Sud africa on the road!!

L'idea del nostro "Sudafrica on the road" nasce dalla volontà di fare un viaggio in un affascinante angolo del mondo. La verità è che inizialmente avevamo scelto come destinazione la Patagonia (Cile e Argentina) ed il raggiungimento dell'estremo sud del continente americano, Capo Horn. Purtroppo (o forse, con il senno di poi, per fortuna), a...
Scritto da: Alberto Erpini
sud africa on the road!!
Partenza il: 19/01/2003
Ritorno il: 31/01/2003
Viaggiatori: fino a 6
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L’idea del nostro “Sudafrica on the road” nasce dalla volontà di fare un viaggio in un affascinante angolo del mondo. La verità è che inizialmente avevamo scelto come destinazione la Patagonia (Cile e Argentina) ed il raggiungimento dell’estremo sud del continente americano, Capo Horn. Purtroppo (o forse, con il senno di poi, per fortuna), a causa delle difficoltà incontrate (le complicate tratte aeree non ci permettevano di sfruttare al meglio i 12 giorni che avevamo a disposizione) abbiamo optato, non senza perplessità, per il Sudafrica. In effetti siamo partiti senza troppe aspettative, e forse proprio grazie a questo, il Sudafrica si è rivelato un Paese davvero stupendo, da girare in lungo e in largo in piena libertà… Prima di partire avevamo pianificato per sommi capi le varie tappe del nostro viaggio. L’idea era quella di farci tutta la costa da Port Elizabeth a Cape Town, per poi tagliare verso nord-est verso Johannesburg, e quindi trascorrere gli ultimi due giorni in una Riserva Privata per poter prendere parte a qualche foto-safari; le uniche cose certe erano quelle di dover arrivare il 23/01 mattina a Mossel Bay per un’escursione già prenotata via internet dall’Italia, e di essere nel primo pomeriggio del 28/01 presso L’Ingwe Lodge all’interno della Karongwe Game Reserve (anche questo prenotato prima di partire). Le tratte aeree per raggiungere la nostra base di partenza sono state: Venezia-Monaco di Baviera, Monaco-Johannesburg, Johannesburg-Port Elizabeth (circa 18 ore di viaggio complessive da Venezia a Port Elizabeth). Il ritorno invece era previsto da Johannesburg a Venezia via Francoforte (circa 15 ore di viaggio complessive. Costo di tutte le tratte: euro 960,00 circa).

Primo giorno: da Port Elizabeth al Tsitsikamma National Park – Km 215 Dopo una buona quantità di ore di volo atterriamo finalmente a Johannesburg. La permanenza in aeroporto è stata fugace, giusto il tempo per un panino e per acquistare, alla modica cifra di 69 Rand, l’adattatore adeguato per le prese elettriche (che probabilmente vengono usati solo lì, visto che di quel tipo non li avevamo mai visti prima di allora). Finalmente, dopo quasi un’intera giornata spesa in aereo o negli aeroporti, l’ultimo volo ci porta a Port Elizabeth, da dove sarebbe iniziato a tutti gli effetti il nostro viaggio. A Port Elizabeth ci accoglie il clima perfetto: il caldo di un sole splendente, mitigato da una leggera brezza proveniente dall’oceano (alla faccia del clima invernale del Gennaio italiano!!!). Come prima cosa andiamo a ritirare l’auto già prenotata dall’Italia. Più di tanto non ci prende il panico per la guida a destra perchè tutti già vaccinati da precedenti esperienze di guida in Gran Bretagna. Partiti con grande entusiasmo, decidiamo di fermarci subito in riva al mare per festeggiare con un tuffo nell’Oceano Indiano l’inizio dell’avventura, nonchè per “lavarci via” la stanchezza del viaggio e per metterci comodi. Seguiamo la N2 in direzione ovest per raggiungere come prima meta il Tsitsikamma National Park, ma a circa metà strada decidiamo di fare una puntatina a Jeffrey’s Bay, nota patria di surfisti. La cittadina non sembra niente di eccezionale, ma la gente che la abita dà prorpio la sensazione di essere molto “cool”. Ci fermiamo qui solo il tempo di fare un paio di acquisti nel Billabong Surf Shop [tel: (042) 296-1797]. Riprendiamo il viaggio. Subito dopo il ponte sullo Storms River ci fermiamo per un pranzo rapido in una sottospecie di fast-food (non c’era null’altro nelle vicinanze). Mettiamo sotto ai denti un qualcosa che voleva assomigliare ad un cheeseburger (e preferiamo non esprimerci in merito alle patatine fritte). Per mandar giù il tutto proviamo pure ad assaggiare la Fanta all’uva… Attirati da un cartello informativo ci fermiano lungo la strada una mezz’oretta per andare a vedere il Big Tree: per mezzo di un percorso molto agevole attraverso un fitto bosco, si raggiunge un albero di notevoli dimensioni che si eleva in modo impressionante rispetto agli altri, ma sinceramente non ci sembra nulla di che, o almeno non ne valeva la sosta. Poco più avanti, con una svolta a sinistra, usciamo dalla N2 per dirigerci verso l’ingresso del Tsitsikamma National Park. Teoricamente si dovrebbe pagare per avervi accesso… Ma era tardi e con la scusa di fare solo alcune foto entriamo gratis, con la speranza di poter dormire presso lo Storms River Mouth Rest Camp [tel: (012) 343-1991; fax: (012) 343-0905; www.Parks-sa.Co.Za oppure direttamente al numero di tel: (042) 541-1607]. L’idea iniziale era quella di dormire in tenda “in riva all’oceano”, ma il forte vento e le nuvole minacciose ci spingono ad affittare uno dei tanti bungalow (Forrest Cabin, per 225 Rand) ben posizionati all’interno del “campeggio”. Nell’alloggio ci sono due soli letti (ai quali ci adattatiamo senza problemi), un tavolo e nulla più; all’esterno della camera c’è una griglia per fare il BBQ (la prima cosa che pensiamo è che la compagnia non è l’ideale dato il luogo così romantico… Ma cosa possiamo farci!). Prima di cena ci incamminiamo per la costa rocciosa lungo l’Otter Trail (sentiero della lontra). Il sentiero (che necessiterebbe di 5 giorni di camminata per essere interamente completato) si rivela avvincente, anche per merito dello spettacolare infrangersi delle grosse onde sugli scogli. Scalando diverse rocce e attraversando fitti boschetti, dopo aver scovato l’antro di una grotta, tentiamo di arrivare prima che faccia buio ad una cascata segnalata sulla mappa. Purtroppo il calare del sole ci obbliga a fare ritorno al nostro alloggio. Ceniamo nel bel Storms River Restaurant (il ristorante annesso al camping) dove proviamo ovviamente ad assaggiare la cucina tipica sudafricana, degustando lo springbok (antilope) e l’ostrich (struzzo). Ottima cena con soli 400 Rand in tre. Dopo un paio di partite a scacchi, che virtualmente seguivano le sfide iniziate in aereo, crolliamo in un profondo sonno ristoratore.

Secondo giorno: dallo Storms River Mouth Rest Camp a Knysna – Km 110; Ci svegliamo molto presto (7:30) per colpa dell’unica finestra stupidamente dimenticata aperta tutta la notte. Fuori c’è un bellissimo sole, tant’è che ci permettiamo di fare colazione (100 Rand) a petto nudo sulla terrazza dello stesso ristorante della sera precedente. Decidiamo di andare a vedere il Ponte Sospeso alla foce dello Storms River… Bella passeggiata!! Tornati al punto di partenza notiamo la possibilità di un’escursione con dei canotti lungo il fiume, ma purtroppo andava prenotata il giorno prima: niente da fare, non abbiamo tempo da perdere, così ripieghiamo su un’altra particolare attrazione: il BUNGEE JUMPING [tel: (042) 281-1463]. Ci si butta dal Bloukrans River Bridge: il volantino spiega che è certificato dal Guinness dei Primati come il più alto del mondo… Non c’è specificata la data, quindi o lo è, o lo è stato!! Comunque sia si tratta sempre di un bel salto di 216 metri!! Dopo una sottile opera di convincimento, riesco ad attrarre Marco nella pazzia del lancio, mentre Michele decide di seguirci sul ponte solo per assistere allo spettacolo (…Io di salti ne avevo già fatti una decina in passato). L’attesa è stata divertente, perchè vissuta tra il crescente terrore da parte sua, l’apparente tranquillità mia ed il puro spasso di Michele nel vedere due incoscienti come noi. Il solo attraversamento del ponte metteva i brividi (soprattutto se ci si azzardava a guardare in basso), ma la presenza di un sessantenne che si sarebbe lanciato prima di noi ha fatto sì che diventasse una questione d’orgoglio, soprattutto per Marco… Il volo, come sempre, è qualcosa di indescrivibile ed intenso (circa 6 secondi di caduta libera), tanto che pure Marco alla fine di tutto ne rimane entusiasta. Salto, videocassetta del lancio e maglietta per 690 Rand a testa (pochissimo se paragonato a quanto si paga da noi per emozioni simili). Ripartiamo subito, e dopo 20 km, sempre dalla N2, svoltiamo a sinistra per visitare (72 Rand) Monkeyland [tel: (044) 534-8906; www.Monkeyland.Co.Za]. Si tratta di un rifugio che ospita circa 200 primati di 14 specie diverse in attesa di essere riabilitati e reinseriti in natura. La visita guidata dura circa un’ora e vale la pena d’essere fatta! Per pranzo ci dirigiamo a Plettenberg Bay, bella località vacanziera. Sulla Main Road ci fermiamo a pranzare al Blu Bay Cafè, in una piccola piazzola all’ombra di un albero, per poi calarci in spiaggia per un paio d’ore di relax. Dopo la prima vera botta di sole, un bel po’ ustionati proseguiamo per Knysna, seconda meta prefissata. Lì troviamo una bellissima pensioncina (565 Rand in tre con prima colazione in camera), il Wayside Inn [48 Main Rd, tel/fax: (044) 382-6011; wayside.Inn@pixie.Co.Za] con alla reception un bizzarro uomo di colore, da noi soprannominato Jeffrey. A Knysna è obbligatorio assaggiare le ostriche, così, seguendo il consiglio delle guide, ci rechiamo alla Knysna Oyster Company [nella Thesen’s Island, tel: (044) 382-1693]. Ceniamo a lume di candela (840 Rand compresa la mancia), assaggiamo sia le ostriche d’allevamento che quelle “wild”, oltre a degli ottimi scampi, il tutto accompagnato da un delicato Sauvignon di Stellenbosch (importante centro di viticoltura nella famosissima regione vinicola situata alle porte di Cape Town). Concludiamo la serata tornando sulla Main Road per bere un drink allo “Zanzibar” [tel: (044) 382-0386].

Terzo giorno: da Knysna a Mossel Bay – Km 490; Prima di riprendere il cammino facciamo il pieno: 28,8 litri per 111 Rand!! Decidiamo di allontanarci dalla costa, e quindi dalla Garden Route, per dirigerci a nord verso Oudtshoorn però attraverso un percorso alternativo, fatto in gran parte di puro sterrato, dove la nostra guida “sportiva”, per l’occasione, viene esaltata. Ad Oudtshoorn scegliamo (molto a caso, o meglio perchè di strada) la Cango Ostrich Farm [tel: (044) 272-4623; www.Cangoostrich.Co.Za] quale allevamento di struzzi da visitare. La possibilità di cavalcarli rende la visita guidata ancora più interessante. Dopo alcune spiegazioni tecniche sulle caratteristiche dell’uccello, delle sue grandi uova, delle sue morbide piume e della sua pregiata pelle, veniamo accompagnati in un breve tour della fattoria. Prima ci fanno vedere i buffi pulcini, quindi veniamo condotti nel recinto dove due allevatori sono impegnati a catturare il “destriero”. L’operazione avviene per mezzo di un gancio (che serve ad immobilizzarne il collo) per agevolare l’incappucciamento del capo. Ci ha colpito molto come, una volta incapucciato, lo struzzo si immobilizzi completamente… Ed è solo così che si riesce a montare in groppa all’animale. Ci si regge saldamente sulle robuste ali, concentrandosi a tenere il proprio peso all’indietro per potersi mantenere meglio in equilibrio. Dopodichè viene tolto il cappuccio, ed in quell’esatto istante lo struzzo comincia a correre a velocità sostenuta. Come si smonta dallo struzzo? Quando la corsa risulta essere insostenibile per il neo-fantino, “basta” saltare all’indietro e se ne esce incolumi e divertiti, a differenza di quanto fatto da Michele che è stato clamorosamente disarcionato, con relativo ruzzolone polveroso a terra!! Ah, per poterli cavalcare non bisognerebbe pesare più di 75 kg, ma data l’attrazione così divertente, val bene la pena dire una piccola bugia, un po’ come ha fatto io “ladrando” un paio di chili. Lì vicino vanno assolutamente visitate anche le Cango Caves [tel: (044) 272-7410; www.Cangocaves.Co.Za]. Dilungandoci nel pranzo, a base di struzzo ovviamente, perdiamo per soli 5 minuti il Classic Tour, così decidiamo di ripiegare alla cieca nell’Adventure Tour che partiva poco dopo. La nostra guida ci accompagna attraverso le varie sale facendoci ammirare stupende stalattiti e stalagmiti, opportunamente illuminate da efficaci giochi di luce. Lo spettacolo visivo è molto bello ma la guida ci sembra un po’ troppo costruita, soprattutto quando si sforza di far assomigliare a qualsiasi cosa le concrezioni rocciose. Il tutto invece diventa infinitamente più avvincente quando ci addentriamo nel clou del percorso Adventure… Dopo una ripida scalinata iniziamo letteralmente a strisciare in cunicoli di pochissimo più larghi di noi. La cosa è fra virgolette impegnativa, soprattutto fisicamente (la temperatura interna si attesta sui 18°C però l’umidità raggiunge il 95%), quindi va affronatata con il giusto spirito. Usciti dalle Cango Caves sporchi e sudati, risaliamo in macchina per un altro giretto in montagna: puntiamo infatti allo Swartberg Pass proseguendo sulla strada che ci ha condotti fin lì. Per valicarlo percorriamo 24 km lungo una spettacolare strada sterrata di ghiaia. Scendendo poi si entra in un’affascinante gola di color rosso intenso. Dopo delle belle ore trascorse in macchina fra stupendi paesaggi di montagna, è ora di dirigersi nuovamente verso la costa perchè dobbiamo arrivare per la notte a Mossel Bay, dove il giorno successivo ci attende l’escursione in barca alla ricerca dello squalo bianco!! Sebbene l’impegnativa giornata ci avesse resi abbastanza “impresentabili”, a Mossel Bay scegliamo di cenare nell’elegante Jazzbury’s [11 Marsh St; tel: (044) 691-1923]. Questo si è rivelato probabilmente il miglior ristorante da noi provato in tutto il Sudafrica, sia per la qualità del mangiato e del bevuto (un ottimo vino, sudafricano ovviamente: un Pinotage di Paarl, altra rinomata cittadina delle Cape Winelands), sia per l’impeccabile servizio (840 Rand in tre, compresa la lauta e meritata mancia)! Dopo un bicchiere di Brandy locale ed un’animata discussione sull’arte chiediamo alla cameriera delle informazioni su dove andare a dormire (erano già le 23 circa)… Per pura gentilezza (in quell’esatto istante dovevamo ancora pagare il conto, e quindi lasciare la mancia) telefona ad un B&B e, date le difficili indicazioni da seguire per raggiungerlo, insiste per accompagnarci… Alla fine ci mandano in un pub lì vicino dove ci attendeva un’altrettanto gentile signora che ci porta all’Highview Lodge [tel: (044) 691-9038, www.Highviewlodge.Co.Za]. Un distinto signore in vestaglia ci affitta un magnifico appartamento (850 Rand, compreso full-breakfast) con vista sulla baia. E’ davvero un peccato non aver avuto abbastanza tempo per poterci godere cotanto alloggio, visto che la sveglia è puntata per le 7:00 per essere alle 8:00 allo Shark Africa. Sorseggiamo un vodka-tonic in terrazzo, e quindi ci infiliamo sotto le coperte. Quarto giorno: da Mossel Bay a Klein Bay (Gansbaai) – Km 660; Dopo una ricca colazione all’Highview Lodge scendiamo al porto elettrizzati dall’idea di trovarci a tu per tu con il più grande predatore degli oceani, lo squalo bianco!! La sorpresa non fu affatto gradita quando trovammo l’ufficio della Shark Africa completamente chiuso. Preoccupati per la nostra escursione chiamiamo il numero di telefono che opportunamente ci eravamo trascritti, e con nostro stupore l’interlocutore ci informa che i lavori sulla barca con cui saremmo dovuti uscire non erano ancora stati ultimati, e quindi… Ok, ok, abbiamo capito… Gran pacco!!! Ma noi non ci diamo per vinti, perchè qui non si tratta solo di vedere gli squali bianchi (cosa che si può fare anche in un attrezzato acquario nostrano) da una barca, bensì c’era la possibilità di immergersi dentro ad una gabbia, per poterli così ammirare ad un palmo dal naso e nel loro habitat naturale! La più grossa base di Shark Cage Diving si trova a Gansbaai (R43 a sud-est di Hermanus), piccolo paese posizionato esattamente a metà strada fra Mossel Bay e Cape Town… Quindi abbastanza di strada per noi. Da un volantino recuperiamo il numero di telefono di una compagnia di Klein Bay (piccolo porticciolo al lato di Gansbaai) e così riusciamo a prenotare l’escursione lì per la mattinata seguente. Si tratta allora di trovare qualcosa di alternativo per riempire la giornata e, contemporaneamente, di avvicinarci a Gansbaai. Decidiamo di andare nel punto più a sud del continente africano, che come molti pensano non è il Capo di Buona Speranza bensì il misconosciuto Cape Agulhas, sul roccioso lato est del promontorio di Danger Point. Qui troviamo solamente il classico faro bianco e rosso ed una semplicissima stele che ricorda che lì è dove i due oceani, quello Indiano e quello Atlantico, si incontrano. Il mare agitato ed una strana luce conferiscono a quel tratto di costa un’atmosfera particolare. Non c’è molto da fare, così decidiamo di impiegare l’abbondante tempo libero rimastoci per andare a visitare una delle famose aziende vinicole situate nella regione a nord-est di Cape Town. Questa tappa andava teoricamente fatta una volta visitata e lasciata CapeTown, ma visto l’inghippo avuto con Shark Africa cambiamo al volo i nostri piani. Lungo la strada ci sorprende l’incontro con una famigliola di babbuini che in piena libertà gironzolano per la strada in cerca di qualche turista che si fermi dando loro da mangiare (errore gravissimo). Fra le rinomate località delle Cape Winelands di Stellenbosch, Boschendal, Franschhoek e Paarl la nostra scelta cade molto casualmente sulla prima, e nella fattispecie nella fattoria Morgenhof [tel: (021) 889-5510;www.Morgenhof.Com]. Questa azienda vinicola, fondata nel 1692, ora di proprietà della famiglia francese Huchon-Cointreau di Cognac, offre la possibilità di pranzare all’aperto, immersi in uno splendido giardino, all’ombra di un grosso albero secolare. Mangiamo molto bene, e ovviamente beviamo anche meglio pasteggiando con un ottimo Pinotage Reserve del 2000 (pranzo per 300 Rand in tre). Persi anche questa volta in una strana discussione eco-ambientale, ci accorgiamo di essere rimasti solo noi ed un solitario pavone in tutta la tenuta, così beati ci risvegliamo dal dolce rilassamento del momento e ci dirigiamo alla sala dedicata agli assaggi (da testare ci sono pinot, pinotage, merlot, cabernet sauvignon e sauvignon blanc-chenin blanc, per un totale di 10 Rand a persona per 5 assaggi). Incantati dal superbo vino non possiamo non fare una capatina al negozietto annesso all’azienda per comprarci 3 bottiglie a testa del nettare sudafricano, soprattutto dopo aver notato l’impressionante rapporto qualità/prezzo!! C’è anche la possibilità di farsele spedire a casa o presso un aeroporto italiano ma il costo aumenterebbe anche di dieci volte il prezzo della singola bottiglia quindi decidiamo di portarcele con noi. Ripresa la macchina raggiungiamo la costa e quindi puntiamo dritti verso Klein Bay. La zona è battuta da forti venti che rendono i paesaggi spettacolarmente “selvaggi”. Fra Hermanus e Gansbaai veniamo sopraffatti da un magnifico tramonto sull’oceano che ci accompagnerà fino a destinazione. Senza aver troppo scelta, viste le dimensione del piccolo paese, ceniamo (prima di buttarci a letto si continua l’imperdibile sfida a scacchi tra me e Marco… Imperdibile soprattutto per me dato che Marco non riesce a vincere nemmeno una volta), dormiamo, e faremo poi colazione al Tourism Center di Klein Bay (per un totale di 1200 Rand). Quinto giorno: da Klein Bay a Cape Town – Km 180; Finalmente riusciamo ad uscire in mare alla ricerca degli squali!! Dopo aver cavalcato le onde per una mezz’oretta gettiamo l’ancora in prossimità delle altre imbarcazioni, anch’esse lì con lo scopo di accontentare i turisti nell’avvistamento degli squali e nell’immersione dentro alla gabbia. La nostra barca, la Predator II, era capitanata da un attempato personaggio abbronzato e rugoso (Bryan), la classica icona del vecchio lupo di mare. Gli squali vengono attirati da delle grosse esche, composte per lo più da teste di tonno ed altre frattaglie di pesci vari. Ogni tanto viene gettato in mare anche un pezzo di polistirolo a forma di foca (di cui gli squali sono ghiotti), in modo da ricrearne l’ombra a pelo d’acqua. Dopo un po’ di tempo finalmente riusciamo a vedere un primo squalo. A questo ne fa poi seguito un secondo ed un terzo. Si avvicinano davvero molto all’imbarcazione, così il capitano e i suoi mozzi calano la gabbia in mare. Ci spiega però (ed effettivamente si vede) che la visibilità in acqua è molto scarsa. La delusione è grande, perchè dopo un’interminabile attesa, abbiamo visto (da molto vicino è vero, ma dal ponte della barca) solo 3 squali di “modeste” dimensioni (grandi probabilmente 2 metri e mezzo) che comunque hanno il loro fascino… Ma noi speravamo di imbatterci in un bestione di almeno 5 metri!! Scoraggiati dalle pessime condizioni di visibilità nessuno ha voluto immergersi nella gabbia. Dopo una lunga pausa (piuttosto noiosa a dire il vero), l’escursione viene “risollevata” quando da Dyer Island ci muoviamo verso la vicina Geyser Island per osservare una numerosissima colonia di foche con i loro cuccioli… Bellissimo (a parte la puzza)!! Rientriamo in porto a metà pomeriggio belli abbrustoliti dal sole cocente, e dopo aver pagato l’escursione (2520 Rand in tre), ci dirigiamo verso Cape Town. Qui, per non perdere troppo tempo nella ricerca di un alloggio, ci buttiamo in centro in una via abbastanza grande e pullulante di hotel. Ci fermiamo nel primo decente che incontriamo, e per 1050 Rand affittiamo una suite (!!) al Cape Town Lodge. In quanto suite non poteva non essere bellissima, nonchè grande (talmente grande da poterci giocare a pallone nel salotto!!), ma purtroppo il tempo è tiranno, ed essendo venerdì sera, era giusto goderci la serata più che la stanza. Dopo aver consultato le nostre guide decidiamo di cenare all’Africa Cafè [108 Shortmarket St, tel: (021) 422-0221; www.Africacafe.Co.Za], un ristorante arredato in stile etnico, che propone piatti di tutto il continente (675 Rand in tre, compreso il drink pre-dinner preso al bar in attesa del tavolo). Funziona che per un prezzo fisso ti portano una dozzina di assaggi di piatti tipici di un po’ tutta l’Africa e poi scegli liberamente se bissarne o meno qualcuno… Insomma si potrebbe mangiare all’infinito! Molto carina è l’esibizione del personale (scalzo, vestito con costumi tradizionali e truccato adeguatamente) che ad una certa ora intona un canto tribale accompagnato da delle coinvolgenti percussioni. Dopo cena prendiamo un taxi e ci facciamo portare in Long Street. Appena scesi dal taxi riceviamo le classiche offerte di droghe di tutti i tipi… Sembra che vadano per la maggiore i Magic Mushrooms… Ci infiliamo nel Kennedy’s Jazz&Cigar Club [251 Long St, tel: (021) 424-1212] per bere qualcosa ed ascoltare un po’ di jazz. Cambiamo locale e proviamo il Mama Africa [178 Long St, tel: (021) 426-1017] perchè attirati da un complessino che con solo voci e percussioni crea un’atmosfera elettrizzante. Lì dentro ci facciamo prendere dal ritmo, e seguendo un incredibile flusso magico incominciamo a ballare e cantare senza sosta. Io vengo addirittura scelto da uno del gruppo per raccogliere le mance fra tutti i clienti del locale… Serata davvero indimenticabile!! Sesto giorno: da Cape Town a Laingsburg – Km 430; Dedichiamo un paio d’ore della mattinata del sabato al quartiere City Bowl di Cape Town, ed in particolar modo al mercatino di Greenmarket Square (parallela alla St George Mall, animata zona pedonale dove spesso si esibiscono gruppi locali), dove compriamo qualche oggetto d’artigianato locale. Poi in macchina andiamo alla Lower Cableway Station [tel: (021) 424-8181; www.Tablemountain.Net] per poter prendere la funicolare che ci porterà sulla Table Mountain per godere del panorama da un’altezza di poco superiore ai 1000 metri. Un particolare ed affascinante effetto atmosferico spesso si manifesta sulla Table Mountain: le nuvole si adagiano sulla sommità della stessa formando la famosa “tovaglia”. Una volta scesi ci dirigiamo verso sud alla volta del Cape Peninsula National Park [tel: (021) 786-2329; www.Cpnp.Co.Za] costeggiando la sua panoramica e scoscesa costa occidentale lungo la quale, guardando indietro, si intravedono il Devil’s Peak e la tovaglia sulla Table Mountain. Facciamo una breve sosta a Boulders Beach (10 Rand) per vedere la bellissima colonia terrestre protetta di 2300 pinguini africani che vi abita. E’ periodo di cova quindi molti pinguini si trovano in mezzo alla macchia ad accudire le proprie uova. Temperatura permettendo si può fare il bagno vicino alle bestiole… Noi non ci azzardiamo anche perchè il tempo si sta guastando. Percorrendo poi la M65 raggiungiamo la Cape of Good Hope Nature Reserve (26 Rand) [tel: (021) 780-9204] dove ci accolgono dei babbuini lungo la strada. Dopo una breve passeggiata sotto una pioggerellina rompiscatole raggiungiamo il cortile del faro di Cape Point e ci soffermiamo qualche istante ad ammirare la vastità dell’oceano ed il Capo di Buona Speranza. La prossima meta è Kimberley quindi, dovendo percorrere quasi 1000 km, imbocchiamo la N1 e cerchiamo di macinare più strada possibile. Ci fermiamo a mangiare in una stazione di servizio lungo l’autostrada all’altezza di Worcester per poi proseguire fino a Laingsburg dove troviamo da dormire al Grand Hotel (360 Rand con colazione). Il nome dell’albergo è tutto un programma, visto che è proprio mal ridotto e decadente (è sufficiente dire che Marco si è dovuto improvvisare idraulico per bloccare l’incessante getto del water…!). Settimo giorno: da Laingsburg a Johannesburg – Km 1240; Oggi tappone di trasferimento!! L’attraversamento della regione dell’Interno Arido era stato pensato con la speranza di poter assistere ad una continua varietà di paesaggi… In realtà non sono poi molti, anche se non mancano le vedute mozzafiato. A circa metà strada si trova Kimberley con le sue miniere di diamanti da visitare (un tempo proprietà della De Beers Mining Company, oggi della Anglo-American Corporation). La città è famosa per essere stata alla fine dell’XIX secolo il centro della corsa ai diamanti più grande del mondo. Ci fermiamo solo per poco, giusto il tempo di visitare il Kimberley Mine Museum [West Circular Rd, tel: (053) 833-1557]. Questo villaggio-museo “open-air” composto da edifici storici che vogliono ricreare l’atmosfera del luogo di oltre 100 anni fa, ci appare abbastanza povero e poco interessante, ma la visita è d’obbligo per ammirare il Big Hole. Questa miniera, chiusa nel 1914, che è considerata il cratere artificiale più grande del mondo con i suoi 800 metri di profondità (di cui i primi 240 scavati a mano), ha fruttato 2722 kg di diamanti per un totale di 14,5 milioni di carati. Kimberley non offre nient’altro: veloce pranzo al KFC (all’angolo fra George/York St e Bultfontein Rd) per provare a raggiungere Johannesburg per la notte. A Jo’burg (come viene comunemente chiamata) ci arriviamo col calare del sole, ed entrandoci non possiamo non notare Soweto, una delle più tristemente famose township della metropoli sudafricana. Anche il centro della città non ci appare molto tranquillizzante: sicuramente ad influire il nostro giudizio ci sono le tante precauzioni espressamente sottolineate da tutte le guide, nonchè l’aspetto cupo delle stesse strade poco illuminate, frequentate da gruppi di ragazzi di colore che di solo primo acchitto non sembrano rassicuranti. Qui a Jo’burg non ci vogliamo rimanere tanto, ci interessa solo trovare un hotel che abbia ESPN, perchè questa notte c’è il XXXVII SUPERBOWL che io e Marco non vogliamo assolutamente perdere. Dopo aver battuto tutte le più importanti catene di hotel internazionali, in un Holiday Inn troviamo un gentilissimo receptionist che ci indica, quale unico albergo con bar sport annesso, il concorrente “The Gardens Protea Hotel” [Tudhope e O’Reilly Sts; tel: (011) 484-5777; www.Proteahotels.Com] situato fuori dal centro. Dopo avergli allungato la giusta ricompensa, ci rechiamo finalmente in questo hotel; qui sfruttiamo al meglio le strutture dello stesso concedendoci, sebbene sia già buio, un fugace tuffo nella piscina illuminata. Dopo una doccia ristoratrice ci concediamo un’ottima cena e con calma iniziamo a prepararci per l’evento sportivo. Sebbene disturbati da un gruppo di chiassosi inglesi, riusciamo a goderci il mitico Superbowl, accompagnandolo con qualche litro di birra. Purtroppo però la partita è stata piuttosto deludente e a senso unico, così, un po’ annoiati e stanchi morti per la faticosa giornata trascorsa in auto, decidiamo a malincuore di andarcene mestamente a letto tra il 3° ed il 4° quarto. Ottavo giorno: da Johannesburg a Barbeton – Km 600; Dobbiamo gestire al meglio il giorno e mezzo che ci rimane prima del soggiorno prenotato da casa nella Karongwe Game Reserve. Scegliamo così di sconfinarenello Swaziland, giusto per vedere una realtà diversa e, perchè no, poter mettere una nuova bandierina sul nostro planisfero dei luoghi visitati. Dopo aver sbrigato le formalità burocratiche al posto di frontiera di Sandlane, ci avventuriamo all’interno del piccolo Paese africano. Lungo la E20 troviamo il Milwane Wildlife Sanctuary Nature Reserve [Tel: (09268) 528-3944] e decidiamo di visitarlo. Questa riserva ci dà modo di avere un primo e significativo assaggio degli stupendi animali che incontreremo nei successivi foto-safari. Possiamo percorrere i sentieri con la nostra automobile… Riusciamo a vedere da vicino diverse zebre, dei facoceri e le antilopi; riconosciamo pure degli gnu, ma la nostra curiosità è attratta dal piccolo laghetto dove scorgiamo un gruppetto di ippopotami. Rimaniamo in appostamento in sacro silenzio per una buona mezz’ora, ma loro non si vogliono concedere all’attenzione di noi “fotografi”. Insoddisfatti di aver visto solo narici, occhi ed orecchie di ippopotamo (insofferenti per il gran caldo questi grossi pachidermi preferiscono rimanersene completamente immersi), proseguiamo la marcia verso la capitale, Mbabane: nulla di eccezionale. Rientriamo dunque in Sud Africa dal punto di frontiera di Oshoek, nei pressi di Ngwenya (aperto dalle 7 alle 22, ma i 13 valichi hanno degli orari diversi ed alcuni chiudono alle 16), e proseguiamo verso nord. Dato che in zona non ci sono grossissime città, preferiamo fermarci nella prima che incontriamo, Barbeton. Qui alloggiamo (300 Rand con colazione) al Phoenix Hotel [all’angolo tra Pilgrim St e President St; tel: (013) 712-4211; fax: (013) 712-5741], e visto che ci siamo ci fermiamo lì pure a cena. Io e Michele, in difficoltà con la traduzione del menù, ordiniamo a nostra insaputa un’immangiabile fegato di non si sa bene quale animale. Essendo noi gli unici clienti dell’albergo, durante una breve assenza del cameriere ne approfittiamo per gettare il contenuto del piatto fuori dal ristorante (per la buona sorte di qualche gatto…). Andiamo in camera molto presto per riposarci a dovere. Non è stato sempre menzionato, ma la sfida a scacchi fra me e Marco prosegue incessantemente, e sempre con il medesimo risultato a mio favore!! Nono giorno: da Barbeton alla Karongwe Game Reserve – Km 290; Il tragitto che ci porterà alla Riserva ci dà la possibilità di attraversare la Blyde River Canyon Nature Reserve, ma prima d’arrivarci decidiamo di visitare alcune cascate presenti lungo la R532. Le MacMac Falls, le Lisbon Falls e le Berlin Falls raggiungono altezze che variano dai 70 ai 90 metri. In tutti gli accessi alle cascate troviamo dei simpatici mercatini di artigianato locale dove poter comprare e portarsi a casa un “pezzo d’Africa”. Proseguiamo in direzione del canyon; lì ci attende un bellissimo spettacolo naturale di rocce scavate dalla forte corrente del Blyde River. I magnifici pendii ricoperti da arbusti sempreverdi, le forme delle scarpate e le formazioni rocciose (come per esempio le Three Rondavels che sembrano delle capanne Zulu) formano una Riserva Naturale da mozzafiato. Pranziamo velocemente in un resort nei pressi del canyon per proseguire poi verso la Riserva: 6000 ettari di savana con all’interno 4 Lodge. Il nostro in particolare, l’Ingwe Lodge, non davvero niente male nonostante la scelta fatta da casa avesse puntato su uno dei più economici tra quelli proposti da Turisanda nei pressi del Kruger. Sistemiamo i bagagli, ci rilassiamo ai bordi della piscina un paio d’ore prendendo un po’ di sole, leggendo e giocando a scacchi. Arrivano le 4 del pomeriggio e finalmente si parte per il primo Safari. Tutto lo staff del Lodge ci accoglie con un piccolo banchetto a base di pasticcini e thè. Nel mentre Michael, il nostro battitore, si avvicina alla guida di un Land Rover decapottata capace di ospitare 9 passeggeri (oltre al ranger conducente e al battitore posizionato su un piccolo sedile sopra il cofano). Nel frattempo si presenta il nostro ranger, Sunday (munito di fucile a canne mozze), e partiamo. Dopo mezz’oretta ancora non si avvista niente, e fra di noi incomincia a serpeggiare l’incubo già provato a Gansbaai aspettando lo squalo enorme!! Finalmente si fa vedere un facocero che sguazza nel fango di un laghetto, e di seguito vari tipi di antilopi (springbok, bontebok, orice, kudu, e impala fra gli altri). Nel frattempo rimaniamo colpiti dalla quantità e dalle dimensioni dei termitai (sono alti anche più di un metro!) che si incrociano lungo la strada. Il tempo passa ma dei Big Five (Rinoceronte, Elefante, Leone, Bufalo, Leopardo) nemmeno l’ombra. A proposito: al contrario di quanto si possa pensare, si chiamano “Big Five” non per le loro dimensioni ma perchè in passato erano le prede di caccia più ambite, vuoi per il loro manto, vuoi per l’avorio, ecc. Ad un tratto Sunday ferma il fuoristrada e si mette ad osservare il terreno cercando tracce ed impronte. Noi siamo sempre più perplessi… Ci sembra un po’ tutto montato ad hoc per i classici stupidi turisti stranieri. Poco dopo però veniamo clamorosamente smentiti dall’incredibile bellezza di un leone, di una leonessa e dei loro 3 cuccioli accovacciati all’ombra di un albero. Ci avviciniamo silenziosamente fino a 5 metri di distanza e con gli occhi lucidi incominciamo a scattare un numero spropositato di foto. La nostra felicità, mista a curiosità e stupore, è letteralmente palpabile. Riusciamo ad immortalare i leoni in tutte le posizioni possibili, addirittura anche durante la fase di un veloce accoppiamento. Dopo un buon quarto d’ora trascorso in loro “compagnia” ci muoviamo, rigenerati ed entusiasti, alla ricerca di altri animali. Velocemente riusciamo a notare un’aquila, una piccola volpe ed un paio di zebre. Di tanto in tanto si scorge ancora qualche gruppetto di antilopi. Tornando nella zona del laghetto avvistiamo dei movimenti sospetti a pelo d’acqua… Ci sono un paio di ippopotami, ma come nello Swaziland non si concedono ai nostri obbiettivi. Andandocene via, in mezzo agli arbusti vediamo una giraffa, ma con grande stupore da parte nostra Sunday non si ferma, impedendoci così di poter fare qualche scatto. Sinceramente siamo infastiditi dall’atteggiamento del nostro ranger, perchè anche una breve sosta per ammirare una giraffa ci interessa molto visto che dalle nostre parti non se ne vedono spesso. Proseguendo, notiamo degli gnu e dei licaoni. Sunday si ferma ad osservare dello sterco lungo la strada e da lì incomincia la ricerca all’elefante. Finalmente lo raggiungiamo. L’elefante è impegnato a mangiare e così non possiamo avvicinarci troppo, altrimenti si infastidirebbe e scapperebbe; rimaniamo dove siamo ma a causa della fitta boscaglia riusciamo solo ad intravederlo. L’ultimo animale degno di nota che riusciamo a vedere in questo primo safari, è un piccolo ghepardo con la sua mamma, entrambi confinati all’interno di una ampia zona recintata. Lo scopo di questa misura di sicurezza è quello di preservare il cucciolo dalla presenza di numerosi predatori all’interno della Riserva. Torniamo al Lodge gustandoci un’incredibile stellata e veramente soddisfatti dell’esperienza appena conclusa. La serata si conclude con la cena al lume di una candela ad olio. Decimo giorno: Ingwe Game Lodge; Sveglia ore 5:15 perchè il secondo dei quattro safari previsti parte all’alba, alle 6 per la precisione. Niente colazione come si deve, ma la solita tazza di caffè con pasticcino. La vera colazione è in programma alla fine del safari, ossia dopo 3 ore! L’orario così “estremo” per il safari mattutino è giustificato dal fatto che le temperature a quelle ore non sono ancora alte, così è più probabile che gli animali non siano nascosti all’ombra di qualche cespuglio. I primi animali a farsi vedere sono come al solito le gazzelle. Le ammiriamo saltare agilmente la strada una dopo l’altra. Di seguito si ripresentano gli gnu, e quindi una giraffa. Questa volta Sunday accosta il fuoristrada e finalmente riusciamo ad immortalarla. Riprendiamo la nostra corsa alla ricerca di un altro pezzo grosso, e dopo un paio di informazioni avute via radio da un altro ranger riusciamo a trovare un mastodontico e pacifico rinoceronte nero intento a brucare un po’ d’erba. Nei nostri volti si dipinge un sorriso di soddisfazione per aver scovato il nostro secondo Big Five. Il rinoceronte è abbastanza immobile, quindi il soggetto è perfetto per i nostri scatti. Ritornando verso il Lodge riusciamo ad incrociare due ghepardi adulti, questa volta liberi all’interno dell’immensa Riserva. Fa sempre un certo effetto ritrovarsi di fronte il quadrupede più veloce sulla faccia della terra!! Al Lodge ci gustiamo una succulenta colazione. Data la stanchezza, il caldo infernale e la pancia piena, investiamo le 3 ore che ci separano dal pranzo in un pisolino ristoratore in camera, sotto le pale del ventilatore. Dopo pranzo iniziamo a sistemare i bagagli in vista della ripartenza del giorno dopo, e dedichiamo una mezz’oretta per le solite cartoline di rito. Alle 4 del pomeriggio parte il terzo safari. Dei Big Five ci manca ancora il bufalo, il leopardo, e magari un elefante visto bene. Ormai, per assurdo, siamo addirittura stanchi di vedere gazzelle a destra e a manca, perchè puntiamo alle grosse “prede”. Iniziamo un lunghissimo giro della Riserva che apparentemente sembra infruttuoso. Sunday ci confessa che in quella giornata intendeva scovare un leopardo, animale molto aggressivo ma allo stesso tempo molto schivo e timido, quindi difficile da trovare. A parte i “soliti” animali, fra i quali anche un altro paio di giraffe, la ricerca del leopardo si dimotrò subito molto impegnativa. Nel frattempo, percorrendo una strada sterrata che costeggiava il letto di un fiume prosciugato, dall’altra parte dell’argine riusciamo ad intravvedere un elefante in movimento. Per noi è impossibile raggiungerlo, così anche questa volta il pachiderma ci sfugge. Ok, diciamo che il terzo Big Five l’abbiamo “schivato” per un pelo. Riprendiamo la rincorsa al leopardo anche grazie alle preziose dritte di una ranger, che con delle precisissime indicazioni (per noi incomprensibili visto che in mezzo alla savana non c’è, almeno in apparenza, nemmeno un punto di riferimento) ci aiutò nella ricerca del punto esatto di dove ne era stato avvistato uno pochi minuti prima. All’imbrunire ci inoltriamo con il nostro indistruttibile fuoristrada in un super off-road fra cespugli, arbusti secchi, rocce e rovi. Tutto ad un tratto Sunday ci chiede di provare ad annusare l’aria, ma per noi “comuni mortali di città” l’aria ci sembra solo particolarmente pulita, ma nulla più. Dopo soli cinque minuti Michael ci fa notare, con il fascio della sua torcia, i resti di un piccolo impala e solo allora riusciamo a percepire il suo odore. Quella, ci spiegò Sunday, era la preda del leopardo; probabilmente il rumore del nostro avvicinamento avrà insospettito il felino facendone interrompere bruscamente il suo banchetto. Sunday scende dal fuoristrada imbracciando il fucile per pellustrare la zona… Proviamo pure a gironzolare un po’ con il Land Rover da quelle parti, ma ormai è impossibile stanarlo. Sono quasi le 20 ed il terzo safari è inesorabilmente giunto al termine. Ci rimane giusto il tempo per una breve sosta in un’atmosfera molto tenebrosa: avvolti da un buio profondo ed illuminati dai soli fari del fuoristrada apparecchiamo per un veloce pic-nic notturno. Rientriamo al Lodge dove ci attende una cena preparata attorno al fuoco. Visto che il giorno successivo ci aspetta un’altra sveglia all’alba per l’ultimo safari, dopo due chiacchiere a tavola, si va’ dritti a nanna! Undicesimo e ultimo giorno: dalla Karongwe Game Reserve al Johannesburg International Airport – Km 717; Anche nel nostro ultimo giorno in Sudafrica la sveglia suona all’alba. Alle 5:30 vieniamo svegliati dall’inesorabile trillo del telefono con cui la direzione del Lodge si assicura che tutti i partecipanti al safari siano operativi per le 6 in punto. Questo è il nostro ultimo safari qui alla Karongwe Game Reserve, e nella lista dei Big Five ci mancherebbero solo i leopardi ed i bufali (e se mai ce ne fosse la possibilità, magari, anche un elefantino visto bene bene…). Sunday è intenzionato a regalarceli tutti, così si parte alla ricerca del leopardo. Dopo quasi un’ora di perlustrazione e una dozzina di indicazioni date e ricevute con gli altri ranger, riusciamo a scovare un bellissimo esemplare di leopardo. Rimaniamo a debita distanza ad ammirarlo; in quel quarto d’ora, fra una foto e l’altra, notiamo anche che l’animale è tutto intento a divorarsi una preda (probabilmente quella cacciata la sera precedente)… Purtroppo il tempo stringe e Sunday ci anticipa che le nostre richieste riguardanti l’elefante non potranno essere esaudite. Effettivamente la riserva è molto estesa, ed elefanti e bufali si trovano solitamente agli antipodi di questa, quindi, dopo questi ultimi non avremmo certo il tempo materiale per gli altri. Percorriamo una strada sterrata esterna alla riserva che velocemente ci conduce in un’area recintata dove vive una mandria di bufali. Uno di questi, incuriosito dal fuoristrada si avvicina a noi e cerca di infilare il suo enorme muso all’interno del nostro abitacolo; si avvicina lentamente a Marco, che dolcemente tenta di accarezzarlo. L’animale è molto mansueto e certamente non ci incute paura, ma temiamo che spinto da un gesto d’affetto, tiri fuori quella linguona bavosa che si ritrova. Sunday nel frattempo ci spiega che la corazza che ricopre la sua testa, che in pratica è un tutt’uno con le corna, è talmente resistente che se venisse colpito da un proiettile in quel punto, probabilmente non ci resterebbe secco. Rientriamo al Lodge per rinfocillarci con un’abbondante colazione. Siccome dobbiamo liberare le stanze a metà mattinata decidiamo di rimetterci subito in viaggio, così carichiamo i bagagli e distribuiamo le giuste e meritate mance sia allo staff dell’Ingwe che in particolare alle nostre 2 formidabili guide. L’aereo decolla alle alle 19:55 perciò ci resta tutto il pomeriggio da sfruttare. Ci dirigiamo senza troppi indugi verso il Kruger National Park [tel: (012) 343-1991; fax: (021) 343-0905; www.Parks-sa.Co.Za] che, con i suoi 19633 kmq (tanto per intenderci, il parco è poco più esteso dell’intero Veneto!!), è il più grande parco nazionale del Sudafrica ed indubbiamente una delle migliori riserve naturali del mondo. Alle 10:30 circa entriamo dall’Orpen Gate, nel Kruger Centrale, e puntiamo verso sud per poi uscire al Crocodile Bridge. Qui i safari sono completamente diversi da quelli fatti in precedenza. Si entra con il proprio mezzo e quindi si può guidare liberamente all’interno del parco, rispettando ovviamente le rigide regole imposte, a partire dai limiti di velocità e dalla raccolta dei propri rifiuti. Sicuramente ci sono anche delle visite guidate da poter fare, ma noi notiamo solo grossi pulmini chiusi da 20-30 persone che corrono lungo le sole strade battute, e nemmeno un fuoristrada decappottato simile a quello con cui noi abbiamo scorrazzato nel bushveld. Purtroppo attraversiamo il parco nelle ore più calde (quelle peggiori) ma impala, zebre e giraffe si fanno comunque vedere. Sebbene qualitativamente questo safari si sia rivelato inferiore ai precedenti, l’escursione l’abbiamo vissuta lo stesso in modo spassoso, perchè fatta seduti fuori sui bordi dei finestrini dell’auto, pronti a filmare qualsiasi cosa e a scattare qualche assurda foto in movimento. Verso la parte meridionale del parco, poco prima della nostra uscita, sul ponte che attraversa il Sabie River notiamo una macchina in sosta e 2 persone intente a fotografare qualcosa. Ci fermiamo ovviamente anche noi: ippopotami!! Anche questa volta se ne stanno quasi completamente immersi in acqua. Proviamo ad attendere un po’ per sperare di immortalarne almeno uno nella sua interezza, o almeno provare a cogliere nell’istante il suo famigerato sbadiglio. Dopo quasi venti minuti veniamo in parte premiati da un’immensa e spalancata bocca che fuoriesce dal pelo dell’acqua. Usciamo dal parco alle 14:30 e per non perdere l’aereo dobbiamo mantenere una buona media per i 400 e più km che ci separano dall’aeroporto. Visto il grosso rischio che corriamo, teniamo un’andatura molto sostenuta. Dopo le centinaia di foto scattate alle bellezze naturali del posto, questa volta, molto probabilmente, nostro malgrado, diventiamo noi i soggetti per le autorità di Johannesburg: abbagliati da un potente flash siamo convinti di esserci beccati, come ultimo souvenir, un bel autovelox!!! Riusciamo ad arrivare in perfetto orario in aeroporto, e dopo aver raccatato tutte le immondizie accumulate nei sedili posteriori in ben 4 sacchetti (tanto per rendere l’idea del letamaio in cui abbiamo grufolato per quasi 2 settimane) consegnamo la nostra mitica Hyundai Elantra (che ormai sarebbe meglio rottamare visto come l’abbiamo tirata e trattata). Il contachilometri segna 4932 km percorsi!! Purtroppo in aereo non abbiamo i posti vicini, così il ritorno si presenta abbastanza palloso, e soprattutto per Marco sarà impossibile recuperare lo svantaggio a scacchi di 20 a 0. Lo scalo è a Francoforte, dove cambiamo aereo per rientriamo a Venezia. Arrivederci favoloso sudafrica!!!



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