Sudafrica: il mondo in un paese
Il Sudafrica non è uscito da molto tempo dai tristi anni dell’apartheid ma ad un’analisi superficiale molti aspetti non sembrano cambiati rispetto al passato. Nella maggior parte dei casi bianchi e neri continuano a vivere in due mondi diversi e paralleli, con i bianchi “confinati” nelle loro splendide dimore e i neri che hanno invaso i centri storici delle città che prima gli erano preclusi. Il turista finisce inevitabilmente nel mondo della comunità bianca e, specie nelle regioni di Città del Capo e della Garden Route, le interazioni con la popolazione di colore sono veramente ridotte. In realtà parlando con i locali si capisce che il paese è all’inizio di un lungo processo di trasformazione e le aspettative per un futuro migliore sono molte. Il governo attuale è riuscito a raggiungere un delicatissimo equilibrio, evitando che un “naturale” desiderio di rivalsa dei neri per quanto accaduto in passato potesse portare il paese nel caos. La comunità bianca è fondamentale per la nazione poiché ne rappresenta la parte più avanzata e la speranza è quella di creare una società multirazziale con uguali possibilità per tutti. Le infrastrutture del Sudafrica spesso sono all’altezza di un paese ricco (basti considerare l’ottima rete stradale) e questo costituisce indubbiamente un grosso vantaggio.
Il diario di viaggio!
Il viaggio è durato tre settimane con il seguente itinerario di massima: Cape Town – Garden Route – Port Elizabeth – Durban – Drakensberg – Kwazulu Natal – Swatziland – Parco Kruger – Johannesburg
Lunedì 12 / Martedì 13 agosto: Roma – Zurigo – Johannesberg – Cape Town
Partiamo da Roma per Zurigo dove arriviamo nel primo pomeriggio. Il volo per Johannesburg parte solo alle otto di sera ma rinunciamo ad uscire dall’aeroporto per un giro in città. Un lungo volo notturno ci porta in dieci ore a Johannesburg, dove dobbiamo recuperare il bagaglio e farci timbrare il passaporto per l’ingresso in Sudafrica. Il terzo volo ci porta finalmente a destinazione, a Cape Town, sorvolando tutto il paese. All’aeroporto prendiamo possesso della macchina a noleggio, una Mazda vecchio modello che si rivelerà in ogni caso efficiente, e del cellulare che ci viene fornito gratuitamente insieme alla macchina (scopriremo poi in Italia di dovere comunque pagare un’assicurazione obbligatoria).
Puntiamo diritti all’albergo, l’Hotel President della catena Protea, situato nel quartiere di Sea Point, con belle viste sull’oceano da un lato e sulla collina del Lion Heads dall’altro. Rinunciamo a cambiare i soldi in albergo, visto il tasso molto sconveniente, e ci rechiamo invece direttamente al Mall del Waterfront dove cambiamo 350 euro (un euro corrisponde circa a dieci Rand, la moneta locale). Ripresa la macchina, ci spostiamo in centro per iniziare finalmente l’esplorazione della città (ormai abbiamo a disposizione solo mezza giornata).
Parcheggiamo nella Piazza Gran Parade, dominata dalla City Hall, e visitiamo per primo il Castello del Capo di Buona Speranza, uno degli edifici più antichi della città. Passiamo poi alla zona nella quale sorgeva il District Six: il quartiere era abitato da neri ma si trovava troppo vicino al centro per i gusti dei politici dell’apartheid che decisero quindi di raderlo al suolo e di trasferire la popolazione da un’altra parte. Oggi il District Six Museum ricorda quei tristi avvenimenti esponendo tra l’altro le targhe delle strade del quartiere, salvate di nascosto dalla distruzione. Superata Adderley Street, dove si trovano il Parlamento e la Cattedrale di St. George, raggiungiamo Green Market Square, sede di un mercatino; dopo esserci sfamati in un Fish & Chips, proseguiamo verso nord fino a Strand Street, che corrisponde alla vecchia linea della costa, raggiungendo il Gold of Africa Museum. L’esposizione comprende oggetti d’oro provenienti da varie parti del continente ed il pezzo più famoso è una bella statuetta di leone del Ghana, naturalmente in oro. Tornando verso sud per Buttengract Street, giungiamo al quartiere musulmano di Bo-Kaap, caratterizzato da case con belle facciate colorate e da un interessante museo ospitato nell’abitazione di un leader religioso dell’ottocento. Nei pressi si trova la moschea Auwal, la più antica del Sudafrica. Proseguiamo poi per Long Street, piena di locali e begli edifici, fino al South Africa Museum. L’esposizione comprende varie sezioni: nella parte storica si trovano splendide pitture rupestri opera dei boscimani, anticipazione di quanto vedremo nel Drakensberg, uccelli di pietra provenienti da Great Zimbawe e le Lydenburg Heads in terracotta risalenti al 500 d.C. Nella parte dedicata alla natura impressionante è la sala con giganteschi scheletri di balena. Usciti dal museo completiamo il giro percorrendo i Company’s Garden e facendo ritorno in macchina in albergo. Ottima cena nel ristorante dell’hotel.
Mercoledì 14 agosto: Penisola del Capo Il programma della giornata prevede la visita della penisola del Capo. Prendiamo quindi la strada costiera in direzione sud per poi deviare all’interno verso la Table Mountain. Città del Capo sorge in una splendida posizione ed è una città veramente particolare: da una parte si trova l’oceano con la Table Bay, dall’altra, alle sue spalle, si ergono belle montagne tra cui la più famosa è la Table Mountain, alta più di 1000 metri. La sua sommità, costituita da un vasto pianoro, è spesso avvolta da nuvole isolate, motivo per il quale assomiglia ad una tavola con una tovaglia bianca. Una funivia permette di arrivare in vetta da dove si gode un bellissimo panorama. Purtroppo però scopriamo che questa settimana la funivia non funziona perché sono previsti dei lavori di manutenzione (che “sola” !!). Proseguiamo quindi per un po’ sulla strada che corre sul fianco della montagna dominando dall’alto la città, finché s’interrompe e dobbiamo tornare indietro. Visto che abbiamo perso il panorama migliore, cerchiamo per lo meno di goderci la vista dalla Signal Hill. Una strada porta in cima alla collina, così chiamata per il colpo di cannone sparato a mezzogiorno; dall’alto si gode un bel panorama sulla città e sulla Table Bay con Robben Island.
A questo punto riprendiamo la strada costiera verso sud, ammirando sulla sinistra le vette dei Dodici Apostoli. Ci fermiamo nella baia di Llandudno, straconsigliata dalle guide ma abbastanza insignificante, per poi arrivare alla splendida Hout Bay. Una gita in barca ci porta all’isola delle foche (in realtà si tratta di uno scoglio), appena fuori della baia. Lo scoglio è popolato da una colonia di foche ma il numero eccessivo di barche ed un gruppo di coreani estremamente rumorosi disturbano lo spettacolo. Molto bella invece è la vista dal mare della baia, interamente circondata da montagne.
Dalla Hout Bay la strada costiera prende il nome di Chapman’s Peak Drive ed è considerata una delle più belle al mondo. Tuttavia a causa di una frana è chiusa da alcuni anni e ci dobbiamo limitare a percorrerne il primo tratto, fino all’estremità della baia opposta all’isola delle foche. Da qui la vista su Hout Bay e le montagne a picco sull’oceano è comunque bella.
Per proseguire il giro della penisola, vista l’interruzione della strada, dobbiamo tornare verso la città e passare sull’altro lato, costeggiando la False Bay. Ne approfittiamo per visitare i Kirtenbosh Botanical Garden e Groot Costantia che si trovano lungo il percorso.
I giardini botanici sorgono sulle pendici della Table Mountain opposti alla città; sono molto interessanti ed offrono una vasta panoramica sulla vegetazione del Sudafrica (scopriamo che i protea sono dei fiori molto belli e diversi tra loro). Nel parco esiste anche un percorso attrezzato per i ciechi !! Poco lontano sorge Groot Constantia, la più antica azienda vinicola della regione, creata nel seicento all’arrivo dei primi coloni olandesi. Gli edifici sono un bell’esempio di architettura olandese ed è proprio strano trovarli in Africa !! Un tratto di autostrada ci porta nuovamente sulla mare alla False Bay, dal lato opposto della penisola. Attraversata la piacevole città di Simon’s Town, con belle spiagge, ci fermiamo subito dopo ai The Boulders, una spiaggia popolata da una colonia di pinguini. Un percorso su passerelle consente di ammirare i buffi pennuti da vicino (che forza quando camminano ciondolando !!). Proseguiamo ancora verso sud, percorrendo un tratto di strada più interno con bei panorami, e finalmente arriviamo all’ingresso della riserva del Capo di Buona Speranza che occupa tutta la parte terminale della penisola. Il tempo a disposizione non è molto e quindi andiamo diretti alla punta. In realtà i promontori sono due, il Cape Point ed il Cape of Good Hope. Per primo visitiamo il Cape Point; la zona è popolata da una colonia di babbuini che circolano tranquilli tra le macchine del parcheggio. Rinunciamo alla funicolare e scaliamo la punta con il ripido sentiero che le corre a fianco. Dall’alto la vista è splendida con le onde dell’oceano che s’infrangono sulle rocce. Un sentiero ci porta ancora più avanti fino al vecchio faro ed ora di fronte a noi c’è veramente solo l’oceano Atlantico e più oltre l’Antartide. Ripresa la macchina, percorriamo un tratto indietro per piegare poi verso il “vero” Capo di Buona Speranza. Anche qui “naturalmente” scaliamo lo scoglio dal quale si gode una bella vista sulla punta dove ci trovavamo prima; immancabile la foto davanti al cartello con latitudine e longitudine del Capo. Ormai è tardi, la riserva chiude alle 18:00, e quindi non ci resta che prendere la strada del ritorno (siamo nell’inverno australe e alle sei fa già buio), rinunciando a visitare i numerosi relitti sparsi sulle coste della riserva. Percorriamo un pezzo di costa opposto a False Bay e poi tagliata la penisola verso Simon’s Town, facciamo ritorno in città con l’autostrada. Ceniamo in pieno centro, in Long Street, al Mama Africa. La cena è buona ma il locale è pieno solo di bianchi, come ci capiterà sempre in questo primo tratto del viaggio.
Giovedì 15 agosto: Robben Island – Wineland – Cape Town
La mattina è dedicata alla visita di Robben Island. Raggiunto il Waterfront alle otto e mezzo ritiriamo i biglietti (i posti sono esauriti ma per fortuna abbiamo prenotato dall’Italia) e puntuali alle nove salpiamo con un bel catamarano. Siamo in compagnia di una chiassosa e simpatica scolaresca di ragazzi di colore. La vista di Città del Capo che si allontana è stupenda, uno dei ricordi più belli del viaggio !! La giornata è molto bella e la città adagiata sulla baia, dominata dalle tre montagne (Table Mountain, Signal Hill e Lion’s Head), ci appare in tutto lo splendore della sua incredibile posizione. Dopo mezzora di navigazione sbarchiamo sull’isola dove veniamo prelevati da un pulmino con guida che ci porterà in giro (tutto è superorganizzato e non ci si può muovere per conto proprio). Robben Island, da poco dichiarata dall’Unesco patrimonio dell’umanità, ha ospitato per anni un carcere dove furono imprigionati i dissidenti dell’apartheid e Nelson Mandela vi ha trascorso 18 anni. La guida ci illustra una serie di edifici, tra cui il cimitero dei lebbrosi (l’isola in precedenza fu utilizzata anche come lebbrosario) e la prigione di Robert Sobukwe, leader del movimento anti-apartheid tenuto per anni nel più completo isolamento. Si arriva poi nella cava dove i prigionieri costretti ai lavori forzati spaccavano le pietre. La roccia in realtà è abbastanza tenera ed il problema più grosso era il sole che abbagliava la vista. Nelle pause Mandela e compagni istruivano gli altri prigionieri meno alfabetizzati. Ci fermiamo poi sulla punta dell’isola per una sgambata ed un’occhiata a Cape Town ad una decina di chilometri di distanza. Risaliti in pullman abbiamo modo di ammirare le nostre prime antilopi, gli eleganti springbock, che brucano tranquillamente un prato a fianco della strada. Il pullman ci lascia davanti alla prigione di massima sicurezza dove un ex detenuto ci fa da guida. Visitiamo la cella dove Mandela trascorse tanti anni in pochi metri di spazio, dormendo per terra su una stuoia, e una cella collettiva. La guida ci racconta la vita nel carcere. Dopo i primi tempi, le condizioni erano meno dure, specie dopo la visita di una commissione internazionale, e la prigione divenne un luogo per scambiarsi idee politiche e fare programmi per il futuro. Mandela riuscì persino a scrivere segretamente il libro ”La lunga strada verso la libertà” e a farlo uscire dal carcere e pubblicare. La guida, sollecitato dalle domande sulla situazione attuale del paese, ci spiega il pensiero di Mandela e del governo: il passato deve essere dimenticato e bisogna guardare avanti. La comunità bianca è fondamentale per il paese perché rappresenta la parte più avanzata e la speranza è quella di riuscire a vivere tutti insieme pacificamente in un paese libero. E’ impressionante pensare che questi discorsi sono fatti da chi ha trascorso anni in carcere e dovrebbe quindi serbare rancore !! Mandela e compagni sono veramente da ammirare e c’è da augurarsi che il loro sogno di un Sudafrica migliore per tutti i suoi abitanti possa veramente realizzarsi !! Dopo i saluti ci restano pochi minuti prima di salpare e quindi ne approfittiamo per una rapida occhiata ai pinguini sulla spiaggia.
Tornati al Waterfront ci sfamiamo con il consueto pesce fritto e facciamo un giretto, rinunciando alla visita dell’acquario. Siamo nella zona del vecchio porto nella quale spicca la torre rossa che ospitava l’ufficio del capitano del porto. Oggi il posto è pieno di vita con locali ed un grosso mall. L’effetto è sicuramente piacevole.
La seconda parte della giornata è dedicata alla visita della Wineland, la zona dei vini nei dintorni di Città del Capo. Usciamo dalla città con la N2 che lasciamo a Sommerset West, per raggiungere la prima azienda vinicola, Vergelegen. Si tratta della più antica della zona e visitandola si viene riportati nel vecchio mondo dei primi coloni olandesi, che costruirono le loro splendide dimore in posti veramente incantevoli. Arriviamo poi alla cittadina di Stellenbosh, dove visitiamo il museo che consiste in quattro edifici storici che coprono un lungo periodo dai primi coloni fino all’epoca vittoriana. La città non è niente di eccezionale e vedere un “angolo di Europa” in Africa “disturba” anche un po’ !! Lasciata la città in direzione di Franschoek, visitiamo le aziende vinicole di Delaire, situata in una splendida posizione in mezzo alle montagne e di Boschendal, la più grande e turistica (ormai però è tardi e quindi non possiamo “approfittare” dei tour organizzati e delle degustazioni). Rinunciamo alla visita di Franschoek, considerata la capitale gastronomica del Sudafrica, e torniamo a Città del Capo. Ceniamo in centro all’Africa Cafè, locale naturalmente per turisti ma per lo meno con camerieri di colore e una piacevole musica di sottofondo.
Venerdì 16 agosto: Whale Coast – Bontebok National Park – Mossel Bay
Lasciamo definitivamente Città del Capo prendendo la solita N2 ed uscendo di nuovo a Sommerset West, questa volta però in direzione del mare. Ci troviamo nella Whale Coast, così chiamata per le balene assidue frequentatrici, proprio in questa stagione, di questo tratto di mare. I paesaggi sono molto belli; attraversiamo Betty’s Bay, dove non ci fermiamo nonostante siano segnalati in zona i soliti pinguini, e arriviamo direttamente a Hermanus, famosa per la possibilità di avvistare le balene direttamente dalla costa. Ci fermiamo nel primo “punto di avvistamento” proprio al centro del lungomare della cittadina: un’alta scogliera domina la baia consentendo di scrutare le acque alla ricerca delle balene. Armati di binocolo “perlustriamo” l’orizzonte riuscendo solo ad intravedere in lontananza qualche dorso di balena. Telefoniamo alla hot line “avvistamento balene” ma non riusciamo a ricavare nessuna informazione utile ed anche il tentativo di fare una gita in barca per vedere i cetacei più da vicino fallisce in quanto la gita è annullata per il maltempo. Ci consoliamo quindi pranzando al locale Kentucky Fried Chicken ma poi riprendiamo la nostra caccia. Ci rechiamo all’ufficio turistico dove una lavagna segnala che le balene oggi sono state viste più a nord. L’informazione si rivela preziosissima: arrivati sul posto scorgiamo finalmente le balene da una distanza “ragionevole” e, armati di binocolo, possiamo quindi ammirare le loro evoluzioni sia dalla spiaggia che da un’alta scogliera.
Lasciata Hermanus, rinunciamo alla visita sia di Cape Agulhas punto d’incontro degli oceani Indiano ed Atlantico (le guide dicono che non è particolarmente interessante) sia della De Hoop Nature Reserve, che richiederebbe una deviazione troppo lunga. Puntiamo invece verso l’interno proseguendo fino al Bontebok National Park. Il parco deve il suo nome alla rara antilope bontebok ed è uno dei pochi posti dove possono essere ammirate anche le zebre di montagna. Siamo alla nostra prima esperienza con un “parco di animali”. Appena entrati, nei pressi del visitor centre, ci appaiono alcuni bontebok; percorriamo poi una strada circolare sterrata cercando di scorgere gli animali ma limitandoci ad ammirare la vegetazione (con piante di aloe dai bei fiori rossi). Arrivati al campeggio si possono fare un paio di trail. Il primo ci porta in riva al fiume e poi su una collina; il secondo in mezzo ad un bosco di alberi di acacia. Ripresa la strada circolare verso il visitor center, ecco finalmente comparire gli animali, i bontebok e le zebre di montagna, anche se queste ultime si mantengono a debita distanza (con il binocolo abbiamo modo di apprezzare le caratteristiche orecchie che le differenziano dalle altre zebre). Soddisfatti per il nostro primo game drive, lasciamo il parco proseguendo verso est fino a Mossel Bay, dove ci sistemiamo nell’hotel della catena Protea prenotato telefonicamente. L’albergo si trova proprio sul lungomare, di fronte all’oceano Indiano (ormai abbiamo cambiato oceano !!). Ceniamo in centro in un pub irlandese, proseguendo nelle nostre serate “europee” !!
Sabato 17 agosto: Outdshorn – Wilderness National Park – Knysna
Mossel Bay segna l’inizio della Garden Route, la celebre strada costiera, ma prima di esplorarla decidiamo di piegare verso l’interno per visitare la regione di Oudtshoorn. Siamo in una zona di vasti allevamenti di struzzi e dalla strada ne vediamo a centinaia. Resistiamo alla tentazione di visitare una farm attrezzata per i turisti (si possono fare persino le corse sugli struzzi) e superata la città raggiungiamo le Cango Caves. Scegliamo la visita guidata di un’ora e veniamo accompagnati nelle sei sale principali caratterizzate da monumentali formazioni di stalattiti e stalagmiti. Nell’ultima la guida spegne tutte le luci e nel buio totale intona con una bella voce una canzone. Riaccesa la luce, scopriamo che il “tamburo” con cui si è accompagnato in realtà è una lastra di roccia che percuoteva con le mani !! Prima di tornare verso Oudtshoorn decidiamo di fare una puntata in direzione di Prince Albert attraverso lo Swartberg Pass, considerato il più bello del Sudafrica. La strada diventa sterrata e sale ripidamente sulla montagna. Il tempo è pessimo, siamo avvolti completamente dalle nuvole e ci vediamo venire incontro macchine coperte di neve !! Decidiamo quindi di tornare indietro. Dopo Oudtshoorn, una bella strada supera l’Outeniqua Pass, in mezzo ai soliti allevamenti di struzzi e finalmente raggiunge di nuovo l’oceano a George.
Un breve tratto di costa ci porta a Victoria Bay, una piccola baia attrezzata per i surfisti, e poi al Wilderness National Park. Il parco occupa un’area costiera con paesaggi molto vari, caratterizzati da lagune, fiumi, rigogliosi boschi e sterminate spiagge di sabbia bianca. Arrivati al campeggio c’informiamo al visitor centre sulle varie possibilità e scegliamo il Giant Kingfisher Trail che parte proprio da questo punto. Il sentiero costeggia il Touw River passando in mezzo ad una fitta vegetazione e, dopo numerosi saliscendi, si conclude davanti ad una cascata (niente di eccezionale). In tutto percorriamo sette chilometri in due ore e venti minuti. Ripresa la macchina, ci spostiamo nelle altre zone del parco costeggiando alcuni vasti laghi con la tipica vegetazione lacustre. Le indicazioni non sono molto chiare ma alla fine riusciamo a raggiungere un bird hide, una capanna situata sulla riva del Rondevlei, dove ci appostiamo per il bird-watching, ammirando varie specie di uccelli appollaiati nelle vicinanze. Terminiamo il giro del parco spingendoci allo Swartvlei, il lago formato dall’omonimo fiume subito prima del suo estuario, e poi in riva al mare su una bella spiaggia di sabbia bianca.
Arrivati a Knysna ci sistemiamo nel solito hotel Protea e ceniamo in un ristorante a pochi isolati, dove posso finalmente assaggiare la carne di struzzo. Domenica 18 agosto: Knysna – Tsitsikamma National Park – Port Elizabeth La città di Knysna sorge su una laguna separata dal mare da una stretta imboccatura denominata The Heads. La giornata è veramente infame: piove a dirotto. Ci rechiamo al Waterfront per valutare la possibilità di fare un giro in barca della laguna, ma la mattina presto non ne sono previsti e l’attesa sarebbe troppo lunga. Decidiamo quindi di fare da soli, esplorando la laguna via terra in macchina. Ci spingiamo verso l’imboccatura fermandoci a Leisure Island; l’isola è collegata alla terraferma da una strada che corre su un terrapieno in mezzo all’acqua ed è piena di splendide abitazioni naturalmente per bianchi. Nonostante la pioggia e la foschia, la vista su The Heads è ugualmente bella. Proseguiamo raggiungendo proprio la punta, a strapiombo sul mare. Ammiriamo prima la vista dall’alto per poi scendere in macchina a livello del mare. Il posto è molto bello anche se la pioggia prosegue incessante. Lasciata Knysna procediamo sulla Garden Route verso est fino a Plettenberg Bay, dove diamo un’occhiata dall’alto alla splendida spiaggia.
Raggiungiamo quindi l’area dello Tsitsikamma National Park, considerato giustamente la maggiore attrazione della regione. Il parco è diviso in due sezioni separate, De Vasselot e Storm’s River Mouth. Iniziamo la visita dalla prima: una strada scende nella valle tra bei paesaggi, portandoci fino a Nature’s Valley dove, nonostante la pioggia, non rinunciamo al trail alla Salt River Mouth. Il sentiero parte dalla spiaggia davanti al caffè e passando tra belle scogliere arriva fino alla foce del fiume. Il posto è veramente incantevole con una splendida spiaggia. Ripresa la macchina, facciamo una rapida sosta al campeggio per un’occhiata al Groot River che si allarga in un lago.
Ritornati sull’autostrada una deviazione verso l’interno ci consente di ammirare le ripide gole del Bloukrans Pass e poi, tornati sulla N2, di raggiungere la seconda sezione del parco, Storm’s River Mouth. Per primo affrontiamo un sentiero attrezzato con passerelle che porta alla foce dello Storm’s River; un ponte sospeso scavalca il profondo canyon con il quale il fiume si getta in mare. Conclusa la passeggiata in una quarantina di minuti, ci rifocilliamo rapidamente al ristorante del parco e ci prepariamo all’impegno maggiore della giornata. L’Otter Trail è uno dei percorsi escursionistici più famosi del Sudafrica e richiede cinque giorni di cammino. Il primo tratto di tre chilometri è molto bello e decidiamo quindi di percorrerlo. Il sentiero si snoda lungo la costa: piove intensamente e onde violente s’infrangono sugli scogli rendendo il luogo ancora più selvaggio. Dobbiamo superare un tratto formato da ciottoli resi viscidi dall’acqua e procediamo quindi con una certa cautela fino ad una profonda caverna dove godiamo l’unico momento asciutto del trail. Un altro tratto ci porta fino alla meta finale: una splendida ed alta cascata forma una piscina naturale mentre alle spalle il mare s’infrange violentemente contro gli scogli. Il posto è veramente stupendo !! Ripresa la strada del ritorno, concludiamo il trail in due ore e quaranta minuti. La metà finale della giornata è Port Elizabeth, dove abbiamo prenotato una stanza all’Hotel Edward, ma ci aspetta ancora un lungo tratto lungo l’autostrada N2. La pioggia si fa torrenziale e solo alle sette e mezzo arriviamo a destinazione. Vista l’intensità della giornata, optiamo per la cena a buffet dell’albergo.
Lunedì 19 agosto: Port Elizabeth
Il programma della giornata prevedeva la visita all’Addo Elephant Park, tuttavia allarmati da quanto scritto sulla Lonely Planet in caso di maltempo, telefoniamo all’ufficio del parco. C’informano che a causa della pioggia è aperta solo la strada principale e quindi la possibilità di vedere gli elefanti praticamente nulla. Pensando che il problema sia limitato a chi non dispone di fuoristrada contattiamo un paio di agenzie per vedere se con loro è possibile visitare il parco ma l’esito è sempre negativo. Dobbiamo quindi pensare ad un programma alternativo. Decidiamo di visitare il Port Elizabeth Museum & Snake Park e l’Oceanarium che si trovano uno accanto all’altro sul lungomare. L’acquario è interessante, con grosse vasche nelle quali nuotano persino dei piccoli squali e una tartaruga priva di una zampa !! L’attrazione però sono i delfini e alle undici è previsto uno spettacolo. Nel frattempo facciamo visita alle colonie di foche e di pinguini. Lo spettacolo inizia con una simpatica foca e prosegue poi con le evoluzioni dei delfini. Gli animali sembrano divertirsi e scambiano affettuosità con le istruttrici facendoci sentire meno in colpa per la loro cattività. Terminiamo la visita con lo snake park, una rassegna veramente completa dei serpenti più famosi provenienti da tutto il modo (che schifo !!).
Tornati in albergo siamo incerti sulla prosecuzione della giornata. Un opuscolo segnala il Kragga Kamma Game Park che si trova in prossimità della città ed è sempre aperto (racconta l’opuscolo) anche in caso di pioggia. Un’altra possibilità sarebbe visitare con una gita organizzata una delle township di Port Elizabeth. Alla fine scegliamo la reserve, confortati anche dal “consiglio” del visitor centre di fronte all’albergo. Seguiamo le indicazioni dell’opuscolo ma finiamo invece che nel parco nel quartiere omonimo e solo dopo un po’ di peripezie giungiamo a destinazione. Arrivati al cancello lo troviamo sbarrato. Telefoniamo con il cellulare all’ufficio e ci dicono che la riserva è chiusa per la pioggia (il giorno dopo scopriremo leggendo il giornale in aeroporto che erano anni che non si verificavano piogge così intense nell’Eastern Cape) !! Non ci resta che fare inversione e tornare indietro ma per completare la giornata storta la macchina si blocca sulla strada sterrata d’accesso alla riserva, trasformata in un pantano dalla pioggia. Stefania scende rapidamente dalla macchina ed io inserendo la retromarcia riesco a tornare indietro, uscendo dal pantano. La situazione è veramente fantozzesca: siamo in pratica alla periferia della città a cinquanta metri dalla strada asfaltata ma resta il problema di come arrivarci. Alla fine dopo un altro paio di tentativi andati a vuoto, riesco a trovare un pezzo di sterrata più duro e a superare il pantano. Tirato un respiro di sollievo, decidiamo che per oggi è meglio dedicarci alla visita della città !! Iniziamo il giro proprio dal nostro albergo, ospitato in un bell’edificio in stile edoardiano, situato nel cuore della città in una piazza sopra una collina. Al centro si trova un giardino, la Donkin Reserve, nel quale sorge una strana piramide eretta in memoria di Elizabeth Donkin, moglie del governatore del Capo, e dalla quale la città deriva il suo nome. Scendiamo poi verso il porto arrivando in Market Square dove sorgono la City Hall e la Library. Poco oltre saliamo sull’isolato campanile. Le sale sono fatiscenti e piene d’acqua; la vista dall’alto con il porto da un lato e i viadotti delle autostrade dall’altro è veramente pessima !! Non ci resta che risalire la ripida collina e dopo una rapida occhiata ad alcune case vittoriane, fare ritorno in albergo. Ci rilassiamo un po’ nella hall sfamandoci con dei toast ma poi decidiamo di fare una puntata al beachfront. Anche questa zona è abbastanza deludente (molto occidente e cemento); proseguiamo allora lungo la costa allontanandoci dalla città fino alla Sardinia Bay, finalmente una zona più selvaggia popolata da una colonia di piccole scimmie. Ceniamo nuovamente a buffet in albergo soddisfatti dall’esperienza del giorno prima.
Martedì 20 agosto: Port Elizabeth – Durban
Un’ora di volo ci porta a Durban, dove recuperiamo rapidamente il bagaglio, cambiamo 250 euro e ritiriamo la seconda macchina a nolo, questa volta una Toyota Tazz. Lasciato l’aeroporto, andiamo dritti al Protea Landmark Lodge prenotato telefonicamente dall’Italia. L’albergo è ospitato in un alto grattacielo per appartamenti vicino il lungomare: la reception è al piano terra, il parcheggio occupa i primi cinque piani e le stanze sono ai piani alti (gli altri sono abitati da gente del posto). Dalla finestra della stanza la vista è impressionante per l’altezza e si domina tutto il lungomare. In Italia abbiamo letto notizie poco rassicuranti sulla città e quindi decidiamo di lasciare soldi e biglietti aerei nella cassetta di sicurezza dell’albergo. West Street ci porta diritti in Francis Farewall Square, la piazza centrale di Durban dominata dal Municipio, un edificio “barocco” dell’epoca coloniale inglese. Al suo interno sono ospitati vari musei ma noi ci limitiamo a visitare l’Art Gallery, con opere di vari artisti locali e qualche bel cesto zulù. Poco lontano la vecchia stazione ferroviaria è stata riadattata ad altre destinazioni; una targa ricorda Ghandi che salito su un treno proprio in questa stazione, dovette poi scendere con tutte le valigie in una successiva per i soliti problemi razziali. Oggi all’interno si trovano l’ufficio centrale dei parchi del Kwazulu-Natal (dove cerchiamo inutilmente di avere notizie sulle condizioni delle strade per il Drakensberg e ci facciamo dare un’utilissima cartina della regione), varie agenzie turistiche e l’African Art Centre, un negozio con begli oggetti artigianali zulù (acquistiamo un paio di bamboline con le perline colorate). Attraversato il Central Park, dove molti locali si godono il sole sdraiati sull’erba, arriviamo al Kwamule Museum, dedicato all’apartheid (una serie di foto e di “cimeli” ricordano quei tristi tempi). Proseguiamo un bel pezzo in direzione del quartiere indiano. Passeggiando abbiamo finalmente l’impressione di essere in una città africana. Siamo tra le poche persone di pelle bianca e in giro vediamo persino qualche comitiva mista di bianchi e neri. Ai tempi dell’impero coloniale inglese molti indiani si sono trasferiti a Durban ed oggi la comunità è ancora numerosa e concentrata nell’Indian District. Percorriamo le due strade principali, Grey Street e Victoria Street, fino alla gigantesca Juma Mosque, la più grande nell’emisfero meridionale, e al mercato coperto di Victoria Street. Ormai siamo ai limiti della zona centrale e quindi non ci resta che tornare indietro per poi dirigerci verso il Victoria Embarkment, la strada che costeggia la baia di Durban. Proseguendo raggiungiamo finalmente il Beachfront, l’animato lungomare. Una strada pedonale, la Marina Parade, corre a fianco della spiaggia; i moli sono pieni di pescatori mentre i surfisti cercano di cogliere le onde della sera. Complessivamente il lungomare appare molto occidentale, dominato da alti alberghi e persino con una specie di luna-park. Ceniamo sul Beachfront, nel ristorante dell’Hotel Pier 107.
Mercoledì 21 agosto: Drakensberg
Prima giornata dedicata al Drakensberg, le montagne dei draghi che separano il Sudafrica dal Lesotho. Data la loro estensione decidiamo di concentrarci sulla parte centrale, la più spettacolare, ed in particolare sulla Giant’s Castle Game Reserve, famosa per le splendide pitture rupestri dei san. Dall’Italia ho prenotato uno chalet per due notti nel campeggio di Injasuthi. La sera precedente telefonando al campeggio di Giant’s Castle ci hanno detto che la Main Cave con le pitture dei boscimani si può visitare solo con un trail che parte alle 8:30. Decidiamo quindi di alzarci molto presto ed alle sei partiamo per il Drakensberg. Attraversiamo una Durban deserta e prendiamo l’autostrada N3 in direzione nord. In alcuni tratti una fitta nebbia riduce notevolmente la visibilità. Arrivati ad Estcourt lasciamo l’autostrada dirigendoci verso ovest in direzione di Giant’s Castle. I tentativi di contattare telefonicamente il campeggio per avvertirli di aspettare il nostro prossimo arrivo falliscono, ma alle nove arrivati a destinazione scopriamo che le pitture si possono visitare tutta la giornata !! Ogni ora, infatti, una guida apre la grotta e accompagna le persone in una visita guidata. Un trail di una quarantina di minuti ci porta all’ingresso della grotta. Il sentiero passa a mezza costa nella valle del Bushman’s River, con belle viste sull’alta montagna del Giant’s Castle in lontananza. Visitiamo la Main Cave insieme ad un gruppo di un viaggio organizzato. La guida è molto in gamba e ci racconta la storia dei san. Per decine di migliaia d’anni hanno vissuto in quest’area cacciando gli animali e dipingendo le pareti delle grotte nelle quali vivevano. Nell’ottocento però a causa delle continue razzie di bestiame ai danni dei contadini (per i san gli animali sono di tutti e le antilopi loro tradizionali prede erano state sterminate dai cacciatori bianchi) hanno finito per inimicarsi bianchi e neri e sono stati sterminati o cacciati. Oggi le ultime tribù vivono in Botswana. Molti di loro si sono poi mischiati alle altre popolazioni di colore e la guida ci spiega che quando si sente nelle parlate locali un suono simile ad un click, è il segno di un influsso san. Visitiamo due grotte piene di affascinanti raffigurazioni di animali e cacciatori. Sulla strada di ritorno verso il campeggio deviamo verso il fiume fino alla Rock 75 dove il settantacinquesimo reggimento inviato contro i san si accampò a lungo. Proseguiamo poi lungo il fiume, per i trail denominati River I e River II, avendo modo di ammirare anche un bell’esemplare di eland, l’antilope più grossa del Sudafrica dalle caratteristiche corna a tortiglione che poco prima avevamo visto raffigurata nelle pitture san.
Le varie sezioni del Drakensberg non sono collegate tra loro e per raggiungere Injasuthi non ci resta quindi che tornare ad Estcourt. Superata la township di Loskop, una strada si dirige ad ovest verso il campeggio. Passiamo in mezzo a vari villaggi, formati da caratteristiche capanne con mura circolari di fango e tetto conico di paglia. Frotte di studenti camminano lungo la strada e spesso devo rallentare per la presenza di bestiame (finalmente ci sentiamo in Africa e non in un paese occidentalizzato come nella fredda Garden Route). Ad un certo punto ci troviamo ad un bivio privo di qualsiasi segnalazione e dobbiamo affidarci alle indicazioni di un bambino di passaggio. L’ultimo tratto sterrato ci porta nel campeggio di Injasuthi, situato in un posto veramente incantevole: gli chalet sorgono in un pianoro erboso fiancheggiato da un fiume e dominato sullo sfondo da aguzze montagne (la loro forma ci spiega il nome di montagne del drago dato alla regione). Sulla lavagna davanti all’ufficio sono riportati i vari chalet con i relativi occupanti ed il mio nome, storpiato in Cris Full, è già segnato al momento del nostro arrivo !! Preso possesso dello chalet e dopo un’occhiata agli strani pennuti a pois che si aggirano nello spiazzo, utilizziamo il tempo rimante per un trail alla Yellowwood Forest. Il campeggio è molto essenziale e non c’è ristorante. Ceniamo quindi nel nostro chalet con le scatolette portate dall’Italia, inaugurando poi i nuovi orari serali della seconda parte del viaggio (alle otto/nove siamo già a letto !!).
Giovedì 22 agosto: Drakensberg
La giornata è dedicata al trail guidato alla Battle Cave (15 km in tutto). Si parte alle otto e mezza insieme con una comitiva di studenti americani. Lasciata la strada asfaltata, il sentiero prende a salire ripidamente su una collina, per poi seguire a mezza costa la valle dell’Injasuthi River. Sullo sfondo ammiriamo le “solite” montagne del Drakensberg. La guida tiene un ritmo molto sostenuto; pian piano il gruppo si sfilaccia e molta gente rimane attardata indietro. Ci fermiamo in vari punti segnalati dall’opuscolo del trail e dopo circa tre ore arriviamo finalmente alla grotta. Le pitture sono bellissime e le possiamo ammirare veramente da vicino. La decisione di consentirne la visita solo accompagnati è dovuta al fatto che in passato si sono verificati vari atti di vandalismo; alcuni addirittura bagnavano le pitture con l’acqua per rendere i colori più brillanti con il risultato di lavarle via. La grotta in realtà è una rientranza nella montagna, sul tipo di quelle utilizzate dagli indiani d’America a Mesa Verde. Le raffigurazioni oltre ai “soliti” animali e cacciatori, comprendono una bella scena di battaglia dalla quale il sito deriva il suo nome. Dopo esserci sfamati con le provviste portate con noi, la guida aziona un registratore che ci illustra le varie pitture (non è certo molto loquace il nostro accompagnatore !!). Alcuni del gruppo decidono di proseguire verso altre grotte mentre noi prendiamo la strada del ritorno per conto nostro dato che la guida è “impegnata” nella grotta con i ritardatari. Verso le due e mezzo, dopo un tentativo fallito di variare la strada del ritorno passando per il fiume, siamo di ritorno al campeggio. Dopo tanto camminare decidiamo di concederci un pomeriggio di relax sbracati sull’erba, dedicandoci alla preparazione delle prossime giornate. Dopo avere apprezzato la bella vista delle montagne al tramonto, ceniamo con le solite scatolette.
Venerdì 23 agosto: Zululand – Isinkiwe
Giornata dedicata al lungo trasferimento dal Drakensberg a Hluhluwe, attraverso lo Zululand. Lasciamo Injasuthi percorrendo la strada di due giorni prima e proseguendo verso est. Cambiamo molte strade, tutte perfette e praticamente deserte. Arriviamo nella zona dei Battlefields, teatro nell’ottocento delle sanguinose guerre tra inglesi, boeri e zulù. Una deviazione lungo una strada sterrata ci porta prima a Rorke’s Drift e poi al sito della battaglia di Isandlwana. Questa battaglia segnò una cocente sconfitta per gli inglesi per opera degli zulù, ma subito dopo la piccola guarnigione di Rorke’s Drift riuscì a resistere all’assedio di migliaia di guerrieri indigeni. A Rorke’s Drift, il piccolo ospedale teatro della sanguinosa battaglia è stato ricostruito ed ospita un museo dedicato a quegli avvenimenti. Al suo fianco si trova uno Zulù Craft Centre famoso per arazzi e tappeti (Stefania ne approfitta invece per acquistare piattini portacandele). Ad Isandlwana visitiamo prima un piccolo museo in paese, per poi passare al sito della battaglia: sotto una roccia a forma di sfinge si trovano un monumento riproduzione della collana zulù che il re assegnava ai guerrieri più valorosi (naturalmente inaugurato di recente nell’era post-apartheid) e vari cimiteri inglesi.
Tornati sulla strada asfaltata, tagliamo nuovamente per una sterrata secondaria che, attraversando la Valle dei Re, ci fa risparmiare molto tempo portandoci direttamente vicino a Ulundi. In prossimità dell’attuale città sorgeva Ondini, la capitale di Cetshwayo, l’ultimo re zulù sconfitto dagli inglesi. Oggi il sito è occupato da un parco storico del quale siamo gli unici visitatori. Un edificio ospita un piccolo museo che illustra in due sale gli usi e i costumi degli zulù. Si passa poi alla ricostruzione del kraal, il villaggio reale di Cetshwayo, tipico esempio d’insediamento zulù di una volta. Il villaggio è recintato da una palizzata circolare; una seconda cinta più interna separa la parte anulare esterna, nella quale sono collocate le capanne dei guerrieri, dalla zona centrale in cui erano tenuti gli animali. Nella parte dell’anello opposta all’ingresso si trova l’area del re, con le capanne destinate alle varie mogli. Si tratta di strutture di canne a forma di calotta sferica, nelle quali si entra per basse porticine. Uscendo dal kraal una sala illustra la storia di Cetshwayo, che una volta sconfitto fu condotto prigioniero nel Castello di Cape Town e nonostante le suppliche indirizzate alla regina Vittoria non ottenne più il suo regno. I suoi discendenti sono comunque sopravvissuti ed attualmente il re degli zulù è solo una carica rappresentativa.
Lasciata Ondini puntiamo in direzione della costa fermandoci solo ad Eshowe, dove visitiamo le varie sezioni del museo ospitato nel Fort Nongqayi, costruito dagli inglesi. Dopo una rapida visita al Museo Storico, passiamo al Vukani Collection Museum, una splendida raccolta dei caratteristici vasi impagliati degli zulù. Un’anziana signora bianca ce ne illustra le qualità (alcuni sono opera di artisti famosi in tutto il mondo) ed alla fine decidiamo di acquistarne uno per ricordo. Lasciata Eshowe proseguiamo verso la costa dove riprendiamo la solita N2; usciamo a Bushlands, poco prima di Hluluwe, e verso le 18:00 finalmente giungiamo all’Isinkiwe Bushcamp, dove dall’Italia ho prenotato una cabin per tre notti. Anche se è già buio, s’intuisce che il posto, posizionato “strategicamente” tra i parchi di Hluhluwe e Santa Lucia, è molto carino, immerso in mezzo ad un bosco. Ceniamo a menù fisso nel campeggio.
Sabato 24 agosto: Hluhluwe
La giornata è dedicata ad un safari full day, organizzato dal campeggio, nel parco di Hluhluwe. Si parte alle 5:30 per essere all’ingresso del parco alla sua apertura fissata per le sei. Appena entrati lo spettacolo che si presenta lascia a bocca aperta: sembra di essere passati in un altro mondo stracolmo di animali. Bufali e rinoceronti brucano tranquillamente vicino alla strada a poca distanza da noi. Siamo sistemati alti su una jeep insieme con una decina di persone e quindi la visuale è perfetta. La guida, un nero bassetto, simpatico e molto vivace ci “illustra” i vari animali. Il bufalo per esempio è uno dei più pericolosi e aggressivi. Poco oltre una mamma rinoceronte porta a passeggio il figlio e su una montagna in lontananza si scorge un gruppo di giraffe. Proseguiamo incontrando zebre e gnu (wildebeest) che pascolano tranquillamente ed i nostri primi nyala, le antilopi più numerose a Hluluwe. Scopriamo che maschi e femmine sono molto diversi: marroni chiare e senza corna le femmine, bruni e con corna i maschi. Alle nove facciamo una sosta per la colazione, inclusa nel safari. Nel parco non si può scendere dalle macchine ma ci sono delle aree picnic attrezzate dove si può sostare (ci fermiamo in una di queste in prossimità di un fiume). Tutto è organizzato molto bene. Ripartiamo alla ricerca di altri animali e, anche se gli incontri si fanno meno frequenti rispetto all’alba, gli animali non mancano. In particolare facciamo il nostro primo incontro ravvicinato con le giraffe. Gli elefanti invece sono molto più sfuggenti e riusciamo a vederne solo uno da lontano in mezzo alla vegetazione.
Nuova sosta per il pranzo, a base di hamburger ed insalata preparati dalle guide. Ci fermiamo in un’altra area picnic in prossimità di un fiume e ogni tanto qualche animale fa capolino tra le ricca vegetazione per abbeverarsi. Dopo pranzo, appena ripartiti, abbiamo un nuovo incontro ravvicinato con un gruppo di giraffe che ci permette di apprezzarne l’elegante camminata (sembrano top model al defilè !!). A metà pomeriggio facciamo una sosta all’Hilltop Rest Camp, considerato meritatamente uno dei campeggi più belli del Sudafrica (infatti era già tutto prenotato prima di partire). L’edificio super lussuoso si trova in cima ad una collina dalla quale si gode un bel panorama. L’obiettivo diventa a questo punto riuscire a scorgere i leoni ma i cats non si fanno vedere (la guida sostiene invece che i due giorni precedenti era riuscito a scorgerli). Alle 18:00, ora di chiusura dei cancelli, lasciamo il parco (un safari veramente full day !!). E’ stata una giornata stupenda, la nostra prima esperienza con il mondo degli animali, che ci rimarrà a lungo impressa nella memoria !! Cena a menù fisso al campeggio.
Domenica 25 agosto: Dumazulu – Greater St. Lucia
Iniziamo la giornata apprezzando per la prima volta alla luce del sole il campeggio dove siamo alloggiati. A breve distanza si trova il villaggio culturale di Dumazulu. Questi siti sono una caratteristica della regione: si tratta di ricostruzioni ad uso dei turisti di un villaggio zulù di una volta. La visita è comunque piacevole (siamo gli unici turisti): veniamo accompagnati da una guida tra le capanne dove varie persone vestite con succinti abiti tradizionali fingono di essere intente alle attività quotidiane. Siamo presentati al capo villaggio ed allo stregone, un simpatico vecchietto; ci fanno anche assaggiare la birra locale. La visita si conclude con una danza tradizionale nella quale uomini, donne e bambini si scatenano tutti insieme.
Il resto della giornata è dedicato al Greater St. Lucia Wetland Park. Il parco è in realtà l’insieme di più sezioni (compresa la Mkuzi Game Reserve che visiteremo domani) e racchiude una vasta zona, seconda per dimensioni solo al Kruger. Iniziamo la visita dalla sezione di Fanies Island, sulla sponda del vasto lago di Santa Lucia, formato dall’omonimo fiume e separato dal mare da una striscia di terra. Arriviamo al campeggio di Charters Creek per la gita in barca prenotata telefonicamente. Siamo sulla sponda interna del lago che rappresentava la vecchia linea costiera durante l’era glaciale quando l’oceano era più basso. La lussuosa barca appartiene ad un anziano signore bianco molto solerte (visto il prezzo salato della gita) ed invadente. Ci spostiamo sull’altra sponda dove staziona una colonia di ippopotami. E’ la nostra prima esperienza con questi buffi animali: se ne stanno a mollo nell’acqua poco profonda con i soli occhi e le orecchie che sbucano fuori. Sugli alberi della riva sono appollaiate un paio di aquile, subito richiamate dal lancio di un pesce da parte del nostro anfitrione. Molto suggestiva la scena di due ippopotami uno con la testa appoggiata sopra l’altro.
Dopo la gita, proseguiamo lungo la sponda interna del lago fino al successivo campeggio di Fanies Island. La zona è considerata un paradiso per i pescatori e ne possiamo vedere un gruppo all’opera con le canne. A questo punto la strada finisce e non ci resta che tornare indietro fino all’autostrada e compiere un lungo giro per passare alla prossima sezione del parco. Raggiungiamo la cittadina di St. Lucia, situata sull’estuario dell’omonimo fiume e punto d’ingresso per Cape Vidal, la sezione del parco che occupa la striscia di terra tra il lago ed il mare. Subito prima dell’ingresso si trova il Crocodile Centre. La visita è veramente impressionante: il centro ospita decine di coccodrilli appartenenti alle quattro specie maggiori esistenti al mondo. I più grossi sono i coccodrilli del Nilo che arrivano fino a quattro metri; dato l’inverno sono in letargo e se ne stanno pietrificati uno accanto all’altro, alcuni con la bocca spalancata. In un recinto c’è un esemplare gigantesco con la coda mozzata che ha addirittura 70 anni. Poco oltre un addetto si diverte a far vedere e toccare un cuccioletto ai visitatori, ma noi non osiamo dopo avere visto i suoi genitori !! Dopo un rapido spuntino al ristorante del centro, passiamo alla riserva di Cape Vidal (in un giorno possono entrare al massimo 120 auto ma siamo in bassa stagione e non ci sono problemi). Lungo la strada scorgiamo i “soliti” animali; una deviazione ci porta a Mission Rock, prima in un punto panoramico e poi direttamente sulla spiaggia. Dopo trenta chilometri la strada termina ad un campeggio. Ammiriamo la bella spiaggia con alte dune di sabbia bianca (la vecchia pubblicità del bagnoschiuma Vidal con il cavallo bianco è stata girata proprio qui). Dato che per le 18:00 bisogna essere usciti dal parco rinunciamo ad una passeggiata sulle dune verso una torretta per l’avvistamento delle balene e ci dirigiamo di nuovo verso Santa Lucia.
Terza cena ad Isinkiwe e chiacchierata con un gruppo di italiani che rispetto al nostro giro hanno visitato il Kalahari Transfontier Park (molto bello ma remoto).
Lunedì 26 agosto: Mkuzi Game Reserve – Swatziland (Milwane Wildlife Sanctuary)
Abbandoniamo Isinkiwe dirigendoci con la solita N2 verso lo Swaziland. Prima però di lasciare il Sudafrica visitiamo la Mkhuzi Game Reserve, l’ultima sezione del parco di Santa Lucia che ancora ci manca. Si arriva alla riserva prendendo una strada sterrata che passa accanto a villaggi di capanne ed è spesso attraversata da capi di bestiame. Entrati nel parco e superato il visitor centre che apre “solo” alle otto, proseguiamo sulla strada asfaltata in una zona piena di animali. Un gruppo di rinoceronti ci passa proprio davanti; attraversano la strada consentendoci una visione ancora più ravvicinata che a Hluhluwe. Tornati al visitor centre ci forniscono una cartina della riserva e ci consigliano un percorso circolare. In realtà vedremo meno animali lungo questa strada che su quella scelta prima per conto nostro. L’attrazione di Mkuzi sono comunque le pozze d’acqua. Nelle loro vicinanze sono stati costruiti dei capanni nei quali nascondersi per guardare gli animali. Vi si accede attraverso un corridoio protetto da una staccionata e chiuso da un cancello per evitare “intrusioni” (fa sempre un po’ impressione in questi parchi percorrere un tratto a piedi, anche se breve, con il pensiero di tutti gli animali che circolano liberamente). Siamo nella stagione secca e molte pozze sono completamente asciutte ma Kumasinga, l’unica piena d’acqua, ci offre uno degli spettacoli più belli del viaggio. Nascosti nel capanno vediamo gli animali che si avvicendano alla pozza per abbeverarsi. Arrivano gruppi di zebre e di gnù, seguiti da nyala, facoceri e altri ancora. Le scimmie sostano nei paraggi e ogni tanto scoppia qualche chiassosa discussione. Sembra di assistere ad un documentario sul mondo animale !! Concluso il giro circolare sulle sterrate, siamo di nuovo al visitor centre dove un ranger ci indica un paio di serpenti velenosi che fanno capolino sull’albero di fronte a noi !! Mentre ci dirigiamo verso l’uscita godiamo una scena tenerissima: una famigliola di giraffe, papà, mamma e cuccioletto, si trova proprio a fianco della strada. Il papà si strofina affettuosamente sul cucciolo e poi mentre questo si allontana con la mamma controlla (dall’alto naturalmente) con fare molto serio che tutto sia a posto. Lasciata Mkhuzi e ripresa l’autostrada, ci dirigiamo verso il confine con lo Swaziland, che raggiungiamo nel primo pomeriggio. Ci troviamo al punto di frontiera Lavumisa/Golela; le operazioni sono molto rapide e dobbiamo pagare solo pochi spiccioli per far entrare la macchina nello Swaziland. A noi sembra una giornata estremamente calda ma il doganiere ci dice che oggi è fresco visto che in estate si arriva a 50 gradi.
Proseguiamo verso nord con l’impressione di essere in un paese più povero del Sudafrica (nei campi si comincia a vedere un po’ di spazzatura assente nell’immacolato Sudafrica). Il cuore dello Swaziland è costituito dalla Elzuwiny Valley, vicino alla quale si trova anche la capitale Mbabane. Al centro della valle, che esploreremo domani, si trova il Milwane Wildlife Sanctuary, dove abbiamo prenotato un bel bungalow per la notte. La riserva è la più antica del paese ed, anche se oggi non ospita più i big five (si trova troppo vicino alle abitazioni della popolazione), il posto è molto piacevole. Decidiamo di partecipare ad un game drive di un paio d’ore in modo da rilassarci completamente senza pensieri. Il driver c’illustra le piante del parco, quasi tutte non indigene ma provenienti da varie parti del mondo. Possiamo anche vedere un’antilope che ancora mancava alla nostra collezione, il kudu dalle buffe orecchie tonde. Il giro ci porta poi in cima ad una montagna dalla quale si domina tutta la zona, con una bella vista sulla Hippo Pool al centro della riserva. Mentre riscendiamo comincia a fare buio e si sentono in lontananza i vigorosi tuoni di un temporale; poco prima del campeggio veniamo bloccati da un gufo che se ne sta tranquillo in mezzo alla strada !! Ceniamo a buffet all’Hippo Restaurant del campeggio. Il nome non è casuale: davanti al ristorante si trova una pozza frequentata da ippopotami. Questi animali diventano attivi di notte con il fresco, quando escono dall’acqua per nutrirsi. Abbiamo così modo di ammirare, illuminati dalle torce, mamma e cucciolo che mangiano a fianco della pozza.
Martedì 27 agosto: Swatziland (Elzuwini Valley) – Parco Kruger
La mattina torniamo nuovamente alla pozza e dopo un paio di coccodrilli che sbucano dall’acqua proprio sotto di noi, ecco comparire mamma ippopotamo e cucciolo. Per compensarci del fatto che il giorno prima ci siamo persi il pasto delle 15:00 fornito dai ranger, si mettono “in posa” proprio di fronte a noi con la schiena fuori dell’acqua !! La mattinata è dedicata alla visita della Elzulwini Valley. Iniziamo dalla Riserva della Mantenga Valley, nella quale si trova un villaggio culturale Swazi. Siamo accompagnati tra le capanne del villaggio (questa volta non ci sono “abitanti”) da una guida di colore; io devo fingermi addormentato sdraiandomi su una stuoia e coprendomi con una pelle mentre Stefania viene vestita come un’indigena. Il nostro accompagnatore ci mostra anche le lussuose “tende” nelle quali si può soggiornare: si trovano su piattaforme rialzate ed hanno tutti i confort con letto e bagno. Rinunciamo ad un’ulteriore esplorazione della riserva, visto che alle Mantenga Falls sono avvenute in passato delle aggressioni, e appena usciti facciamo invece un giro per il craft centre, dove acquisto una candela swazi. Mentre stiamo per risalire in macchina, c’è un po’ di trambusto: una scimmia ha rubato qualcosa in un negozio e si rifugia su un albero tra le risate generali.
Ci spostiamo a Lobamba dove visitiamo il National Museum ed il Memorial Park Sobhuza II. Il museo espone belle foto storiche del periodo di questo re, amatissimo dai locali e morto negli anni ’90 dopo un regno di più di sessanta anni. Il parco di fronte è dedicato proprio a lui e nonostante Sobhuza II non vi sia sepolto è vietato fare foto al mausoleo. Lo Swaziland è una monarchia assoluta ed il re ha un ruolo importante anche nella vita religiosa del paese. Può avere un numero illimitato di mogli e l’erede al trono è il figlio maschio della moglie con un solo figlio (può quindi cambiare nel corso del tempo). Il re attuale vive in un kraal nella valle che naturalmente non si può visitare. Concludiamo i nostri giri con la Malkerns Valley, visitando prima il Malandela’s Homestead, un gruppo di negozi pieno di begli oggetti di artigianato locale e poi un altro negozio, Swazi Candles, dove facciamo il pieno delle tipiche candele dello Swaziland. All’estremità della Elzulwini Valley si trova la capitale, Mbabane, una cittadina priva di particolari attrattive. La attraversiamo in macchina facendo una puntata verso nord fino alla Sibebe Rock, un’antichissima montagna di granito completamente liscia. Proseguiamo poi verso ovest in direzione del confine sudafricano, fino alla fabbrica di oggetti in vetro di Ngwenya Glass, altra produzione caratteristica dell’artigianato swazi. Diamo un’occhiata alle officine dove il vetro viene soffiato e agli oggetti esposti nel negozio dove acquisto un piccolo rinoceronte.
Dopo un rapido spuntino con le nostre scatolette, puntiamo decisamente verso nord percorrendo una strada che corre tra bei paesaggi di montagna. I vari punti panoramici sono pieni di bancarelle di souvenir ed uno spettacolo curioso è offerto dai bambini con vestiti di foglie che si agitano in una specie di ballo per fare fermare le macchine dei turisti.
Finalmente raggiungiamo il confine al punto di frontiera Jeppe’s Reef/Matsama e, sbrigate rapidamente le formalità, torniamo in Sudafrica, dirigendoci verso l’ingresso meridionale del Kruger. I paesaggi sono dominati da vaste ed intensive coltivazioni di canna di zucchero. Il Kruger è un parco immenso, grande quanto il Veneto, ed occupa una striscia al confine con il Mozambico. Il nostro punto d’ingresso è il Crocodile Bridge, dove acquistiamo una mappa dettagliata. Superato l’ingresso, il paesaggio cambia completamente: si passa dai terreni coltivati ad una distesa di alberi e cespugli e colpisce pensare quanto l’uomo abbia cambiato il paesaggio della terra. Proseguiamo verso nord fino al campeggio di Lower Sabie, dove abbiamo prenotato il primo pernottamento. Tutti i campeggi in questa stagione sono aperti dalle 6:00 alle 18:00 e fuori da questo orario non si può circolare nel parco. Il campeggio di Lower Sabie è gigantesco (e pensare che non è il più grande) e la nostra cabin molto spartana. Ceniamo a buffet nel ristorante e, come il solito, andiamo a letto molto presto.
Mercoledì 28 agosto: Parco Kruger
Nel Kruger è vietato scendere dalla macchina e l’unico modo per girare a piedi è quello di partecipare ad una passeggiata scortata dai ranger. Per questo motivo già dall’Italia avevo prenotato un morning walk a Lower Sabie. Alle sei del mattino partiamo con la jeep dal campeggio per raggiungere la zona della passeggiata. Appena usciti, lungo la strada vediamo aggirarsi una iena dal caratteristico pelo maculato e dopo un po’ ci fermiamo perché vicino alla strada c’è un gruppo di leoni. Se ne stanno sdraiati in mezzo all’erba e quindi riusciamo solo ad intravedere la testa di una leonessa. Arrivati nella zona della passeggiata, scendiamo dalla jeep e veniamo istruiti dal ranger sulle “norme di comportamento”. Siamo un gruppo di sette persone con due ranger armati come scorta (un uomo ed una donna che non spiccicherà una parola per tutto il giro). Il ranger ci fornisce tutta una serie di spiegazioni pochissimo “rassicuranti”: ad esempio se per sbaglio dovessimo avvicinarci troppo ad un animale pericoloso non dobbiamo assolutamente scappare di corsa in quanto in questo caso finiremmo sicuramente per essere caricati !! Partiamo per la passeggiata con i due ranger armati in testa e con il compito di guardarci bene intorno, specialmente chi a turno chiuderà la fila. Arriviamo in uno spiazzo pieno di grosse cacche ma in giro non si vedono animali. Camminiamo una mezzora fino ad una diga; nell’acqua s’intravedono da lontano gli ippopotami. Durante la sosta per la colazione, il ranger c’intrattiene con una serie di racconti. Una volta durante una passeggiata si è trovato a pochi metri dai rinoceronti ma quando stava per sparare, questi si sono allontanati. In genere tutto fila liscio ma non bisogna mai distrarsi perché la sorpresa può essere sempre dietro l’angolo !! I racconti non sono molto rassicuranti ma ciò nonostante il ranger, un bianco un po’ schizzato, m’ispira fiducia. Ripresa la passeggiata mi metto in fondo alla fila per il mio turno. Dopo un po’ finalmente vediamo una wildebeest che immobile ci guarda con un’espressione molto dubbia. Un facocero si aggira nei paraggi e ci sediamo per terra sperando che la curiosità lo spinga ad avvicinarsi a noi, ma così non accade. Ripresa la passeggiata, incappiamo in una carcassa di un grosso animale ed il ranger si “diverte” a ricomporre lo scheletro con le ossa sparse sul terreno. La passeggiata volge al termine quando il ranger si fa molto circospetto cominciando ad annusare l’aria. Dato che ci ha spiegato che prima si sente l’odore di un animale e poi lo si vede, ci facciamo molto sospettosi ma non appare nessuno e facciamo ritorno indenni alla jeep. Anche se abbiamo visto pochissimi animali, la passeggiata è stata molto piacevole: mi ha fatto capire cosa devono provare gli impala durante i loro spostamenti (!!) e finalmente ci ha dato la possibilità di immergerci nella natura senza la solita automobile. Sulla strada di ritorno verso il campeggio c’imbattiamo in un elefante; se ne sta proprio vicino alla strada e quando il ranger fa una brusca inversione per avvicinarsi s’innervosisce molto agitando le orecchie. Dopo la fugace visione di Hluhluwe è il nostro primo contatto con un elefante. In seguito ne vedremo molti altri, il Kruger ne è veramente pieno !! Al campeggio, ripresa la macchina, iniziamo la nostra giornata dedicata al self-drive safari; sono le undici del mattino e dobbiamo essere al campeggio di Satara entro le 16:30 per il night drive. I campeggi di Lower Sabie e Satara distano circa 90 chilometri e nelle strade del Kruger il limite di velocità è 50 km/h (in realtà poi si procede molto più lentamente per le continue soste e perché solo così si riescono ad individuare gli animali in mezzo al bush). Lungo il tragitto, le “scene naturalistiche” si succedono. Arriviamo in prossimità di un lago e mentre ci concentriamo sugli ippopotami nell’acqua, sopraggiunge un numeroso gruppo di elefanti. Siamo un po’ lontani ma lo spettacolo è molto bello. Dopo un po’ tocca alle scimmie: un albero ne è stracolmo ed una mamma ci passa proprio davanti con il cucciolo appeso sotto la pancia. Il Kruger inoltre è pieno di specie di uccelli, con i colori e le forme più svariate. Spesso se ne stanno appollaiati vicino alla strada e non scappano nemmeno all’arrivo della macchina, permettendoci di ammirarli proprio da vicino.
Verso le tre del pomeriggio esausti per il tanto scrutare nel bush, arriviamo al campeggio di Satara, il secondo per dimensioni del Kruger ma ciò nonostante piacevole, con i bungalow disposti in vari anelli. Prendiamo possesso del nostro e ci rilassiamo nell’attesa del night drive (ne approfitto per un acquistare alcuni libri di fotografie nello shop del campeggio). Dato che la visione dall’alto delle jeep è sicuramente superiore a quella dalla nostra macchina bassa, esploriamo anche la possibilità di partecipare ad un morning drive il giorno dopo, ma i posti sono tutti esauriti.
Alle 17:00 partiamo per il night drive di tre ore. Siamo una compagnia numerosa, venti persone, formata per la maggioranza da sudafricani (bianchi naturalmente, le vacanze al Kruger devono essere un classico per gli abitanti di Johannesburg e Pretoria). Alle sei, quando fa buio i passeggeri possono accendere due fari con i quali illuminare il bush alla ricerca degli animali. Naturalmente l’obiettivo è scovare i cats, leoni e leopardi. Riusciamo a vedere o meglio intravedere un leopardo appollaiato su un albero (scorgiamo solo una sagoma e gli occhi che brillano illuminati dai fari) e le sagome di due leoni che si muovono in mezzo ai cespugli. Alla fine abbiamo gli occhi a palla per lo sforzo visivo e tutto sommato l’esperienza è abbastanza deludente. Cena a buffet al ristorante di Satara.
Giovedì 29 agosto: Parco Kruger
Seconda giornata piena al Kruger, questa volta in totale libertà: dobbiamo solo raggiungere l’Olifant, il nostro terzo campeggio, entro le solite 18:00, orario di chiusura. La distanza da Satara è di soli 50 chilometri lungo una strada asfaltata e quindi decidiamo di fare una serie di percorsi sulle sterrate alla ricerca di altri animali (ormai l’obiettivo dichiarato sono i leoni che mancano alla nostra “collezione”). Partiamo sempre alle sei del mattino dato che gli animali sono molto più attivi all’alba e al tramonto. Facciamo decine di chilometri di sterrate ma in realtà finiamo per vedere meno animali del giorno prima quando ci eravamo limitati alla strada principale asfaltata. A metà mattinata ci fermiamo in un’area picnic piena di uccelli blu, molto belli e frequenti al Kruger. Proseguiamo per le sterrate ed incappiamo in una colonna di elefanti; questa volta la visione dei pachidermi è veramente ravvicinata. Gli avvistamenti di giraffe ormai non si contano nemmeno più.
Lasciata la zona di Satara, puntiamo verso nord in direzione dell’Olifant, raggiungendo l’omonimo fiume. Siamo nella stagione asciutta ed il fiume è in secca: l’effetto è molto bello con il letto trasformato in un dedalo di isolette e fiumiciattoli.
Costeggiamo il fiume per un tratto, spingendoci fino ad un punto panoramico e verso le due del pomeriggio siamo già al campeggio. L’Olifant è considerato il campeggio più bello del Kruger e quindi decidiamo di godercelo un po’. Si trova in una posizione fantastica, sopra una collina a picco sul fiume ed il panorama è molto bello, con il fiume in secca e la piatta savana piena di alberelli. Preso possesso del nostro bungalow, ci appostiamo su una panchina del belvedere per goderci il panorama e scrutare gli animali che si abbeverano al fiume. Un elefante decide di cambiare riva e così ci passa proprio sotto, cento metri più in basso. Da quest’altezza gli ippopotami a mollo nell’acqua sembrano proprio piccoli mentre le giraffe sono gli animali che si individuano meglio in mezzo al bush. Aspettiamo fino al tramonto per vedere se si fa vivo qualche leone ma continuano ad essere latitanti. In compenso si scatenano gli ippopotami, compresa una scena d’accoppiamento (almeno così sembra da lontano). La cena a menù fisso al ristorante è pessima.
Venerdì 30 agosto: Parco Kruger – Blyde River Canyon – Johannesburg
Ci aspetta una lunga giornata poiché abbiamo in programma di arrivare fino a Johannesburg. Alle sei del mattino lasciamo l’Olifant; dobbiamo percorrere cento chilometri fino all’Orpen Gate, una delle uscite orientali del parco. Naturalmente teniamo gli occhi ben spalancati alla ricerca dei leoni. In giro invece si vedono solo due iene, una delle quali ci passa proprio vicino. Dopo un po’ Stefania scorge nel bush degli animali; pensiamo finalmente di vedere i leoni ma invece sono le solite iene. Riusciamo persino a vedere il piccolo sciacallo ma i leoni non si scorgono. Improvvisamente una macchina ci viene incontro lampeggiando e l’autista ci indica indietro. Facciamo pochi metri e ci appare un leone maschio che cammina tranquillo sulla strada; poco avanti lo precede un altro maschio !! Procediamo molto cautamente, insieme con altre macchine, temendo che si allontanino, ma quando capiamo che non ne hanno la minima intenzione ci facciamo sempre più vicini fin quasi a toccarli. Camminano nella nostra stessa direzione e dopo la visione posteriore (caspita che maschi !!) li affianchiamo e sorpassiamo per quella anteriore. Hanno delle testone gigantesche, per la verità un po’ sproporzionate rispetto al resto del corpo, e sono veramente possenti (fanno particolare impressione le zampe anteriori). Camminano “tranquilli” fiutando l’aria, schizzando pipì per marcare il territorio e raspando per terra. Dopo un po’ si stufano dell’asfalto e forse delle macchine e si spostano nel bush. Siamo veramente entusiasti, dopo tanta fatica per individuarli mai avremmo pensato di vederli così da vicino !! Ancora storditi dalla visione riprendiamo la marcia verso Satara, dove pieghiamo ad ovest in direzione dell’Orpen Gate. Ormai non ci resta che avvistare un leopardo ma nonostante scrutiamo attentamente tutti gli alberi più grandi non riusciamo ad individuarne nessuno. Poco prima dell’uscita assistiamo ad una scena abbastanza raccapricciante, che però ci riporta alla dura realtà del mondo animale. Un gruppo di avvoltoi e sciacalli sta finendo di spolpare una giraffa !! Alle nove siamo all’Orpen Gate e lasciamo il Kruger (un ranger ci controlla il bagagliaio per vedere, dice scherzosamente, se nascondiamo un elefante). Lungo la strada tra il Kruger e Johannesburg si trova il Blyde River Canyon, una delle meraviglie naturalistiche del Sudafrica. Il suo avvicinarsi si annuncia da lontano con la comparsa in mezzo ad una vasta pianura di splendide montagne. Visitiamo prima il canyon dal basso. Entrati nella riserva ed attraversato il Blyde River, raggiungiamo la diga che ne sbarra il corso. Un breve sentiero conduce proprio sopra la diga. Dopo un altro tratto, la strada termina al visitor centre, situato in una splendida posizione in mezzo al canyon sul laghetto formato dalla diga.
Per completare la visita con la vista dall’alto dobbiamo compiere un lungo giro di novanta chilometri che ci riporterà praticamente sopra il visitor centre dall’altro lato del canyon. Torniamo quindi indietro e, dopo avere saldato l’ingresso alla riserva all’hotel Protea, ne usciamo procedendo verso ovest. Facciamo una breve sosta alla Monson Gallery, un negozio con prodotti di artigianato locale situato lungo la strada, e pieghiamo poi decisamente verso sud, iniziando una ripida salita. Finalmente arriviamo al view point denominato Three Rondavels. La vista è veramente magnifica: il canyon è proprio sotto di noi, con il fiume trasformato in lago dalla diga ed il visitor centre su una sponda. La montagna di fronte ha tre strane punte coperte di vegetazione che assomigliano alle tipiche capanne del Sudafrica e da esse deriva il nome del posto. Proseguiamo lungo la strada che, ormai pianeggiante, corre più internamente rispetto al canyon. Sono segnalati altri punti panoramici; il primo, le Bourke’s Luck Potholes, ci sfugge mentre i tre successivi richiedono una breve deviazione. Ci fermiamo al Wonder View dal quale si domina il paesaggio del Lowveld (una vasta pianura più in basso, molto verde per le frequenti piogge della zona). Al successivo punto panoramico, God’s Window, ammiriamo nuovamente il panorama sul Veld e saliamo per un sentiero che ci porta in mezzo ad una foresta tropicale. Terza sosta al Pinnacle, per ammirare un isolato pinnacolo di roccia coperto di vegetazione. Ripresa la strada principale, proseguiamo fino alle Mac Mac Falls, così chiamate per i molti scozzesi trapiantati in zona. Una deviazione ci porta fino a Pilgrim’s Rest, un piccolo villaggio che ha avuto il suo momento di gloria nell’ottocento durante la corsa all’oro. Oggi si passeggia per la strada principale tra le case di un tempo, visitando una tipografia, un negozio, un’abitazione, ecc. Tutto sommato il posto risulta abbastanza insignificante (forse la visita guidata alle miniere sarebbe più interessante ma a quest’ora sono chiuse) e visto che dobbiamo arrivare fino a Johannesburg ci affrettiamo a ripartire (dopo avere lasciato una mancia a due tipi che ci hanno lavato tutta la macchina senza che noi glielo avessimo chiesto !!). La strada, praticamente deserta, prosegue in mezzo ad una foresta e, superata la città di Sabie, ci porta dopo un altro tratto fino alla N4.
L’autostrada conduce a Pretoria ma noi dopo Middelburg prendiamo la N12 che ci porta direttamente a Johannesburg. Abbiamo prenotato una stanza all’Africa Centre, “posizionato strategicamente” vicino all’aeroporto ed alla N12. Riusciamo comunque a mancare l’uscita e tornati indietro abbiamo qualche difficoltà ad individuare il posto, dato che non c’è nessuna insegna (per fortuna abbiamo il numero civico). Siamo alloggiati in una camera con il bagno di fronte, considerata “de luxe” poiché la maggior parte degli ospiti dormono in camerate. Il posto è carino, pieno di giovani e siamo stati fortunati a trovarlo visto che in questi giorni a Johannesburg c’è un’importante conferenza dell’ONU e tutti gli alberghi sono pieni. Cena con un panino e patatine fritte, preparate dalla cucina del posto.
Sabato 31 agosto / Domenica 1 settembre: Johannesburg – Zurigo – Roma
Giornata dedicata a Johannesburg. Dall’Italia ho prenotato due tour con un’agenzia, la mattina a Soweto ed il pomeriggio in centro. La scelta di affidarsi a tour organizzati era praticamente obbligata per Soweto mentre per il centro è stata dettata da motivi di maggiore tranquillità. Abbiamo comunicato telefonicamente l’albergo dove alloggiamo ed alle otto ci devono venire a prendere (paghiamo un sovrapprezzo di 75 Rand a persona per il pick up in zona aeroporto). Alle otto e mezzo non si vede ancora nessuno; chiamo l’agenzia e prima mi dicono che l’autista sta incontrando molto traffico, poi mi richiamano per comunicarmi che non riesce a trovare il posto. Devo chiamarlo direttamente io e spiegargli la strada !! Alle nove finalmente compare il pulmino; l’autista dà la colpa alla segretaria che lo ha fatto andare in un altro quartiere, la coppia di italiani già a bordo ci conferma che hanno girato mezza città. Attraversiamo tutta Johannesburg e finalmente arriviamo a Soweto, la township più famosa del Sudafrica con oltre due milioni di abitanti. Iniziamo la visita dal Southern Gate, dove si trova l’animatissima stazione dei minibus. Nei pochi metri a piedi riusciamo ad avere qualche spaccato di vita locale, con i macellai intenti a spaccare teste di mucca su un banco in mezzo alla strada. Abbiamo modo di notare come sul rosso dei semafori sia scritto AIDS, in uno dei tanti disperati tentativi di sensibilizzare la popolazione di colore (la situazione nel paese è veramente drammatica). Saliamo su un viadotto dal quale si domina la zona, con il vaso ospedale da un lato e la distesa delle basse case dall’altro. L’autista trasformatosi in guida sembra molto rispettato da tutti, una specie di boss, e ci illustra l’attuale situazione di Soweto. In Sudafrica si parlano 12 lingue e nella township sono presenti tutte (eccetto naturalmente l’afrikaner) con l’aggiunta del linguaggio dei gesti usatissimo per comunicare con gli autisti dei minibus !! La popolazione è divisa in tre classi, upper, middle e lower class. I più ricchi hanno delle belle case monofamiliari con garage per la macchina; la classe intermedia vive in case più piccole con quattro stanze (due camere da letto, soggiorno e cucina) e bagno esterno. Le famiglie più povere vivono nei garage subaffittati delle case della classe intermedia oppure in vasti dormitori, eredità dei tempi dell’apartheid. Risaliti sul pulmino facciamo un giro tra le varie abitazioni e ciò che colpisce è vedere così vicine tra loro le case dei differenti gruppi sociali. Ad una mia specifica domanda la guida risponde che ciò non causa invidia o malcontento perché a Soweto tutti si sentono fratelli (sarà vero ?!). Proseguiamo il giro fermandoci davanti ad alcuni murales raffiguranti personaggi importanti della storia del paese (Mandela, Ghandi ed altri) mentre proprio di fronte un ragazzo si sta facendo tagliare i capelli. Visitiamo un campo squatter e questa volta l’accoglienza non è “calorosa” da parte di tutti: un gruppo di ragazzi ci fa dei gestacci suscitando la reazione verbale del nostro boss. Arriviamo poi nella zona dove abitava Nelson Mandela. Passiamo prima davanti alla residenza della sua ex-moglie, Winnie Mandela, poi vediamo la casa di Desmond Tutu ed infine la vecchia casa di Nelson Mandela. I sudafricani sono molto orgogliosi di avere l’unica strada al mondo con le abitazioni di due premi Nobel. Scendiamo dal pulmino per visitare la casa di Mandela, trasformata in un museo pieno di targhe e foto ricordo. È molto piccola ed oggi Mandela vive in una bella villa nei sobborghi nord della città.
Risaliti in pulmino veniamo portati fino alla piazza Hector Pieterson. Nel 1976 il governo segregazionista cercò di imporre l’afrikaner nelle scuole per neri; gli studenti di Soweto organizzarono una serie di proteste e, durante un corteo, un ragazzino, Hector Pieterson, fu ucciso dalla polizia. Seguì una vera e propria rivolta che segnò la storia del paese con grande eco nell’opinione pubblica internazionale. A ricordo di quei fatti è stato inaugurato da pochi mesi un museo ma non abbiamo il tempo di visitarlo (per colpa del ritardo accumulato) e ci limitiamo ad osservare il memorial a ricordo di Hector e di quei fatti. Il tour di Soweto si è concluso e dato che tutti i partecipanti sono senza cash dobbiamo passare in centro all’agenzia per pagare con la carta di credito. Prima del tour del pomeriggio è prevista una pausa per il pranzo; ci portano quindi nel quartiere di Melville, pieno di locali (naturalmente per bianchi). Scegliamo Nuno’s, un ristorante portoghese.
Alle 13:30 partiamo per il tour di Johanessburg in compagnia di una signora canadese. Ci raccomandiamo subito di rispettare i tempi visto che in serata abbiamo il volo intercontinentale. Facciamo un giro per il centro, con la nuova guida che ci illustra i vari palazzi, per poi spostarci ai suoi margini nel distretto di Newtown. Ci fermiamo in una vasta piazza dove è in corso un concerto e c’è quindi una grande animazione. Su un lato sorge il Museum of Africa, ospitato in un bell’edificio una volta sede del mercato ortofrutticolo (naturalmente non c’è il tempo di visitarlo); nei pressi, in Market Square a fianco del Market Theatre, si svolge il mercato del sabato e tra le bancarelle abbiamo modo di vedere vari oggetti ricavati con materiali di scarto (portacenere fatti con tappi di coca-cola, ecc.).
Saliti nuovamente in pulmino, terminiamo il giro con una puntata ai sobborghi nord, caratterizzati dalle splendide abitazioni dei ricchi bianchi. Passiamo anche davanti all’attuale casa di Mandela. Il giro ormai è finito e veniamo ricondotti all’albergo. La Jimmy’s Face to Face Tours, straconsigliata da Lonely Planet e Rough Guides, si è rivelata del tutto inaffidabile e sicuramente non all’altezza dei suoi prezzi salati. Recuperati i bagagli, ci rechiamo in aeroporto dove riconsegniamo la macchina a noleggio e il cellulare. Sono i giorni del vertice ONU ed in aeroporto c’è una gran confusione. Dopo il check-in, passiamo il tempo visitando una fornita libreria ed uno splendido negozio con artigianato sudafricano dove Stefania si scatena negli ultimi acquisti. In aereo scopriamo di avere due posti separati. Il volo inoltre parte con un’ora di ritardo. Arriviamo a Zurigo in ritardo e dobbiamo affrettarci per imbarcarci sul volo per Roma (facciamo il check-in direttamente all’imbarco). I bagagli naturalmente non fanno in tempo ad essere caricati ed arriveranno solo alcuni giorni dopo a casa.