Stubborn love, viaggio in Turchia

Tre giorni a Istanbul, poi in Cappadocia con auto a noleggio, passando per Pamukkale
Scritto da: gianluca luraschi
stubborn love, viaggio in turchia
Partenza il: 29/03/2013
Ritorno il: 06/04/2013
Viaggiatori: 2
Spesa: 1000 €
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Da una parte le mega città come Istanbul con i suoi 17 milioni di abitanti e dall’altra niente che e’ tutto. La Turchia e’ uno Stato diviso in due, tenuto insieme da 200 giri di una corda robusta che si chiama Islam …

Non c’è viaggio senza una canzone da mettere tra le ruote e l’asfalto, un po’ come “no more blues” in “Marrakech Express”. Per questo, in Turchia c’è “Stubborn love” dei Lumineers. Con Chiara, come sempre, un viaggio è finemente pianificato, abbiamo solo i biglietti d’andata-ritorno e la voglia di perderci. Quindi stiamo tre giorni a Istanbul e poi noleggiamo una macchina per andare verso la Cappadocia, passando per Pamukkale. Un percorso simile a quello che feci con un amico ai tempi dell’universita’, fu una sorta d’iniziazione al viaggio, ma, sebbene il percorso sia simile a quello d’allora, la Turchia e’ diversa. Istanbul era Costantinopoli e la Turchia l’Asia. Oggi Istanbul e’ Istanbul e la Turchia e’ uno Stato a meta’ tra l’Europa e l’Asia, con un suo carattere, e potenzialmente un futuro. Istanbul pulsa h 24, cresce, si espande e’ una citta’ moderna come la intendiamo in occidente. Questo desiderio di futuro la Turchia ce lo mostra tutto in chilometri di fabbriche tra Istanbul e il niente, perche’ dopo un po’, andando verso il cuore di questo Stato, l’Anatolia, non c’e’ piu’ niente. Strade diritte su altopiani infiniti circondate da montagne innevate, villaggi di sassi, e donne e uomini che camminano al fianco di pecore e muli. Ed e’ in questo niente fatto di colori che ci e’ piaciuto perderci, un niente cosi’ semplice da far girare la testa.

L’Anatolia e’ la terra dei dervisci, monaci islamici di tradizione sufi. Un derviscio per il suo difficile cammino di salvezza e’ chiamato a distaccarsi nell’animo dalle passioni mondane e vivere in mistica poverta’. Nella loro ricerca dell’estasi che li avvicina a Dio, i dervisci compiono una cerimonia semplice e difficile nello stesso tempo, che consiste nel ruotare a lungo su se stessi, fino a raggiungere l’equilibrio. Per caso assistiamo alla danza di un derviscio: conto piu’ di 200 rotazioni. In fondo, questo mi sembra riassuma bene quello che mi e’ parso d’intuire sulla Turchia. Da una parte le mega citta’ come Istanbul con i suoi17 milioni di abitanti, e dall’altra niente che e’ tutto. La Turchia e’ uno Stato diviso in due, tenuto insieme da 200 giri di una corda robusta che si chiama Islam. L’Islam in Turchia non e’ la religione di Stato, Ataturk, il padre alla repubblica, disegno’ uno stato “laico” in Asia. L’Islam in Turchia non e’ nemmeno una minoranza all’interno di uno Stato moderno. Mi chiedo come reagira’ la corda quando dovra fare a pieno i conti con il disperato desiderio di modernita’ dei turchi.

Lucida scarpe

In una stradina deserta ad Istanbul superiamo un lucida scarpe. Il quale poco dopo superandoci fa cadere una spazzola. Mi affretto a raccoglierla. Mi ringrazia calorosamente ed in cambio si propone di lucidare le scarpe di chiara. Chiara non vuole ma non ci sembra carino rifiutare un piacere. Mentre lucida le scarpe ci racconta di sua madre e delle costose operazioni che deve sostenere. Così alla fine ci dice che se avessimo fatto lucidare le scarpe al gran bazar ci sarebbero costate 40 lire turche e che x 20 lire lui ci ha fatto un gran lavoro. Non tanto per l’affare, ma x la mamma e x il fatto che x poco non perdeva anche la spazzola, unica fonte di sostentamento per la sua famiglia paghiamo riconoscenti. Ci rendiamo conto solo dopo pochi passi che 20 lire non sono poche, ci giriamo e il turco ottomanno è sparito. Ci ricorda troppo la scena di “nonso” in Mediterraneo… “turchi italiani una faccia una razza”.

hammam

In un hammam ad Istanbul ci concediamo un paio d’ore d’assoluto piacere. L’hammam Gagaloglu è un posto meraviglioso che trasuda storia, anche in senso letterale. Il bagno è frequentato da indigeni, mi metto comodo e nudo a godermi il vapore. Dopo qualche minuto il mio vicino, in turco stretto, mi allunga una salvietta e lo indica… tutta invidia, ma capisco che non si usa quindi mi copro. Insieme al bagno turco prendiamo dei massaggi. Il mio massaggiatore è un omone piu largo che alto. Mi metto supino e l’omone con le sue manine mi trivella la carne, soffro ma godo, almeno credo. La situazione si complica quando mi prende le braccia ed incrociandole fa forza con tutto il suo peso. Sorridente mi chiede come va, ricambio il sorriso e perplesso rispondo tesekkurler (grazie). Come un pezzo di carne dal macellaio mi gira sottosopra e riprende a trivellarmi. Quindi mi piega le ginocchia e ripete il “massaggio” dello spingere con il peso. Il mio corpo scricchiola, ma il meglio deve ancora venire. L’energumeno punta i suoi gomiti nella mia schiena e mi perfora i dorsali, poi come un pezzo di manzo, scelto, mi tira una pacca nella schiena e mi mette seduto sul bancone e con le manine mi afferra la testa, due mosse secche prima a destra e poi a sinistra e il mio collo risponde con crack, craaaack. Vengo poi strigliato, pulito e lasciato sul meraviglioso marmo caldo del centro hammam a riprendermi. Nonostante quello che si possa pensare, dopo questo “trattamento” mi sento un uomo nuovo e non posso che concordare con l’insegna dell’ hammam: “1000 places to see before die”. Me ne mancano solo 999.

Anatolia

Partiti da Istanbul siamo in mezzo al niente in direzione dell’altopiano anatolico. Stubburn love dei Lumineers ci continua ad accompagnare, ma il gps del cellulare ci pianta. Ci fermiamo per pranzo lungo quella che dovrebbe essere l’autostrada in un posto che faccio fatica a chiamare autogrill. Riusciamo a mangiare vegetariano, nonostante quello che si possa pensare è abbastanza facile. Il gestore quando ci vede manda a chiamare quello delle lingue, un ragazzo che ha lavorato negli hotel ad Antalya. Gli chiediamo la strada per Pamukkale. A colpi di suoni gutturali e gesti proviamo a capirci. “Uha” con mano aperta a destra vuol dire destra, “uhm” con mano aperta a sinistra vuol dire sinistra. “Umma Umma” vuol dire diritto. “Uvvavallalla” girare intorno. Dopo 10 minuti di versi il turco ottomano si assenta e arriva con la mappa disegnata. La seguiremo e ci condurrà senza problemi a destinazione.

Da Pamukkale a Konya ci sono strade diritte che tagliano montagne innevate, spesso attraversate da persone sui carri trainati da somari. Ci fermiamo a mangiare ad Egirdir su di un promontorio che penetra un lago azzurrissimo. Dopo mangiato, paghiamo e quando facciamo x uscire il gestore s’infila prepotentemente tra noi e la porta. Il baffuto turco ottomanno ha in mano un flacone di plastica che ci punta, sembra alcol, temo che ci voglia incendiare. Guardo Chiara smarrito x cercare di capire quale errore abbiamo fatto. Impaurito non mi resta che cercare di mettere in pratica una sofisticatissima tecnica nonviolenta, alzo le mani in segno di resa e con le lacrime agli occhi dico “tengo famiglia”. Con un ghigno divertito il gestore ci spruzza un litro di acqua di colonia addosso. Capiamo che e’ usanza, quindi imbarazzato ringrazio. Saremo inebrianti per tutto resto del viaggio in macchina.

nargile

Non si può venire in Turchia senza provare il nargile. È un rito, troviamo un posto frequentato da locali. Ovunque si vada è impossibile non diventare “amico” di qualche turco. Ayet é un crudo che mi introduce alla complessa e sofferta questione cruda. Mi ricorda le “gloriose” gesta dell’allora primo ministro italiano d’Alema che x 30 denari vendette il leader del pkk. Comunque, aggiunge, a riscattare la nostra l’immagine ci ha pensato qualche anno fa Berlusconi prendendosi cura della nipote di Mubarak ;-(. Alla fine della serata ci scambiamo i nomi. Inizio a scrivere sul cellulare le prime lettere ay… maledetto T9 esce ayatollah .. Ayet sgrana gli occhi e da sotto i baffoni accenna un ghigno. Prontamente spengo il cellulare dicendo di aver finito la batteria, almeno questa volta l’incidente diplomatico è evitato.

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