Tanzania, la nostra prima Africa
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Le tenere scene di gioco tra cuccioli di varie specie ai momenti cruenti della caccia, i tramonti infuocati le notti illuminate dalla luna piena, il verde lussureggiante della foresta di Ngorongoro, i deserti del Lake Natron, i morbidi scenari del Tarangire, l’immenso Serengeti… poi l’incontro con popoli antichi, ultimi eredi di civiltà millenarie: la Tanzania è uno scrigno di ricchezza e varietà tutto da scoprire, da avvicinare con curiosità e rispetto.
Da poco tornati dalla nostra meravigliosa esperienza in Tanzania, siamo mamma, papà e un bambino di 12 anni (Jacopo) che, per vivere quest’avventura, ha saltato ben 2 settimane di scuola all’inizio della II media…una follia secondo alcuni! Siamo stati molto in dubbio anche noi, ma a posteriori posso solo dire che in un’esperienza del genere il nostro piccolo ranger ha imparato cose che non avrebbe mai potuto apprendere tra i banchi.
23/9: La nostra avventura inizia all’aeroporto Marco polo di Venezia, da dove partiamo per Fiumicino. Da qui un volo notturno ci porta ad Addis Abeba, da dove proseguiremo domani mattina per Kilimanjaro, l’aeroporto che prende il nome dalla vetta più alta d’Africa e che è l’accesso preferenziale per chi, come noi, si accinge ad effettuare un safari nei Parchi del Nord. Abbiamo scelto Ethiopian per vari motivi:
– Ci permetteva di arrivare a Kilimanjaro e ripartire da Zanzibar
– Benchè, a differenza di Turkish, non parta da Venezia, ha orari di arrivo e partenza migliori (inoltre Turkish non va a Zanzibar)
– Il prezzo era conveniente, 1700 Euro in tre andata e ritorno, incluse tasse e voci accessorie.
Durante il volo notturno tra Roma e Addis Abeba dormiamo tutti e tre un bel po’.
24/9
Lo scalo ad Addis Abeba tollerabile (abbiamo visto sicuramente aeroporti migliori, ma anche qualcuno peggiore). Purtroppo la cima del Kilimanjaro si è solo intravista poco prima dell’atterraggio perché avvolta da nubi. Dopo l’atterraggio si attraversa la pista a piedi prima di raggiungere l’edificio. All’ingresso un addetto ci chiede “yellow fever certificate”, ma basta dire “transit in Addis from Italy” e il mio gesto di cercare i biglietti dentro allo zaino viene interrotto da un sorriso e da un cenno di invito a procedere. Compiliamo rapidamente il formulario per il visto, procediamo per il primo sportello (dove si pagano i 50 dollari a persona) poi per il secondo sportello dove viene fatta a tutti una foto e dove vengono prese le impronte digitali. Ritiriamo i bagagli e procediamo verso l’uscita, dove ci aspetta Exaud che ha in mano un cartello con il nostro nome. Da oggi, per 8 giorni, sarà la nostra guida, il nostro angelo custode, il nostro compagno di avventura. Saliamo su un possente Toyota Land Cruiser “stretched”, a telaio lungo, con i sedili modificati e il tetto che si solleva e permette di guardare fuori e fare foto liberamente. Il nostro Jacopo è supereccitato, passati sonno e stanchezza, vorrebbe aprire subito il tetto già dall’aeroporto. Gli viene subito spiegato che il tetto si può tenere aperto solo quando si va pino, sotto i 50 kmh, non quando si corre a 100 sulla principale arteria del paese. Il paesaggio intorno all’aeroporto è piuttosto arido. Man mano che si procede verso Arusha si fa più verde, poi si intravede il profilo appuntito del Monte Meru, la seconda montagna più alta in Tanzania. La strada è buona, ai suoi lati l’Africa e la vita, piccoli insediamenti, negozi colorati, qualche pastore masai, mucche, caprette, cani e tanti bambini. Giunti alle porte di Arusha lasciamo la strada asfaltata principale e pieghiamo a sinistra per qualche chilometro per raggiungere il Moivaro Lodge, davvero caratteristico! Un grande giardino con prato inglese e tanti fiori, piscina e vista sul Mount Meru, un grosso edificio bianco col tetto in paglia disito tra ristorante e bar, poi sparsi nell’amipia tenuta ci sono i bungalows. Raggiungiamo la nostra camera che è molto carina ed è immersa nel verde. Jacopo vuole andare subito ad “assaggiare” la piccola piscina. Pomeriggio di relax a Moivaro Lodge, cena e a letto presto.
25/9
Partiamo al mattino verso le 8, destinazione Tarangire. E’ definito “il parco dei giganti” perché ospita alcuni tra gli abitanti più granfi della savana: le sue colline sono punteggiate da giganteschi baobab dal profilo inconfondibile, e sono il regno di enormi mandrie di elefanti. La zona del fiume e la Silale Swamp ci hanno regalato avvistamenti indimenticabili: il primo leopardo sull’albero il pasto di decine di avvoltoi a breve distanza dall’auto, una famiglia di 9 leoni, antilopi, gazzelle e ungulati in quantità. Pernottiamo al Tarangire Safari Lodge, un campo tendato in splendida posizione sul fiume. Al tramonto è indimenticabile l’aperitivo con vista su bufali ed elefanti!
26/9
Usciamo presto per un game drive mattutino. A breve distanza dal camp un gruppo di iene sta banchettando sui resti di una gazzella. La nostra guida ritiene che le iene non possono averla cacciata, che si tratta della preda catturata da un ghepardo, uno dei predatori più agili e leggeri e spesso vittima di furti da parte di iene e leoni. Dal Tarangire si passa per l’incrocio di Makuyuni e da qui procede dritta verso ovest. Davanti a noi una montagna, una falesia appare nitida: è l’escarpment della Rift Valley. Attraversiamo per Mto wa Mbu che abbiamo ribattezzato “il paese delle banane” data la quantità di bancarelle che vendono questo prodotto, passiamo davanti all’ingresso del Lake Manyara (parco che, quando è giunto il momento di operare una scelta, abbiamo deciso di “saltare” e iniziamo la salita sulla parete del Rift. Una sosta è d’obbligo al belvedere che offre una vista magnifica sul Lake Manyara e sulla falesia. Più su morbide colline dall’aspetto poco africano indicano l’inizio delle Ngorongoro Highlands. Siamo a Karatu, dove ci fermiamo a Endoro Lodge, un’oasi di pace, tranquillità e comfort immersa nel verde.
27/9
Ngorongoro è un luogo magico, unico, ammirandolo dall’alto in tutta la sua maestosa bellezza si viene travolti da un senso di immensità. E’ la più grande caldera del mondo, è quanto resta di un antico vulcano che sarebbe stato più alto del Kilimanjaro se la sua cima non fosse collassata, dandogli l’aspetto che ha oggi. Un anello dal diametro di quasi 20km con i bordi rialzati di 600 metri rispetto al fondo che è ricoperto da savane e ospita 25mila grandi animali in libertà. Ngorongoro ha l’aspetto di un paradiso perduto, soltanto il passaggio degli altri fuoristrada ti riporta con i piedi per terra. E’ incredibile come su un territorio così piccolo vivano così tante specie concentrate, una vicino all’altra. Ngorongoro è l’unico posto dove abbiamo avuto la fortuna di poter ammirare il rinoceronte. Completata la nostra perlustrazione del cratere ci dirigiamo in direzione nord-est, verso la zona del Lago Ndutu, al confine tra Ngorongoro e Serengeti, scelta logistica che ci permetterà, domani, di arrivare fino all’estremo nord del parco. Ci fermiamo a Ndutu Lodge, graziosa struttura che ci dicono essere una delle prima ad aver aperto da queste parti.
28 e 29/9
Impresa ardua descrivere quanto meravigliosamente bello, vasto, ricco, e vario sia il Serengeti! L’unico rimpianto è quello di non averci trascorso una notte in più. Da Ndutu partiamo in direzione Nord, attraversiamo il centro del Parco e perlustriamo la zona intorno al fiume Seronera dove, nonostante la stagione secca, la fauna abbonda. Ad un tratto, mentre siamo in prossimità di un kopjie (uno degli enormi massi di granito che emergono dalla pianura come monumenti litici) ecco spuntare un leopardo che ci passa proprio davanti all’auto (guardate la foto che ho pubblicato sul Serengeti!). Jacopo è gasatissimo, ma lo è anche la nostra guida, la quale racconta che è piuttosto raro vedere il leopardo a terra durante il giorno, si tratta di un predatore notturno che trascorre la maggior parte del giorno sui rami degli alberi. Ma l’emozione più grande del Serengeti è stata quella di giungere sul corso del Mara River e assistere allo spettacolo delle enormi mandrie ammassate a bordo fiume. Dopo circa due ore, tra sbuffi, calci e muggiti, lo spettacolo del guado, che ci ha lasciati senza fiato. Incontabili gli avvistamenti durante queste giornate, durante le quali abbiamo soggiornato in uno degli Mbugani Camps, quello del Nord del Serengeti. E’ stata la nostra prima esperienza in campo tendato ed è stata memorabile: circondati dalla Natura e dagli animali, sentendone i rumori anche di notte, coccolati dallo staff e viziati da un cuoco eccellente. Le tende della tenda hanno solo il materiale, sono delle camere enormi con tanto di letti, poltrone, bagno e doccia, acqua calda e fredda e postazione per ricaricare le batterie. Molto più di quanto potevamo immaginare, soprattutto pensando che si è lontani da tutto. Sicuramente da provare!
30/9
Stamattina si punta in direzione Est. Attraversiamo una parte del Serengeti più ondulata e punteggiata di alberi, arriviamo a Klein’s Gate e usciamo dal Parco. La pista peggiora, è una pietraia. Ogni tanto qua e là spunta dal nulla un gregge, seguito da un pastorello masai. A un certo punto dietro a una curva appare la distesa di lava e soda su cui si erge il cono perfetto dell’Oldonyo Leng’ai, il vulcano attivo sacro al popolo masai che lo considera la dimora del dio Leng’ai. Lo scenario è pazzesco, di una durezza estrema, siamo scesi di altitudine e la differenza di temperatura è evidente. Arriviamo al Natron River Camp, che non è la sistemazione più confortevole tra quelle che abbiamo sperimentato fino ad oggi, ma in un ambiente aspro come questo ha il suo perché, e comunque non c’è di meglio in zona.
Al pomeriggio dopo un tratto in fuoristrada, iniziamo a camminare lungo il corso di un torrente, in una gola che diventa più stretta. Si procede a tratti con i piedi nell’acqua, è un posto molto bello, in fondo c’è una cascata di acqua calda che viene fuori dalla montagna, una doccia perfetta! Al ritorno, ci fermiamo al tramonto in una “manyatta”, un villaggio masai. E’ un gruppo di una decina di capanne fatte da un’intelaiatura di rami, fango e sterco animale (che dentro sono buissime), circondate da una staccionata di rami di acacia spinosi a proteggere uomini e animali dai predatori durante la notte. I maasai sono un popolo di allevatori niloti, che non sono originari di questa zona, ma sono arrivati fino a qua seguendo le mandrie alla ricerca di pascoli da una regione compresa tra il sud-ovest dell’Etiopia, il Sud Sudan e l’Uganda settentrionale. Come gli altri popoli niloti sono pastori e poligami. Un guerriero masai non mangia altro che carne, sangue e latte, disprezza i cibi vegetali e l’agricoltura, si nutre esclusivamente dei suoi animali. Questa è stata una tappa davvero importante per noi tutti e soprattutto per Jacopo, che ha potuto confrontarsi con un mondo davvero diverso rispetto a quello a cui è abituato. Qui i bambini alla sua età vanno da soli nella savana a badare alle greggi, scalzi e con un bastone in mano, qui non c’è la PSP e la Wii.
1/10
Al mattino presto facciamo una passeggiata verso il lago, tra formazioni di roccia dalle forme bizzarre colorate di nero, rosa e bianco. I fenicotteri intenti a nutrirsi nelle acque basse si tengono a debita distanza e accennano un breve volo man mano che ci avviciniamo. La guida ci raggiunge in auto e partiamo verso Sud. La pista sfiora una catena di imponenti vulcani, la vista è fantastica. Si passa per Engaruka e si arriva a Mto wa Mbu. Manca un’ora e mezza ad Arusha. Pranziamo in un caratteristico ristorante che è parte integrante di un interessante progetto che coinvolge ragazzi disabili nella produzione di splendidi oggetti in vetro riciclato e che non è distante dal piccolo Arusha Airport. Zanzibar ci aspetta. Abbiamo deciso di visitare l’isola e di trascorrervi 3 notti, non solo per il mare, ma perché Zanzibar, come Timbouctou o Shangri La, è un luogo del mito, una piccola isola ricca di storia che ha visto susseguirsi arabi, persiani, portoghesi, olandesi, tedeschi e inglesi. Abbiamo infatti deciso di soggiornare a Stone Town, il capoluogo, allo Zanzibar Serena Inn, una vecchia costruzione sul lungomare piena di arredi antichi, in tipico stile Swahili. Dalla piscina si gode uno dei più bei tramonti di Zanzibar.
2/10
Dedichiamo la mattina alla visita della Zanzibar storica, iniziando da Stone Town. La House of Wonders, l’antico dispensario, la casa del mercante di schiavi Tippu Tipp, la cattedrale anglicana. Toccante entrare nelle stanze dove venivano stipati gli schiavi provenienti dal continente prima di partire per i mercati d’oltremare. Al pomeriggio in compagnia di Rashid visitiamo la splendida spiaggia di Kendwa e il villaggio di pescatori di Nungwi. Torniamo a Stone Town al tramonto quando ai Forodhani Gardens, proprio sul lungomare e non lontano dal nostro albergo si accendono i bracieri di tantissime bancarelle che vendono per pochi soldi snacks, spiedini di carne e pesce, gamberi, samosa…tentazione a cui non sappiamo resistere.
3/1
Oggi è la materializzazione stessa del sogno tropicale, partiamo per il Safari Blue, una giornata in barca nell’area marina protetta di Menai Bay, punteggiata da atolli, banchi di sabbia e isolette. Sole, snorkelling e super barbecue di pesce e crostacei sull’isoletta di Kwale.
4/1
Ultima mattinata a Zanzibar. I miei uomini si godono la piscina dello Zanzibar Serena, mentre io vado a fare shopping. Pranzo veloce e in aeroporto, è il momento di partire. Kwa heri Tanzania, tutaonana tena (arrivederci Tanzania, ci vedremo ancora).
La Tanzania è semplicemente meravigliosa, direi anche “facile” perché qui le paranoie che spesso ci facciamo quando pensiamo all’Africa non trovano riscontro. Infrastrutture ottime e suggestive. Noi non abbiamo fatto vaccini e non abbiamo incontrato zanzare. Non c’è nessun problema a viaggiare con i bambini, il mio a 12 anni è un ragazzino ma non vedo difficoltà neppure con bambini più piccoli, sono talmente tante le esperienze che potranno vivere che non dimenticheranno mai un viaggio così!
Il nostro itinerario è stato un susseguirsi di emozioni e sempre vario perché con il fatto che dal Serengeti siamo poi andati al Natron abbiamo evitato di percorrere la stessa strada per tornare ad Arusha e abbiamo fatto un anello che si è chiuso quando abbiamo ritrovato l’asfalto l’ultimo giorno di safari a Mto wa Mbu.
I nostri ringraziamenti speciali vanno alla Tanzania e alla sua gente, alla nostra eccellente guida non solo per la vista, la bravura a trovare gli animali e la discrezione, ma soprattutto per la sua innata abilità di entusiasmare con i suoi racconti e le sue spiegazioni noi e il nostro Jacopo. I nostri complimenti vanno al tour operator Safari Crew Tanzania che con grande professionalità e passione ha curato ogni aspetto di questo splendido, indimenticabile viaggio.