Tacchino di viaggio – Cronache da San Francisco
La mia compagna di viaggio legge la sua guida turistica. San Francisco: in America la città preferita di tutti. Almeno così dicono.
Io ne so poco, ma senza motivi particolari ci fantastico da un paio d’anni. Come nelle storie dei film, potrebbe essere destino. Di sicuro, se non avessi intrapreso questo viaggio non avrei visto la modella che stesa davanti a me accarezza lasciva il tacco della sua scarpa destra. Ovviamente in foto. Ma tant’è.
Aeroporto di Milano Malpensa, ore 9:20. Inizia l’imbarco.
ore 12:40 – Gli aeroplani e la ristorazione Alla domanda “Pollo o pasta?” vado con il pollo.
Mi viene servito un vassoio contenente un pastrocchio di riso scotto, spezzatino di pollo in salsa barbecue e contorni vari, nella maggior parte dei casi impossibili da identificare. La cattiva notizia è che tra i riconoscibili ci sono i peperoni, la buona è che non se ne sente il sapore. Sistemando i vassoi, Francesca mi fa un gavettone d’acqua con un bicchiere da un quarto di litro. La mia coperta cade irrimediabilmente sotto il mio sedile, i miei occhiali da sole sotto quello davanti, ma rimediabilmente. Li lascio là mentre consumo il pranzo con il culo bagnato, un occhio ai Rayban adagiati sulla moquette e l’altro ai bicchieri, per limitare i danni in caso di ulteriori disastri.
ore 13:45 Balliamo sul mondo.
ore 15:50 Le nuvole porgono una soluzione alla loro continuità e si aprono sull’Atlantico. Il mio cuscino di viaggio, ed io, appoggiati al finestrino cerchiamo parole adeguate. Al momento le parole sembrano tutte inadatte: l’aereo rumorosamente taglia l’aria, la gente ascolta in silenzio.
PHILADELPHIA Giunti alle 13:10 locali nella città di Rocky Balboa, e questo lo so per certo, passiamo millemila controlli per prendere la nostra valigia da un nastro trasportatore e ributtarla su un altro. Piccole cose che non fanno che accrescere la mia passione per gli aeroporti. Ma tant’è. Intanto siamo in America. Rimanendo in tema, per me l’America è un gigantesco aeroporto senza sale d’attesa: la standardizzazione, le bottigliette d’acqua vendute a caro prezzo, l’aria condizionata sempre troppo forte e la rigidità delle procedure fanno sì che gli aeroporti di tutto il mondo siano piccoli campioni di Stati Uniti sparsi qua e là. La differenza sostanziale è che negli USA ci sono molte più persone che non mi azzarderei a sfidare in uno contro uno a basket.
Francesca dorme su una panchina qua davanti, io sono in pace con me stesso e con il mondo dopo un’ottima birra di frumento.
Secondo i miei calcoli, quando arriveremo a destinazione saranno passate 24 ore dalla partenza da Milano. Secondo i miei calcoli, all’arrivo sarò troppo cotto per scrivere qualcosa.
Venerdì – 14/8/09 SAN FRANCISCO ore 13:43 All’arrivo di ieri ero troppo cotto per scrivere qualcosa. La prima giornata in California invece inizia alle 6:00, scherzi del fuso orario. Ma tant’è, e dopo due ore siamo già in giro. In una mattina vediamo molto e mettiamo le basi per le cose da fare nei prossimi giorni.
Da rimarcare: – La linea F del tram: utilizza vetture storiche provenienti da ogni parte del mondo. La nostra corsa ovviamente la effettua un tram proveniente dal Comune di Milano: in sostanza ho attraversato un oceano per prendere il mezzo con cui mi muovevo tra il Duomo e Lambrate.
– San Francisco è sotto l’assedio di noi turisti. Siamo tanti, tantissimi venuti fin qua a toglierle un po’ d’anima in cambio di soldi. In particolare noi italiani siamo tra i più riconoscibili, soprattutto per l’abbigliamento da velista in uscita sulla terraferma, con una predilezione per i toni di blu.
– Pensando ai turisti e ai velisti cammino per Fisherman’s Wharf, vecchio porto riconvertito a polo d’attrazione per i visitatori, e scambio occhiate furtive con una ragazza. Mi giro verso di lei e l’uomo di mezz’età che le siede accanto si alza. “Bella! Ho fatto incazzare il padre” penso, ma poi lo riconosco: Tony! non semplicemente il Barbiere degli anni di Napoli, ma l’Artista e il Maestro mi viene incontro per salutarmi. Felice come un bimbo chiacchiero con lui per una decina di minuti, il tempo di una fotografia, un invito a cena ed un saluto affettuoso. Riguardo la fotografia con Tony, ancora un po’ incredulo. Degli aerei volano sulla baia lasciando la scia, a leoni marini e gabbiani il compito della colonna sonora. Stendendomi sul prato da cui vi scrivo ho coperto una zona d’erba appena innaffiata. Sembra che io debba passare questi giorni col culo bagnato.
ore 22:53 In Tv danno “Il Principe cerca moglie”. Sento le due lesbiche spagnole che rientrano nella stanza accanto. Lo so a cosa state pensando, porci!, ma purtroppo sono inguardabili.
Sabato – 15/8/09 ore 12:00 Dal Golden Gate Park che, contrariamente a quanto si possa pensare, non è vicino al famoso ponte. Ma tant’è. Se n’è appena andata una mezz’ora di frisbee, e prima ancora una soddisfacente colazione a base di carne.
Davanti a me una grossa vespa ingroppa un fiore, alla mia destra Francesca scatta fotografie, alla mia sinistra è ubicato il Conservatorio. Mi chiedo quanto sarebbe bello frequentare un’università all’interno di un parco e la mia mente vola alle pause tra le lezioni, io che gioco a frisbee con ragazze bionde in hot pants. La vespa fuma la sua sigaretta post coitum. Haight Street è la strada per arrivare qui. Haight Street rappresenta l’America che mi piace: semplice, colorata, un po’ fricchettona, cortese. I negozietti pullulano di cianfrusaglie che difficilmente si vedono in altre zone della città. Io non vi attingo per non innescare un meccanismo compulsivo che sarebbe arduo fermare. E mentre Francesca mi riporta ad intervalli di dieci secondi notizie di relativo interesse sul parco, nella sua ricerca del Japanese Tea Garden, io resto seduto sull’erba, annuendole di tanto in tanto con la mia testa spellata dal sole, pensando al frisbee nelle pause delle lezioni con le ragazze in hot pants, magari a bordo piscina e i fiumi di birra che scorrono. Viva l’università americana!
ore 18:50 – Pillole di giornata – Giro del Golden Gate Park, ed in particolare del Japanese Tea Garden (a 5 dollari è poco più di qualche discreto scenario per fotografie); da segnalare le svariate manifestazioni, le attrezzature sportive messe a disposizione gratuitamente, i complessi che suonano jazz o folk. Non si può dire che questa città non sia viva.
– Haight Street: escursione per negozi e passeggiata architettonica. Tra le botteghe più simpatiche citiamo l’Amoeba Music, un hangar adibito a negozio indipendente di musica più grosso degli Stati Uniti. Per rendere l’idea, là dentro più delle canzoni di sottofondo si sentono i rumori delle custodie di plastica che urtano.
– Ricerca del panorama da cartolina in Alamo Square, parco in collina con vista su alcune delle dimore più caratteristiche della città. Apro una parentesi.
A chi visita per la prima volta la città resteranno impresse soprattutto le salite e le case. A San Francisco le salite sono ANI: Assurde, Numerosissime e Inaspettate. Le strade della città, con pendenze anche più elevate del 30% sono generalmente perpendicolari tra loro a formare un reticolo: capita spesso di girare un angolo, fiduciosi nell’inizio della discesa, e invece di trovarsi davanti all’ennesima vera e propria parete.
Le case: avere una delle tipiche villette a due piani, magari con vista sulla baia, anche solo per qualche tempo, potrebbe essere come passare una notte con Charlize Theron, oppure schiacciare in testa a Shaq, o fare un rutto alla Fantozzi. Le case di San Francisco sono tutte diverse, accostate l’una all’altra in un’immobile sfilata di desiderio: il passante, provato dalle suddette salite, le vede colorate ed invitanti come i predoni vedono i miraggi nel deserto. Chiusa parentesi.
– Tappa a Castro, celeberrimo quartiere gaio. Colori vivaci, aria festosa e bandiere arcobaleno in una delle zone più caratteristiche della città. Pur essendo accompagnato da una bella ragazza ero io a ricevere attenzioni, con tanto d’occhiolino da un simpatico commesso di Starbucks.
– Twin Peaks: da Castro, metro, autobus e arrampicata (con tanto di sterrato) per raggiungere le colline del telefilm. Trattasi di due gobbe di cammello uguali e poste ad una cinquantina di metri l’una dall’altra, due mammelle brulle e ventose dalle quali si domina, per davvero, l’intera baia. Chiusura in bellezza della giornata.
Domenica – 16/8/09 ore 15:05 Ancora da un prato, ma con vista mare. Sto scrivendo questo tacchino sull’erba, a differenza di quello svedese, scritto prevalentemente sulla tazza del cesso. A voi eventuali considerazioni a riguardo.
Oggi si è girato in bicicletta, escursione a Sausalito passando per il famoso e nebbioso Golden Gate. Il noleggio delle bici da queste parti deve essere un business piuttosto redditizio, visto il numero di pellegrini che in sella affrontano tornanti tortuosi e discese scoscese per raggiungere la Positano della Baia, come ho appena ribattezzato Sausalito. A proposito di business redditizi, mi sentirei di includere i parcheggi per automobili (che qui non hanno tariffe orarie, ma solo giornaliere e non inferiori ai 20 dollari) ed il commercio di felpe per quei turisti che arrivano in agosto e vengono sorpresi dal vento. Ma tant’è.
Andare e tornare da Sausalito costa una discreta fatica, motivo per il quale la maggior parte dei cicloamatori opta per un più comodo ritorno in traghetto. Noi no. E ne sono contento perché nei momenti (lunghetti) in cui mi fermavo aspettare la mia ansimante compagna di viaggio, scattavo alcune delle migliori fotografie fatte fin qui. Le piste ciclabili per Sausalito sono trafficate almeno quanto la strada: non solo la correttezza ed il rispetto non mancano mai, ma c’è sempre la disposizione di spirito alla battuta o al sorriso. Senso d’appartenenza, magari potremmo chiamarlo così. O forse è solo civile convivenza che fa strano a chi si è abituato a stare dalle nostre parti. Ad esempio, Francesca mi ha appena minacciato di morte solo perché ho messo un po’ di dito nelle piaghe della sua stanchezza. Dove andremo a finire…
ore 20:30 – Frase del giorno “Professore, ma non è necessario che lei si spogli” “La smetta! sembra il mio istruttore di tennis!” Futurama, libera traduzione dall’inglese
Lunedì – 17/8/09 ore 10:40 Le macchine corrono sulle strade larghe del centro. Su quelle strette e ripide di Russian Hill no: ci girano gli inseguimenti dei film.
Se però ti fermi ad osservarle le macchine, saranno i cambi automatici, le salite o una certa incapacità di base, ma delle scenografiche partenze sgommate le becchi sempre.
In diretta da Washington Square, al centro della quale non c’è una statua di George Washington ma di Benjamin Franklin, a sua volta centro del quartiere italiano di North Beach. Dove la bandiera italiana viene rappresentata a strisce orizzontali, come quella dell’Ungheria rovesciata, e dove scrivono Cinecità o Mona Lisa. Per la gioia dei veneti.
I cani giocano, sul prato alcuni orientali fanno yoga e praticano arti marziali, un fricchettone balla. Alla mia sinistra una grande bandiera a stelle e strisce, immancabile e tesa dal vento, unisce l’Italia e l’Ungheria, gli orientali e i fricchettoni, i cani che giocano e quelli che guidano.
ore 22:47 “Sai perché gli Yankees vincono sempre? Perché gli avversari non riescono a staccare gli occhi dalle strisce sulle magliette” Frank Abagnale Jr. – Prova a prendermi La storia delle strisce sarà anche vera, allora gli Yankees hanno scelto male di indossare la divisa a tinta unita: gli Oakland Athletics davanti al “pubblico di casa” li hanno battuti per 3-0. Il virgolettato su pubblico di casa tenetevelo buono, ci ritorniamo.
Da assoluto ignorante di baseball lascio la disamina tecnica della gara a qualcun altro ed in altra sede, ma posso affermare con ragionevole certezza che al tifoso medio americano interessa più apparire sui maxischermi che vincere la partita. Qualunque sia l’andazzo ad ogni intervallo scattano in piedi, tutti griffati dal merchandising ufficiale della squadra del cuore, per mostrare la tessera socio di uno sponsor, ballare il quaqua o cantare al karaoke una vecchia canzone.
In questo la distanza dall’Europa è ampia: se qualcuno provasse a “distrarmi” dalla partita della mia squadra del cuore, che per me è uno psicodramma, per promuovermi un qualche prodotto o regalarmi dei biglietti per visitare i cavallucci marini all’acquario (sic!), ad essere carino gli risponderei con una testata in bocca. Ad essere carino. Tenete buona la parola distrarmi, torniamo anche su questa.
Infatti, non è solo il marketing selvaggio che differenzia lo sport europeo da quello USA: al Coliseum di Oakland i tifosi dei New York Yankees erano pari, se non più numerosi di quelli della squadra di casa. E di barriere tra tifosi manco a parlarne: bellissimo. Però.
Mi chiedo.
Le continue promozioni che si susseguono durante la partita, le distrazioni, sono espedienti per stemperare la tensione o un bombardamento atto a rincoglionire il tifoso, spesso predisposto ad un’operazione del genere? Ed è necessario farne un robot felice e controllato dalla regia, pronto a danzare sui jingle delle aziende che portano soldi alla squadra? Lo sport non può convivere con le barbarie che si vedono dalle nostre parti, ma non si deve privarlo di una componente emotiva: la partita non può essere il momento in cui ci si alza a prendere i nachos, perché guai a perdersi la kiss-camera! L’asetticità a marchio registrato che hanno scelto negli Stati Uniti non c’entra niente con lo sport. Solo che rende, e rende tutti felici. O quasi.
Martedì – 18/8/09 ore 15:50 – La Leggenda dell’Autista sull’Oceano.
Si aspetta un autobus che non passa. Ma passerà. Intanto stormi di passeri e gabbiani sulla spiaggia trovano rifugio nei passi di quelli che ad altre latitudini sarebbero bagnanti, ma che ad Ocean Beach sono surfisti, turisti o solo passanti che cercano ad agosto il mare d’inverno.
ore 17:35 Dai diffusore di un ristorante Max Gazzè e Niccolò Fabi cantano del vento d’estate. Possibile se sei a North Beach, t’imbatti in canzoni del genere ad ogni angolo. Il vento, invece, è presenza fissa in tutta la città.
ore 23:17 – L’artista del giorno: Malibu. Rapper sulla cinquantina, ci ha intrattenuti con il suo hip-hop mentre aspettavamo l’autobus e “regalato” un suo album in cambio di una donation.
Potrebbe essere vuoto, la classica tototruffa, per di più ai danni di un napoletano, ma le risate nei dieci minuti della nostra conversazione sono state senza prezzo. Ad onor di cronaca, il tutto è avvenuto dopo una cena ad elevato tasso alcolico in un ricercato ristorante di Haight Street. Il Nocino ha ispirato la seguente considerazione: fatte poche (ma importanti) eccezioni, le cose italiane all’estero sembrano più buone.
Mercoledì – 19/8/09 ore 12:30 Odio i negozi per turisti.
ore 17:30 Operazione valigia conclusa. Così come la vacanza.
Potrebbe esserci l’ultima cena, che a differenza di quella famosa dovrebbe avvenire in un pub irlandese dietro l’angolo. E non credo che all’epoca avessero la Guinness.
Ho detto “potrebbe esserci l’ultima cena” perché oggi abbiamo visitato il penitenziario di Alcatraz. Alcatraz è forse la meta più richiesta da chi viene a San Fancisco, al punto che è necessario prenotare l’escursione con alcuni giorni d’anticipo. Nonostante ne sia invasa, Alcatraz è tutto tranne che una merdata turistica. E quando entri nella prigione principale l’avverti dalle mani e fino a dentro le narici che con questo posto non si scherza. Che era un inferno panoramico. E che, a quarantasei anni dalla chiusura, dà ancora la nausea a chi vi entra. Qualcuna, qui vicino a me, ne ha saputo qualcosa.
ore 23:30 – Sorseggio una sprite.
Al tavolo di un pub, chiara ispirazione anni ’50, uno dei pochi ancora aperti al Terminal 1. Ci passerò buona parte della notte. Se fossi Bukowski berrei whiskey e acqua, ma purtroppo per voi non lo sono.
Francesca legge un libro di Fabio Volo, io flirto con il sonno e gioco con il paradosso della percezione temporale, facendo finta di meravigliarmi che il momento dell’arrivo a San Francisco sembri vicino e le cose fatte durante il soggiorno molto lontane. Un classico di fine vacanza.
San Francisco offre tanto, ci ha offerto tanto e noi abbiamo preso abbastanza. Ne è stravalsa la pena e consiglio vivamente a chiunque dovesse leggermi di farci una capatina.
Io però non tornerei. Almeno non da turista.
Chi visita un posto per la prima volta è alla ricerca di qualcosa. Chi ci torna è perché un qualcosa l’ha trovato. Ma con la città stracolma di turisti quel qualcosa diventa impossibile da afferrare, come in un parco giochi. In queste condizioni città e parco giochi diventano artificiali allo stesso modo. Ed hanno lo stesso obiettivo, che si trova nella tue tasche.
Ci sono i negozi di souvenir, la lingua più parlata è sempre l’italiano, la differenza è che da una parte trovi Topolino, dall’altra barboni e artisti di strada. Magari anche qualche topolino, se sei proprio sfigato.
In questo momento però, per Francesca il qualcosa da cercare è un telefono pubblico, per me e per gli altri avventori del pub anni ’50 è un modo per passare la notte che separa il presente dalle rispettive trafile aeroportuali.
Sperando che almeno stavolta il viaggio sia asciutto.