STATI UNITI: California settentrionale, Oregon, Nevada
Pubblico il diario di uno dei miei primi viaggi negli Stati Uniti che mi ha lasciato un ricordo bellissimo tanto che vorrei rivisitare quei luoghi se, data anche l’età, non fossero così impegnative le ore di volo per arrivarci. Anno 2010, tanto entusiasmo, tanta voglia di vedere e conoscere: mio figlio Giovanni ed io partiamo nel mese di aprile per un viaggio “on the road” di 4.125 km; lui guida, io faccio da navigatore, la scelta degli hotel è puramente casuale ma non l’itinerario che prevede di percorrere tutta la costa sul Pacifico della California settentrionale e dell’Oregon. Non ho nessuna foto di questo viaggio ma le immagini, le vedute e i paesaggi sono ben custoditi nella mente e nel cuore. A coloro che avranno la pazienza di seguirci in quest’avventura, auguro buona lettura!
Partenza da Venezia con volo Air France, sosta a Parigi e da qui, dopo undici ore, arrivo alle ore 13,30 (nove in meno rispetto all’Italia) all’aeroporto di San Francisco; con il taxi ci facciamo accompagnare al motel Super6 che, tramite agenzia, avevamo prenotato assieme al volo. Domenica 25 aprile, è il giorno del mio compleanno e sono particolarmente felice. Con Giovanni ci rechiamo, a piedi, all’ufficio dell’Avis che dista quasi 600 mt. per noleggiare una comoda Nissan 4 porte con la quale, alle ore 10, ci immettiamo sulla 101 direzione nord verso San Francisco che ci appare all’improvviso con migliaia di casette stampate sulle colline, con grattacieli che sembrano costruiti con il “Lego” e molto diversi da quelli già visti in altre metropoli. Completano l’impatto di stupore e meraviglia le strade a “montagne russe” che vediamo ai lati della via dritta che stiamo percorrendo. Arriviamo in vista del “Golden Gate” tanto magnificato e la mia prima impressione è di delusione perché mi sembra “piccolo” ma, quando iniziamo a percorrerlo, mi rendo conto della sua maestosità e bellezza; si tratta di uno dei ponti sospesi più lunghi al mondo con la campata principale lunga 1.298 mt sostenuta da torri alte 227,4 mt con doppia corsia di marcia, una pista ciclabile e una pedonale: impressionante! Mentre lo percorriamo, Giovanni mi fa notare in mezzo alla baia la famosa isola di Alcatraz (isola dei pellicani) già penitenziario federale reso celebre per la detenzione di Al Capone e per alcuni film girati al suo interno. Il pedaggio di 2$ oggi non si paga perché è domenica. Appena superato il ponte, avremmo dovuto deviare sulla “1” ma, non avendo ancora acquistato la mappa della California, siamo arrivati fino a Petaluma, dove ci siamo fermati per mangiare qualcosa presso un locale messicano, acquistare la carta stradale e fare il punto della situazione. Dopo aver lasciato la “101” arriviamo a Two Rock poi a Bodega Bay sull’oceano Pacifico che si apre davanti ai nostri occhi con una distesa impressionante di rocce che emergono dall’acqua: visione che si ripeterà spesso e di cui parlerò anche più avanti. A sinistra l’oceano, a destra un vasto altopiano con prati coperti da fiori rosa e gialli di pianta grassa e altri mai visti, fichi d’India, bassi arbusti e pini nani. La strada si snoda lungo la costa rocciosa poi si alza ed entra in foreste di sequoie e boschi di pini, abeti e larici con tornanti ripetuti e fastidiosi. Alla fine tra su e giù, dentro e fuori foreste immense, oceano e colline, attraversato Mendocino (qui sono stati girati gli episodi della “signora in giallo”) arriviamo verso le ore 18,15 a Fort Bragg dove ci fermiamo presso il Travelodge Motel, molto bello con due camere matrimoniali. Dopo un breve riposo usciamo alle ore 19,00 per un giro di questo piccolo paese di 7.000 abitanti e per trovare la stazione da dove l’indomani dovremmo partire per una gita nell’entroterra attraverso la Skunk Train Railroad: costruita dai re del legname a partire dal 1880, questa linea ferroviaria di 64 km porta, per fitti boschi di sequoie, fino a Willits. Il percorso di oggi (320 km) ci ha condotto per strade solitarie senza paesi per lunghi tratti e con una velocità ridotta a causa delle molte curve e tornanti: siamo stati gratificati dalla bellezza dei paesaggi.
Lunedì 26 – Il viaggio in treno che avevo desiderato, è stato annullato a causa di non meglio precisate difficoltà lungo il percorso così partiamo alle ore 9,30 attraversando ancora numerose foreste di sequoie che in tanti punti formano delle gallerie incrociando in alto i loro rami impedendo di vedere il cielo. Sempre seguendo la “1” torniamo sulla costa, dove distese di ginestre dal bel colore giallo coprono i lati della strada; incrociamo e superiamo tanti ciclisti che percorrono piste a loro riservate come quella vicino a Rockport che misura 35 km. Ancora boschi e foreste e tornanti e riserve e parchi nazionali che si ripetono uno dopo l’altro in monotona ma spettacolare sequenza; facciamo una sosta a Legget dove entriamo in un fitto bosco di sequoie e ci fermiamo vicino a una gigantesca che è stata scavata come una galleria sotto la quale passano le macchine e anche noi la attraversiamo. Dopo aver abbandonato momentaneamente la costa, ci raccordiamo con la “101” che corre su un altopiano fino a Eureka dove ci siamo fermati un’oretta per mangiare qualcosa e riposarci per riprendere quindi la “1” che seguiremo per 140 km fino al confine con lo stato dell’Oregon. Prima però, a nord di Orik, attraversiamo i quattro principali parchi della California settentrionale: il Redwood che è il più vasto e il più giovane e i tre parchi statali di sequoie Prairie Creek, Del Norte Coast, Jedediah Smith che formano il cuore di un patrimonio dell’umanità e di una biosfera internazionale protetta. Mi piacerebbe fermarmi e visitare con calma uno di questi luoghi dove, leggo sulla guida, cresce ancora l’albero più alto del mondo (112 mt) e un sottobosco che abbonda di piante più piccole e altrettanto rare (le felci dei cervi, le felci a spada, l’acetosa e la violetta delle sequoie) e la fauna comprende l’alce, il salmone, l’enorme lumacone banana e varie specie di uccelli; purtroppo inizia a piovere e fa freddo così, appena superato il confine con l’Oregon, ci mettiamo alla ricerca di un hotel. Ci fermiamo a Port of Brookings presso un Best Western che ha disponibilità solo di una “suite” lussuosamente arredata, accessoriata, vasca Jacuzzi, vista strepitosa sull’oceano e prezzo molto alto (250 $) ma siamo così stanchi che accettiamo anche perché fuori grandina con lampi e tuoni; vedo decine di gabbiani che svolazzano sull’oceano in tempesta che mugghia in continuazione, pauroso ma nello stesso tempo affascinante.
Nella giornata odierna abbiamo percorso 405 km.
Martedì 27 – Piove ancora a dirotto e le previsioni non sono per niente incoraggianti: dobbiamo decidere se proseguire al nord lungo la costa fino ad Astoria o spostarci verso sud sperando in un tempo migliore. Prevale la prima ipotesi così, alle ore 10 riprendiamo la nostra strada seguendo la “101”. La vista dell’oceano è impressionante e grandiosa, le sequoie sono sparite come per incanto e non ne troveremo più in Oregon, tante ginestre, spaziosi altopiani; di fronte alla spiaggia di Bandon si ergono aspre formazioni di roccia: tra questi faraglioni scolpiti dal vento, spicca la Face Rock che secondo una leggenda sarebbe una ragazza indiana tramutata in roccia da uno spirito malvagio. Attraversiamo una foresta vicino a Coos Bay e alle 13 ci fermiamo per mangiare; proseguiamo poi lungo la costa, è comparso il sole, la strada è bella e senza tante curve, la segnaletica precisa e minuziosa, passiamo in mezzo a grandi parchi, alle imponenti dune sabbiose dell’Oregon Dunes National Recreation Area che si estendono per 65 km a sud di Florence, formazioni di sabbia, laghi, pinete, praterie e spiagge. Attraversiamo Newton, Lincoln City e altri piccoli paesi posti sia sull’oceano sia in collina e notiamo che sono tutti ben tenuti; ci sono anche indicazioni di numerosi “college”. La guida mi segnala un percorso di 56 km della Three Capes Scenic Route, molto interessante perché ospita una delle principali colonie di uccelli marini del Nord America e ci sono buoni punti di osservazione per vedere leoni marini e balene grigie che nuotano al largo. Purtroppo questa deviazione allungherebbe il nostro percorso, è già sera e siamo stanchi per cui preferiamo continuare sull’autostrada fino a Tillamook dove ci fermiamo al Western Royal Inn, classico motel, pulito e confortevole; per la cena scegliamo un ristorante dove servono piatti enormi di specialità cinesi che consumiamo con tanto piacere. Abbiamo viaggiato tutto il giorno fra nuvoloso e sereno ma la temuta pioggia ci ha accompagnato solamente per circa mezz’ora, abbiamo visto dei luoghi incantevoli e percorsi 450 km.
Mercoledì 28 – Anche stamattina il cielo è nuvoloso ma noi riprendiamo il viaggio con molto entusiasmo. Fuori dal motel notiamo una grandissima fabbrica di latte, formaggi e derivati che poi scopriremo essere prodotti noti in tutto il mondo (in aereo ci serviranno proprio il formaggio Tillamook). Fa piuttosto freddo, a tratti piove ma la costa ci appare sempre interessante: arriviamo a Cannon Beach, la città balneare più amata dell’Oregon, e la percorriamo tutta notando che si tratta di un’allegra cittadina costiera con belle case e tanti giardini fioriti. Ma la cosa che più ci colpisce e impressiona è rappresentata dall’Haystack Rock uno dei più alti monoliti costieri del mondo che domina con i suoi 72 m una lunga spiaggia con piscine naturali; soffia un forte vento freddo che ci impedisce di stare più a lungo ma ci siamo presi il tempo necessario per vedere da vicinissimo questa meraviglia della natura. Procediamo lungo la costa (tante piste ciclabili trafficate) e arriviamo ad Astoria con un pallido sole. Prima di entrare in città, decidiamo di attraversare un lungo ponte (6,5 km è il ponte a più lunga travatura reticolare continua del mondo) che scavalca la baia del Columbia River per arrivare nello stato di Washington. La struttura di ferro è imponente ma quando ne abbiamo percorso circa un terzo, il cielo si oscura in un attimo e diventa così nero che sembra sia scesa la notte più buia, l’acqua ai lati assume una colorazione dal verde scuro al grigio, al marrone e comincia una pioggia fittissima tipo diluvio universale. Mi prende l’angoscia, ho l’impressione che ci stiamo dirigendo verso l’Apocalisse e che alla fine del ponte saremo inghiottiti dal nulla. Anche Giovanni non è molto tranquillo: invertire la marcia non si può così procediamo con cautela fino a quando non troviamo lo spazio per girarci e lasciarci alle spalle questo incubo. Ripercorriamo di nuovo tutto il ponte per arrivare ad Astoria dove ci accoglie un pallido sole; parcheggiamo, cerchiamo un posto per pranzare poi decidiamo di fare un giro di questa vivace città che, oltre ad essere il più antico insediamento statunitense a ovest delle Montagne Rocciose, conserva belle ville vittoriane e il Flavel House Museum con la cupola originale da cui il capitano e sua moglie osservavano il traffico fluviale. Riusciamo però a percorrere solamente qualche centinaio di metri e dobbiamo rinunciare perché comincia a piovere e soffia un vento freddo. Lasciamo la “101” e ci dirigiamo a est sulla “30” fino a Rainer e Portland che è la maggiore città dell’Oregon per la produzione e lo smistamento di legname, importante porto fluviale e grosso centro industriale con belle case moderne e antiche distribuite sulle colline. Qui s’incrociano diverse strade e autostrade perciò dobbiamo stare attenti ma ormai siamo esperti e riusciamo a prendere la “5” verso Salem senza grosse difficoltà; durante il tragitto si alternano tempesta, pioggia e sole ma procediamo fino ad Albany dove usciamo dall’autostrada e attraversiamo una città con quartieri eleganti e ci fermiamo al motel Super8. Dopo la solita oretta di rilassamento andiamo a cena al Yaquina Bay per una gustosa cena a base di gamberetti e polpa di granchio; giusta conclusione di quest’altra bella giornata durante la quale abbiamo percorso 420 km.
Giovedì 29 – Oggi finalmente splende il sole quando riprendiamo l’autostrada “5” che attraversa pianure e boschi con case e cottage molto belli ma diversi da quelli che avevamo visto in Texas. Usciamo a Roseburg, che attraversiamo, per cercare il Visitor Center (molto ben curato all’esterno con grandi aiuole di fiori, parcheggi e scivoli per handicappati, pulitissimo all’interno con bacheche, video e quant’altro di tecnologico a disposizione dei turisti); ci accoglie una signora anziana gentilissima che conosce qualche parola d’italiano perché suo marito è di origine abruzzese e le chiediamo informazioni per andare al Crater Lake. Ci comunica che, purtroppo la località non è accessibile a causa delle forti nevicate che in questo periodo hanno bloccato le strade. Un po’ delusi per non poter visitare questo luogo tanto magnificato dalla guida, decidiamo di fare un giro per la città ma, appena scesi dalla macchina, inizia a piovere molto forte per cui ripariamo per il pranzo al “All American Food” dove mangiamo un buon hot dog chili e cipolle. Riprendiamo il viaggio verso sud e attraversiamo Grants Pass, Central Points, Medford, Ashland sotto una scrosciante pioggia che, improvvisamente, si trasforma in una fittissima nevicata che ci mette in allarme e preoccupa in modo particolare Giovanni. Non si vede quasi nulla, ai lati si sta già accumulando la neve ma la strada per fortuna si mantiene pulita anche perché ci sono dei camion che ci precedono; la strada sale con ampi tornanti, scherziamo sul fatto di rimanere bloccati e bisognosi di soccorso, ma finalmente arriviamo in cima al passo Siskiyou (1320 m) e tiriamo un sospiro di sollievo pensando che d’ora in poi la nevicata dovrebbe pian piano terminare. Infatti, dopo pochi chilometri, cessa completamente man mano che ci abbassiamo verso la pianura dove ritroveremo il sole ma continueremo a essere circondati da alte montagne ricoperte di neve fino alle pendici. Lasciamo l’Oregon per rientrare in California e, dopo aver attraversato un vasto altopiano con pascoli e piccoli boschi (curiose le insegne “attenti agli orsi”) incominciamo a salire per superare la catena montuosa delle Cascate culminante con il monte Shasta (4.320 m) che lasciamo imponente, innevato e maestoso alla nostra sinistra. Rimaniamo in quota a 1200/1300 m finché decidiamo di fermarci a Redding presso il motel Rodeway Inn con un buon prezzo scontato, pulito, con prima colazione compresa e piscina; per la cena ci rechiamo al “Chinese & American Dishes” che offre un menù molto vario e gustoso.
Oggi abbiamo percorso 580 km.
Venerdì 30 – Partenza alle ore 9,20 con un bel sole e, lasciati in lontananza i monti coperti di neve, entriamo nella California Valley incontrando per prima la città di Red Bluff quindi Corning “Ulive City” con migliaia di alberi di olivo e nella pianura incominciamo a vedere estese coltivazioni di alberi da frutta (aranci, noci e mandorli) che si susseguono per chilometri con un allineamento geometrico precisissimo; si alternano grandi pascoli con mucche, pecore, cavalli, enormi silos, campi arati e grandi farm. La temperatura si mantiene stabile sui 18/20° e il paesaggio è vario e sempre interessante: attraversiamo Arbukle, Woodland dove ci fermiamo un’oretta per una sosta all’ora di pranzo (buonissimi sandwiches) poi arriviamo a nord di Sacramento e decidiamo di dirigerci verso il lago Tahoe che Giovanni ricorda essere stato la location di alcuni film famosi (il Padrino e Blues Brothers). Attraversiamo senza problemi la capitale della California e, lasciata l’autostrada “5” prendiamo la “50” che, dopo circa 100 km e fino ad arrivare al lago, è segnalata come “attrattiva naturale”. Superiamo le cittadine di Placerville, Camino situata a 1.000 m con tanta neve ai margini della strada, Twin Bridges che conta solamente dieci abitanti, boschi di pini e abeti; finalmente, dopo parecchie curve, arriviamo sul lago che è molto esteso e sulle cui rive sono situati piccoli paesi che io immagino siano come quelli del lago di Garda dove sarà possibile pernottare. Illusa! Capirò dopo che il Lago Tahoe si trova a 1900 m di altezza, è lungo 35 e largo 19 km con una profondità di 501 m e con 116 km di coste: è una famosa località sciistica nota per la sua straordinaria bellezza e grandiosità dei paesaggi. Arrivati a South Lake ci dirigiamo a sinistra e quasi da subito incontriamo i boschi coperti di neve, i cumuli che ingombrano ancora i lati della strada e ricoprono i tanti chalet e le abitazioni che sono tutte chiuse (la stagione invernale si è da poco conclusa e si attende quella estiva che inizierà alla fine del mese di maggio). Solo a Tahoe City notiamo un po’ di movimento ma per il resto sembra un lago fantasma; durante il percorso non abbiamo quasi incontrato macchine e poche persone; abbiamo fatto due soste presso due piccole spiagge di sabbia (altrimenti ci sono solo rocce e massi) per gustarci la vista di questo immenso specchio d’acqua limpidissima, contornato da montagne innevate fin quasi sulle rive. Usciamo dal percorso del lago e siamo incerti se proseguire per Reno (celebre per i divorzi lampo) ma sono ormai le ore 18, siamo in viaggio da tanto così preferiamo Carson City, la capitale dello stato del Nevada; è posta a 1440 m di altezza in una valle desertica dove arriviamo attraversando panettoni estesi di rocce brulle con stenti arbusti nani piantati nella sabbia (un bel salto dai monti innevati del lago). Prendiamo alloggio al Quality Inn dove ci riposiamo un po’ quindi usciamo per un breve giro a piedi; seguiamo le indicazioni che ci portano a percorrere la Old Town (strada principale di 700 m) fino alla City Hall, alla sede del Senato Federale e ad altri edifici tra i quali un grande Casinò, che conservano intatta l’architettura dei tempi della corsa all’argento per cui la città era famosa. Ceniamo al ristorante Thai con gamberoni fritti e gelato al mango; alle ore 21,30 siamo già a letto dopo aver acceso il riscaldamento perché fuori la temperatura si è notevolmente abbassata. E’ stata un’altra giornata interessantissima con svariati cambi di paesaggi e di programma e abbiamo percorso 540 km.
Sabato 01 maggio – Alle ore 9,20 con il sole ma una temperatura di soli 10°, ci immettiamo sulla “395” verso sud perché abbiamo deciso di andare a visitare Yosemite National Park che Giovanni ha già visto e mi assicura che è una meraviglia: parco nazionale famoso per le sue bellezze naturali, ricco di spettacolari cascate e di gruppi di sequoie giganti. Uscendo da Carson City abbiamo una panoramica a 360° dei monti innevati della Sierra Nevada che ci accompagnerà per parecchie miglia. Arriviamo al lago Topaz che segna il confine fra gli stati del Nevada e della California dove, a un posto di controllo, domandiamo informazioni per Yosemite ma, anche stavolta una delusione: la strada è chiusa causa neve e l’accesso è vietato. Peccato davvero! Il paesaggio alterna pianura, formazioni rocciose, foreste e vasti altopiani poi ricominciamo a salire fino a 2.494 m dove ci fermiamo per ammirare il lago Momo uno dei più antichi dell’America settentrionale e il cui bacino contiene numerosi vulcani; non ha emissari e le sue acque si sono così arricchite di sali trasportati dai corsi d’acqua discendenti dai rilievi della Sierra. Perciò, a causa dell’evaporazione, la concentrazione di sali nel lago è aumentata fino a diventare due volte e mezzo quella del mare; caratteristici sono i pinnacoli di tufo che derivano dalla combinazione tra il calcio disciolto nelle sorgenti di acqua dolce sotterranee e i carbonati presenti nelle acque del lago. Soffia un vento fortissimo ed io mi limito a osservare questa magnificenza dall’interno dell’auto mentre Giovanni si arrischia a scendere. Arriviamo a Bishop sempre circondati da alte montagne piene di neve e corriamo su un’autostrada a 2+2 corsie di marcia incontrando pochissime altre auto; facciamo una sosta per fare benzina e mangiare, la temperatura è salta fino ai 20° e stiamo entrando nella Owens Valley con alla destra ancora la Sierra Nevada con cime alte dai 3800/4000 m piene di neve e a sinistra un’altra catena rocciosa con vette più basse. Passiamo vicino a Manzanar (historic site: uno dei tanti campi d’internamento di cittadini giapponesi americani durante l’ultima guerra mondiale), a Lon Pine e all’Owens Lake che ci appare come una grande distesa di sale, senz’acqua perché evaporata e composta d’argilla, sabbia e sali minerali; non avevamo mai visto nulla di simile anche perché il bacino copre un’area molto vasta. A destra lasciamo il Kings Canyon National e il Sequoia National Park ma, l’unica strada da cui si potrebbe accedere, è chiusa in questo periodo. La temperatura ha raggiunto i 25° e arriviamo a Olancha da cui parte la “190” che arriva dritta nella famosa Valle della Morte con un percorso di 185 km ma noi proseguiamo sulla “395” un’autostrada lunghissima di cui non si vede la fine, con panoramica su piccoli canyon dalle pareti bianche e rosa, arbusti da deserto e nient’altro perciò durante i molti chilometri percorsi, ripeterò spesso a Giovanni che mi sembra questa la “Valle della morte”. Costeggiamo un ampio territorio protetto, destinato a deposito di armi della marina, e arriviamo a Mojave da cui si può facilmente raggiungere Los Angeles, ma noi prendiamo la “58”che ci accoglie con un vento fortissimo che fa girare migliaia di pale eoliche spalmate sulle colline: una vista incredibile. Il paesaggio è completamente mutato: estese colline mammellate ricoperte di erba verdissima, campi coltivati con frutteti e vigneti a perdita d’occhio rallegrano la nostra vista dopo tanta neve e tanto deserto. Arriviamo a Bakersfield alle ore 18 e ci fermiamo al Rodeway Inn dove ci rilassiamo per poi andare a cena presso un ristorante che offre piatti della cucina mongola: prendi una grande ciotola in cui metti bocconcini di carne di maiale, pollo, manzo e verdure varie (germogli di soia, ananas), salse di tutti i gusti, la consegni al cuoco che la rivolta su un’enorme piastra a cerchi e, quando il tutto è ben cotto, è servito in tavola; una vera delizia! Il percorso di oggi è stato il più lungo di tutto il viaggio (630 km) ma con paesaggi così vari e bellissimi che non ne abbiamo sentito il peso.
Domenica 02 – Riprendiamo il nostro viaggio attraversando tutta la città di Bakersfield e vediamo tante industrie e un grosso nodo ferroviario ma, appena imboccata la “99”, incominciano le coltivazioni di vigneti e frutteti che crescono su terreni sabbiosi. Passiamo sulla “46” vicino a Wasco con le sue estese e colorate piantagioni di rose che soddisfano il 55% il fabbisogno del mercato interno, Lost Hill con centinaia di trivelle per il petrolio che occupano uno spazio di 500×500 m e nel cui sottosuolo c’è anche una ricca riserva di gas naturale; a sinistra scorrono colline ondulate con erba gialla e variamente colorate. All’incrocio con la “41” una freccia segnala “James Dean Memorial Junction” luogo dove lo sfortunato divo ha trovato la morte schiantandosi in auto; arriviamo a Paso Robles e vediamo che siamo circondati da vasti vigneti e indicazioni che portano dai produttori per un assaggio dei loro vini (mi rimane impresso il cognome Eberle molto italiano), ricchi ranch con bestiame e pascoli, grosse e potenti macchine denotano una certa ricchezza. Attraversiamo boschetti, colline e prati con fiori gialli e celesti, ancora ampie vallate con colture di avocado e limoni finché arriviamo a Cambria, bella cittadina fiorita con case eleganti, ritornando sull’oceano Pacifico da cui eravamo partiti sette giorni fa per il nostro meraviglioso tour. La strada “1” sale a mezza costa tutta a curve con la vista su imponenti scogliere perciò la velocità è ridotta, non c’è alcun paese tranne qualche piccolo gruppo di case, fino a Carmel dopo aver percorso circa 150 km. Questa cittadina di soli 4000 abitanti, di cui è stato sindaco per molti anni il famoso attore e regista Clint Eastwood, si presenta in tutta la sua bellezza e ricchezza con ville ben nascoste nel verde; da qui iniziano sconfinate coltivazioni di carciofi e fragole che si ripetono per molti chilometri. Alle ore 17 arriviamo a Santa Cruz dopo aver lasciato alle spalle Monterey, Marina, Selva Beach e Rio del Mar; ci sembra di essere capitati a Jesolo in estate per la vivacità, i negozi e la quantità di villeggianti che intasano le vie e la spiaggia. Prendiamo alloggio al motel Continental Inn poi, dopo il solito breve riposo, vado a fare una lunga passeggiata solitaria tra strade con case tipiche e noto che ci sono tantissimi messicani sia come turisti sia come residenti. Rientro alle ore 18,45 e, con Giovanni, andiamo a cena al ristorante B&G dove servono delle porzioni enormi di carne: io scelgo un gustosissimo hamburger, Giovanni delle costine di manzo caramellate che misurano 25 cm. Alla fine, soddisfatti e felici per un’altra magnifica giornata nella quale abbiamo percorso 495 km. rientriamo in motel per il meritato riposo.
Lunedì 03 – Incominciamo il nostro viaggio seguendo sempre la “1” strada costiera panoramica segnalata sulla mappa di grande interesse; attraversiamo estese coltivazioni di carciofi, zucche, kiwi e fragole con indicazioni per l’assaggio e l’acquisto presso le farm produttrici. Sulla spiaggia vedo appostati parecchi pittori con i loro cavalletti intenti a immortalare squarci meravigliosi di oceano. Nella località di Big Basin troviamo un accesso abbastanza agevole che mi offre la possibilità di scendere sulla spiaggia sabbiosa, fare una breve passeggiata sul litorale e raccogliere delle pietre strane e conchiglie. Subito dopo riprende la scogliera che si snoda su e giù tra boschetti di pini bassi e la flora tipica mediterranea, fiori grassi e vari arbusti, colline e piccoli canyon variamente erosi; a Pescaderos vediamo delle dune di sabbia che sono insolite per questa costa, noto che molti alberi dei boschi sono malati e trascurati e che ogni più piccolo paese indica la presenza di un “Tourist Information”. Tutto a un tratto, come per incanto, ci troviamo davanti a San Francisco con le case spalmate sulla collina come in un presepio; percorriamo tutta la 19^ strada con le sue caratteristiche case colorate e dagli stili diversi. Avevamo intenzione di seguire il 49 Mile Scenic Drive che ci avrebbe permesso di vedere i quartieri più ricchi di fascino, le località più interessanti e i panorami più spettacolari lungo i suoi 79 chilometri, per visitare al meglio la città. Imboccarlo non è stato difficile ma, quasi subito, non abbiamo più visto le indicazioni così dopo alcuni giri a vuoto decidiamo di muoverci a caso, cominciando con la sosta al porto dove troviamo un parcheggio a pagamento. Proseguiamo a piedi addentrandoci fra le “banchine” la più famosa delle quali è Pier 39 dove si trovano numerosi ristoranti e negozi d’abbigliamento, souvenir, gadget, artigianato, pasticceria ecc. che ricreano l’atmosfera di un villaggio di pescatori. Dal Pier 43 s’imbarcavano i prigionieri per raggiungere il celebre penitenziario di Alcatraz che da qui si può vedere molto bene. Le vie sono affollate di gente coloratissima, vociante e si è assaliti da forti odori di pesce e altri cibi che stanno cuocendo nei ristoranti; dopo un po’ ne abbiamo abbastanza di questa confusione così riprendiamo la macchina e ci avviciniamo al centro. E’ un bel problema trovare un parcheggio: quelli gratuiti della durata di due ore sono tutti occupati così giriamo per quasi un’ora percorrendo le strade su e giù affrontando salite e discese a capofitto che mi fanno stare in apprensione (si ha la sensazione che l’auto possa cadere); finalmente troviamo un posto a pagamento e, per due ore, siamo tranquilli. Ci troviamo all’interno di “Little Italy” dove è concentrata la maggior parte dei ristoranti, dei caffè, delle drogherie e delle pasticcerie italiane: qui si respira un’atmosfera mediterranea e le bandiere tricolori incollate ai piloni della luce ne marcano il territorio con le sue strade sempre affollate. Pian piano, guardandoci attorno, arriviamo a “Chinatown Gate (la porta del dragone)” che segna l’ingresso meridionale del quartiere cinese; è sorvegliata da cani di pietra che proteggono dagli spiriti maligni e da delfini che simboleggiano la prosperità. Entriamo in un traffico pedonale caotico formato da migliaia di turisti e residenti cinesi che indossano abiti tradizionali e ci fermiamo ad ammirare i tetti a pagoda, le facciate colorate, i lampioni in cima ai quali si abbarbicano dragoni rossi e verdi che conferiscono a questo quartiere un’atmosfera esotica; qui si susseguono bazar cinesi, negozi turistici e alimentari affollati sia dai visitatori sia dagli abitanti del posto. Il tempo trascorre velocemente, si sta alzando un vento fastidioso e non abbiamo ancora mangiato, così ci fermiamo in un bar italiano per consumare degli ottimi toast; mentre Giovanni finisce con calma, io m affretto per dare un’occhiata veloce alla chiesa di Saints Peter and Paul le cui due torri bianche merlate dominano Washington Square Park e che, consacrata nel 1924, è la più importante parrocchia cattolica della città. E’ in stile neogotico e l’interno ricalca un po’ le nostre cattedrali con altari, quadri, statue, pulpito e splendido arredo; è retta dai Salesiani di don Bosco e comprende anche la scuola, l’oratorio, un convento di suore e di scout maschi e femmine. La messa è celebrata in tre lingue: italiano, inglese e cantonese. Sono ormai le 15,30 quindi risaliamo in macchina e ci dirigiamo a sud sulla “80” attraversando il Financial District, cuore commerciale di San Francisco che ospita la maggior parte dei templi della finanza e dei grattacieli della città: su tutti, mi colpisce la caratteristica Transamerica Pyramid. Quando ci congiungiamo alla “101” decidiamo di proseguire verso la città di San Josè, che è segnalata a circa 80 km. dove pensiamo di pernottare; dopo parecchi chilometri, ci troviamo imbottigliati in un traffico pazzesco che si muove a passo di lumaca e preoccupa Giovanni, così alla prima uscita torniamo subito indietro per poi fermarci nella bella località di San Bruno presso il Quality Inn. Andiamo a cena presso un self-service che offre una ricca scelta di specialità cinesi di cui ci serviamo in abbondanza.
Alla fine il ben meritato riposo dopo una giornata intensa ma anche impegnativa. Percorsi 285 km.
Martedì 04 – Oggi è l’ultimo giorno di un altro meraviglioso viaggio negli Stati Uniti, è uscito un sole caldo che sembra volerci dare un “arrivederci”; mentre Giovanni si reca alla sede dell’Avis per riconsegnare la macchina noleggiata, io vado a fare un giro a piedi nei dintorni del motel. Preparati i bagagli, attendiamo l’arrivo del pullmino per il trasferimento all’aeroporto, dove arriviamo dopo un lungo percorso per far salire i passeggeri da altri hotel. Arriviamo al terminal alle ore 13,30 in tempo per espletare le varie formalità doganali e occupando l’attesa dell’imbarco mangiando una buona pizza.