo i motori e restiamo in religioso silenzio a goderci quella che sembra una dolcissima scena familiare, con le mamme che leccano amorevolmente i più piccoli, mentre altri giocano. Poco distante, tra l’erba alta, altri 2 leoni! Uno di essi solleva il muso, è rosso di sangue, L’altro si muove e si intravede una zampa marrone/grigiastra rivolta verso l’alto: è un carcassa di gnu che stanno divorando! Ne resta ben poco, per questo si spiega l’atteggiamento pacioso e rilassato del resto del branco: sono tutti belli sazi. Decidiamo di spostarci. Dall’alto di una collinetta si intravedono mandrie di gnu e zebre. Rientriamo al nostro lodge, stanchi ma soddisfatti. L’indomani ci riserverà una scena indimenticabile. Siamo fermi nel mezzo di una piana sabbiosa e senz’erba ad osservare da vicino un maschio di leone adulto dalla foltissima criniera, a cui, ci accorgiamo, manca un pezzo di coda. Dall’altra parte arriva con andatura regale una “signora” leonessa, anch’essa molto grossa. Ed ecco che, da una piccola altura, compare un cucciolo di gnu. Deve aver avuto pochi giorni, ha ancora il cordone ombelicale che penzola, muggisce e si lamenta, cerca la mamma. Dev’essere rimasto indietro mentre la mandria scappava – spiega Leonard. Il leone lo fissa da lontano senza scomporsi. E’ evidentemente sazio e si limita ad osservarne i movimenti con distacco. Ed ecco che la leonessa punta, con due agili salti è addosso allo sventurato vitellino, lo afferra con le fauci per il collo. Ci viene la pelle d’oca, restiamo attoniti, ammutoliti, sembra di sentire il rumore delle vertebre cervicali che si frantumano sotto la pressione dei denti del felino, è tutto così vicino, sono a 2 metri dalla nostra auto! La leonessa finisce il piccolo gnu che, dopo un paio di spasmi, cede. Lo trascina quindi in un punto dall’erba alta. Noi chiaramente con la nostra auto seguiamo a vista la leonessa e la sua preda. Con un morso all’addome fende la tenera cute ed inizia a leccare il sangue prima di iniziare a mangiare. Trascorriamo l’intera mattina lì, in silenzio, ad osservare questa scena tremendamente dura e forte che ci porta a riflettere sulle inesorabili leggi della natura. Il pomeriggio e il giorno seguente sono un susseguirsi di magnifici avvistamenti: gruppi di giraffe che brucano mentre tra le loro lunghe zampe saltellano gli gnu, perfino una leonessa appollaiata su di un albero intenta a dormire, 3 ghepardi, non so dire quanti erbivori… magico Serengeti! Leonard dice che siamo stati particolarmente fortunati, che qui – è vero – c’è abbondanza di animali, ma non è sempre così immediato vederne così tanti, soprattutto non è assolutamente scontato assistere a una scena di caccia che si conclude con successo! Siamo davvero felici. 6 febbraio: Lasciamo il Serengeti sotto una sottile pioggerellina che quasi non bagna. Ancora zebre, gnu, struzzi, iene, mentre riguadagniamo le alture di Ngorongoro per scendere dall’altra parte. Lungo la salita, gli occhi di Leonard scrutano qualcosa a breve distanza dalla pista: sono due ghepardi! Arriviamo nuovamente sul bordo del Cratere, ci rifermiamo al view point per portare con noi l’ultima immagine della caldera sottostante. Breve sosta a Karatu, per visitare il mercato (carino, autentico, molto bella la zona dedicata a frutta e verdura) e poi riscendiamo la falesia della Rift Valley per raggiungere il villaggio di Mto wa Mbu. Arriviamo al Losirwa Camp www.exclusivecamps.com/lodgescamps/luxcamps/losirwa-camp-tanzania , a 10 minuti di sterrato polveroso dalla strada principale. Veniamo accolti con il classico welcome drink e condotti nell’ambiente principale che ha un magnifico tetto di paglia travato, con un bel soppalco ideale per leggere e riposare. ’Il lodge è carinissimo, il bancone è ricavato da un vecchio dhow,(imbarcazione tipica zanzibarina) anche i divani sono fatti con pezzi di legno d’imbarcazioni evidentemente levigati da vento, sabbia e salsedine. La piccola piscina è molto invitante, sono le 13, il caldo si sente, e in attesa del pranzo ci regaliamo un tuffo. Questo pomeriggio ci attende un’altra esperienza, divers dai classici game driver e fotosafari. Andremo a piedi in giro per il villaggio di Mto wa Mbu, dove un’associazione di ragazzi gestisce i cosiddetti “cultural tours”. Quando rocco ci ha parlato di questa cosa ci è sembrata interessante: siamo infatti consapevoli che le comunità locali ricevono ben pochi benefici dal turismo internazionale e queste visite sono un ottimo strumento per distribuire tra la gente un po’ di denaro, denaro che viene utilizzato per migliorare i canali di irrigazione, per costruire aule scolastiche, per comprare zanzariere alle donne. Due ragazzi ci accompagnano in questa passeggiata che dura poco più di 2 ore: ci mostrano le piantagioni di banane (ce ne sono ben 3 specie), le case dove le signore sono intente a produrre birra di miglio o di banana e a lavorare il mais o a intrecciare stuoie. Veniamo subito seguiti da un nutrito gruppo di bambini sorridenti, belli, per niente assillanti. C’è chi torna da scuola, chi gioca con un vecchio cerchione di bicicletta, chi tira con la fionda…scene autentiche di villaggio, per niente edulcorate o riprodotte artificialmente in versione turistica. Torniamo al lodge e, dopo un’ottima cena, andiamo a dormire. E’ la nostra ultima notte in Tanzania, sono stranamente insonne, ripenso a tutte le scene che mi si sono delineate davanti agli occhi, ripercorro momento per momento il nostro itinerario, cerco di far sedimentare le immagini, di fissare i ricordi, poi il sonno mi vince. 7 febbraio: Rientriamo ad Arusha, ci fermiamo a comprare qualche colorato kanga (pezzi di cotone che costituiscono l’abito delle donne di qua), prima di raggiungere un lodge a 3 minuti dall’aeroporto Kilimanjaro. E’ veramente finita! Arrivederci Tanzania, spero davvero che torneremo presto, magari per starci un po’ più a lungo!