Stati Uniti fai da te

In viaggio con mia figlia tra California e South West alla scoperta di grandi parchi e città
Scritto da: effemmephoto
stati uniti fai da te
Partenza il: 10/07/2015
Ritorno il: 01/08/2015
Viaggiatori: 2
Spesa: 4000 €
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Io e mia figlia Sofia, un anno fa di 13 anni e mezzo, appena conclusa la scuola media, siamo stati negli USA a luglio 2015. Il nostro viaggio è durato 22 giorni e ha comportato 21 pernottamenti. Più una notte in aereo. Siamo partiti da Milano arrivati a Los Angeles (scalo e concidenza al JFK), mentre siamo tornati da San Francisco facendo tappa a New York per un solo giorno (arrivo mattina – ripartenza la sera). Abbiamo affittato un’automobile a LA e percorso 3.500 km. Abbiamo speso in totale 8.100 euro pur essendo stati cauti. Per cauti intendo nessun vero ristorante, quando possibile acquistato cibo nei supermercati, nessuna attività eccessivamente costosa (i.e. giri in elicottero, spettacoli a Las Vegas etc). Mi sono persino portato dietro il mio navigatore per l’auto.

Le Tappe. Milano – Los Angeles – Las Vegas – Grand Canyon – Monument Valley – Bryce Canyon – Las Vegas – Death Valley – Sequoia National Park – Costa della California da Morro Bay a San Francisco Compreso Big Sur – San Francisco – New York – Milano.

Avremmo potuto risparmiare? Facendo lo stesso giro avremmo potuto risparmiare al massimo 1000 euro andando però in alloggi molto scadenti oppure molto lontani dai luoghi di interesse (scordate i motel con stanze da 50$, nelle città e nei luoghi attrattivi non esistono). In America le distanze sono … distanti. Ed è vero che il Grand Canyon, per esempio, è sempre il Grand Canyon, ma dormire a 70 km per risparmiare $50 di pernottamente può non essere la scelta giusta. Si economizza nella spesa procapite viaggiando in 4. La macchina infatti è una sola, ma sopratutto le camere di albergo possono ospitare sempre 4 persone: io e Sofia spesso dormivamo ciascuno in un letto matrimoniali.

Volo. Delta Airlines 1.795. Scomoda, sporca, si mangia male e con un servizio on line ai limiti del truffaldino. Ho provato per due giorni a comperare il biglietto attraverso il sito e ogni volta alla fine del lungo processo mi si diceva che la tariffa era cambiata e dovevo riprovare. Infine ho chiamato il call center e ci sono riuscito, a una tariffa ovviamente più alta di qualche centinaio di euro. Essendo la più grande linea aerea al mondo e la principale in USA le loro aree di imbarco (che smistano tutti i loro passeggeri) sono iper affollate nei vari aereoporti statunitensi. Insomma io sono stato in USA sia con Alitalia che con Emirates e in entrambi io casi mi sono trovato meglio: sia a bordo, sia in fase di imbarco. Poi si può fare anche con Delta, a parità o con minime differenza di prezzo, però, io non la sceglierei mai più. In America ci vanno tutti, da Iberia a Luthansa… C’è scelta.

Auto e guida. Nel dubbio, dovendo attraversare vari stati, ho richiesto la patente internazionale. Ho cercato su internet quanto serviva, l’ho consegnato alla motorizzazione e con poche decine di euro ho fatto tutto. L’auto l’abbiamo presa all’aereoporto di LA con www.rentalcars.com (il noleggiatore da me scelto è stato Thrifty) e riconsegnata a San Francisco senza sovrapprezzo: 17 giorni, 645 euro e circa 300 euro spesi in benzina per percorrere circa 3.500 km. In nessun caso abbiamo sentito la mancanza di un fuoristrada: una normale berlina è andata benissimo anche nella Monument Valley. Io ho affittato una grande berlina (Nissan Altima) per stare comodi, pur essendo noi solo in due. La differenza di prezzo rispetto alle classi inferiori è minima. Guidare in USA è facilissimo. Ricordate tre cose: potete girare a destra anche con il semaforo rosso, se da sinistra non arriva nessuno; agli incroci passa chi arriva primo e poiché non si capisce mai bene chi arriva primo solitamente si fermano tutti e passa l’italiano; se la polizia vi ferma accostate, mani sul volante e non scendete dall’auto.

La Musica. Mi sono detto, “non faccio la solita compilation per i viaggi in macchina e ascolto le radio americane che ce ne saranno a bizzeffe”. Falso. In California ci sono tutte le radio dei Latinos, che però sono di genere diciamo melodico. Negli altri stati pochissima roba. Un giorno solo ho beccato qualcosa di jazz su un canale che scompariva, un po’ di R&B e pochissimo rock tradizionale. Soprattutto poche radio musicali. Almeno dalla mia auto viaggiando.

Pernottamenti. Per 21 notti abbiamo speso 3.138 euro. La voce ha inciso molto poiché abbiamo scelto in alcuni casi di pernottare all’interno dei parchi e in due città (L.A. e S.F) di affittare un appartamento per essere comodi, mangiare in casa a colazione e cena e farci l’idea di cosa sia un minimo di vita di quartiere.

Assicurazione: fatta con www.viaggiaresicuri.com costo 156 euro.

Telefono: procuratevi una sim americana. Fatelo, fatelo, fatelo. E’ vero che i telefoni italiani prendono ovunque, ma è anche vero che se doveste avere piccole emergenze (a noi si è fermata l’auto e dovevamo contattare un call center) la questione si fa problematica e costosa.

Ingresso parchi: suggerisco quello valido un anno per auto e 4 persone che dà accesso a tutti i parchi nazionali. Basta visitarne due e già avete compensato la spesa. Noi per esempio abbiamo visitato Gran Canyon, Death Valley National Park, Sequoia National Park e Bryce Canyon. E poi lo abbiamo ceduto a un amico.

Cartine: comperatele in U.S.A. A qualsiasi distributore un po’ grosso. Soprattutto quella di città come Los Angeles le cui viuzze nelle colline non sono registrate da nessuna delle cartine che ho visto e comperato in Italia. Ma anche quelle dei singoli stati. Io le ho ricomperate tutte e non mi sono pentito. Se non per la spesa.

Prenotazioni: ho prenotato tutto da Milano on line. E lo consiglio per un paio di ragioni. Un viaggio in cui ti sei prefissato di visitare determinate cose, lo fai toccando luoghi di grandissimo interesse turistico e sai a priori le zone in cui andrai a stare. Nei grandi parchi, per esempio, le disponibilità di alloggio sono poche e a marzo è già tutto esaurito. Le distanze possono essere enormi e i luoghi a decine o centinaia di km: non amo passare il tempo a cercare un posto dove trascorrere la sera o il giorno dopo. Trovandomi magari a pagare uno sproposito o a dover percorrere 100 km inutili. Considerate poi che si pensa agli USA come alla terra di wifi e Internet, ma questi non sono sempre così disponibili ovunque. Last but not least… Organizzare il viaggio è stato un divertentissimo viaggio in sè.

Giorno 1 – Los Angeles: santa Monica

Volo andata Milano NY – NY L.A. Arrivati verso le 20.30. Presa automobile e andati alla casa che avevo affittato in Franklin Avenue tramite Airbnb (una figata, se si può dire, pagando €157 al giorno). La zona alla base delle colline di Holliwood è un buon punto per visitare LA: una città che comunque deve essere percorsa in automobile. L’area è anche una buon punto di partenza per andare verso la costa (Venice Beach, Santa Monica e l’orrida Malibu). La prima mattina abbiamo fatto un giro in auto su North Beachwood Drive alla ricerca dell’Holliwood Sign. Turistico? Forse si, ma “l’a zonzo” sulle colline lo consiglio, è come viaggiare sulle stradine dell’entroterra garganico, costeggiate però da ville californiane immerse nel silenzio. Poi abbiamo percorso Sunset Strip e Sunset Boulevard fino al 1260 di North Wetherly Dirive, dov’è la villa in cui Igor e Vera Stravinsky trascorsero gli ultimi decenni della loro vita. Si vede un cazzo, ma immaginare quegli anni, quei luoghi, il rigore di Stravinsky che lavora al suo verticale in una casa da cui è assente ogni odore e ogni rumore. E Charlie Parker sarà andato davvero a suonare a quella porta? L’America per me 46enne che la sta guardando è un frammento di realtà attorno a cui si annoda un universo di immaginazione. Talmente tanta che quando la guardavo, l’America, non ero nemmeno certo che la stessi vedendo.

Restando in zona abbiamo poi passato un’oretta a zig zagare con la Nissan tra le strade di Beverly Hills. Di quella parte compresa tra il Sunset Boulevard a nord, il Santa Monica Boulevard a Sud, Doheny drive a est e il Los Angele Country Club a Ovest. E così ci siamo approssimati a mezzogiorno. Poi giretto nell’inutile Rodeo Drive, quindi abbiamo imboccato l’infinito Santa Monica Boulevard per arrivare a Santa Monica in una mezz’oretta. La cittadina, inondata dal traffico, non presenta nessuna ragione per andarci se non l’enorme spiaggia: larghezza e lunghezza mai viste. Ma anche la sabbia chiara. Non aspettatevi di fare bagni. Avvertenza: in centro parcheggiate nei Public Parking (sono segnalati): sono gratis per la prima ora e mezza e poi costano poco (1$ all’ora). C’è però un limite di un paio d’ore alla sosta. Sulla spiaggia è difficile trovare posti, ma i parcheggi sono moltissimi e quindi spostatevi al prossimo. Fate attenzione, la maggior parte dei parcheggi chiede un prezzo sui 10 dollari per l’intera giornata. Se voi come noi volete restare solo un paio di ore dovete trovarne uno in cui si paga a tempo. Ci sono, cercate fino a che trovate. Tanto siete in vacanza.

Verso le 16 lasciamo Santa Monica, data l’ora decidiamo di soprassedere dal visitare Venice Beach (avremo fatto bene?) e ci avviamo verso quello che è di certo la cosa più bella dei nostri due giorni e mezzo a LA: il Getty Center. Attenzione, tutti i navigatori vi porteranno su una strada sbagliata da cui non potrete accedere al Getty. Ci sono addirittura dei segnali stradali che indicano l’errore dei navigatori, solo che li hanno messi alla fine del percorso sbagliato. Quindi al punto di non ritorno. Pertanto seguite la segnaletica ordinaria. Oppure, semplicemente, mettetivi sulla freeway 405 in direzione Mullholland Drive e a un certo punto c’è l’uscita per il Getty. Noi purtroppo ci siamo arrivati nel tardo pomeriggio, luce meravigliosa, ma un po’ tardi e un po’ stanchi per visitare con calma tutto. Il Getty meriterebbe un pomeriggio intero. L’ingresso è gratis però si pagano $15 per il parcheggio che si trova alla base della collina su cui sorge il complesso. Da lì un un trenino elettrico vi conduce in alto verso la meravigliosa struttura immersa nel verde e con una vista eccezionale su quel conturbante nulla che è il panorama di Los Angeles. Il Getty meriterebbe almeno un intero pomeriggio, quindi un arrivo verso le 14, per poi trascorrervi tutto il tempo necessario. Ovviamente dovete amare l’arte, l’architettura i giardini e anche lo stare seduti a far niente una mezz’oretta mentre osservate il pomeriggio che prende forma. Visto il Getty, torniamo a casa, spesa in un supermercato di Franklin Avenue dove il cibo costa come i ristoranti in Italia e cenetta ascoltando i Doors.

Giorno 2 – Los Angeles: Santa Monica

Io soffro il fuso e alle 5 sono sveglio. Siedo in cucina, guardo fuori dalla retina antizanzara che da sul backyard, bevo Nescafè solubile e con l’ipad ascolto i Doors da Youtube. Sofia coi suoi 13 anni non soffre niente. Mangia e dorme come se fossimo andati a Trezzo d’Adda. Passo allora un paio d’ore nel bell’appartamentino ad aspettare che si svegli, e poi ci muoviamo verso downtown: è domenica, è d e s e r t a. Vistiamo quella meraviglia che è la Walt Disney Concert Hall. Facciamo anche una visita guidata all’interno: cosa che consiglio tantissimo. Riprendiamo l’auto dal parcheggio della Concert Hall e torniamo verso l’inizio del Sunset Boulevard che percorriamo integralmente fino al mare. Da qualche parte in una delle mille case da sogno che costeggiamo ha trascorso i suoi ultimi anni Ella Fitzgerald, al 908 di N.Whittier Dr. Ci penso sempre tanto al fatto che avrei potuto fare mente locale e capire dove fosse esattamente. Per una sostina. Va beh! Sarà per la prossima volta. Sopra Santa Monica, il Sunset Blvd incontra il mare e da lì giriamo a destra verso Malibù. E così scopriamo dove fossero tutti i Los Angelinos che hanno lasciata deserta downtown. Erano lì, in coda. Sconsiglio Malibù: non è un luogo, ma un pezzo di costa affollatissimo e con pochi parcheggi. Per giunta il mare non si vede dalla strada perché è costeggiata da case che saranno anche bellissime, ma probabilmente lo sono viste dall’altra parte. Cioè dall’oceano. Noi che siamo arrivati verso le 15 ai parcheggi non troviamo un solo posto. Mangiamo qualcosa al centro commerciale delle star (un insieme di negozi all’aperto) e ci rifacciamo la coda per tornare a LA attraversando Santa Monica. Un pomeriggio buttato in una giornata che ancora ci riserva un “must see”: la Mullholland Drive di David Lynch. La percorriamo tutta, a un certo punto ci fermiamo e a piedi ci addentriamo in un Recreation Park da cui si vede Los Angeles intera nella luce del tardo pomeriggio. Si vede anche cosa vuol dire essere ricchissimi, possedere ville con terrazze con piscina e ulivi secolari piantati nella ghiaia. Da qualche parte ci indicano una villa che sarebbe stata di AL Capone e poi di Madonna. Ma in quell’atmosfera mitica chi la distingue e soprattutto a chi importa. Facciamo una sosterella davanti a casa di Jack Nicholson e poi torniamo a Franklin Avenue per la cena.

Giorno 3: Los Angeles – Barstow – Amboy – Mojave Preserve – Las Vegas (440 km)

Decido questo percorso invece che la via più breve e diretta per poter vedere le cose sul percorso. A Barstow arrivo rapido per la I15: la città è il niente americano oltre che un enorme snodo merci della ferrovia. Appena fuori imbocchiamo la Historic Route 66. E’ bellissimo fatelo. La percorriamo solo per un’ora, poi le esigenze di tempo ci riportano sulla I40 che corre parallela, ma è più veloce. Procediamo fino a Ludlow e ci avviamo per la deviazione che ci avrebbe permesso di arrivare fino alla train tank town di Amboy tanto per capire cosa sia una…Train Tank Tow (vista una viste tutte recitava un post di trip advisor). La deviazione ha iniziato a farci comprendere cosa sia il nulla, il deserto americano, il caldo fottuto e che cosa si intenda per rettilineo. Facciamo una breve tappa all’Amboy Crater. Sofia è turbata dalla desolazione della natura e dall’aria rovente: dati i 45 gradi mangiamo in auto. Passiamo anche accanto a quello che è stato il set di Baghdad Cafè. Amboy è una stazione di servizio, un motel e niente altro. Dovendo riprogrammare il viaggio io a questo punto avrei previsto un pernottamento, sia per arrivare più freschi a Las Vegas (meta della giornata) sia per provare l’emozione di passare la notte in quel niente. Ma anche per avere un po’ più di tempo a fare su e giù per l’Historic Route 66 e per farsi infiammare dal clima dei dintorni. Comunque procediamo ancora per pochi chilometri e poi svoltiamo a sinistra per attraversare e vedere la Mojave Preserve al termine della quale riprendiamo la I15 verso Las Vegas. Arriviamo al magnifico VDARA Hotel che non posso che consigliare. E’ un 5 stelle nuovissimo, ma non ha un proprio Casinò e non è direttamente sullo Strip questo significa che per 133 dollari ci danno una camera/ suite bellissima, comodissima, non facciamo un minuto di coda per parcheggio, check in/check out e comunque siamo a pochi metri dallo strip oltre che collegati direttamente al magnifico Bellagio da un Tunnel di poche decine di metri. Las Vegas è un luogo per il popolo: il gioco d’azzardo è ormai un’attrazione, ma non la ragione di quelle orde di visitatori. Purtroppo siamo troppo stanchi per godercela, facciamo un giro di un paio di ore, guardiamo alcuni Grandi Alberghi e Casinò (questo si fa a LV) poi mangiamo un costoso, ma ottimo hamburger al bar del Vdara e andiamo a letto. Torneremo in città sulla via del ritorno: ci ripromettiamo di essere più riposati e guardarci intorno ancora un po’. Per esempio lo spettacolo acquatico che fanno al Bellagio ogni sera a intervalli regolari. Per chi non ha interessi di studio (o antropologici), la città non merita più di un pomeriggio e una serata. Volendo potete fermarvi una giornata intera (sera – giorno – sera e ripartenza): Las Vegas è una ottima città tappa e soprattutto è incredibilmente a buon mercato pernottarvi, quindi si presta per essere una tappa riposo. Gli spettacolari spettacoli ci sono. Ma i biglietti sono costosissimi: ben oltre i 100 dollari per vedere Copperfield, Cirque du Soleil etc. Ma è già talmente eccentrico il tutto che un curioso ha abbastanza da vedere. Ci sarebbe piaciuto pernottare al Bellagio, che abbiamo brevemente valutato per il ritorno, ma nell’economia di un viaggio già costoso si fanno scelte e quindi per il ritorno abbiamo confermato il Luxor: antesignano di ogni stranezza, aperto nel 1991 e nel frattempo molto consumato.

Giorno 4: Las Vegas – Grand Canyon (446 km)

Nel nostro viaggio abbiamo scelto di visitare il Southern RIM: più turistico, ma anche più godibile. Nel Grand Canyon troverete molta gente, ma il posto è davvero grande e poiché tutti fanno le stesse due cose, spesso in giornata, fate qualcosa di meno standard (cioè andate oltre Mother Point, percorrete a piedi o in bicicletta il tratto fino a Hermits Rest, fate una piccola discesa nel Canyon) e sarete in tranquillità. Suggerisco di arrivare il pomeriggio sera e stare una giornata intera come abbiamo fatto noi. Si riesce a farsi un’idea compiuta, pur non facendo cose particolari (tipo lunghe escursioni, pernottamenti sul fondo, cose avventurose sul Colorado River). C’è inoltre un comodissimo servizio gratuito di Pullman che porta nei singoli posti. La sensazione però è che un giorno e mezzo siano stati abbastanza da far maturare un ricordo radicato e sensibile.

Torniamo però alla giornata: a riprova del fatto che il viaggio di ieri avrebbe meritato 2 giorni per le cose che conteneva, più che per la distanza, sta che questa seconda traversata in cui ho percorso gli stessi km è passata senza avere la medesima intensità. Paesaggi anche interessanti, soprattutto nel Nevada, ma di una bellezza resistibile. Dopo una sosta al supermercato di Williamsburg (se volete fare un po’ di scorte fatelo lì), nel primo pomeriggio entriamo nel parco nazionale del Grand Canyon. All’ingresso acquistiamo la card per l’accesso a tutti i parchi nazionali valida un anno, poi prendiamo possesso della camera al Yavapai Lodge dove trascorreremo due notti a circa $160 a notte. Ci siamo trovati bene perché il Yavapai è meno incasinato degli altri lodge: a mio avviso più vicini alle aree dove arrivano le orde di turisti che vanno e vengono in giornata in pullman o con lo spaventoso trenino. Il Yavapai inoltre è relativamente a buon mercato, con stanze grandi e vicino all’area dei servizi (ristorante, super mercatino ecc.). Verso le 16, sotto un cielo che assicura l’arrivo di un temporale ci avviamo verso il parcheggio del Visitor Center da cui partono anche gli shuttle gratuitie da lì a piedi arriviamo a Mother Point: il principale e più spettacolare punto di affaccio sul Grand Canyon. Non ho mai provato un’emozione così intensa alla vista di un paesaggio: il Grand Canyon è grandiosità pura, impossibile da descrivere, impossibile da restituire in una fotografia, impossibile da contenere in un pensiero dell’immaginazione o in un ricordo. Passeggiamo verso Yavapai Observation Point, ma dopo una mezz’ora il temporale ci impedisce di proseguire. Ci ripariamo e poi torniamo al lodge. Cena al ristorante, nemmeno carissimo (sui 20$/25$ a testa). Ovviamente tenete a mente che vi state nutrendo, non state mangiando. Ma cosa importa, siete a pochi metri da uno dei confini della realtà.

Giorno 5: Grand Canyon

Oggi faremo sostanzialmente tre cose, ma molto importanti per conquistare il Canyon: un’escursione all’interno del Canyon da South Kalibab Trail Head a Cedar Ridge. Il percorso in Bici dal Visitor Center a Hermits Rest e ritorno. Una passeggiata al tramonto nell’area di Mother Point.

L’escursione. Sveglia alle 5.30. Nei giorni d’estate le temperature all’interno del Canyon salgono moltissimo. Scendere è sempre facile, ma considerate che dovrete risalire a una diversa ora e percorrendo sentieri molto ripidi. I ranger e la segnaletica sono pieni di avvertenze a tratti esagerate. Il nostro giretto, per esempio, pur essendo una vera discesa nel Canyon, può farlo qualunque persona in normali condizioni di peso e salute, anche se priva di allenamento (vedi me). Abbiamo preso l’Hikers Shuttle (pullman della mattina presto) alle 06.10 dal Visitor’s Cenbter verso Kalibab Trail Head. Iniziato discesa alle 06.30 e arrivati a destinazione alle 07.30. Ci siamo fermati una mezz’ora abbondante a Cedar Ridge e poi in un’oretta (tosta) siamo risaliti. Alle 09.15 eravamo su. E’ stato bellissimo, entrare dentro offre prospettive diverse, si conquistano lentamente i paesaggi. Ad avere tempo suggerirei di farne di più di queste escursioni, segliendo tra quelle accessibili data la stagione. Se dovessi tornare, dedicherò più tempo alla visita e mi sono ripromesso di scendere a piedi sul fondo del Canyon e pernottare nell’unico lodge che c’è. Credo debba essere un’esperienza unica.

La Bici. Affittata in prossimità del Visitor Center. Costa un botto (trovate tutte le info on line) ma vale la pena: è quello che permette più di ogni altra cosa di vedere la varietà del Canyon senza entrarvi dentro, perché ne percorrete lentamente il bordo per un lungo tratto. Abbiamo percorso i circa 30 km tra andata e ritorno fino a Hermits Rest. Si segue una strada asfaltata, ampia e chiusa al traffico, dove passano solo gli shuttle e in pratica si costeggia la fiancata del canyon potendosi fermare ai numerosi punti di affaccio. Noi tra andare, guardare e tornare siamo stati in giro circa 5 ore. Come prima: loro danno un sacco di avvertenze sulla difficoltà, io penso che ce la possa fare chiunque facendo un minimo di fatica.

Mother Point al tramonto. Overcrowded, ma imperdibile. Fate qualche centinaio di metri verso l’observation point e sarete già molto più soli.

Giorno 6: Dal Grand Canyon alla Monument Valley (287 km)

Il percorso ci offre l’occasione di vedere l’ultimo tratto di Grand Canyon visitabile dai suoi bordi: quello sui ci si affaccia dalla strada che conduce a Desert View e conduce fuori dal parco nazionale. E’ sostanzialmente una strada da percorrere in auto, dove ci si può fermare in apposite piazzole e affacciarsi. A mezz’ora di auto dal Visitor Center arriviamo alla torre dalla quale si gode della solita vista spettacolare e mozzafiato sul Canyon. A chi avesse tempo di farci un salto nel pomeriggio lo consiglierei, al mattino hai il sole contrario e l’aria estiva è densa e confonde colori e panorami.

Arrivati alla Monument Valley: riserva Navajo, ingresso a pagamento. Le avvisaglie sono intuizioni dello sguardo importanti, ma quando ci sei davvero sai che ci sei. Prima del viaggio, nella cinematografia di preparazione, con Sofia abbiamo visto Forrest Gump. E ora eccoci qui di persona, sul rettilineo a perdita d’occhio che ha come sfondo quel paesaggio semplice e maestoso in cui Forrest cessa la sua corsa. E tutto il John Wayne che guardavo sulla ZDF da bambino? E’ lì anche quello. A partire da Ombre Rosse, (John Ford, 1939)… Che te lo dico a fare. Ma veniamo al pratico. La Monument Valley si percorre tranquillamente da soli con la propria auto, anche una normale berlina. I Navajo a cui chiederete cercheranno di convincervi che sono indispensabili i tour costosissimi sui loro fuoristrada. Non è vero. E se voi siete lì con un fuoristrada loro vorranno convincervi, sempre che glielo chiediate, che il loro 4×4 va bene e il vostro no. Anche questo, ovviamente, non è vero. Il giro che si compie in due/tre ore comprese lunghe soste che vorrete fare per fotografare e respirare l’aura del luogo è sostanzialmente un percorso circolare. Suggerisco di farlo nel pomeriggio. Pernottamento: noi abbiamo preso una camera presso The View, l’unico albergo della Monument Valley. Una meraviglia dell’architettura: perfettamente inserito nel paesaggio (visto a distanza è indistinguibile dalla terra e dalle rocce), tutte le camere hanno un terrazzino che si affaccia sulla Valley. Se stare in un posto simile, dormire in una camera con questa vista e vedere il sole tramontare e sorgere in quel paesaggio per voi ha senso, allora spenderete $262 per camera (buona per 4 persone) con prima colazione (il tutto prenotato dall’Italia con largo anticipo, perché le richieste sono moltissime). Ci sono varie camere con prezzi che cambiano: in realtà non sono le camere a essere diverse, ma la loro posizione. La vista però è la stessa per tutte, affacciate sulla valley, sia che siate al terzo piano oppure al primo: l’albergo infatti è una struttura lineare a tre piani. Quindi fate come me: individuate quella che costa meno (più vicina a hall e ristorante) e prendete quella che sta al gradino di prezzo successivo. E’ indispensabile pernottare a The View? Mettiamola così: la Monument Valley e The View hanno i tratti dell’unicità e io non mi sono pentito della spesa. E’ però un paesaggio semplice, nella sua monumentalità, da godere facendo il giro e fermandosi un po’ a guardarlo. The View ha ampi terrazzamenti dove si può sostare anche senza essere ospiti dell’albergo. Quindi nulla impedisce di stare lì fino a dopo il tramonto e poi uscire dalla Death Valley a sera. Aspettatevi però di percorrere almeno un’ora in auto per raggiungere qualsiasi luogo. Noi abbiamo cenato presso il ristorante di The View: come sempre ti nutri, non stai mangiando. Prezzo sui 50 dollari in due, cibo non proibitivo, Navajo impacciati. Il tutto mi ricorda un po’ il mio paese di origine in provincia di Foggia che quando arrivano i turisti mandano in tilt la logistica delle pizzerie al trancio. E dopo tanti anni ti chiedi perché non abbiano cominciato a organizzarsi. Immagino non sia semplice e continuo ad andarci. Memore di questo non sono stato a chiedermi perché in altissima stagione al ristorante di The View avessero finito la birra la settimana prima.

Giorno 7: Monument Valley – Antelope Canyon – Horseshoe Bent – Page (Arizona) (228 km)

Arriviamo ad Antelope in comodissime due ore e mezza. I due Canyon: Upper Antelope Canyon e Lower Antelope Canyon sono ai due lati della medesima strada che è la 98. Seguo i consigli letti su Trip Advisor e arrivo in maniera da visitare Upper Antelope verso le 12. L’ora è importante perché con il sole allo zenith ci sono particolari giochi di luce, vederlo in ombra avrebbe molto meno senso. Quindi arriviamo per le 11 circa. 10$ servono a entrare nella riserva: sostanzialmente il gabbiotto dove si paga, 20 metri di strada e il parcheggio. Il Canyon può essere visitato solo accompagnati dai Navajo che per 40$ a persona lo raggiungono con Pick Up fuori strada su cui caricano una decina di turisti per poi percorrere il paio di km sterrati che separano dal Canyon. I Pick Up partono in gruppo a orari prestabiliti e il vostro autista sarà anche la vostra guida: non che ce ne sia bisogno, ma è d’obbligo. L’Upper Canyon è quello più famoso e l’affollamento al suo interno è pari a quello della Rinascente sotto Natale. Il Canyon in sé è eccezionalmente bello, ma il costo assurdo, l’affollamento davvero esagerato e la fretta con cui devi fare tutto impediscono di goderne.

Tornati al parcheggio e intenzionati a spostarci verso il Lower Antelope Canyon, che tutti danno per più godibile, meno caro (20$ l’ingresso) benché meno spettacolare, troviamo la sorpresa: batteria a terra e macchina ferma. Bloccati per tre ore in quello spiazzo sotto il solleone vediamo arrivare e ripartire le ondate di persone che ogni ora vanno al Canyon. Nei lunghi momenti in cui siamo soli e senza alcuna evidente ragione per essere lì, i due Navajo alla cassa assistono alle mie telefonate concitate, ma si guardano bene dall’occuparsi di due stranieri che pur non avendo alcuna ragione al mondo di restare in quello spiazzo, non decidono di muoversi. Diciamo che i Navajo sono gente che si fa i fatti suoi! A un certo punto del tardo pomeriggio arriva un tizio, mandato dal call center del rent a car, che fa ripartire l’auto, ma noi di andare al Lower Antelope non ne volevamo più sapere. Ci avviamo verso la cittadina di Page, sosta da Walmart (il più bello che abbia trovato nel corso del viaggio) e poi facciamo un salto a Horseshoe Bent. Bellissimo e interessantissimo, ma visto nel tardo pomeriggio, il sole basso e contrario impedisce di godere della vista. A tratti di vedere. E da lì andiamo a dormire. Nella distanza intravediamo Lake Powell. Pernottiamo all’High Desert Lodge dopo Page. Kitch, isolato lungo una strada diritta, decente e a buon mercato. Il ristorante, dove non ho osato chiedere il menu, è una roulotte a lato della costruzione a L del motel. I tavoli sono un paio di tavoli di plastica distribuiti davanti alla roulotte. Nemmeno questo “ristorante” ha la birra. Noi comunque mangiamo in camera. Il tutto è un’esperienza americanissima, a 110 dollari, e potrebbe essere emerso da Dallas Buyers Club. Ma pernottare a più caro prezzo a Page sarebbe stato un vero buttare soldi.

Giorno 8: da fuori Page a Bryce Canyon (220 km)

Poco più di due ore di comoda automobile. E temperatura scesa a 20 gradi (contro i 32 del giorno prima). Quello che avevo capito di Bryce Canyon leggendo la Lonely Planet era sbagliato. In generale la Lonely generalista, che si occupa di ampie porzioni di America, è troppo approssimativa e lo è in modo particolare coi parchi. Trip Advisor, se riesci a farti strada nella marea di post oziosi è un compendio molto più ricco di chiavi di lettura, percorsi e informazioni utili al viaggio in America. Io ho trovato utili le indicazioni di quelli che Tripadvisor considera esperti delle varie zone. Tornando a Bryce, a mio avviso si può dividere idealmente in due: il suo cuore, che è il Bryce Amphitheatre e il resto. E’ corretto parcheggiare presso il Visitor Center e a andare con la navetta gratis fino a Bryce Point e poi tornare indietro a piedi. E’ una camminata semplicissima di due ore massimo e si passeggia in piano affacciandosi sull’orlo dell Amphitheatre. Avendo tempo suggerirei l’esperienza più interessante e cioè scendere all’interno del Canyon (Amphitheatre) entrando a Sunrise o Sunset Point. E’ un giro un pò più impegnativo, di circa tre ore, ma ci si gode davvero l’eccezionalità del luogo. Noi non lo abbiamo fatto perché minacciava un forte temporale e anche perché essendo arrivati a inizio pomeriggio nel parco nazionale, dovendo ripartire il mattino seguente, non ne avevamo il tempo. La seconda cosa che abbiamo fatto, dopo il giro sul brodo dell’Amphitheatre, è stato quello che descrive la guida: andati in auto fino a Rainbow Point e da lì siamo tornati fermandoci sugli affacci delle piazzole. Un percorso molto automobilistico e con poco valore aggiunto. Pernottamento: Bryce Canyon Lodge. Molto bello, quasi lussuoso. Un’area spaccio/negozietti sufficientemente grande, ma in stile. Un ristorante molto costoso. Le camere sono in casette a forma di capanna. Noi abbiamo comperato il cibo e mangiato in camera§: che era molto ampia con due letti matrimoniali, un grande tavolo, sedie e caminetto elettrico. Costoso, 237 dollari la stanza. Nel caso di Bryce si sarebbe potuto rinunciare a un po’ di charme e dormire fuori. Infatti, a differenza del Grand Canyon, il parco è più piccolo, il visitor center appena dopo l’ingresso permette di lasciare subito l’auto e da li si possono fare le escursioni prendendo la navetta gratuita e percorrendo a piedi ciò che si vuole. Dovessi tornare arriverei nel primo pomeriggio, farei il giro dell’Amphitheatre e il Bristlecone Loop Trial e il secondo giorno farei i giri all’interno.

Giorno 9: da Bryce Canyon a Las Vegas (420 km)

Giorno dedicato alla traversata per giungere, domani, al Sequoia National Park. Viaggio indolore, fatto in circa 5 ore. A LV pernottiamo al Luxor, molto grande, cheap e un po’ malandato. O meglio, un po’ consumato. Camera enorme e comoda e fascino kitch-vintage. Era la soluzione più economica tra i grandi alberghi. E’ Vicino allo strip, ci si porta avanti di un paio di alberghi con i trenini leggeri e gratuiti e da lì si passeggia a piedi. Abbiamo cenato al buffet del Bellagio: mezz’ora di coda, 43 dollari a persona, possibilità di mangiare ogni cosa. Dal manzo Kobe al sushi, dal tacchino alla pasta. Quindi un buffet certamente di buon livello. Ovvio che se mangiate nei buoni ristoranti italiani non ci sarà nulla che vi stupirà in termini di qualità, ma comunque è un’esperienza di cui non mi pento. Non è a buon mercato, soprattutto se si è come me e cioè uno che più di tanto non mangia. Le uniche bevande comprese sono le Soda e l’acqua. Già una birra deve essere pagata a parte. Atmosfera? Zero! Ma va beh!

Giorno 10 – 20 luglio: da Las Vegas a Death Valley (176 km)

Abbiamo percorso la distanza da Vegas in meno di due ore. Nella DV vale il Pass Annuale per i parchi che abbiamo comperato nel Grand Canyon. Arrivati a Death Valley Junction abbiamo preso la 190 e siamo entrati nel parco nazionale. La prima tappa è stata Dante’s View, ma pioveva e non si vedeva moltissimo. Mi sono ripromesso di tornarci il giorno dopo. Comunque lo spettacolo benché intravisto tra la nebbia e le nuvole è stranamente spettacolare. Scendiamo a Zabrinskie Point (ZP)… Va beh! Devo dirvi altro? Intanto la temperatura in 20 minuti, scendendo da Dante’s View è salita da 19 a 30 gradi. Poi abbiamo proseguito verso il Death Valley Visitors Center e lì i gradi sono arrivati a essere 36. Suggerisco di prendere lì le cartine: sono gratis (o costano poco) e sono molto dettagliate sui punti di interesse della valle. In realtà un’area molto semplice e semplicissima da girare, ma una cartina concentrata aiuta ad appropriarsene. Dal Visitor Center siamo tornati indietro e appena dopo ZP mi sono immesso nel 20 Mule Canyon: uno sterrato che con qualche palpitazione è percorribile anche con la Nissan Altima. Palpitazione più che altro dovuta al timore che la macchina si potesse fermare, più che al terreno. Questa strada in pratica percorre da dentro quegli agglomerati rocciosi che si vedono da ZP. Poi abbiamo proseguito verso il Motel. Abbiamo scelto di pernottare in Nevada, appena dopo il confine con la California, a circa 25 miglia dall’ingresso della Death Valley. Presso il Long Street Inn & Casino. Forse il più assurdo dei luoghi in cui abbiamo pernottato. Non tanto per le camere, non tanto per il negozietto che pareva di essere nella Deutche Demokratishe Republik degli anni 70, non tanto per la sala casinò vuota con i fantocci di cowboy sugli sgabelli, non tanto per quell’aria da bordello riadattato, non tanto per il lago artificiale, non tanto per i gruppi famigliari che ci abbiamo incontrati, non tanto per la strada da un centinaio di chilometri tutti diritti che ci passa davanti, non tanto per il rottame di auto della polizia nell’infinito spiazzo antistante. Il Long Street Inn and Casino mi è sembrato assurdo perché trovo singolare che esista un luogo simile e che qualcuno lo possa chiamare “realtà”. Dovendo tornarci pernotterei nel pulciosissimo Amargosa Opera House and Hotel, non solo perché più vicino all’ingresso della Death Valley, ma anche perché tutto sommato più consono. Il Long Street Inn per esempio ha la piscina, ma abbiamo dovuto tirarci fuori sedie e varie altre cose prima che Sofia (che non resiste a nessuna forma di acqua) potesse farci il bagno. Inoltre una quindicina di miglia in meno da percorrere la mattina alle 5, quando vai a vedere l’alba a Zabrisnkie P., fanno la differenza.

Giorno 11 – 21 luglio: Visitare la Death Valley

Premessa: la valle della morte può segnare. Io ne sono stato segnato e questo è il giorno dei turbamenti. Per quanto riguarda Sofia mi saprà dire, ma a occhio e croce l’ha digerita come fosse pianura padana. Vi racconterò il nostro giro e alla fine qualche commento per ottimizzarlo: alcune cose non le rifarei. Nel complesso molti chilometri, pochissime persone, un certo numero di meraviglie e altrettante stranezze. Sveglia alle 0515 per andare a raggiungere l’alba a Zabrinskie Point. Ci arriviamo alle 06.30 e forse è già un po’ tardi. L’atmosfera è magica comunque. Dopo avervi trascorso un’oretta scendiamo per la colazione al Ranch di Furnace Creek. Merita assolutamente. E’ un bel posto, la colazione è buona anche se costosa. Ovviamente nei 20 dollari a testa circa metteteci il mondo. Proseguiamo per Golden Canyon e ci addentriamo un po’ a piedi. sono le 0830 e la temperatura è già molto alta, sui 25/28 gradi. Una costante della DV sono i cartelli che minacciano pericolo di morte per eccesso di caldo. A mio avviso un po’ esagerati, anche se qualcuno ci è morto davvero per eccesso di caldo. Sarebbe morto comunque? Bella domanda. Proseguiamo per Artist’s Drive: molto bello, ma al mattino non si vede nulla a causa dl sole alto e contrario. E’ indispensabile andarci nel tardo pomeriggio per vedere i colori sulle rocce (Palette). Proseguito per Devil’s Golf Course. Visione bellissima, pareva un campo arato, ma le zolle pietrificate erano solidissime e ricoperte di sale. Poi Badwater, doppiamente spettacolare: una lingua di sale larga un centinaio di metri e lunga sei o settecento che si estende nel deserto. Il bacino di badate è a circa 100 metri sotto il livello del mare, il caldo è potente. Poi siamo tornati al Ranch per bere qualcosa, quindi siamo ripartiti e abbiamo costeggiato Devil’s Corn Field. Poco dopo Sofia si è addormentata e mi ha lanciato nell’inquitudine per ore. Sulla strada nessuno. Ho cercato l’accesso al Mosaic Canyon senza trovarlo, stupidamente, poi ho scoperto che sarebbe stato semplice. Ho proseguito lungo quella strada, superato Stove Pipe Wells ho girato l’auto, raggiunto l’incrocio con la Scott’y Castle Road e seguendo l’inesperto consiglio della Ranger del Visitor Center ho percorso le circa 50 miglia verso Ubehebe Crater. Il sonno di Sofia mentre attraversavamo quel nulla a 46 gradi mi faceva sentire tutta la fragilità della vita. In realtà non si corre alcun pericolo effettivo, per giunta avevo in auto almeno 20 bottigliette d’acqua da mezzo litro, le comperavamo a casse nei supermercati. E’ tutto quel calore e quella solitudine: cellulari senza campo, abbiamo incrociato forse due macchine in quell’esplorazione verso nord. Mettiamoci anche qualche puntata di Criminal Minds di troppo. Il paesaggio non era per nulla interessante e anche il Crater non meritava le ore di auto aggiuntive. Sarebbe stato molto meglio restare nella parte bassa della Valley, andare a Dante’s View e rivedere Artist’s Drive al tramonto. Tant’è. Dal Crater siamo ridiscesi, svoltato verso la 374, entrati in Nevada e visitata l’inutile Ghost Town di Rhyolte. Un nulla fatto di quattro baracche. Se volete vedere una vera Ghost Town andate in provincia di Foggia, al lido di Torre Mileto in qualsiasi mese che non siano luglio e agosto. Poi ho preso la strada 95 e siamo rientrati al Motel. In quest’ultima parte ho incontrato i rettilinei più americani di tutto il viaggio. Nel complesso in quel giorno ho percorso troppi km. Troppi turbamenti. Troppe inquietudini. Qualcosa me la porto ancora dietro. Compresa la seratina al ristorante del Long Street Inn, dove io e Sofia ci siamo avventurati nell’antipasto di Tacos ricoperti di formaggio fuso.

Giorno 12 – 22 luglio: Death Valley a Badger (Sequoia National Park) (610 km)

E’ il giorno della grande traversata: necessaria per visitare un luogo imperdibile, “preistorico” a detta della nostra amica Katia che non smetterò di ringraziare per il suggerimento. Lasciamo il Long Street Inn, entriamo nella DV, ultima occhiatina a Zabrinskie Point, io penso per l’ultima volta ad alcuni passaggi del film di Antonioni che non sto a ripetere, facciamo colazione al Ranch di ieri (scoprendo che la mancia era già inclusa nello scontrino) e poi via verso la 190 fino a incrociare la 395. Il paesaggio fuori dalla DV è montano e poco interessante, scelgo di non salire fino a Lone Pine, il punto più alto d’America fuori dall’Alaska, per non allungare ulteriormente. Ho seguito la 395 fino alla 178 (non essendo riuscito a trovare la 541 per svoltare in direzione della costa), da lì ho svoltato verso Johnsondale e verso nord. Il tratto fino a Springville è un paesaggio montano sfigato (non sono un amante del genere), ma soprattutto non c’è stato un tratto in cui tenere la macchina diritta per più di 100 metri, una curva dietro l’altra. Da Springville ho preso la 65 verso Visalia. Qui il paesaggio cambia completamente e nell’aria un sentore di mediterraneo. Sarà stato il pomeriggio, il venire meno dell’oppressione del deserto e della crudeltà del suo sole, l’agricoltura sterminata. Ecco, questa è stata una visione impressionante: l’ordine e l’estensione infinita di frutteti e uliveti. Un’agricoltura organizzata e palesemente scientifica. La distanza minima tra le piante, la successione delle file, gli spazi per i passaggi. E’ questa la California che nutre l’America. Anche se al Walmart di Visalia l’unica frutta e verdura vagamente decente che abbiamo trovato era quella surgelata. Evidentemente quell’agricoltura alimenta l’industria anche se mi pare strano che non ci siano cascami nel commercio al dettaglio locale. Non per citare sempre la provincia di Foggia, ma da noi i pomodori – per esempio – oltre a spedirli verso le industrie, li vendono per strada a due lire. E così tutto il resto che viene allevato e coltivato. Qui no. E quando trovi i negozi con prodottini locali costano un botto. Da Visalia a Badger seguendo il navigatore abbiamo attraversato una strada di campagna bellissima, che verso il tramonto mi ricordava Skopelos, la Grecia. Abbiamo pernottato al Sequoia Resort a circa tre quarti d’ora dal Sequoia National Park. Bellissimi cottage immersi nel bosco e nella natura per 190 euro a notte. Cenetta in terrazza alla luce romantica di una lampadina. La casa molto poco pulita per tutti quei soldi e visto che nel corso della giornata ci apprestavamo a stare in giro tutto il tempo, sarebbe stato decisamente meglio spendere meno. Nella zona di Three Rivers ci sono vari Motel, certo in un ambiente meno suggestivo, ma che costano la metà.

Giorno 13 – 23 luglio: Visita King’s Canyon National Park e Sequoia National Park

Premessa: dopo il Grand Canyon, il Sequoia National Park è stato il luogo più bello che abbiamo visitato nel corso del viaggio. Accessibile con il solito permesso valido un anno, abbiamo dedicato alla zona un solo giorno, ma ne sarebbero occorsi due. Di più no. A chi però avesse un solo giorno a disposizione direi che il tempo è scarso, ma sufficiente. Suggerirei però di saltare il King’s Canyon dove vedrete cose interessanti (cioè grandissimi alberi, le sequoie appunto), ma analoghe, meno stupefacenti e in quantità inferiori rispetto a quelle che potete vedere al Sequoia National Park. I due parchi sono lungo una medesima strada, a nord il King’s e verso sud il Sequoia. Suggerisco un tour guidato coi ranger, noi non l’abbiamo fatto perché non siamo riusciti a combinare tempi ed orari, ma abbiamo origliato un po’ in un paio di occasioni.

Al mattino raggiungiamo il visitor’s center del King’s, comperiamo qualche cartina che indichi i percorsi a piedi ed entro le 12.30 seguiamo il General Grant Tree Trial e il North Grove Trial. Molto semplici da percorrere. Abbastanza inutile il secondo, nel senso che se sei a circa 9.000 km da casa tua, a circa 30 km da una foresta che comprende i più grandi alberi millenari del mondo, forse è inutile passeggiare in un bosco che ne contiene solo di molto grandi. Tutto qua.

Verso le 13 ci muoviamo in auto e in circa un’ora arriviamo in prossimità del Sequoia National Park Visitor’s Center. Il posto ovviamente è molto frequentato, ma basterà percorrere a piedi qualcuno dei trial (percorsi a piedi) per ritrovarsi quasi subito da soli. La gente tende a concentrarsi intorno a poche cose. Questa parte ospita i trial più belli, pur essendo semplici, con gli alberi più maestosi e i gruppi di alberi più incredibilmente alti e grossi. In una parola “visioni preistoriche”. Tra l’altro le sequoie tendono a crescere in prossimità di altre Sequoie e qui questo è evidente. Noi abbiamo percorso il General Sherman Trial e l’eccezionale Congress Trial che da lì parte: questi due percorsi sono il cuore della Giant Forest. General Sherman è l’albero più grande del mondo. Anche se mi chiedo se li abbiano misurati tutti gli alberi del mondo. La combinazione dei due giri ha occupato l’intero pomeriggio (circa 3 ore). E’ stato bello percorrere i sentieri dopo le 15.30 per il maggior calore della luce pomeridiana, ma anche per la maggiore inclinazione del sole che invece che le ombre nette della luce a picco, rendeva più tridimensionali gli alberi provenendo da un angolazione ridotta.

Dovendo tornare e certamente lo farei, magari in autunno o inverno, con la neve, limiterei la visita alla Giant Forest, rifarei questi due trial e ci aggiungerei qualcuno dei percorsi a essi collegati e che non abbiamo avuto modo di fare. Tra questi il Sequoia Trial: menzionato dalla Lonely Planet e lungo circa 9 km che però sul posto ho scoperto solo andando via. Questa era la descrizione: “This moderate 6 miles (9,7 km) loop splits from the Congress Trial at the Senate Group and rejoins it at the Chief Sequoia Tree. Destinations include Circle Crescent and Log Meadows, the Chimney Tree and Tharp’s Log. Bring trail Map’s, junctions along this trial can be confusing.” Mi pare bellissimo…

Giorno 14 – 24 luglio: da Badger a Morro Bay (273 km)

Con oggi comincia la discesa verso la costa della California che ci porterà a risalire verso Big Sur e a concludere la vacanza a San Francisco. Questa costa Californiana sono contento di averla vista, ma l’ho trovata troppo costruita, troppo popolata, troppo percorsa. E per chi amasse i bagni a mare anche troppo fredda. Suggestiva più per le evocazioni, Henry Miller, Edward Weston, Kerouak, che per la bellezza dei luoghi. Luoghi a tratti bellissimi, intendiamoci, ma certo non più belli di altri paesaggi costieri in Europa e in cambio molto meno godibili. Insomma non sono stato rapito.

Partiamo da Badger verso Visalia, riattraversando quei frutteti infiniti e disciplinati. Poi prendiamo la 41 e la percorriamo fino a San Luis Obispo dove però non ci fermiamo. La 41 è una bella strada. A tratti pare un’infinita strada di campagna, stretta e quasi deserta, che solca i campi sui cui ondeggiamenti pare appoggiata. Le strade americane mi hanno stupito, così vecchie anche loro e così diverse dagli autostradoni manutenuti di certi Paesi europei come per esempio della Germania o della Svizzera. L’America è davvero un luogo emblematico della modernità, ora che la modernità è passata. Comunque nel pomeriggio arriviamo a Los Osos Oaks State Reserve per poi visitare con un giretto a piedi di un’oretta e mezzo il Montana de Oro State Park. Da vedere davvero nulla di particolare: saltatelo pure. Dentro di noi però la prepotente necessità di recuperare la normalità. Credo fosse ancora l’onda lunga dell’inquietudine da Death Valley, seguita forse da quell’altra cosa straordinaria che sono state le Sequoie giganti con il risultato di avere nella memoria a breve una varietà superiore a quella che riuscivamo a contenere nelle sensazioni. Trascorriamo la sera in un deprecabile motel (Holland Inn & Suites) di Morro Bay, un’altrettanto deprecabile cittadina fatta di casette lungo vie ortogonali stretta tra una via trafficata e un oceano inutile.

Giorno 15 – 25 luglio: Morro Bay – BIG Sur Monterey (204 km)

E’ la prima delle due giornate dedicate a Big Sur e ho deciso di esplorarla percorrendo la HW1 nel tratto fino a Pfeiffer Beach il primo giorno, quindi di proseguire fino a Monterey, dove avremmo pernottato le due notti successive, e di visitare la parte alta il giorno seguente, scendendo da Monterey sempre lungo la mitica HW1.

Visitata la Elephant Seal View: un bord de mer da cui si osserva una colonia di elefanti marini. Successivamente visita a Sand Dollar Beach, spiaggione di facile accesso. C’è un grande parcheggio della Spiaggia, ma volendo si può parcheggiare anche a bordo strada. Sosta, successivamente, al Julia Pfeiffer Burns State Park: un posto piccolo, senza accesso al mare, molto affascinante e con vista spettacolare su una spiaggia. Si chiama parco perché è un’area chiusa, ma in sostanza era il posto in cui sorgeva la casa di una facoltosa coppia di mecenati, ricchi amanti del luogo, che vissero in quel punto e la cui casa per loro stesso volere è stata abbattuta dopo la loro morte. Il parcheggio, molto busy, costa 10 dollari che io ho pagato. Anche qui è tecnicamente possibile parcheggiare sulla strada e raggiungere facilmente il posto. Poi abbiamo visitato la Henry Miller Library: un clichè talmente anacronistico da risultare interessante. E’ la casa in cui trascorse i suoi ultimi anni Henry Miller. Ma immagino che nonostante siano passati non moltissimi anni, quella fosse un’altra epoca, un’altra vita e un’altra California. Successivamente visita a Pfeiffer Beach: spiaggia spettacolare a circa due miglia dalla strada. Parcheggio sempre pieno, ma noi siamo arrivati verso sera e abbiamo trovato posto. Costo 10 $, spiaggia meravigliosa e spazzata dal vento. Cosa per Sofia insostenibile e quindi dopo 15 minuti ce ne siamo andati per raggiungere Monterey dove abbiamo pernottato nel decentissimo Econo Lodge Bay Breeze. Sulla via dei ritorno abbiamo attraversato il famoso Bixby Creek Bridge.

Considerazioni? La sensazione di un qualcosa che è stato meravigliosamente esclusivo, diventato troppo popolare, nel senso di famoso, accessibile e quindi frequentato. Sarebbe stato bello trascorrere ore nelle due spiagge: la Sand Dollar e la Pfeiffer Beach. A noi sarebbe servito più tempo e comunque il gusto dell’andare in spiaggia lì è una cosa diversa. Credo che nella California del nord si vada in spiaggia più con lo spirito con cui ci si va in Olanda, che con quello dei frequentatori del mediterraneo. Probabilmente trascorrere tre giorni a Big Sur in un luogo tipo il Lucia Lodge sarebbe davvero incantevole, ma si pagherebbero dai 250 ai 325$ a notte per un punto di vista privilegiato su un luogo in cui la dimensione mitica supera la pur indiscutibile bellezza reale.

La sera la trascorriamo nel decentissimo Econo Lodge Bay Breeze nella periferia di Monterey per 114 dollari a notte. Facilemnte raggiungibile dopo aver passato le varie cittadine costiere tra cui la Carmel di cui è stato sindaco Clint Eatswood. Da lì in poi è tutto una ordinata miriade di costruzioni che ospitano americani ricchi.

Giorno 16 – 26 luglio: Big Sur – Point Lobos

E’ il secondo giorno di Big Sur. Al mattino facciamo la visita guidata del Point Sur Historic Park, un giro che conduce a piedi verso il faro. Freddo ma, “this is us, and this is our weather” secondo le parole della signora che ci guidava. Bello, ma un po’ noioso, le guide sono abitanti della zona, pensionati ricchi, riuniti in un’associazione che ci mettono molto gusto per il dettaglio. E’ possibile fare la visita di circa tre ore in alcuni giorni prestabiliti tra cui la domenica.

Intorno a ora di pranzo arriviamo a una delle vere ragioni del mio averci tenuto a fermarmi nell’area: ricercare sommariamente le tracce di Edward Weston. L’uomo che con le sue foto ha definito il moderno canone della bellezza in fotografia. E che con l’immagine di Charis Wilson del 1936 ha realizzato la più bella foto di nudo femminile di ogni tempo. La meta del primo pomeriggio è quindi ovvia, Point Lobos. Per me un’illuminante delusione. Deludente perché nelle due ore e mezza di giro che la visita a Point Lobos richiede, non ho visto nulla che valesse la specifica attenzione. Illuminate perché vedendo i luoghi e al contempo avendo in mente le fotografie di Weston, che ha trascorso nei dintorni l’ultima parte della vita, ho capito quanto la grandezza delle sue fotografie stia negli occhi che guardano, più che in ciò che vedono. Un po’ come dire che le foto dicono più sul fotografo, che del fotografato.

Trascorriamo un mesto tardo pomeriggio a Monterey, gironzolando per una “very humble” downtown. Quindi riposino in albergo. Malinconia da stanchezza che ci abbraccia. La sera riaccendiamo l’entusiasmo al Del Monte Shopping Center, prima passando mezz’ora in un negozio di mutande al seguito di una rianimata Sofia, e poi mangiando uno dei top hamburghers della nostra vita da Islands Fine Burgers and Drinks.

Giorno 17 – 27 luglio: Wildcat Hill – San Francisco (165km)

Ultima mattina nell’area di Big Sur. Ancora sulle tracce di Edward Weston e della sua vita nella zona. Ci mettiamo a cercare la casa in cui visse. Il giro su Wildcathill ci fa incontrare una Big Sur antica, e quindi che rimanda agli cinquanta e sessanta, con case meravigliose appoggiate sulla collina, ma che non sono il frutto della cementificazione lottizzata di Carmel o dell’ansia di ordinato benessere per pensionati di Morro Bay. Wildcathill è selvaggia e immersa nel silenzio. Le case sono lusso puro e questo dipende dallo stile e dalla coerenza con la natura intima di quanto le circonda, non dallo sfarzo, quindi lusso puro vale anche per le più malandate tra loro. La casa di Weston non l’ho individuata con precisione, credo sia quella in prima fila al numero 251 di Highway 1, dove questa coincide con una salita verso Wildcathill. Un suo nipote, il figlio di Brett se non ricordo male, ne affitta una parte come Bed and Breakfast all’ombra del nonno. Le briciole di un’esistenza così piena nutrono per generazioni soprattutto perché i dolori, che Edward certamente ha causato, con tutti quegli abbandoni, a un certo punto cessano di essere tramandati. Ciao Edward, ciao Big Sur. Il senso della fine incombe, ma prima viene San Francisco dove ci fermeremo per 4 giorni.

Ci arriviamo in circa 2 ore. Riconsegniamo l’auto all’Aereoporto, conviene che nel navigatore inseriate l’indirizzo preciso, perché a seguire i cartelli ho fatto 4 giri senza beccare il luogo della riconsegna. Una volta lì restituire è semplicissimo, c’è una fila e si lasciano le auto in successione a prescindere da chi sia il noleggiatore. Essendo totalmente coperti da assicurazioni guardano solo che ci sia il pieno.

Dall’Aereoporto seguiamo l’itinerario per mezzi pubblici che suggerisce Google Maps e prendiamo il treno della Bart fino a Glenn Park Station e da lì un bus fino alla casa AirBnb che abbiamo affittato nella parte alta di Castro, al 3864 21st Street. Vorrei queste fossero le parole giuste per descrivere quelle prime, straordinarie ore. Usciti dalla stazione della Bart in attesa del pullman, San Francisco si è imposta con la chiarezza di un sogno. L’aria rilassata da primo pomeriggio in un luogo del mediterraneo in estate, cielo terso come da dietro a un vetro lucidissimo, brezza tardo primaverile e paesaggio urbano emerso all’improvviso da “Le Strade di San Francisco”, il telefilm degli anni 70 a cui devo tutto il mio immaginario riferito a questa città. Venti minuti tra ripidissime strade per attraversare Vista del Monte e Noe Valley e arriviamo a casa. Entrarci rende liquido e fa evaporare ogni dubbio che posso avere avuto pensando agli 807 euro per 4 notti (tra tasse di soggiorno, spese pulizia etc). E’ un vecchio edificio vittoriano, in una delle traverse alte di Castro Street, noi occupiamo il primo piano, dal soggiorno una vetrata enorme si affaccia sulla collina e su un magnifico giardino. La camera da letto è azzurra e profumata e si affaccia sulla strada dalla parte dell’ingresso. Sofia è rapita e incatenata, in una poltrona di fronte alla vetrata passa il resto del pomeriggio a leggere. Io trascorro due ore tra Castro e Mission, salite e discese. Poi faccio la spesa e vado a cucinare.

Ps. Come sempre una parte del tema economico dipende dal viaggiare in due. La casa ospiterebbe anche 4 persone.

Giorno 18 – 28 luglio: San Francisco (giro a piedi)

Premessa: Castro è un luogo bello in cui stare a San Francisco. E’ molto vitale, ha delle vie molto belle, con zone residenziali emblematiche della tipicità di San Francisco, è storicamente interessante, è sul limitare di un altro quartiere molto bello che è Mission, è ben collegato. Oltre ai Bus, a Castro c’è una fermata della metropolitana e il capolinea della linea F: la linea dei tram storici che ha l’altro capolinea nell’orrendo Fisherman’s Wharf, ma il cui percorso attraversa la città fino a downtown percorrendo per intero la market street. A differenza del Cable Car ormai solo a disposizione dei turisti, la linea F è ancora una cosa vera, usata dai cittadini, dove potrete prendere tram provenienti da varie parti del mondo. Una delle volte che abbiamo preso un tram di questa linea siamo saliti su una vettura ex ATM di Milano, come ancora ce ne sono molte per esempio sulla linea 10 e 19.

Noi nella giornata raggiungiamo Union Square coi mezzi e poi seguiamo a piedi il giro indicato sulla Lonely Planet dedicata alla California nelle pagine di San Francisco. Permette di visitare Telegraph Hill, Russian Hill e Nob Hill. Si parte da Dragon’s gate e si finisce a Nob Hill. Consiglio assolutamente il percorso perché, con qualche piccola variazione (partire da Union Square e non fare il giro finale in Cable Car, ma proseguire fino al mare), consente di farsi un’idea compiuta di alcune delle cose più interessanti o tipiche delle città. Per esempio China Town, panorami mozzafiato, colline e insediamenti residenziali meravigliosi, una visita all’affascinante libreria City Lights, la salita dei Greenwisch Street Steps e molto altro. Se poi al termine dell’itinerario invece che il banale giretto sul Cable Car grondante di turisti, andate a piedi fino al Ferry Building avrete anche un assaggio di downtown. Percorrendo il tutto a piedi avete modo di appropriarvi di San Francisco in maniera anche abbastanza autentica, mentre lei si approprierà delle vostre gambe. La Coit Tower – che è parte del percorso – vale la fila per entrare sia per i murales interni, sia per la zona in cui si trova sia per vedute spettacolari su San Francisco che offre. Il Ferry Building, dove noi abbiamo terminato il giro allungando un po’, è la solita successione di negozi e ristoranti finto fighi. In realtà senza stile e senza storia, popolarissimi, ma a caro prezzo. Un caro però che il popolo riesce ancora a pagare e quindi molto pieni.

A sera stanchi torniamo alla meraviglia della nostra casa, al soggiorno in boiserie e alla vista su Castro luccicante e piena dell’ombra degli alberi e della sagoma delle case. Attenzione: nell’ordine dopo il Grand Canyon e il Sequoia National Park, questa casa in questa città è la cosa più bella del viaggio.

Giorno 19 – 29 luglio: San Francisco (Golden Gate e Sausalito)

Il giorno 19 è stata una giornata sbagliata. Ma chi lo poteva sapere? Partiamo da Casto con la linea F e andiamo fino all’altro Capolinea. Il Fisherman’s Wharf è la cosa più biecamente turistica che ci sia. Della serie negozi di souvenir a nastro. Poco male, noi siamo lì per ritirare le bici da Blazing Saddles dopo che abbiamo fatto un’inutile prenotazione on line. Loro sono molto efficienti, il sito è completissimo e quando prendi la bici ti danno anche un biglietto per rientro in battello. Il problema è che alla fine della giornata somma qui e somma là per l’affitto di bici e ritorno in battello ho speso 90 dollari.

Il primo errore, soldi a parte, è stato quello di prendere una bici per percorrere il Golden Gate. Approssimatevi al ponte coi mezzi, in taxi o come volete voi, ma percorretelo a piedi. I ciclisti sono infatti intruppati in una corsia, incalzati da quegli invasati dei locali che hanno fretta e pedalano come olandesi ossessi, lo spazio è poco e la possibilità di godersi la vista minima. A piedi invece tutto accade molto lentamente. La zona che si percorre da Fisherman’s Wharf all’inizio del ponte non presenta nulla di imperdibile se non l’area di Fort Point da cui avete una bella vista sul Golden Gate.

Il secondo errore è stato di andare a Sausalito. Il paese è carino, si guarda oltre la baia, ma nulla in sé di imperdibile. E’ un posto dove i milionari hanno queste casette splendide, caratteristiche. Il problema sono i milioni di visitatori in bicicletta, i parcheggi inondati di automobili e la e l’assoluta mancanza di elementi interessanti. Il vero problema, complice il we credo, è che per imbarcarci per il ritorno abbiamo dovuto attendere tre ore. Innanzitutto occorre prenotare il rientro, ti danno un numero e tu puoi metterti in coda quando arriva il tuo numero (ore di attese a zonzo nella noia plastificata del luogo), poi in fila raggruppati in piedi ad attendere il traghetto. Noi ne abbiamo visti partire un paio prima che ne arrivasse uno che potesse imbarcarci. Le alternative sarebbero di rientrare in bici, ma la salita è veramente lunga (chilometri) e ripida. La seconda opzione potrebbe essere di proseguire in bici fino a Tiburon, il paese dopo Sausalito e prendere lì il traghetto. E’ possibile che ci sia molta meno gente. Il consiglio resta: fate il Golden Gate a piedi. Se volete scendete anche a Sausalito a piedi, ma non ho una sola ragione per consigliarvi la visita.

Insomma volevamo rientrare per le 17 e goderci un po’ la casa e Castro e siamo arrivati alle 20.30. Logorati. La sera eccezionalmente cena da Harrey’s a Castro. Foto di Harvey Milk e di quegli anni sulle pareti, clientela e personale prevalentemente gay, atmosfera pacifica, Hamburger buono, birra ristoratrice. Un buon luogo per chiacchierare con una figlia adolescente di diritti, curiosità e varietà del mondo.

Giorno 20 – 30 luglio: San Francisco (giornata low key)

Il peso del viaggio si avverte. Sofia le cui radici milanesi tirano fino a San Francisco è stanca, silenziosa, ha voglia di casa. Personalmente continuerei indefinitamente. Una volta preso il ritmo mi viene una sorta di fitness da viaggio che è un misto di flessibilità, resistenza, senso del presente e capacità di discernimento delle situazioni pratiche che mi alimenta indefinitamente. La giornata che inizialmente pensavamo di dedicare al giro in bici di Golden Gate Park prende un’altra piega, anche ripensando a quanto ci è costato affittare le bici.

Quindi mattina in casa fino a tardi. Usciti intorno alle 12 e andati ai Buena Vista Gardens di fronte al San Francisco Moma che purtroppo è chiuso per lavori. Vedere la sua collezione di fotografia è per me l’ambizione di una vita. Uni’occhiata da fuori al Jewish Museum “rimaneggiato” da Liebeskind. Su uno dei lati dei Gardens c’è un Urban Center (una struttura moderna che contiene tra l’altro un cinema multisala). Lo segnalo perché salendo all’ultimo piano si gode di una bella vista dalle vetrate, ma anche perché al primo piano c’è uno dei pochi posti in cui è possibile mangiare economicamente e in maniera molto varia a San Francisco. Cucina Asiatica, Sud Americana, Insalate ecc. Un grande buffet, ovvio, ma simpatico. Io non ho fame, la mia compagna di viaggio, inutile dirlo, si rianima per l’occasione.

Da lì andiamo fino a Golden Gate Park solo per farci un’idea del parco e del bellissimo museo de Young. Ci arriviamo in chiusura, ma facciamo in tempo a salire sulla torre. Imperdibile, un’aria Romana, da Villa Borghese, ma le visioni sono inequivocabilmente Sanfrancischine… Al museo riusciamo a dare solo un’occhiata rapida. E’ certamente bello. Andrà rivisto tutto al prossimo viaggio: l’enorme parco, la spiaggiona che ci dovrebbe essere da qualche parte in uno dei suoi limitari, il museo, giardini circostanti e così via.

A sera le valigie, il silenzio, gli ultimi sguardi alla e dalla nostra amatissima casa.

Giorno 21 – 31 luglio: San Francisco (Castro e Mission)

Questa sera si riparte. La giornata è plumbea. Betty, la proprietaria di casa, ci tiene le valigie fino a sera. Uscendo prendiamo due regalini nel negozio che fa capo a un’associazione per i diritti civili, che ha sede nello spazio a suo tempo occupato dal negozio di fotografia di Harvey Milk. Per l’ultimo giorno ho programmato la visita guidata dei quartieri di Castro e Mission con l’organizzazione “Wild San Francisco Tours”. Trovate tutto su internet. Sono eccentrici e fanno i simpatici. In realtà sono un gruppetto di improvvisati con un fare innaturalmente sopra le righe. Non vorrei sembrare severo, ma chi ha provato London Walks o i tour a piedi di Matera o Lisbona sente l’abisso. Comunque Wild Sf Tours ci ha permesso di fare due bei giri, ascoltare, benché mal narrate, storie di luoghi e persone, farci una ragionevole idea di questi due quartieri e della loro storia, delle lotte sociali delle comunità che hanno abitato Castro. Facciamo che si chiude con un pareggio. Concludiamo la giornata gironzolando per Mission, proseguiamo a piedi verso la San Francisco Library. Quindi torniamo a prendere le valigie e via all’aereoporto. Volo notturno con l’orrenda Delta Airlines in direzione di New York…

Giorno 22 – sabato 1 agosto: New York

La prima buona notizia alla quale trovo conferma è che il Terminal 4 dell’aeroporto di New York ha un servizio abbastanza efficiente di Baggage Storage. Inverosimile in questi anni di bombe. Efficiente perché fai la fila che devi alla consegna, ma hai la priorità al prelievo, quando stai ripartendo.

Che si fa in un meraviglioso e ventilato sabato newyorchese arrivando al JFK verso le otto, quindi in città verso le 10 e avendo un aereo alle 18.45? Noi abbiamo fatto le cose seguenti e ce la siamo goduta: siamo andati in metrò dove comincia la Highline, abbiamo preso un caffè nel meatpacking district, abbiamo percorsa la Highline avanti e indietro, fermandoci a riposare sui gradoni di legno. Da lì siamo andati a piedi fino al Flatiron Building e quindi a Madison Square Park, passando accanto al Chelsea Hotel. Nel parco ci siamo incontrati con amici e da ShakeShak abbiamo mangiato il top degli Hamburgher Mondiali. A pari merito con Honest Burghers di Brixton. Poi due chiacchiere, giretto a Union Square e verso le 15.30 via di nuovo verso la metrò e l’aereoporto. Un giro perfetto, con ritmo. Non pensate di mangiare in altri Shake Shak che non siano quello e di ritrovare lo stesso gusto: ce ne sono a Istanbul e a Dubai, per esempio, ma fanno solo normalissimi hamburger.

Questa ultima giornata è stata un sogno bello e semplice. Breve da lasciare il desiderio, senza intervalli per pensare e già carico di nostalgie.

Grazie New York. Grazie America. Grazie Sofia.

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Backyard in L.A.

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San Francisco

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Upper Antelope Canyon

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Monument Valley

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New York - Flatiron Building

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Getty Center L.A.

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Grand Canyon

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Quintessential Las Vegas

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On the road

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Santa Monica

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San Francisco

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Io Nella nostra casa di San Francisco

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Henry Miller Memorial Library - Big Sur

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Julia Pfeiffer Burns State Park - Big Sur

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Sequoia National Park

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Nevada (Long Street Inn and Casino)

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Zabrinskie Point

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Amargosa Opera House - Death VAlley

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Bryce Canyon

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Golden Gate



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