St-marten e Anguilla

La preparazione del viaggio in Italia inizia con l’acquisto della guida “St Martin-Antigua” della Lonely Planet, l’unica così specifica attualmente in circolazione, anche se un po’ datata (2001), con la prenotazione di alloggio e macchina tramite il sito internet www.expedia.it e con un’occhiata alle previsioni di www.weather.com, che...
Scritto da: Sabrina Marrese
Partenza il: 06/05/2005
Ritorno il: 14/05/2005
Viaggiatori: in coppia
Spesa: 1000 €
La preparazione del viaggio in Italia inizia con l’acquisto della guida “St Martin-Antigua” della Lonely Planet, l’unica così specifica attualmente in circolazione, anche se un po’ datata (2001), con la prenotazione di alloggio e macchina tramite il sito internet www.expedia.it e con un’occhiata alle previsioni di www.weather.com, che non è certo stato confortante visto che prevedeva shower per i primi quattro giorni e T- storms per i rimanenti… Leggiucchiando qua e là il viaggio immaginario fra le spiagge tropicali inizia già a Roma e finalmente venerdì 6 maggio partiamo! (volo Air France con partenza da Roma Fiumicino alle 7.00, scalo a Parigi, arrivo alle 14.00 ora locale…sono sei ore di fuso). Stanchi dal viaggio e un po’ frastornati dal caldo umido che si percepisce in pieno dopo l’aria condizionata dell’aereo, partiamo con la piccola macchina che ci siamo prenotati dall’Italia alla scoperta dell’isola. All’uscita di Juliana airport di Philisburg ci sono parecchi noleggi auto tutti in fila, quindi immagino che avremmo potuto risparmiare qualcosa affittando l’auto qui, ma non importa… E’ strano il primo impatto con l’isola: la guida è un po’ selvaggia (ognuno fa come gli pare), ma ci si abitua dopo un attimo e poi le strade sono talmente poche che ti senti subito a casa. E’ strano anche l’impatto ambientale: un sacco di costruzioni, ristoranti di tutti i generi, casinò. Ci rimaniamo un po’ male, non è certo quello che ci aspettavamo sbarcando su un’isoletta tropicale sparsa nel Mar dei Carabi… Ma basta poco per accorgersi che la particolarità e il fascino dell’isola sta anche in questo: un connubio di Africa ed Europa che convive su un’area di così pochi chilometri quadrati. Dopo circa trenta minuti arriviamo all’Hotel che abbiamo prenotato. Carino! Si chiama La Plantation e si trova su una collinetta sopra Orient Bay Beach, una delle spiagge più conosciute dell’isola. E’ composto da una serie di villettine monolocali con cucina e veranda, sparse in mezzo ad una vegetazione di palme, banani, bucanville e altri fiori tropicali. L’arredamento è in stile coloniale e sul letto c’è una buffa zanzariera. Giuseppe chiede se è per bellezza, ma la ragazza dice che serve per i mosquitos che sono abbondanti in questa zona (e ce ne accorgiamo presto!). Spariamo subito a palla l’aria condizionata che ci dà un gradevole refrigerio, ma dopo poco l’impianto inizia a butta fuori acqua che cola dal soffitto… cominciamo bene… In un’inglese approssimativo misto a francese chiamiamo la reception e dopo poco l’inconveniente si risolve con una bella sorpresa per noi: per lo stesso prezzo ci spostano in una fantastica suite con vista mare ( l’unico neo dell’inserto su expedia era proprio questo: diceva che tutte le villette hanno vista mare, invece non è affatto vero!). Sono ormai le 16 passate e decidiamo di scendere in spiaggia. Il cielo è completamente coperto di nuvole, peccato, non si riescono a vedere i colori. Speriamo proprio che non abbia azzeccato con le previsioni… Scendiamo a cena a Marigot (il capoluogo della parte francese dell’isola) e ci fermiamo al Bamboo, un ristorante sulla strada che costeggia il mare, oltrepassato il porto. Il cibo è delizioso. Io prendo una zuppa di aragosta alla quale si devono aggiungere crostini, formaggio e una salsina, Giuseppe invece la Caesar salade (insalata mista con acciughe, crostini e formaggio grattugiato) e poi ci smezziamo una bistecca di tonno e dei calamari grigliati, serviti con riso e verdure speziate (per un totale di 59 euro). L’ambiente è carino perché non ci sono solo turisti, all’interno c’è uno spazio all’aperto dove suonano musica dal vivo e si può ballare. Che bello si inizia ad assaporare la vera atmosfera della vacanza… Iniziamo anche a conoscere le bevande locali. Pasteggiamo con la “Presidente”, una gradevole birra importata dalla Repubblica Dominicana (che ben presto abbandoneremo per la Carib, birra deliziosa, simile alla Corona, molto diffusa a St Martin, che viene da Trinidad e ci accompagnerà per tutto il viaggio). Alla fine del pasto, insieme al conto ci portano 2 bicchierini di uno strano liquore dolciastro. Sono due bicchierini (ciupiti) del rum locale aromatizzato alla banana, al caramello, alla cannella e altro ancora, che – dopo la perplessità iniziale – impariamo subito ad assaporare e non mancherà mai alla fine di tutte le cene che faremo sull’isola ( e talvolta anche dei pranzi sulla spiaggia). Sono appena le 23, ma ci si stanno chiudendo gli occhi a tavola, il viaggio ed il fuso orario si fanno sentire. Sabato 8 – Decidiamo di trascorrere una giornata ad Anguilla, un’isoletta vicina dove sembra che ci siano delle spiagge molto belle. Ci si imbarca al porto di Marigot, il biglietto (andata e ritorno) costa 30 dollari a persona (niente male!), le barche partono circa ogni mezz’ora ed il tragitto dura una mezz’oretta, anche se stamani ci sembra più lungo perché il mare è mosso e la barca ondeggia sensibilmente. E’ necessario portarsi dei dollari sia perché al porto fanno un “convenientissimo” cambio di un dollaro = un euro, sia perché Anguilla è inglese e lì vogliono i dollari (si può cambiare a cifre accettabili anche davanti al porto di Marigot). Arrivati ad Anguilla ed eseguite tutte le formalità di dogana (gli inglesi si confermano pignoli anche nei Carabi…) prendiamo un taxi per la tariffa ufficiale di 16 dollari (sola andata), alla quale va aggiunto circa il 15% di mancia al tassista. Noi non gliel’avevamo data e lui ci ha detto: “se volete che vi venga a riprendere sono 20 dollari”. Se lo dici tu? Mica possiamo restare qui! Destinazione Shoal Bay East che dicono sia una delle spiagge più belle di tutti i Carabi. Normalmente ogni cosa dalla quale hai grandi aspettative, almeno in parte ti delude, invece non possiamo che concordare con ciò che abbiamo letto sulle guide e sentito dire anche dalla gente del posto. E’ uno spettacolo incredibile! Una spiaggia bianchissima che si fonde con il colore cristallino del mare, che più lontano diventa blu e si congiunge con l’azzurro del cielo e le immancabili nuvole bianche caraibiche. Per di più oggi la spiaggia è praticamente deserta e c’è un bellissimo sole a dispetto delle shower previste dai metereologi. Giuseppe si sistema nella sua classica posizione da spiaggia: sdraiato sotto l’ombrellone (rectius palma), occhiali da sole e libro di lettura e la giornata trascorre incantevolmente. Abbiamo fatto un po’ di snorkeling sulle rocce che si trovano a qualche decina di metri dalla riva…però niente di eccezionale. Al rientro, ci perquisiscono addirittura gli zaini da mare dai quali sbucano le pinne. A Marigot troviamo una festa sulla via davanti al porto con bancarelle, lolos (punti di ristoro per strada nei quali arrostiscono costolette e pollo), un palco sul quale alcuni ragazzi si esibiscono cantando canzoni di vario genere e un sacco di bambini bellissimi con occhi neri neri e treccine. Naturalmente ci fermiamo a farci una Carib. A cena andiamo a Grand Case (che la guida dice essere la capitale culinaria dell’isola), un posto lungo la spiaggia dove ci sono un sacco di ristoranti tutti in fila, la maggior parte dei quali sono francesi con prezzi decisamente elevati. Non ci sono molti turisti, forse perchè siamo in bassa stagione. Scegliamo L’Escapade, il locale è carino, molto chic, la bottiglia di vino meno cara costa 20 euro. Peccato che sono tutti occupati i tavoli che si affacciano sul mare, lì la vista è stupenda. Giuseppe arriccia un po’ il naso davanti ai piatti di novelle cousine, ma sono davvero raffinati e deliziosi. Prima del dessert si libera un tavolo sul mare. Il cameriere – un ragazzo gentilissimo…forse non machissimo… – insiste perché ci spostiamo, “c’est plus jolie!” dice quasi come se ci rimanesse male se non gli diamo retta. E’ stato così buffo che adesso usiamo la sua espressione ironicamente per indicare ogni cosa che sembra carina.. Domenica 9 – Gita all’Ilet Pinel, isola molto piccola che si raggiunge da Cul De Sac. La barca parte circa ogni ora, impiega circa 5-10 minuti e costa 5 euro o 6 dollari a persona (andata e ritorno). Anche questo è un angolo di Paradiso…c’è una lingua di sabbia bianca nel mare turchese e dietro un boschetto di palme. Peccato per tutti quegli ombrelloni gialli che coprono per buona parte la bellissima spiaggia. E’molto affollata ma l’atmosfera è simpatica. Facciamo una piccola escursione dall’altra parte dell’isola, c’è una vista stupenda ma il mare è mosso, così decidiamo di tornare alla spiaggetta. Dopo un po’ di bagni in quella che sembra un’enorme, invitante vasca da bagno, andiamo a fare snorkeling all’estremità rocciosa dell’isola, in quel tratto di mare delimitato da un filo con le boe. Quanti pesci!!! E’ stupendo… Di tutti i colori. Sembra di essere in un acquario. Alcuni strani pesci che sembra abbiano un naso lungo e nuotano a pelo d’acqua vengono così vicino che ogni tanto mi toccano. Sono talmente entusiasta che non voglio più uscire. Ci sono due ristoranti carinissimi sulla spiaggia, entrambi con i tavoli riparati dal sole da ombrelloni fatti con foglie di palma. Scegliamo il Kalibuni e ci gustiamo dei deliziosi gamberi alla brace e un’ottima insalata di tonno, oltre, naturalmente alla solita Carib e ad un paio di ciupiti di rum. Leggermente brilli ci abbandoniamo ad un pisolino all’ombra delle palme. A cena ci fermiamo in un ristorante sul porto di Philsburg (capoluogo della parte olandese dell’isola) che si chiama Chesterfield. E’ frequentato soprattutto da persone del posto. Il cibo non è eccezionale ma l’ambiente è carino. E soprattutto è simpatico il contatto con le persone: all’inizio sembra quasi che ti guardino male, con diffidenza, ma basta essere gentili e sono subito pronti allo scherzo con quel sorriso che illumina il viso ed è irresistibilmente contagioso. Facciamo un salto al Tropicana casinò. Non è certo il tipo di casinò a cui pensiamo normalmente. C’è una band che suona, il bingo, ti offrono da bere gratuitamente, i tavoli sono pochissimi (solo una roulette e un paio di tavoli da black jack) e nessuna attenzione all’abbigliamento, ognuno può andare vestito come vuole. Pensavamo fosse un’attrazione per turisti e invece di turisti neanche l’ombra. Giochiamo un po’ alle slot machine e poi ce ne andiamo a dormire. Lunedì 10 – Facciamo, come ogni mattina, colazione sulla piscina (è inclusa nel prezzo della stanza). E’ a base di yogurt, frutta, prosciutto, formaggio, baguette e croissant. Se la mattinata potesse sempre iniziare così, uno si sveglierebbe decisamente più di buon umore! Trascorriamo la giornata a Down Beach. La spiaggia è gradevolissima, il mare splendido. L’atmosfera è bella perché il luogo è poco frequentato, selvaggio e c’è un simpatico lolo dove si può mangiare del pesce arrostito o un hamburger. Peccato per quegli orribili palazzi che si vedono sulla sinistra (Oyster Pond) che sciupano un po’ il paesaggio. Facciamo un salto a Philsburg in Frontstreet, la via dei negozi. Ci sono un sacco di oreficerie, negozi di elettronica e di liquori (St Marten è porto franco), ma la sensazione è di un posto squallido, quasi fatto appositamente per i turisti che sbarcano dalle navi da crociera. Compriamo qualche stecca di sigarette e del rum (costano veramente poco: una stecca di marlboro 11 dollari e una bottiglia di rum circa 10) e anche dei sigari. La sera ci concediamo una cena a base di aragosta al nostro resort. Impeccabile e squisita, abbiamo succhiato fino all’ultima chela… Martedì 11 – Decidiamo di tornare di nuovo ad Anguilla e scegliamo, fra le varie spiagge consigliate, Rendezvous Bay. Dopo la solita trafila, arriviamo sull’isola, saliamo su un taxi e diciamo dove vogliamo andare. Il tassista è visibilmente perplesso, prima ci chiede “No Shoal Bay?”. Immagino lo dica perché è la meta più gettonata dai turisti (e non è difficile capire perché…) e soprattutto perché è parecchio più lontana, quindi il prezzo del trasporto sarebbe (per lui!) decisamente più conveniente. Poi ci chiede “Do you stay there?”. “No” e di nuovo ci guarda perplesso. Boh! Ci lascia davanti ad un ristorantino e ci indica a destra dicendo che la spiaggia sta da quella parte. Il colpo d’occhio è stupendo: una lunga baia di sabbia bianca, con un mare turchese e cristallino, praticamente deserta ad eccezione di tre resort due dei quali si trovano alle estremità opposte della spiaggia ed uno al centro. Ecco perchè il tassista ci ha chiesto se il nostro albergo è qui. Mi balena subito l’idea di sistemarci proprio in quel lungo tratto deserto. Che bello, una spiaggia da favola tutta per noi! Forse non è un’idea brillante se non vogliamo ritrovarci all’ospedale con un’ustione, oggi fa veramente caldo, non c’è un filo d’ombra da nessuna parte e siamo già rossi come peperoni. Giuseppe ha l’espressione preoccupata. Ci incamminiamo al centro della baia dove si intravede un gruppetto di palme. Cavolo, non sembrava così lontano! Finalmente arriviamo, chiediamo speranzosi se è possibile affittare due lettini, “Sure!” ci risponde una simpatica ragazza creola. Che paradiso… Sdraiati all’ombra di palme e mangrovie con quel ben di Dio di panorama. Sembra di essere in una cartolina. La giornata trascorre in un attimo, fra un pisolino e l’altro e svariati bagni in un’acqua calda e limpida che è davvero una goduria. E’ ormai giunta l’ora che abbiamo concordato con il tassista e a malincuore ce ne dobbiamo andare. La sera andiamo a Marigot, a Port La Royal Marina, un porticciolo turistico affacciati al quale ci sono un sacco di ristoranti uno di seguito all’altro. Ci fermiamo a cena in uno di questi, il proprietario è un ragazzo francese con la mamma pugliese. Ogni volta che porta qualcosa vuole sapere come si dice in italiano e lo ripete storpiando regolarmente la parola. Mercoledì 12 – Prima di dirigerci alla scoperta di una nuova spiaggia, prendiamo la deviazione per Colombier e percorriamo una strada immersa in una natura rigogliosa: villette coloniali seminascoste da piante verdissime, grandi alberi di mango e una piantagione di palme da cocco all’ombra della quale pascolano tranquille alcune mucche. Davvero gradevole. Convinco Giuseppe a portarmi al mercatino di Marigot, ma prima ci fermiamo a fare un bagno a Friar’s Bay. La spiaggia è carina e raccolta, c’è un allegro bar stile giamaicano, l’acqua è bella e c’è uno dei tanti laghi salmastri dell’isola un po’ maleodorante ma popolato da un sacco di aironi, egrette e trampolieri che non smetterei mai di fotografare. E’ arrivata l’ora del mercatino che si svolge davanti al porto di Marigot. Ci sono svariate bancarelle di magliette e cianfrusaglie varie, oggetti in legno per la cucina e un colorato banchetto di spezie al quale compriamo una bottiglietta di una salsa rossa piccantissima. Ci sono anche delle signore francesi che vendono borse, cinture e tessuti raffinatissimi. Non c’è niente di veramente tipico, anche se in realtà il mercatino è il ritratto dell’isola: un territorio europeo nel quale lo stile di vita a noi abituale è ormai in larga parte assorbito anche dai creoli, mischiato però al calore della popolazione e della musica. Un po’ di monete in più ci avrebbero fatto comodo, visto che fare il resto non è cosa gradita e non ti metti certo a fare storie quando con un sorrisone a 32 denti qualcuno fa finta, scherzando, di non essersi accorto che ti deve un paio di euro… Meno male che Giuseppe è bravo a contrattare, io avrei comprato tutto al triplo del prezzo che alla fine riuscivamo a concordare… Fa un caldo bestiale, così ci fermiamo a bere il latte di un cocco tagliato lì per lì e poi andiamo a rilassarci a Baie Rouge. La spiaggia è bella, sulla destra c’è una caratteristica scogliera rossa con un arco. Il mare è mosso, l’acqua è subito alta e la spiaggia è in discesa, quindi a riva si formano delle belle onde. Il bambino Giuseppe si diverte come un pazzo ed esce tutto graffiato perché in acqua ci sono dei piccoli sassi. Torniamo a cena a Grand Case, ancora una volta scegliamo un ristorante francese chic affacciato sul mare. In genere in posti del genere non succede mai niente di divertente: tutti eleganti, educatissimi, tutti parlano a bassa voce… A un certo punto sentiamo un botto, mi giro: si è rotta una sedia e c’è una signora – anche di una certa età – stesa in terra. Mi avvicino, non si è fatta niente, corro a chiudermi in bagno perché mi viene un attacco di ridarella che non riesco in nessun modo a trattenere. Giovedì 13 – Decidiamo di tornare all’Ile Pinel. Il cielo è tutto nuvoloso, ci facciamo un bel po’ di snorkeling e vediamo tanti pesci bellissimi e di forme e colori particolari. Poi inizia una pioggia tropicale e tutto diventa scuro. Ci rifugiamo al ristorante approfittandone per mangiare un boccone. Un cameriere simpatico inizia a distribuire dei sacchi neri della spazzatura. Alcuni ci fanno dei buchi e li utilizzano tipo impermeabili, noi li usiamo con dei bicchieri sotto per far defluire l’acqua che sta scrosciando sul nostro tavolo dall’ombrellone fatto di foglie di palma. Dopo un po’ smette di piovere. Riprendiamo possesso delle nostre sdraio. C’è un cane che si riposa beato sulla spiaggia, cosa molto frequente sull’isola, e nell’acqua c’è un chiassoso gruppo di americani che sorseggiano una birra mentre fanno il bagno e ogni volta che la finiscono tornano a riva per prenderne un’altra piena. Alla fine della giornata sulla spiaggia c’è un consistente mucchietto di carib scolate. Sono le quattro, dobbiamo andare, è l’ultima barca per tornare. Non facciamo a tempo a salire che inizia di nuovo a piovere fortissimo. Dopo pochi secondi siamo tutti fradici, tutti ridono e un francese tira fuori una bottiglia di rum e inizia a distribuire ciupiti. Venerdì 13 – Scendiamo a Orient Beach passando in mezzo alle case dai caratteristici tetti colorati. Il posto sarebbe molto bello: una lunga baia di sabbia chiara con un bel mare, ma è un po’ troppo sfruttato, è tutto un susseguirsi di bagni dove c’è musica e la gente prende il sole con un cocktel o una birra appoggiati sul tavolino. Ci sdraiamo su un lettino in una zona riservata al nostro residence e ci godiamo le ultime ore si sole, poi a malincuore ci dirigiamo all’aeroporto.

Conclusioni: il viaggio è stato davvero bello! bello il mare (ad anguilla direi bellissimo), posto abbastanza sicuro e tranquillo, non molto economico (a cena si spende quanto in Italia)….ma di sicuro ne vale la pena.



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