Sudafrica e Zimbabwe: safari nei grandi parchi
PREPARATIVI
Le idee sono tante, le possibili soluzioni ancor di più, i posti desiderati infiniti. Una cosa è certa… l’ennesimo viaggio nell’Africa degli altopiani. Contatto varie agenzie per conoscere itinerari, condizioni e prezzi. Anche le date sono incerte, sicuramente a maggio, ma indeciso se all’inizio o alla fine del mese. I prezzi dei voli oscillano di giorno in giorno non lasciandomi mai il tempo di pianificare. Poi alla fine decido: “7 Day Kruger and Victoria Falls Lodge Safari” organizzato dalla Acacia Tour. Il costo base è di 1000 euro ma c’è uno sconto del 15%, più le attività obbligatorie (680 USD). Non mi resta che cercare il volo, opto per l’Ethiopian Airlines al prezzo di 521 Euro (41 l’assicurazione estesa) che mi permette di arrivare da Roma a Jo’burg e tornare dalle Cascate Victoria. Scelgo di arrivare un giorno prima per smaltire la fatica del lungo viaggio (Safari Club a 62) e di rimanere alle Cascate due notti in più (Livingstone Lodge 73).
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GIOVEDì E VENERDì 24-25 MAGGIO
Lascio l’auto ad Alta Quota2 (31.50) e mi portano con la navetta a Fiumicino tre ore prima del volo, l’imbarco è alle 23.55 con arrivo ad Addis Abeba alle 6.45 (+1). Il volo è semi vuoto e mi permette di dormire sdraiato su una fila da tre. Un breve giro nel piccolo aeroporto prima del nuovo imbarco alle 8.40 e atterraggio in perfetto orario a Jo’burg alle 13.05. Nella prenotazione al Safari Club c’era gratuito il trasporto al Lodge, sono fuori ad aspettarmi un accompagnatore e un autista che mi trasferiscono al vicino alloggio. Pochissimo traffico nell’autostrada a sette corsie, mi dicono che è la Giornata dell’Africa e si fa festa. La stanchezza è tanta, faccio una lunga dormita fino alle 5 della mattina successiva.
SABATO 26 maggio
Attendo l’inizio delle colazioni alle 6.30 e vengo a conoscenza dei miei compagni di viaggio di questa avventura. Simon, l’autista-guida, due australiani di Melbourne e un islandese di Dublino. Il mezzo un vecchio pulmino 14 posti della Nissan targato ZIM. Non c’è il tempo di terminare le conoscenze che c’è la prima sosta al “Total Petroport N4 Alzu” che ospita un piccolo parco dove “pascolano” indisturbati quattro rinoceronti bianchi e un piccola mandria di bufali, oltre ad altri animali. Si riprende il cammino lasciando a Belfast la N4 per prendere l’impervia R540 e dirigersi a Lydenburg per la sosta pranzo. Si riparte dopo aver cercato nella locale concessionaria Nissan dei pezzi di ricambio per il datato pulmino. Si attraversano le valli disseminate di piantagioni di frutta, tra tutti gli agrumi venduti anche sulla strada nei tipici banchi. Si arriva quando il sole è ancora alto al Blyde River Canyon Nature Reserve. I colori sono sbiaditi dalla luce, ma lo spettacolo rimane mozzafiato. L’ansa del Blyde River gioca tra le alte montagne a disegnare percorsi che l’occhio umano non riesce sempre a percepire, entra quindi in gioco la fantasia, immaginando isole, foreste e natura incontaminata, mentre dall’alto le “Three Rondavels” sono come sentinelle attente che nessuno tocchi quest’angolo di paradiso. Le tre capanne (rondavels è il termine afrikaans), non solo simboleggiano, ma sembrano la sede dell’antico popolo boscimane che pattuglia la valle. Non c’è il tempo per andare alla “God’s Window”, una finestra che si affaccia sulla valle alta oltre 1000 metri e al vicino “Bourke’s Luck Potholes” per fortuna già visitato in un precedente viaggio una decina di anni fa. Lasciamo l’angolo di paradiso pieno di turisti per tornare indietro sulla strada principale che prima di Hoedspruit taglia verso sud fino all’entrata centrale del Kruger National Park. Il pulmino lascia la strada asfaltata per imboccare un percorso polveroso che entra perpendicolarmente nel cuore del Parco, dopo una ventina di chilometri il cancello di entrata in un’area privata dove ci sono diversi Lodge. La strada diventa sempre più sentiero, per poi accedere in un’altra area ancor più periferica. Si scorgono i primi animali tra l’alta vegetazione.
Si arriva al Nsele Safari Lodge quando il sole è ormai tramontato. Solo il tempo per prendere l’alloggio, una capanna familiare con quattro letti, due a piano terra e due su un baldacchino all’interno del tetto di paglia, che è pronta la cena. Terminato il “mangiare” si parte per il safari notturno. La Jeep è completamente scoperta, seduto sul faro anteriore un ranger, Simon e il “padrone del Lodge” nei sedili anteriori, noi quattro largamente nelle tre file posteriori. La luna piena non aiuta a vedere gli animali, il ranger come le scorge l’inquadra con una forte lampada. Sono gli elefanti a farla da padrona, del resto sono anche i più visibili di notte. Mentre non scorgiamo lo Nsele (Tasso del Miale) che da il nome al Lodge. Il “Gioco”, come lo chiamano gli inglesi, finisce presto, ma è stato un buon antipasto di quello che sarà la vacanza.
DOMENICA 27 maggio
Sveglia prima dell’alba e ricca colazione prima di raggiungere l’entrata di Orpen. La strada è lunga anche perché la 4×4 non si muove agilmente sull’asfalto, e le coperture in cellofan non riescono a fermare l’aria che entra da tutte le parti costringendoci a metterci sotto a delle coperte. Entriamo nel parco che è già pieno giorno. Sulla strada abbiamo scorto dei Bufali in lontananza e una iena seminascosta dalla vegetazione, oltre ad Antilopi e Zebre. Un Kudu ci guarda sospettoso, il tempo per poterlo immortalare in una foto, poi una Giraffa solitaria. Quindi uno Scoiattolo che fa la toletta su un ramo. Stop! Sciopero generale! Un folto gruppo di giraffe s’immette sulla strada bloccandoci il passaggio. Siamo costretti a seguirle per un centinaio di metri prima che si rimettono nella savana. Un altro attraversamento, questa volta due iene maculate ci tagliano il percorso. Prima di arrivare al Satara Camp ci fermiamo ad ammirare delle aquile. Al Camp ci dicono che sulla riva di un fiumiciattolo ci sono dei leoni. Ci rimettiamo in cammino non rispettando i limiti di velocità e arriviamo quando il gruppo (forse sei) è ancora sdraiato all’ombra. Siamo fortunati perché poco dopo due di loro si alzano per cambiare zona portandosi dietro il resto del gruppo. Li seguiamo lungo le sponde del torrente fino a che la vegetazione non li nasconde.
Torniamo al Satana Camp per il pranzo anche se la vista dei felini ci ha saziato. Mi fermo su una panchina del parco, immerso nel più buio silenzio. Solo un ticchettio stona quella quiete. Cerco di capire da dove proviene, sicuramente dall’immenso albero che è al centro del giardino. Su un ramo un Picchio è intento a scavare il proprio nido. Instancabile picchia con il becco sul ramo, già si nota la sagoma della sua futura tana.
Riprendiamo il cammino e ci fermiamo in una pozza dove si nota una specie di masso grigiastro affiorare. è invece un Ippopotamo completamente immerso nelle acque che avverte la nostra presenza e alza il capo per scrutarci. Uno più giovane disturbato da un volatile esce dall’acqua per inseguirlo, mentre lì vicino ci sono dei Bufali. Anche un Coccodrillo lascia lo stagno per crogiolarsi al sole. E’ talmente grande che non riesce a entrare nella foto. Un cobo antilope-cervo ci scruta dall’altra parte della riva dove raggiunge un gruppetto di Bufali. Nella Savana si scorgono degli Struzzi, mentre un elefante solitario e ai piedi di una collinetta. Costeggiando il Timbavati, che in questo periodo dell’anno è quasi completamente asciutto, si scorgono alcuni elefanti. Più avanti un gruppo più numeroso intento a scavare la sabbia in cerca dell’acqua. Riprendiamo il cammino quando due Elefanti, sicuramente la mamma con il piccolo (relativamente come una Suv) ci attraversano la strada. Usciamo dal parco per dirigerci al nostro Lodge dove ci attendono per la cena. Poi tutti a guardare le stelle… con la luna piena.
LUNEDì 28 maggio
Colazione e subito in moto per un altra meta. Costeggiamo il Kruger verso nord e ci fermiamo alla distilleria Amarula Lapa di Phalaborwa per una degustazione e la spiegazione dell’Amarula Elephant Research Programme. Visita agli stabilimenti e poi si riparte in direzione Ovest costeggiando il Selati e poi il Ndzalama ricco di piantagioni di frutta tra cui spiccano i bananeti. Alla Wheelbarrow Farmstall di Tzaneen la sosta per il pranzo. Più che un ristorante è un vero punto di sosta, con il vivaio accanto e un piccolo spaccio di frutta e di oggetti d’arte. Compro ovviamente le banane, due chili 22.50 ZAR (1.50 euro), mentre al tavolo ordino uno sformato di pollo 58 ZAR (4 euro). Attraversiamo la suggestiva Foresta Woodbush e la caotica Moria per dirigerci verso Polokwane dove al Pietersburg Game Reserve facciamo due ore di “caccia” a piedi. Una doccia rigeneratrice nell’accogliente chalet e subito a cena. Terminata, Simon ci introduce il suo Zimbabwe, appiccicando alla parete delle cartine usurate con il tempo. Geografia, storia, usi e costumi della nazione che l’indomani andremo a visitare, per me la prima volta.
MARTEDì 29 maggio
Sveglia come al solito prima dell’alba per fotografare i primi chiarori nel Boma In The Bush, struttura attrezzata a pochi passi dalla città, vicino alla stadio che ha ospitato i Mondiali di Calcio. L’ultima città prima del confine è Musina (in italiano Messina), poi lo Zimbabwe. Le procedure per uscire dal Sud Africa sono lente. Dobbiamo fare una fila chilometrica per farci timbrare il passaporto, ma si fa subito amicizia con quelli che sono in coda con noi, che ovviamente mi chiedono del calcio italiano e di Ballottelli. Loro il confine lo passano a piedi attraversando il lungo ponte che scavalca il Limpopo. Non ci sono reti a dividere i due stati, sono i coccodrilli a pattugliare gli eventuali audaci. Dobbiamo accaparrarci il visto d’entrata (30 USD), non c’è fila ma la procedura è lenta, dobbiamo attendere una mezzora per riavere il nostro passaporto con la “pecetta”. Ci fermiamo alla prima stazione di servizio a Beitbridge, subito dopo il confine per il pranzo. La natura è la stessa, ma si percepisce un tono diverso dalla popolazione locale. La strada è una lunga striscia di asfalto corrosa ai lati dal tempo. Due camion ci entrano quasi a sfiorarsi. Sono i Baobab a segnare il panorama. All’interno si scorgono i primi villaggi con le tipiche costruzioni circolari di terra coperte dal tetto in stuoia. Le automobili lasciano il passo ai carretti trainati da asini o da buoi. Ogni tanto si incrocia la ferrovia, nessun passaggio a livello, bisogna fare attenzione da soli.
Attraversiamo Mazunga, Makado, West Nicholson e Gwanda. Per strada non ci sono strutture per i turisti, le soste si fanno lungo la strada in mezzo alla boscaglia. Ultimo paese Mulungwane per poi arrivare a Bulawayo quando è quasi notte. Il Travellers Guest House è un Lodge confortevole con la sua piscina all’interno di uno dei tanti giardini fioriti. Riunione con il Ranger che ci farà da guida la mattina seguente, ci tiene a spiegarci alcune cose di base dei Safari, e ci fa scegliere se farlo di mezza giornata o intera. La cena è nel vicino ristorante New Orleans stracolmo di ospiti. Il mangiare è squisito anche se i prezzi sono europei, per noi è tutto pagato nel tour.
MERCOLEDì 30 maggio
Si parte con calma (forse troppa per fare un safari) alle 8.30 e si raggiunge l’entrata solo alle 9.30. Con nostro stupore, dopo aver pagato l’ingresso, non imbocchiamo il gate, ma torniamo indietro sulla strada principale. Solo dopo alcuni chilometri ci immettiamo in una stradina sterrata del Parco Matobo. Un Ranger armato ci sta ad aspettare. Parcheggiamo la 4×4 e c’incamminiamo nella boscaglia dietro alla Guida. Scruta a terra, cambia più volte direzione, poi alla fine trova le orme che cercava. Ci indica in lontananza delle masse grigiastre che si muovono. Ci avviciniamo sempre di più. Sono quattro rinoceronti bianchi. Accanto a loro un altro Ranger armato che ci dice di avvicinarci. I quattro “animaloni” pascolano indisturbati venendo proprio nella nostra direzione. Non ci percepiscono, ci spiegano che la loro vista è quasi assente. Arrivano fino ad un paio di metri, per poi percepire la nostra presenza e cambiare repentinamente direzione. Una esperienza unica, avevo visto da vicino i rinoceronti (bianchi) ma sempre sopra alla Jeep, che ti protegge, mentre per la prima volta a terra, quasi a poterli toccare. I loro corni sono stati tagliati per paura del bracconaggio, stanno ricrescendo, anche se a vederli sembrano deformi. Ma è l’unico modo per poterli salvare e lasciarli in natura.
Rientriamo nel Parco dall’entrata principale e ci fermiamo alle prime Grotte per ammirare i segni lasciati dagli antichi Popoli. Breve sosta al Monumento ai Caduti, per poi arrivare ad un altra Cava con dipinti rupestri. Sosta al laghetto di Mpophoma Reservoir nell’area attrezzata al picnic dove consumiamo il pranzo. Percorriamo un tragitto montuoso con delle aquile a scrutare l’orizzonte dall’alto delle rocce. Scendiamo fino alla Maleme Dam e costeggiamo il bacino dove a fare la guardia c’è un coccodrillo, poco più in là sulla sponda due pescatori. I paesaggio è incantevole, la diga è naturale, formata dalle rocce basaltiche. Sulla riva un punto ristoro, all’interno un Villaggio con campo da calcio e da tennis, vicino all’Imbila Lodge. Percorriamo una erta per arrivare sopra ad un tetto di rocce per scorgere il panorama, ma poco più in là ci sono altre grotte “primitive” a pattugliarle un folto gruppo di Babbuini. Ripercorriamo la strada sulle sponde del bacino e veniamo attirati dalla presenza di una coppia di Saltarupi e poco distante altri Babbuini. Sulla strada incrociamo delle procavie, prima di arrivare al Word’s View Rhodes Grave Shangani Memorial dove aspettiamo il tramonto. La lunga corsa verso l’uscita e il ritorno a notte fonda al Travellers Guest House e di nuovo una gustosa cena al ristorante New Orleans.
GIOVEDì 31 maggio
Colazione consumata insieme ad un gruppo australiano che con gli Overland, i bus a lunga percorrenza, attraversano per oltre un mese tutto il Sud dell’Africa. Tutto è pronto per la partenza. Ma Simon ha chiuso il bagagliaio lasciando al suo interno le chiavi del pulmino. Si attiva per smontare la serratura, nel frattempo arrivano i rinforzi. Dopo aver “scassinato” la chiusura e ripreso le chiavi, il problema è come chiudere il baule. Si cerca di rimettere a posto il ferro piegato. Dopo un paio di tentativi tutto ritorna al suo posto.
Si parte con l’idea di recuperare il tempo perduto per strada. Ma questo non lo si può chiedere al vecchio motore, bisogna limitare le soste. Simon svicola nel centro di Bulawayo evitando il traffico come se guidasse un motorino, ma immettendosi nella lunga dorsale asfaltata, ritorna ad essere goffo e lento tanto da farsi sorpassare dalla stracolma “corriera”; la raggiungiamo a ogni sua sosta, ma è più veloce di noi anche se il carico “sfiora il cielo”. Per strada le Marule in questa zona sono ancora sugli alberi, nella lunga striscia di asfalto che divide in due la boscaglia di tanto in tanto si scorgono uomini a piedi o lavoratori lungo i margini. I villaggi sono sempre più frequenti, le capanne a volte sono colorate di bianco o con toni accesi. Dopo Lupane si costeggia la Foresta di Sikumbi fino ad attraversare il secco River Farms, per riprendere con i villaggi fino a Hwange dove ci fermiamo per fare rifornimento. Si attraversa il Deka e il Matetsi ancora ricchi d’acqua per poi scorgere la torre di controllo dell’aeroporto internazionale delle Cascate Victoria. La strada taglia in due i Parchi, a sinistra lo Zambesi a destra il Victoria Falls fino a giungere in Città. Il nostro Lodge è uno dei primi, il suo nome è tutto un programma: “Cresta Sprayview”. Ci assegnano la camera e subito in città per prenotare le attività. Si nota il contrasto tra le cittadine passate e la turistica Victoria Falls, sembra di stare in una stazione termale italiana. Abbiamo fatto troppo tardi e quindi la visita al Parco è rimandata alla mattina successiva, orario da stabilire a seconda delle attività prenotate e della portata dell’acqua, certo non prima delle 10. Decidiamo quindi di vederle dalla parte del ponte, che fa da valico al confine tra Zimbabwe e Zambia. Camminiamo a piedi ignari delle distanze. Ai bordi della strada dei Cercopitechi, alcuni hanno i testicoli azzurri causa il tasso alto di testosterone. Alla frontiera ci fanno un foglio che ci permette poi di tornare senza pagare nuovamente il visto. Arriviamo sul ponte e notiamo la vasca di raccolta dell’acqua delle Cascate “evidenziata” da un “pennarello” arcobaleno.
Camminando verso la Zambia si apre sempre più la vista, fino ad ammirare l’immensa mole d’acqua che si getta lungo la spaccatura del terreno cadendo a terra e alzando una nuvola di fumo con fragore: Mosi-Oa-Tunya come la chiamano gli indigeni… il “fumo che tuona”. Il getto che cade a terra da oltre 100 metri si espande nell’aria creando un effetto di pioggia continua che ci costringe a metterci degli impermeabili. Mentre dall’atra parte del ponte si nota il Canyon scavato dallo Zambesi che trascina l’acqua creando delle gole. Uno spettacolo imponente della forza della natura, dove l’uomo può solo percepire la propria inferiorità. E’ forse l’ora del giorno migliore per vedere la natura, anche se abbiamo poco tempo per contemplarla dato che ci aspettano per riportarci al Lodge.
Il tempo di una doccia e siamo già chiamati per la serata galante: cena a lume di candela in crociera sullo Zambesi. Il pulmino ci viene a prendere al nostro alloggio con a bordo già degli altri “invitati”: dall’accento capiamo che sono americani, le ragazze sono in abito da gala. Ci imbarchiamo con altre persone che salgono a bordo. Ci offrono subito un aperitivo di benvenuto, mentre l’equipaggio si presenta. Il nostro tavolo è all’angolo estremo, questo ci permette di avere una visuale quasi di 360°. Il sole scende velocemente, caratteristica della zona tropicale, e siamo tutti in attesa dello spettacolo del tramonto. Da lontano si vede l’immenso “Fumo che Tuona”, mentre tra la vegetazione e le acque si scorgono gli Ippopotami. Mancano le parole per descrivere tutte le sensazioni che si provano ad ammirare questa natura incontaminata, rigogliosa e violenta. Al contatto del sole con le acque si avverte un silenzio irreale, il capitano ha spento anche i motori, rimane solo l’eco del “Tuono”. L’Astro si getta nello Zambesi producendo schizzi di raggi di luce nelle sue acque, vorremo che si fermasse per un attimo per immortalarlo ancora meglio nella nostra mente. Ma in poco tempo tutto svanisce nel buio.
Ci servono la cena con i camerieri sempre attenti che i bicchieri siano colmi di vino, dell’ottimo Chardonnay dei vitigni di Stellenbosch in Sud Africa. Zuppa di pomodori e filetto di pesce dello Zambesi in crosta, dessert e vodka finale come “stura lavandini”.
Ma un altro spettacolo della natura, questo imprevisto, ci appare. Un’alba di luna piena nei colori che tendono al rosso. Per una attimo il cuore si ferma. Il disco illuminato dal sole calante è presagio di quale strana congettura astrale, ci mette di buon umore, complice anche l’alcool. Scendiamo dalla passerella del battello scossi da un rumore nel buio. Poco distante un elefante solitario è intento a sradicare un albero del giardinetto. Saranno stati una diecina di metri che ci separano da quell’enorme animale, che non curante delle luci, continua la sua cena. Finisce qui il mio tuor organizzato, il saluto con i compagni di viaggio, gli australiani andranno in Zambia per un paio di giorni, l’irlandese prosegue per un’altra settimana in Botswana tra Chobe e Moremi.
VENERDì 1° giugno
Mi sveglio alle prime luci della giornata nel confortevole Cresta e apprendo nell’aprire la porta-finestra il suo nome. Un rumore costante e ininterrotto proviene da Est, colorata di rosa dall’alba la vista dello spruzzo… enorme che dalla terra si alza in cielo come una nuvola, ma più chiara delle altre. La quiete delle prime ore del giorno, fanno rimbombare ancora di più il “Fumo che Tuona”, eppur ci sono tre chilometri che separano il Lodge dalla Cascata. La mente va alle catastrofi naturali e alle devastazioni che la forza della natura a volte è protagonista della cronaca, ma come può l’uomo fermarle. Le Cascate Victoria per fortuna solo lì da millenni ad incantare i “turisti”, gli indigeni non si sono mai permessi di toccarle, solo il ponte sullo Zambesi fu costruito all’inizio del ‘900 ma in zona calma.
La piscina a queste prime ore del giorno è vuota, i tavoli del bar sono in attesa dei primi mattinieri già apparecchiati per ospitarli nella colazione. Già ci sono le padelle sul fuoco per chi si fa uova e pancetta con qualche salsiccia. La scelta è ampia, i tavoli con le cibarie chiudono ad “U” la zona cucina.
Bisognerà attendere che il sole sia più alto per poter visitare Mosi-Oa-Tunya, nelle prime ore del giorno il getto è talmente forte e intenso che oscura anche dall’altra riva la vista. Le attività proposte non mi convincono a pieno, sono tutte molto turistiche, mentre cerco qualcosa di più vero. Chiedo alla reception se c’è qualche mercato locale nelle vicinanze. Mi consigliano il vecchio mercato del quartiere popolare di Chinotimba e mi chiamano un taxi. L’autista è subito disponibile e capisce al volo i miei intenti, anche se non è abituato a richieste simili. In un baleno siamo al Chinotimba Old Market. Alcuni banchi sono ancora chiusi, altri in allestimento. Entriamo subito in quello della frutta e verdura dove spiccano le patate e i pomodori. Ma c’è anche la verdura appena colta dai campi e delle zucche. E’ tutto un caos ordinato, uno sudiciume pulito. Non si avvertono odori, la gente ti sorride ed è disponibile anche a farsi fotografare. L’iniziare stupore della visita del goffo individuo (sarei io), si trasforma rapidamente nei gesti quotidiani, come quello di pulire la merce e porla con cura sui banchi. Il frutto del baobab è quello più offerto, mentre vecchi barattoli di latta sono stracolmi di mais, fagioli e altri legumi dalla forma più o meno sferica sopra a sacchi di iuta. Frutta di tutti i tipi, alcune mai viste come il kiwano o cetriolo cornuto. Molte le cose secche e l’immancabile miele. Dalla parte scoperta del mercato c’è la zona degli artigiani. Il primo è il fabbro-stagnaro che espone in bella vista dei ferro da stiro fatti a mano. C’è di tutto dall’elettricista al Key Center, dal calzolaio al barbiere “Happy Hair Saloon”. Le sarte sono già a lavoro, e come ci vedono entrare ci fanno un sorriso di benvenuto. Sulle pareti i ritagli di vecchi giornali dove si mettono i mostra vari tipi di vestiti femminili. I bar e i ristorantini sono chiusi a queste prime ore del giorno, mentre in un angolo c’è un fuoco acceso con sopra dell’acqua pronta per essere bollita e usata per preparare caffé o te. C’è anche un piccolo angolo con delle piantine, su tutte spicca quella del mango. L’autista si è fermato a parlare al mercato, mi presenta un signore anziano che dice che lavora con i leoni. Infatti una delle attrattive è proprio il safari con i Leoni, ammaestrati come dei cani, che li puoi accarezzare e portarli al guinzaglio. Mi riviene alla mente la risposta di Thomas, un Masai conosciuto in Tanzania, che alla domanda se aveva paura dei Leoni quando attraversava la Savana mi rispose: “sono solamente dei gatti un po’ più grandi”. Io preferisco che i Felini siano in natura e fotografarli da una Jeep, magari quando cacciano.
Il tempo è volato e alle 10 ho l’appuntamento per visitare le cascate. Mi portano all’entrata del Mosi-Oa-Tunya National Park davanti ad una mappa. C’è il percorso da seguire, 16 tappe per vedere i 1500 metri di estensione della voragine. Un taglio netto della crosta terrestre in un salto di oltre 100 metri. Il giro è di oltre 2 Km e mi dicono che ci vorranno più di due ore. Mi lasciano solo ad ammirare Mosi-Oa-Tunya, del resto lo spettacolo si spiega da se. Si parte dalla parte Ovest dove si scorge la Devil’s Cataract che separa la Cataract Island dalle Main Falls. Tutto è lasciato intatto, c’è solo uno steccato di legno a protezione del baratro a volte fatto con i tubi dell’acqua. Fino al punto 8 la vista è limpida, bisogna solo stare attenti alle “piogge” dovute dal ritorno della massa d’acqua. Indispensabili gli impermeabili, anche se fa caldo e l’essere bagnati non da un eccessivo fastidio. I punti 9 e 10 sono pressoché impraticabili sia per l’intensità della pioggia che per il Fumo (Mosi appunto), sono infatti proprio davanti al salto più alto e alla portata maggiore. A maggio l’intensità è la più alta della stagione perchè arriva dopo il periodo delle piogge, mentre mi dicono che a ottobre lo spettacolo è maggiore per la minore portata. I punti 11 e 12 sono centrali, di fronte all’Isola di Livingstone che attenua le portata e ci permette qualche foto suggestiva. I punti successivi sono di fronte a Horseshoe Falls, Rainbow Falls, Armchair Falls e Eastern Cataract che si vede anche dal Ponte. L’ultimo ha un nome che è tutto un programma: Danger Point, ospita anche un baldacchino per gli spericolati che vogliono provare “adrenalina”. Si resta senza fiato per molti minuti e le due ore passano veloci.
Si esce che si è totalmente inzuppati d’acqua, i panni si posso strizzare, la borsa sembra un acquario. Mi riportano al Cresta per liberare la stanza ma con gentilezza mi fanno trasportare i bagagli al mio nuovo Lodge, il Livingstone alla periferia estrema della città a ridosso della foresta. Dopo una doccia calda appendo i panni bagnati al sole che in un lampo si asciugano data la mancanza di umidità nell’aria. Breve relax e di nuovo in città per scoprire altri angoli. Mi faccio lasciare dal taxi davanti ad un grosso Supermarket, dove compro ogni tipo di spezie e dello zucchero di canna. Con la borsa appesantita mi muovo a disagio lungo le strade. Decido di sedermi, entro in un bar e mi accorgo subito che è frequentato solo da locali. Di Fronte c’è un giardino con delle rustiche panchine. Mi prendo da bere e mi guardo le foto scattate la mattina. Un animaletto grigio passa sotto il mio tavolo. Non faccio in tempo a prendere la “mira” che mi accorgo che ne arrivano altri. Un gruppo nutrito di Manguste Striate intente a perlustrare il terreno alla ricerca di cibo.
SABATO 2 giugno
Anche se il Livingston Lodge è distante 5 km dalla cascata, il Tuono si sente continuo specialmente nelle prime ore del mattino quando la portata è massima e la città tace. Il fumo si alza impetuoso nell’aria. Mi faccio portare da un Taxi all’entrata del Parco, percorrendo la strada dei Baobab che segnano il confine. Nel piazzale ci sono dei Cercopitechi, alcuni maschi contrassegnati con il celeste. I più giovani giocano tra le fronde degli alberi. Due di loro si inseguono sul carico di un tir parcheggiato. Sono abituati all’uomo anche se conservano sempre una distanza di sicurezza. Ripercorro la strada del ponte, dei Facoceri sono dall’altra parte della recinzione. Passo la dogana assicurandomi il pass per il ritorno. Sul ponte piove a dirotto, la massa d’acqua a quest’ora del mattino è tanta che crea un effetto diluvio. È quasi impossibile scattare delle foto. Con mio stupore la vasca di recupero delle acque è anche al mattino “evidenziata” da un arcobaleno. Supero la linea che divide i due stati e passo nella Zambia. Percorro tutto il tragitto fino all’altra frontiera dove non mi fanno entrare perchè sprovvisto di Visto. Mi affaccio per scorgere l’altro lato del Canyon scavato dallo Zambesi. Si vede il Wild Horizons Lookout Cafe e il Victoria Falls Hotel. Bisogna percorrere un sentiero di 400 metri all’interno della foresta. Raggiungo il primo per bermi una tazza di caffé e ammirare il panorama. Relax è la parola d’ordine. Lo Zambesi traccia nella roccia un solco a “Z” che non lascia vedere l’orizzonte.
C’è fermento sul ponte che si vede in lontananza per il bungee jamping, due si buttano legati solo da una corda mentre sulla sponda sinistra una ragazza rinuncia al Gorge Swing lasciando solo il fidanzato. Le urla squarciano il silenzio e l’eco risuona in lontananza.
Sul sentiero che taglia verso il lussuoso Hotel, un locale mi avvicina dicendo di guardare all’interno della vegetazione. Si scorge un grosso elefante. Ci portiamo in una posizione migliore per guardarlo e ne scorgiamo un altro. I due pachidermi si dirigono dall’altra parte del parco ma c’è la strada a fare da ostacolo. Dopo essere stati bersaglio “fotografico” dei passanti, decidono di attraversare quando noi ci siamo posizionati proprio sulla loro traiettoria. Con un barrito il primo ci punta facendoci capire che gli dovevamo lasciare libero il cammino. Scappiamo dietro un albero mentre lui attraversa guadando prima a sinistra e poi a destra se ci sono altri ostacoli lungo la strada. Grosso spavento, tutto è finito bene, con i due maschi che si sono persi tra l’alta vegetazione. Mi fermo a rinfrescarmi ancora nel baretto della sera precedente, non tardano ad arrivare le manguste, numerose e operose come mai. Torno a Lodge dove ho prenotato un Game Drive, siamo solo in due con me un giovane canadese. Si parte con la 4×4 in direzione Zambesi National Park. Dopo aver sbrogliato le formalità d’entrata ci dirigiamo verso il fiume, facoceri, pernici e cercopitechi sono numerosi, mentre le Anatre sono a bordo riva dove si scorgono nell’acqua le sagome degli ippopotami, mentre un Coccodrillo si crogiola al sole. All’interno sono prima gli Impala, poi i kudu e le zebre a scorgerci, quindi una mandria di gnu. Nella foresta un elefante aspetta il nostro passaggio per attraversare la strada. Il sole sta per calare quando il Ranger decide di cambiare scenario. Una lunga corsa dell’altra parte del parco dove ci dice che c’è la savana. Arriviamo nella depressione ingiallita dal sole e alla prima pozza ci sono i Babbuini. Nella seconda una mandria numerosa di Bufali che ci guardano “imbufaliti”. Ci fermiamo ad ammirare il tramonto gustando uno spuntino e una bibita ghiacciata. Nella seconda pozza ci sono tre giraffe e quattro elefanti. Il sole è ormai calato e dobbiamo lasciare i Parco. Ci facciamo lasciare allo Shearwater Cafe dove consumiamo la cena, per me Tortillas con carne di coccodrillo… squisite.
DOMENICA 3 giugno
Non siamo riusciti a organizzare un altro safari mattutino, quindi mi metto alla ricerca di qualche cosa da vedere nelle ultime ore prima della partenza. L’idea è quella di cercare qualche scorcio di vita nei villaggi, fuori dalle rotte turistiche, del popolo Shona e Ndebele. Mi faccio accompagnare a una ventina i chilometri da Victoria Falls in direzione aeroporto, al termine del Parco Nazione ci immettiamo in una strada terrosa che punta verso l’interno. Si scorgono i primi villaggi, staccionate a difendere le capanne dagli animali. Una donna si accorge che sto fotografando la sua dimora e mi dice di entrare, di poterlo fare più da vicino, nel frattempo lei si allontana. Un carretto trainato da quattro asini e guidato da due uomini. Più avanti un vero e proprio villaggio con delle capanne in muratura colorate e dipinte con temi floreali. Accanto ad una di mattoni rossi di forma circolare e ad una con il solo tetto di paglia ma senza muratura che ospita una bicicletta. Lo steccato delimita le proprietà.
Ci spostiamo in un altro recinto dove nel mezzo c’è una struttura circolare, ci sono degli uomini all’interno intenti a lavare dei piatti. Un bambino ci viene incontro e senza esitare ci apre il cancello fatto da tre legni appoggiati orizzontalmente ai pali di sostegno. Ci fa il segno di entrare. Poco distante un largo spazio con una pompa manuale che attinge l’acqua da un pozzo. È proprio da questa fonte d’acqua che nasce il Villaggio. Riversa l’acqua in un abbeveratoio dove ad attenderla ci sono buoi e asini. Prima che vi possa cadervi delle donne la raccolgono in dei grossi bidoni, una volta pieni se li portano sulla testa per trasportarli nelle case. Come ci scorgono sorridono. Due bambini giocano con le bottiglie di plastica prese in una discarica, come mi vedono si mettono in posa per farsi riprendere. Occhi bellissimi, sguardo sorridente e tanta voglia di giocare. In un forno all’aperto una donna sta rimescolando della polenta bianca. Ci sono negozi di ogni tipo. Cose semplici e scomparti creati con il legno dove vengono esposte le mercanzie. Al bancone delle giovani donne, sorridenti e fiere di farsi riprendere. Due bambini mi fanno cucù da sotto un balcone, mentre un altro ha preso una gallina in braccio e me la porta per mostrarla. Un bar con al centro un vecchio bigliardo da carambola e in alto sul muro la televisione accesa. Qualche bottiglia di liquore esposta e sopratutto birra. Due enormi altoparlanti ai lati del bancone fanno presumere che la sera si trasforma in una sala da ballo.
Più avanti il barbiere che sta rasando la testa ad un adolescente. Altro baretto e altro alimentari. Quest’ultimo più fornito con il bancone in muratura e appesi al muro tre poster pubblicitari di bevande; un bimbo esce dal retro con una scodella vuota e una forchetta, segno che ha appena finito la colazione. Una casetta vuota con l’insegna scritta a mano “Jet Investments T/Shop”. Una grata separa un altro locale, dietro alle “sbarre” una ragazza, davanti una mamma con a tracolla il figlioletto legato con un telo colorato, sull’uscio un’altra giovane donna. Le tre ragazze si dimostrano subito disponibili a farsi riprendere, non hanno bisogno di nessuna sistemazione, hanno i capelli raccolti da un foulard colorato che fa spiccare ancora di più gli occhi neri sul fondo della pupilla bianchissima. I denti spiccano dalle carnose labbra. Sanno di essere belle e ci tengono ad essere fotografate. Più avanti un negozio di elettronica, qualche scatolone, una televisione sul ripiano e qualche filo sparso di qua e di là. Ancora una rivendita questa volta con prodotti per la casa e per l’igiene personale. Ancora un alimentari con scatolami vari. Dall’altra parte dei negozi una struttura per la ristorazione. Sotto gli alberi i tavolini e le sedie, di fronte la zona cucina all’aperto. Possiamo “toccare” ciò che stanno preparando: in un pentolone la polenta bianca, in un altro del riso, ne scoperchiamo uno dove c’è del pollo tagliato a grossi pezzi nella sua salsa. Dietro una signora lava le varie stoviglie. Torniamo indietro e le tre ragazze mi fermano e mi fanno entrare nel negozio. L’unico a non volersi farsi riprende è il piccolo che nasconde la testa dietro le spalle della madre. Ma gli e la girono quasi con forza dicendomi di scattare una foto. Il tempo passa in fretta e è arrivata l’ora per il mio imbarco. Saluto e mi dirigo all’aeroporto dove via Gabarone l’aereo fa scalo ad Adis Abeba. Chiedo “a tutti” se si può acquistare il Berberè, il miscuglio di spezie usato dalla piccante cucina Etiopica e Eritrea. Missione impossibile, a mezzanotte c’è l’imbarco per Roma. Arrivo con un’oretta di ritardo in compenso la valigia è già sul nastro al mio arrivo e Alta Quota2 ha già mandato una navetta a prendermi. La vacanza è terminata ma non certo la mia voglia di conoscere l’Africa e il suo caleidoscopico Popolo.
CONCLUSIONI
Ho girato quatto continenti e l’Africa mi dà sempre qualche cosa in più. L’Africa degli altopiani con la sua gente sorridente e orgogliosa. Con il suo clima secco, fresco di notte e caldo di giorno. Con la sua natura violenta, gli animali selvatici e i suoi Parchi immensi.
Per quanto riguarda il Tour, il livello è “easy”. Le guide e i mezzi non sono sempre all’altezza mentre pasti e alloggi sono di buon livello. Manca il contatto con il popolo, si è troppo chiusi nelle “gabbie” riservate ai turisti. Per chi per la prima volta viaggia in Africa e vuole farsi un’idea lo consiglio, mentre se si vuole qualche cosa di più, anche con maggiore contatto con le persone, forse è meglio cambiare agenzia.