St. Lucia e Grenadine, Caraibi
Indice dei contenuti
– partenza da Bologna con British Airways nella serata del 25 gennaio con arrivo a Heatrow, spostamento verso Gatwich con pullman della National Express non prenotato che abbiamo la (quasi) sicurezza di trovare comodamente una volta là
– notte del 25 all’hotel Hampton by Hilton all’interno dell’aeroporto di Gatwick prenotato su sito della British. Il cambio aeroporto è l’unica soluzione per arrivare direttamente su Saint Lucia, l’alternativa è arrivare su Martinica ma poi serve un altro volo interno verso Saint Lucia, oppure fare un secondo scalo ad Atlanta stando in viaggio praticamente due giorni
– volo Londra/Saint Lucia la mattina del 26, durata di 8 ore. Mal che vada, se non troviamo subito il pullman per il cambio aeroporto, abbiamo tutta la notte davanti!
– notte del 26 in un hotel dal nome impronunciabile a Rodney Bay, in cui arriveremo in qualche modo ancora da capire dall’aeroporto che si trova dalla parte opposta dell’isola, ma l’abbiamo scelto per la vicinanza al porto da cui, secondo la brochure informativa che ci è stata mandata, ci imbarcheremo il pomeriggio del giorno successivo
– visita della cittadina durante il giorno del 27 e imbarco verso sera alle ore 18
– crociera in catamarano dal 27 gennaio al 3 febbraio con partenza da Saint Lucia e sbarco a Union Island, nelle Grenadine, nella mattinata del 3. La partenza e l’arrivo in luoghi diversi aumentano si un po’ le spese perché occorre mettere in conto un volo interno per il rientro, ma consentono di sfruttare al massimo le giornate a disposizione con la barca senza dover perdere giorni in navigazione per tornare indietro
– pernottamento a Union Island per la notte del 3, al St. Joseph hotel prenotato su Internet, scelto per la posizione con vista mare, con giornata a disposizione per mare o escursione da decidere sul posto
– volo interno con compagnia locale SVG da Union Island a Saint Lucia nella mattinata del 4 febbraio
– pernottamento con tempo per visita di Saint Lucia nelle notti del 4/02 e 5/02, ancora da definire, pensiamo di aspettare di essere sul posto per capire meglio come muoverci e sfruttare le conoscenze di Michele per trovare un alloggio la notte del 4
– partenza dall’aeroporto di Saint Lucia nella serata del 6/02 per il rientro a Londra, cambio aeroporto al contrario e arrivo a Bologna nel pomeriggio del 7/02
Non tutto è stato rispettato, ma migliorato, grazie alla disponibilità di Michele, Roberto e Mauro, che, una volta a bordo, ci hanno accolto, coccolato e consigliato al fine di trarre il meglio da un viaggio dalla partenza solo apparentemente confusa….
(a fine diario altri consigli utili, di quelli di cui ci si rende conto solo alla fine…..)
Giovedi 25 gennaio – Bologna/Londra
Finalmente è il giorno della partenza di questo viaggio strano, in una zona dei Caraibi di cui non abbiamo mai sentito parlare, organizzato direttamente con uno skipper di poche parole e ancor meno informazioni, ma consigliato da una conoscente, con un socio ancora più laconico di lui, che abbiamo già pagato per metà senza vedere alcuna ricevuta, ma solo uno stringato “tutto a posto, ci vediamo qua”.
Non ci è ben chiaro dove e come arriveremo dove lui dice, anche perché non lo dice con esattezza, rimaniamo con un vago “più a sud” ma quello che ci è chiaro per il momento è che abbiamo dovuto disdire l’hotel che avevamo prenotato per la prima notte perché due giorni fa ci ha comunicato che è disponibile a farci salire in barca un giorno prima della partenza ufficiale con solo un contributo spese per la boa, ma che si farà trovare più a sud rispetto alla località indicata nella brochure pubblicata su Facebook. Molto più a sud. Anzi che fino a Rodney Bay, dove avevamo intenzione di soggiornare perché la brochure che ci aveva inviato diceva che saremmo partiti da lì, non ha proprio intenzione di arrivarci né un giorno né l’altro per cui non ha senso arrivarci neanche per noi, ma ha un tassista di fiducia che per “solo” 65 dollari (dopo contrattazione) ci viene a prendere all’aeroporto.
Meno male, anche se un po’ caro, almeno questo significa che dovremmo arrivare a destinazione e soprattutto che questa vacanza esiste anche senza molte informazioni e molte ricevute fiscali. O almeno lo speriamo. Inutile dire che non abbiamo idea di cosa significhi “contributo per la boa”, né tanto meno avevamo mai associato prima la parola “boa” all’attracco di un catamarano, ma almeno all’hotel non hanno fatto storie per la disdetta, qualche certezza è sempre meglio di nessuna.
Con poche idee e confuse, ma fiduciosi che una volta partiti tutte le tessere del puzzle andranno al loro posto – la nostra meta è pur sempre i Caraibi in cui migliaia di turisti si riversano ogni anno e ci sarà pure un posticino anche per noi – partiamo impazienti e arriviamo a Bologna con largo anticipo. Un vecchio amico incontrato per caso, ci intrattiene con i suoi racconti di viaggio che già ci proiettano là.
Decollo in perfetto orario alle 18.35 con British, mi chiedono 4 sterline per un tè: glielo lascio, mi sembra un tantino esagerato. All’arrivo ad Heatrow il servizio è efficientissimo: le valigie arrivano prima di noi, all’uscita chiediamo indicazioni per trovare il desk della National Espress (ce l’avevamo davanti agli occhi), dove ci fanno immediatamente il biglietto per arrivare a Gatwich. La fermata del bus è subito fuori dalla porta, attendiamo giusto qualche minuto e arriva, il conducente scende per caricare le valigie, controlla il biglietto e ci fa salire, posti in prima file. Tempo totale dell’operazione 5 minuti: ecco perché adoro l’Inghilterra, perché TUTTO funziona SEMPRE senza dover faticare. In un ora siamo al Terminal Nord dell’aeroporto di Gatwich, camminiamo un po’ ma solo perché il posto è grande, le indicazioni sono chiare. Entriamo e troviamo l’hotel prenotato per la notte che è accessibile dall’interno del terminal, quindi andiamo tranquilli a mangiare qualcosa e….scopriamo che al terminal nord non si mangia, ci sono un paio di pub ma dopo una certa ora si può solo bere….ci sono locali per mangiare al terminal sud. Ora, non ci sembra il caso di prendere il treno per andare al terminal sud per questo, quindi ci accontentiamo di un panino confezionato al Costa Caffè. Andiamo in albergo e prendiamo possesso della nostra camera, bella e spaziosa, con vista parcheggio ma silenziosissima. Doccia e nanna. Abbiamo un po’ di confusione con l’orario, i nostri cellulari fanno orari diversi e non sappiamo se sia dovuto all’ora legale o meno. La seconda domanda è: ma perché abbiamo prenotato un hotel al terminal nord se domattina dobbiamo partire dal terminal sud? Non abbiamo pensato a verificare prima il terminal di partenza. Pazienza, ci muoveremo 10 minuti prima, al piano sotto all’hotel c’è la stazione con il treno che fa continuamente la spola e in 3 minuti ci porterà gratuitamente. Adoro l’Inghilterra!
Venerdì 26 gennaio – Londra/Saint Lucia
Venerdì alle 7 (orario giusto), suona la sveglia, ci prepariamo velocemente e andiamo a fare un ottima colazione inglese, che amo, facciamo check-out all’hotel e usciamo, varchiamo una seconda parta dallo stesso atrio su cui si affaccia l’hotel e siamo direttamente dentro la stazione per prendere il treno che nei promessi tre minuti ci porta al terminal sud dove sbrighiamo le veloci formalità di imbarco utilizzando il check in automatico che fa recapitare una mail per il codice identificativo dei bagagli. Praticamente manovalanza gratuita, ma efficiente. Affrontiamo un tranquillo volo di 8 ore e finalmente sbarchiamo al caldo, ci saranno una trentina di gradi e dopo il freddo inverno lasciato alle spalle è veramente piacevole!
All’aeroporto di Saint Lucia ci si muove a piedi, è piccolo e percorriamo il percorso pedonale coperto da una pensilina per riparare dal sole, all’interno dopo un po’ di fila all’immigrazione abbiamo qualche difficoltà a farci capire perché non ci aspettiamo che ci chiedano così tante informazioni: il nome della barca, il nome del capitano, in che porto saliremo….scartabelliamo un po’ tra i nostri documenti e alla fine ce la facciamo, quindi andiamo a ritirare i bagagli che ancora una volta sono arrivati prima di noi e usciamo alla ricerca del nostro tassista, che si rivela essere una donnetta piccola e tonda che ride sempre.
Saliamo nella sua nuova monovolume e dopo qualche domanda di rito a cui cerchiamo di rispondere con un inglese molto arrugginito, partiamo per Sufrière attraversando paesi molto poveri, fatti di capanne, bimbi per strada, cani, cavalli e maiali che frugano nell’immondizia, scuole che sembrano carceri…..il benvenuto di Saint Lucia non è dei migliori ad un primo impatto.
Anche il paesino di Sufrière si presenta in tutta la sua povertà, in più è anche piovuto e le pozzanghere non fanno che aumentare il senso di trascuratezza. Chiamiamo Michele diverse volte ma non risponde, allora la tassista scende lasciandoci in auto da soli e dopo un po’ torna con un tizio che ci dice che sa dov’è Michele e ci porterà da lui con la sua barca. Abbiamo alternative? No, andiamo quindi.
Ci caliamo dal molo nella sua barchetta e parte a razzo nella baia puntando dritto verso un catamarano di cui man mano che ci avviciniamo distinguiamo il nome “Bella Signora”. E’ lui! Il tizio fa un urlo e dal catamarano si alzano tre teste che stavano beatamente sonnecchiando al sole e così ci accolgono sorridenti Michele, il nostro capitano, Roberto e Mauro, amici e skipper anche loro, qua per un po’ di vacanza mista ad aiuto in attesta di Elena, la hostess, che arriverà solo lunedì. Ci accolgono calorosamente anche se siamo in anticipo di un giorno e temiamo di avergli rovinato il giorno di riposo, ma ci tranquillizzano subito che non è un problema, che i loro giorni sono sempre un po’ di riposo e un po’ di lavoro. Notiamo che non c’è nessun altro ospite a bordo e non capisco come mai dato che dal programma lo sbarco dovrebbe avvenire domani in mattinata e, teoricamente, l’imbarco dei nuovi (noi) domani sera. Michele ci spiega anche che l’unica altra ospite che farà la vacanza con noi arriverà nel pomeriggio di domani, ma non ha ancora deciso se aspettarla qui o in un’altra baia più giù, non capiamo bene da cosa dipenda, ma forse domattina scenderemo a terra a fare un po’ di spesa, se vogliamo andare anche noi, poi deciderà se spostarsi, e comunque adesso ci facciamo un bell’aperitivo: e così apriamo la prima di una lunghissssssssssima serie di bottiglie di vino bianco che ci accompagneranno per tutta la vacanza, per un brindisi di benvenuto mentre ci liberiamo dei vestiti pesanti e delle scarpe e ci mettiamo liberi, leggeri e scalzi! Che bella sensazione!
Che benvenuto! Non capiamo ancora bene le dinamiche di carico e scarico delle persone, ma ormai siamo a bordo, i ragazzi sono stati carinissimi, ci hanno accolto con calore anche se con un giorno di anticipo e non dobbiamo più preoccuparci di niente. Capiamo subito che qui i ritmi sono lenti e i programmi non saranno rispettati, ma ottimizzati per permetterci di godere al meglio il tempo a disposizione, ora si dice addio a organizzazioni precise, orari fissi, luoghi predefiniti….ci si organizza sul momento, al ritmo del mare e del vento, del giorno e della notte, è tutto molto meno complicato di quel sembra, una soluzione si trova sempre, basta non aver fretta, non farsi prendere dall’ansia e bersi un bicchiere di vino.
Nella nostra vita iper organizzata non siamo abituati a tutta questa elasticità, ma ci abitueremo molto in fretta……e questa sensazione di keep calm, almeno per quanto mi riguarda, ce la porteremo anche a casa….
Noto subito che a bordo ci sono libri, tutti hanno qualcosa da leggere e questo mi piace molto perché lettura per me significa relax, non siamo liberi di muoverci autonomamente perché siamo alla boa, ovvero, adesso lo sappiamo, siamo legati ad una boa in mezzo alla baia e per arrivare al porto dobbiamo andare in gommone, quindi ci devono portare, ma non è un problema, ci rilassiamo volentieri anche qui dopo il viaggio e poi ogni tanto fa qualche goccia di pioggia che ci regala dei bellissimi arcobaleni.
Nel frattempo ogni tanto si avvicina qualche barchetta che vuole vendere pesce e i ragazzi contrattano subito del barracuda per la cena di stasera.
Dopo un po’ di chiacchiere e una doccia, Michele si appresta a preparare la cena e subito mi chiede se mi piace cucinare. Bè….non pensavo di dover cucinare in vacanza e onestamente non ne avrei neanche molta voglia….lui capisce e spiega molto educatamente che la vita in barca significa che ognuno fa qualcosa, ma che per cucinare non c’è problema che a lui piace. Capiamo che al momento di lavare i piatti dobbiamo offrirci e così faremo per tutta la vacanza, in fondo farlo tutti insieme e in un clima così rilassato è anche piacevole.
Consumiamo la nostra prima cena caraibica nella parte esterna del catamarano, cullati dal mare, con sottofondo di musica proveniente da riva, chiacchierando piacevolmente di libri, viaggi, e tante altre cose interessanti, laviamo i piatti e iniziamo a prendere confidenza con la cucina e la disposizione delle cose, è attrezzata con tutte le comodità possibili, tutto è di tutti e tutti possono mangiare/bere/usare tutto in qualsiasi momento ma anche rimettere a posto, sistemare e riordinare all’occorrenza.
Abbiamo la cabina “grande”, da quattro posti con bagno privato, ma essendo in pochi è tutta per noi, il letto è molto alto e per salirci servono un po’ di acrobazie, ma gli altri letti vuoti fanno comodo per appoggiare le valigie e così riusciamo a tenere il pavimento libero. Infatti, la scelta delle valigie rigide in barca non è una scelta felice, perché non c’è il posto materiale per appoggiarle, meglio anche due borse non troppo grandi ma morbide, che una volta svuotate possano essere piegate. Il bagno è minuscolo, come è normale in barca, con il wc a pompa in cui non bisogna buttare la carta, ora ci torna in mente da precedenti viaggi fatti anni fa, ma l’abbiamo tutto per noi.
Andiamo a dormire abbastanza sfiniti dalla giornata, ma molto soddisfatti dell’inizio della nostra vacanza.
Sabato 27 – Saint Lucia
Come sempre in barca ci svegliamo molto presto, alle 6 siamo già in piedi entrambi. Siamo i primi e ci godiamo un po’ di pace e di silenzio, anche se il cielo è coperto e l’alba non ci regala i suoi colori migliori. Pian piano si alzano anche gli altri e facciamo una calma colazione ognuno con quel che preferisce. Sembra impossibile ma nonostante gli spazi ristretti c’è di tutto e di più.
Fino a metà mattina rimaniamo in barca senza fare nulla di particolare, a parte sperare in un miglioramento del tempo. Ogni tanto piove per un minuto o due, poi torna il sole, ogni tanto si avvicina qualche pescatore per vendere il pesce. Poi Michele e Mauro ci invitano a scendere a terra con loro per fare la spesa per la cambusa. Andiamo molto volentieri e saliamo sul tender.
Fare la spesa ai Caraibi non è certo come farla da noi: c’è qualche negozio più o meno rifornito ma i prezzi sono altissimi anche per noi, ci spiega Michele, così puntiamo direttamente al mercato che si svolge in una delle stradine perpendicolari al mare dove si trovano comodamente pesce, frutta e verdura. Il mercato anche è molto diverso dal nostro, le merci sono a terra, nel migliore dei casi appoggiate su teli sporchi, sul marciapiede che è diviso dalla carreggiata della strada dalla fogna a cielo aperto, per fortuna non puzzolente. A poche decine di centimetri, i cani placidamente sornioni fingono indifferenza ma non perdono d’occhio niente e nessuno e ogni tanto si avvicinano speranzosi, le auto sfrecciano a forte velocità anche un po’ pericolosamente e noi e altri compratori cerchiamo di non farci investire mentre assistiamo alle infinite contrattazioni.
Una volta stabilito il prezzo, il pesce viene pesato su bilance arrugginite, pulito con coltelli sporchi e incartato in carta riciclata da chissà dove. Ad un certo punto Michele si innervosisce, non riusciamo a seguire la contrattazione ma ci spiega che ha visto fare un prezzo molto più basso per lo stesso tonno che ha acquistato lui ad una persona del posto e si è arrabbiato con il pescatore perché dice che glielo fa pagare di più perché la sua pelle è bianca: bè, non fa piacere ma è normale che succeda! Solo che lui ormai qua è di casa e la cosa lo indispettisce molto, glieli avrebbe lasciati se se ne fosse accorto prima. Dopo un tempo indefinito e aver acquistato anche un po’ di frutta, sempre con qualche goccia di pioggia che di tanto in tanto ci accompagna, ci muoviamo per cercare un panettiere, dobbiamo chiedere ad una signora che ha appena acquistato un dolce alla banana, non sappiamo come, ma, rimasti a parlare con lei riparati sotto alla pensilina per un improvviso acquazzone, in qualche modo il dolce passa nelle nostre mani, dietro pagamento ovviamente. Praticamente l’aveva comprato per lei ma quando ha visto che siamo turisti ha provato a rivendercelo e Michele l’ha comprato. Ci spostiamo verso il luogo indicato dalla signora evitando le pozzanghere che si sono formate in un batter d’occhio, in mezzo a questa umanità così pacifica e poco pulita, saltiamo la fogna che si è riempita ed entriamo dal panettiere per fare scorta di pane per un paio di giorni, qui si contratta molto meno, anzi direi praticamente nulla, quindi andiamo in un market per un paio di cose che ancora non avevano trovato e infine torniamo al porto per acquistare due sacchi di ghiaccio per la ghiacciaia. E quindi, carichi di sporte, torniamo a riprendere il tender per tornare a bordo dove sistemiamo tutto.
Arriva una telefonata a Michele che lo avvisa che c’è un posto libero nella baia accanto e decide di spostare il catamarano lì. La prima navigazione, di appena un quarto d’ora, forse meno, ci porta, tra pioggia e sole, in una bellissima baia in mezzo ai Pitons, in un paesaggio mozzafiato. Anche qui ci leghiamo ad una boa. Tra un acquazzone e l’altro ci buttiamo in mare per fare un bel bagno nell’acqua calda e pulita, con le maschere avvistiamo un po’ di pesci.
Pranziamo con un piatto di pasta con il barracuda avanzato ieri, laviamo i piatti e ci apprestiamo ad una bella sessione di relax post pranzo mentre Michele scende di nuovo a terra per andare a registrarci in dogana e andare a recuperare la terza compagna di viaggio. Trascorriamo le ore chiacchierando e leggendo, tra brevi scrosci di pioggia e momenti di caldo sole, ci scappa anche un altro bagno nell’acqua trasparente. Relax assoluto.
Verso le 17 tornano e conosciamo Patrizia con cui trascorreremo la prossima settimana di viaggio, senza neanche sistemare le valigie si butta in acqua, e quando riemerge propone subito un aperitivo, penso che andremo molto d’accordo….
A seguire l’aperitivo si cena con il tonno comprato questa mattina, un dolcetto preparato dalla tassista e un rhum punch, liquore tipico del posto a base di rhum e frutta. Abbiamo a bordo anche un bottiglione di rhum liscio, che è simbolo di Saint Lucia, e non facciamo certo complimenti ad assaggiarlo. Passiamo una serata di quiete e serenità avvolti dal silenzio della baia sorvegliati dalle sagome dei Pitons.
Domenica 28 – Saint Vincent
Ore 8: si parte! Senza colazione perché non si sa mai, è la prima navigazione dopo tanto tempo. Ci allontaniamo da Saint Lucia in mare aperto, troviamo onde di 4-5 metri, tra un isola e l’altra è pieno oceano e la prima che sta male è Patrizia, ma per poco, deve aver bevuto troppo rhum ieri sera.
Il vento è a favore e gli skipper sono un po’ tesi, ma allo stesso tempo entusiasti perché si raggiunge una velocità di quasi 20 km/h, mentre per noi comuni mortali è piuttosto impressionante. Le onde sono alte e in certi momenti sembra che debbano arrivare sopra il catamarano, Paso inizialmente sta bene poi cede anche lui alla nausea per aver bevuto un solo caffè prima di partire. Io mi metto a prua sugli elastici e tra aria fresca e spruzzi d’acqua rinfrescanti non ho problemi.
Navighiamo per due-tre ore in mare aperto, per un tratto siamo accompagnati anche da un gruppetto di delfini, finché avvistiamo l’isola di St. Vincent completamente avvolta da nuvoloni carichi di pioggia. Ci avviciniamo e passiamo proprio in mezzo ad un acquazzone tremendo, siamo tutti imbacuccati perché è anche freddo, ma quando arriviamo sottovento all’isola un po’ le onde si calmano.
Verso mezzogiorno finalmente arriviamo nella nostra meta, la baia di Walliabù, come per magia spunta il sole, le acque si calmano e torniamo tutti al mondo. Anche qui siamo “alla boa”, una barchetta ci viene incontro e dopo un breve scambio di battute con Michele, l’omino ci aiuta ad attaccarci con le cime, iniziano poi ad arrivare altre barchette che ci prendono d’assalto per venderci mercanzie, collanine, bracciale e robette varie di dubbio gusto. Che benvenuto! Su preghiera di Michele guardiamo un po’ quello che hanno anche senza comprare, mentre Paso e Patrizia iniziano una contrattazione con uno di loro per acquistare della frutta che si rivela non proprio a buon mercato e di qualità piuttosto scadente. Nessun affare è stato fatto, insomma, ed è meglio se queste cose le lasciamo fare a Michele d’ora in poi!
In questa baia sono state girate alcune scene del film Pirati dei Caraibi e già dalla barca riusciamo a vedere alcuni “residui” delle sceneggiature del film, le bare appoggiate all’edificio di fronte a noi ad esempio, il patibolo vicino al molo e le bandiere nere con il simbolo dei pirati. Sulla sinistra la baia prosegue con una spiaggetta di sabbia nera su cui alcuni ragazzi stanno giocando a pallone davanti ad un paio di catapecchie, di cui una, forse, dovrebbe essere un bar, mentre sulla destra accanto al molo c’è qualcosa che potrebbe essere un bar vero dove più tardi potremo andare a bere qualcosa. Dappertutto una ricca e lussureggiante vegetazione e acqua verde smeraldo, è una baia molto bella anche se piuttosto simile a quella già vista a Saint Lucia. Ci sono altre barche ma non c’è ressa. Un bagno ce lo concediamo lo stesso anche se non c’è molto sole.
Pranziamo a bordo con un insalatona e dopo pranzo Michele scende a terra facendosi dare un passaggio da uno dei barcaioli, per gli adempimenti doganali, infatti Saint Vincent e le Grenadine sono uno stato diverso da Saint Lucia. Noi rassettiamo la cucina mentre gocce di pioggia si alternano rapidamente al sole e finiamo di cuocere lo spezzatino per la cena di stasera, poi Paso ed io decidiamo di scendere per vedere un po’ più da vicino questa baia, anche se sembra non ci sia molto di più di quello che già si riesce a vedere da qui.
Roberto ci accompagna con il tender e torna in barca, noi facciamo un passeggiata lenta. C’è un tentativo di museo del film talmente triste e vuoto che abbiamo un po’ di timore ad entrare, guardiamo da vicino le bare e il patibolo sorvegliati da un vecchietto che ci indica la stradina che porta su alla strada principale per raggiungere il paese, ma preferiamo camminare lungo la spiaggia dove rimaniamo un oretta anche se non c’è nulla da fare o da visitare. Arriviamo dai ragazzi che giocano a pallone, ne spunta un altro da chissà dove e ci viene incontro per salutarci e proporci a gran voce un tour nella……..sua piantagione di “gangia”!. Sarà il primo di una lunga serie di tentativi di venderci marjuana che incontreremo durante la nostra vacanza, non abbiamo ancora capito quale sia il limite della legalità di questa cosa, ammesso che ce ne sia uno. Torniamo verso la zona bar, ma non prendiamo nulla, andiamo a curiosare invece nella zona dietro dove c’è un altro edificio con un insegna sbiadita, forse residuo sempre delle scenografie, scortati dagli onnipresenti cani, randagi o no non lo capiamo, sembrano di nessuno, ma non sembrano affamati, né tanto meno aggressivi, solo in cerca di carezze.
Torniamo a bordo nel tardo pomeriggio e torna anche Michele, un po’ sfinito dalla burocrazia degli enti istituzionali caraibici, passiamo il tempo oziando fino a ora di cena, anche se è un andirivieni continuo di barchette che vogliono vendere frutta o portare via l’immondizia in cambio di qualche spicciolo.
Aperitivo e cena tra chiacchiere e mentre sistemiamo la cucina arriva di nuovo uno scroscio d’acqua, tiriamo fuori il rhum e andiamo a letto abbastanza presto.
Lunedì 29 – Cannouan
Sveglia prestissimo, alle 6, stiamo prendendo il ritmo vacanziero da barca, ma siamo gli unici. Guardo fuori dall’oblò il grigiore che anche oggi accompagna l’alba e ops! sulla barca vicina, c’è uno, completamente nudo, che si gode anche lui l’alba.
Ci godiamo un caffè (sull’altro lato della barca, senza nudismi) immersi nel silenzio interrotto solo dal dolce rumore dell’acqua, anche stamattina già si vede che il tempo non sarà un gran che.
Con calma verso le 8.30 partiamo verso il sud dell’isola per andare a recuperare Elena, l’ultima passeggera nonché hostess, anche se, ci tiene a specificare Michele, è più un amica che come Roberto e Mauro, un po’ fanno vacanza e un po’ lavoro. Capiamo che dovremmo comunque continuare a collaborare nelle faccende domestiche, il prezzo più basso della media evidentemente non comprende un servizio completo. Ci sta tutto, siamo contenti di collaborare se questo spiega il vantaggio economico.
Costeggiamo Saint Vincent con un mare leggermente mosso, è un isola verdissima ma che ha anche città importanti, come Kingstown, che ha un punto portuale non indifferente e purtroppo toglie molta poesia, ma serve. Non è abbastanza caldo per potersi mettere in costume a prendere il sole.
Attracchiamo alla boa vicino a Calliaqua e scendiamo a terra assieme a Michele per fare due passi a riva mentre lui va via in taxi. Stavolta c’è anche Patrizia e tra i tanti barettini tipici che già a quest’ora servono rhum, anche se non c’è quasi nessuno, ne scegliamo uno di un resort di lusso perché è l’unico che ha il caffè espresso (a 4 euro), ma da italiani medi non potevano rinunciarvi. Quando viene fuori il sole scotta parecchio, ma purtroppo va e viene e tira anche un po’ d’aria. Passeggiamo un po’ avanti e indietro per il lungomare fino alla spiaggia vicina, mentre aspettiamo il ritorno di Michele che tarda rispetto al previsto. Di fronte a noi c’è l’isola di Young a forma di cuore pubblicizzata un po’ dappertutto in cui sono alcuni resort di lusso.
Dopo quasi due ore finalmente Michele torna e conosciamo Elena, con cui siamo al completo. Saliamo sulla barchetta che ci aveva portato a terra e torniamo sul catamarano dove dopo un breve briefing, visto il tempo che non permette di godersi molto il mare, decidiamo di saltare Bequia e di andare più a sud direttamente alle isole Grenadine, sperando di trovare il sole e toglierci la voglia di mare caraibico dopo queste giornate così un po’ a metà.
Spiegate le vele si parte a forte velocità verso sud, soffiano gli alisei e sono una manna dal cielo per i velisti. Il catamarano vola, questa pioggia che va e viene rompe abbastanza ma regala arcobaleni sempre diversi e bellissimi, uno intero in mezzo al mare ci lascia incantati. I nostri skipper sono molto presi dal controllo ma si vede che se la godono un mondo. Noi meno ma ce la dormiamo un po’ tutti anche se si balla parecchio.
Dovevamo metterci 5 ore ma dopo neanche 4 siamo a Cannouan, in una bellissima baia, ma piove. Uff…in un breve pausa faccio un bagno, ma è freddo e inizia anche ad essere un po’ tardi, dato che siamo vicini all’equatore e per tutto l’anno ci sono 12 ore di luce dalle 6 del mattino alle 6 del pomeriggio circa.
Consumiamo la cena all’interno della barca per il freddo, finiamo la serata con coca e rhum e un po’ di musica per risollevare gli animi. Dalle previsioni sembra che da domani il tempo debba cambiare in meglio, speriamo!
Martedì 30 – Tobago Cays
Anche oggi sveglia alle 6.30, Paso addirittura prima. Ci ha tenuto compagnia tutta notte lo scricchiolio di una vela, ma saremmo in piedi lo stesso perché la luce a quest’ora del mattino è la più bella della giornata. Ne approfittiamo per fare un po’ di bucato, ma con pochissima acqua che in barca è preziosissima e va centellinata sempre, e un primo caffè finché verso le 8 pian piano iniziano a salire gli altri. Colazione e secondo caffè.
Sulle 9.30 approfittiamo del passaggio di un pescatore per andare in paese, ci dobbiamo arrampicare in un molo altissimo, abbastanza pericolosamente, attaccati ad una corda. Facciamo due passi in questo paesello povero e sporco, c’è un piccolo mercato ma non acquistiamo nulla. Arriviamo alla banca ed entriamo per cambiare i soldi, il locale è nuovissimo e un po’ stona con il resto del paese, c’è l’aria condizionata a 18 gradi e tutte le operazioni sono lentissime per cui perdiamo tutta l’ora a nostra disposizione così. In coda scambiamo qualche parola con un distinto signore italiano impiegato in un resort e un marmista romeno che parla benissimo l’italiano. Dopo un’attesa infinita arriva il nostro turno e con una lentezza disarmante riusciamo a cambiare i soldi sia per noi che per Michele, mentre Patrizia opta per il prelievo bancomat facendo molto prima.
Torniamo sui nostri passi e ci lanciamo giù dall’altissimo pontile sullo stesso barchino che ci aveva portato per 30 EC, contrattiamo a 25 ma non spingiamo i 20 o addirittura 10 ipotizzati da Michele.
Oggi c’è più sole e ci prendiamo il tempo per un bagno, poi si parte e dopo un’ora e mezza di navigazione arriviamo nella splendida Tobago Cays e finalmente si materializzano davanti ai nostri occhi i Caraibi che abbiamo sempre sognato! E’ un luogo meraviglioso, con acqua turchese, palme, sabbia bianca e ad incorniciare tutto due splendide tartarughe che ci danno il benvenuto dall’acqua mettendo fuori la testolina incuriosite mentre ci accostiamo piano piano alla baia attenti a non avvicinarci al reef che qui è particolarmente presente e crea dei corridoi in cui bisogna fare un po’ di attenzione.
Attracchiamo alla boa, la migliore direi, in prima linea davanti alla bellissima spiaggia, talmente vicino che anche per noi impediti è un attimo arrivarci a nuoto.
Anche qui tutte le barchette che si avvicinano conoscono Michele e lo chiamano per nome, da un pescatore di passaggio che viene ad informarsi, Michele prenota già la cena sulla spiaggia per questa sera, noi però non prestiamo molta attenzione e, anche se è quasi ora di pranzo, Patrizia ed io ci tuffiamo con maschera e pinne per raggiungere l’isoletta, vediamo pochi pesci ma un fondale chiarissimo, del resto ci sono diversi altri catamarani e pesci e tartarughe se ne staranno ben alla larga.
Tornate a bordo, pranziamo con un insalatona e ci rilassiamo dopo pranzo con sullo sfondo questo spettacolo meraviglioso che è Tobago Cays.
Ne approfittiamo per fare la cassa comune come da usanze, che serve per pagare le boe, il carburante e gli extra e ci mettiamo in pari con Michele per quello che ha anticipato per noi finora. C’è vento, ma finalmente anche un bel sole pieno e caldo africano ed è ora di iniziare a sfruttare gli elastici a prua per stendersi a iniziare il procedimento di cottura per la nostra tintarella!
Verso le 15.30 torniamo sull’isola di nuovo a nuoto, ma stavolta ci siamo tutti e ci godiamo questo paradiso tropicale. Andiamo dalla parte opposta dell’isola attraverso un breve sentiero, c’è un altra spiaggia molto più ventosa in cui vi sono principalmente kite-surf e una serie di altre barche ancorate, ma il mare è più mosso perché sferzato dalle onde dell’oceano. E’ decisamente migliore il lato dove siamo attraccati noi. Torniamo dalla nostra parte verso il centro dell’isola e imbocchiamo un altro sentierino che ci porta in una seconda spiaggetta opposta rispetto a quella da cui siamo arrivati, molto più carina, ombreggiata da un boschetto di palme da cui parte un sentiero che sale sulla collina fino ad un punto panoramico. Gli altri vanno, non so come facciano a piedi nudi su quei sassi, io desisto e li aspetto comodamente stesa con la schiena sul tronco di un palma e i piedi praticamente in acqua, in una perfetta pace dei sensi.
Mi riunisco agli altri quando scendono e torniamo davanti, curiosiamo un po’ al mercatino e mi provo un bellissimo pareo, decido di acquistarlo dopo che la ragazza dolcissima che me lo fa provare mi fa un complimentone sulle mie “curve”, evidentemente qua hanno canoni di bellezza diversi da quelli occidentali. Ma devo rimandare l’acquisto all’ora di cena perché venendo a nuoto non ho con me i soldi, lei, carinissima, mi dice andarla a cercare alla capanna rossa e che si chiama Vivi. La “capanna rossa” si trova un po’ laterale rispetto a dove siamo ora ed è uno dei tanti gazebi disposti tutti in fila in cui sono collocate le griglie dove sarà cucinata la nostra cena di stasera e già c’è fermento, un vociare allegro e tante risate.
Passeggiamo ancora un po’ e quando torniamo al catamarano a nuoto sono circa le 17.30, giusto il tempo di una doccia e l’immancabile aperitivo, che verso le 18.30 siamo già pronti per scendere a terra di nuovo, stavolta in tender in cui carichiamo vino e birra che non sono compresi nella cena. Come prima cosa torno al mercatino per adempiere alla mia promessa d’acquisto ma…non c’è più il mio pareo! Invece no! Vivi mi vede, arriva di corsa e me lo prende fuori dalla sporta in cui l’aveva riposto, me l’aveva tenuto da parte…ok, è tutto normale, ma mi colpisce lo stesso e mi viene da pensare, con un po’ di malinconia, a come noi europei non siamo più abituati a certi gesti di gentilezza gratuita…
Accanto ai gazebi sono stati apparecchiati i tavoli in maniera molto spartana, si è creata un atmosfera gioiosa e colorata, e nonostante io aborra la pratica crudele di uccisione delle aragoste di cui preferisco non riportare i particolari, e da cui cerco di stare lontana il più possibile, mi faccio catturare dall’aria di festa che si respira e mi piace. Mi avvicino solo quando gli scarti buttati in mare richiamano una grande razza che si avvicina fino a riva e quello che vedo già mi fa chiudere un po’ lo stomaco. Gustiamo una cena ottima, con una bella compagnia, tanta gente, luci, candele, risate, musica e vino a volontà.
L’aragosta è buona, lo ammetto, ma è stata la prima e ultima che ho mangiato in questa vacanza e quasi sicuramente anche l’ultima della mia vita, non riesco a banchettare pienamente di fronte a tanta crudeltà avvenuta davanti ai miei occhi, Paso invece si sbaffa la sua, quel che rimane della mia e finisce anche quelle di tutti gli altri dal tanto che gli sono piaciute. Lo prendiamo tutti in giro e ci divertiamo molto.
A ricordo della serata prendo una conchiglia e un po’ di sabbia e con Michele un po’ ubriaco che canta “il barcarolo vaaa……contro corenteeeeeeeee” (con una r sola!), torniamo a remi sul catamarano dove proseguiamo per un po’ la serata con rhum e biscotti, guardando il finire della festa da una posizione privilegiata. Prima di dormire ancora tante chiacchiere e risate, si sta benissimo.
Mercoledì 31 – Tobago Cays/Union Island
Solita e piacevole routine mattutina, con noi svegli prestissimo e il resto della truppa che se la prende più comoda. Il tempo è definitivamente migliorato e con la scusa che stiamo su presto, per noi sempre doppia razione di caffè e frutta.
A metà mattina Michele ci porta sull’isola con il tender così possiamo portare con noi teli e ciabatte, c’è sempre vento ma con il sole i colori della mattina rendono il tutto ancora più bello. La spiaggia è ancora deserta, alla spicciolata iniziano ad arrivare i personaggi di ieri a sistemare le griglie e i segni della cena rimasti lì, le prime aragoste sono già arrivate per la mattanza quotidiana dei turisti di questa sera.
Andiamo subito sull’altra spiaggia e, stavolta con le ciabatte, rifacciamo il sentiero di ieri così anch’io vedo il panorama dall’alto. Non so veramente come abbiano fatto a farlo a piedi nudi, io non ci sarei mai riuscita. Il sentiero è breve, facciamo parecchie foto, torniamo giù e continuiamo a passeggiare stancamente in mezzo alle palme, ci sono delle belle onde e vento, bellissimi colori che non ci si stanca mai di fotografare. Poco dopo ci raggiungono anche Patrizia e Mauro e mentre vanno un po’ in giro, Paso ed io ci stendiamo sulla spiaggia a prendere il sole e fare un bagno.
Verso le 12 Michele viene a recuperarci, ma non siamo ancora stanchi, così il nostro caro capitano contratta per noi una barchetta che ci porti su un’altra isola dietro alla nostra: l’isola delle tartarughe. Il primo tentativo non va bene, 60 USD è troppo caro, allora Michele telefona a qualcuno di sua conoscenza e poco dopo arriva un’altra barchetta che per 40 EC ci porta e ci viene a riprendere dopo un’ora. Partiamo noi due con Mauro ed Elena, avvistiamo un paio di tartarughe durante il tragitto ma saranno le uniche. L’isola è formata da una lingua di sabbia in cui le correnti del mare sono opposte sui due lati e nella punta si “scontrano” e un collina verde ricca di piante al cui interno si inoltra un sentiero. Sbarchiamo proprio lì, depositate le nostre cose in un angolo un pochino meno sferzato dal vento, ci inoltriamo lungo il sentiero che inizialmente è sabbioso e molto ripido e arriva in un punto da cui si vede la costa dell’isola dall’alto e i colori del mare e qua e la, ogni tanto, spunta la testina di qualche tartaruga, ma bisogna aguzzare molto bene la vista, perché comunque siamo lontani. Paso prosegue un po’, io desisto sempre perché non ho le ciabatte con me, ma quando torna con la notizia che all’interno ci sono le iguane non posso non andare e così infilo i suoi sandali misura 44 e camminando come con le pinne mi inoltro anch’io. Lui mi segue a piedi nudi per indicarmele…beh…questo è amore! Ne vediamo alcune, ma ben mimetizzate chissà quante ce ne sono che guardano noi e non le vediamo!
Tornati sulla spiaggia Mauro ed Elena partono per fare snorkeling in cerca di tartarughe da vedere da vicino, vado anch’io ma non mi allontano come loro perché c’è molta corrente e non mi sento tanto sicura e comunque l’acqua è torbida ed infatti né io né loro vediamo nulla.
All’orario concordato ci vengono a riprendere e torniamo in catamarano dove ci aspetta il pranzo pronto. In un impeto di ottimismo e considerato quanto visto finora, decidiamo di cambiare i programmi degli ultimi giorni che avevamo organizzato dall’Italia, non vogliamo tornare a St Lucia per fare due giorni a terra, ma siccome Michele ci da disponibilità a rimanere in barca e a rimanere in questa zona e anche Patrizia ha prolungato la sua vacanza di un paio di giorni, concordiamo un prezzo giornaliero un po’ inferiore e proviamo a spostare il volo interno di rientro da domenica a martedì e l’ultima notte in hotel a Union da sabato a lunedì per poter rimanere nelle Grenadine due giorni in più.
Verso le 16 ripartiamo e navighiamo verso Union Island dove per la prima volta attraccheremo in porto, all’Anchorage di Clifton. Dobbiamo accompagnare Mauro e Roberto che domani hanno il volo di rientro per l’Italia e a Clifton c’è l’unico aeroporto dell’isola. Le manovre per quest’operazione sono lunghe e di precisione e impariamo un nuovo termine: attacco all’inglese ovvero, detto in parole povere, ci appoggiamo al molo con il fianco sinistro dove sono le nostre cabine. Si scende scavalcando la barriera del catamarano e si atterra su un piedistallo di legno a gradini, un poco precario ma poi si fa l’abitudine. E’ affascinante osservare l’arte dell’annodare le cime e l’agevolezza con cui lo fanno gli uomini e le donne di mare.
Scendiamo subito per un giro in paese, ci sono tanti negozietti e ristorantini e parecchia gente in giro. Arriviamo fino in fondo per cercare l’hotel in cui dormiremo l’ultima notte, quale che sia, ma alcuni bambini ci dicono che manca ancora una mezz’ora a piedi quindi desistiamo, poi si mettono a giocare con Paso per farsi fare le foto e ci seguono per un po’ finché, oplà, uno inizia a chiedere soldi e si avvicina da dietro lesto lesto puntando il marsupio di Paso che però se ne accorge e gli fa un urlaccio in tempo. La madre lì accanto lo richiama all’ordine ma non mi sembra si sia preso una grossa sgridata. In questo paesino c’è tutto, anche una specie di piccolo ospedale e un veterinario ma sono poco più che baracche. In giro non ci sono molti turisti, ma tanti ragazzi del posto che assomigliano a Bob Marley, tanti bambini, donne colorate e cani tranquilli.
Ci fermiamo da una simpatica ragazza a comprare delle banane, ci farebbe anche un cambio favorevole visto che abbiamo dimenticato gli EC in barca (1 a 3) e abbiamo solo euro, ma non abbiamo monete per darglieli contati e con la scusa che non ha il resto, magicamente quattro banane ci vengono a costare due euro. Ma lei è gentile e carina, con abilità riesce a farsi raccontare i nostri programmi dei prossimi giorni e ci dice di tornare quando sbarcheremo definitivamente a Union che ci troverà un passaggio per l’hotel. Meglio che niente.
Torniamo in barca per una doccia e riscendiamo alle 19 tutti insieme per andare al Full Moon Party che da giorni pubblicizzano dappertutto.
Mangiamo pollo e costine di maiale alla griglia annegati in salsa barbeque nel barettino davanti ad una bellissima spiaggetta attrezzata per i kite surf, che stasera è stata addobbata a festa con lucine, altalena, filo per fare prove di equilibrismo e musica. Ci sono anche i kite che più tardi faranno uno spettacolo volteggiando illuminati. Dopo cena giriamo e beviamo un po’, tira un gran vento e aspettiamo lo spettacolo che però tarda ad arrivare e io inizio a sentire freddo. Aspettiamo fino alle 22, poi non ne posso più e Paso ed io torniamo in barca e da lì vediamo lo spettacolo in lontananza anche se non si vede il fuoco acceso in acqua su cui volteggiano.
Giovedi 1 febbraio – Mayerau
Mattina sveglia in porto dopo una nottata un po’ cigolosa a causa delle cime (i risvolti negativi dell’attracco in porto), dopo colazione scendiamo tutti insieme per accompagnare Mauro e Roberto all’aeroporto, per loro la vacanza finisce qui. Andiamo a piedi, impieghiamo appena 5 minuti, forse meno.
L’aeroporto è piccolissimo e completamente vuoto, si anima al nostro arrivo. Facciamo le ultime chiacchiere mentre inganniamo l’attesa, non si vedono molti altri passeggeri.
Ci salutiamo definitivamente e torniamo in paese dove proseguiamo per una passeggiata lungo la strada principale per qualche acquisto per la nostra cambusa. Michele prova a contrattare del pesce ma non è soddisfatto così rinuncia, passiamo quindi dalla banca per cambiare un altro po’ di soldi e stavolta per fortuna facciamo molto prima.
Risaliamo in catamarano, sleghiamo le cime, tiriamo su i parabordi e dopo aver vissuto un anticipazione di quello che sarà il nostro sbarco tra qualche giorno, partiamo verso l’isola di Mayerau, con un tempo che si è definitivamente stabilito nel bello. Appena partiti vediamo alzarsi un piccolo aereo dall’aeroporto e immaginando che ci siamo sopra Mauro e Roberto, salutiamo energicamente, mentre un kite, partito dalla spiaggia della festa di ieri sera, forse ci fraintende e viene verso di noi spiccando un salto impressionante molto vicino al nostro catamarano. Wow!
Dopo un ora di navigazione e un po’ di manovre per arrivare proprio davanti, gettiamo l’ancora in una baia bellissima. E’ la prima volta che ci fermiamo all’ancora e le operazioni sono diverse, ma sotto la direzione di Michele ed Elena tutto funziona egregiamente.
Patty ed io scendiamo subito per raggiungere a nuoto la spiaggia, anche qui i fondali sono un po’ torbidi ma la spiaggia è incantevole. Passeggiamo da una parte dove si concentrano i kite e dall’altra dove invece ci sono alcuni barettini sotto alle capanne e un grande mercatino di souvenir e abbigliamento da spiaggia. Dappertutto pace e calma.
Intercettiamo un gruppo di italiani che si mettono a raccontare le loro (dis)avventure di viaggio simile al nostro ma effettuato con uno skipper del luogo a cui si è appoggiato la loro agenzia italiana, c’è differenza, ma ne parlerò più avanti.
Risaliamo a bordo, pranzo e relax post pranzo con partita a carte. Non giocavo a carte con persone adulte da…..mi sa da quando ero una bambina io!
Verso le 15.15 Michele ci porta a terra con il tender così possiamo esplorare la zona un po’ meglio, muniti di ciabatte. Ci dividiamo, Paso ed io da un parte, Elena e Patty dall’altra. Andiamo prima nella bella spiaggia ventilata e rimaniamo un po’ a vedere le evoluzioni dei kite poi rifacciamo tutta la spiaggia sottovento fino all’estremità dove c’è l’ultimo bar prima della giungla, sperando di poter proseguire e fare una passeggiata all’interno, ma non c’è modo. Inutile dire che i colori del mare e della spiaggia sono paradisiaci.
Decidiamo allora di tornare verso il mercatino e prendiamo l’unica strada asfaltata dell’isola che ci indica una ragazza, la percorriamo in tutta la sua salita con auto che sfrecciano a velocità folle, e quando arriviamo in cima troviamo una chiesetta, una fondazione sociale cristiana frequentata da bambini e operatori bianchi, un market e sempre gli onnipresenti cani, che dappertutto sono buonissimi. Si avvicina una bimba e chiediamo dove possiamo trovare le scimmie e le iguane (avevamo letto un articolo su una rivisita della presenza di questi animali), ma ci dice che non troveremo ne l’uno né l’altro qui a Mayerau secondo lei, forse addentrandosi ma non ci sono sentieri precisi da seguire. E scappa via. Mentre facciamo un giretto attorno alla chiesa e ci affacciamo dal balcone retrostante per ammirare Tobago Cays da lontano, torna e ci dice che per vedere le iguane dobbiamo andare la, a Tobago e indica con il ditino. Era andata a informasi, che carina!
Torniamo giù e andiamo in spiaggia a stenderci sotto le palme facendo attenzione e non essere a tiro di caduta cocchi…è un pericolo serio e spesso si trovano cartelli che avvisano.
Dopo un bagno meraviglioso arriva anche Michele, vediamo Elena e Patrizia arrivare dall’altra parte e tutti insieme decidiamo di prendere un aperitivo nel bar prima di risalire a bordo, e così pina colada per tutti, qualcuno con alcool, qualcun altro no. Siamo in un baretto carino, molto caraibico, con i piedi sulla sabbia e i tavoli di legno, attorno a noi giocano felici dei bimbi del posto e passano dei pescatori con il pesce appena pescato, cosa voler di più dalla vita??
Durante l’aperitivo parte anche la trattativa per il pesce per la nostra cena, il primo tentativo va male, troppo caro, ma al secondo, avvenuto nella capanna a fianco del bar, che sarebbe un ristorante, Michele trova tonno e lambì che lo soddisfano e così ordina una cena take-away che ci verrà consegnata un ora e mezza più tardi, già cucinata e ancora fumante, direttamente in barca a soli 150 EC, appena 50 euro in tutto.
Rientriamo quindi con il tender mentre sta facendo buio, e dopo una doccia e un po’ di relax, verso le 19.45 ci gustiamo l’ottima cena a domicilio accompagnata da riso basmati.
Nel frattempo ci è arrivata conferma dello spostamento del volo interno e anche l’hotel per l’ultima notte ha acconsentito senza problemi allo spostamento, quindi possiamo definitivamente rimanere in barca due giorni in più. Contattiamo quindi la tassista dell’andata e con la mediazione di Michele cerchiamo di contrattare un escursione a Saint Lucia per il pomeriggio di martedì, nelle ore che abbiamo a disposizione tra l’arrivo del volo interno e la partenza di quello intercontinentale notturno, ma la prima offerta, 200 dollari americani è decisamente troppo e rilanciamo a 100. Vedremo.
Passiamo la serata come al solito a fare delle chiacchiere e bere ruhm, sul tardi inizia a piovere.
VENERDÌ 2 febbraio – Union Island, Chatham Bay
Solita sveglia presto, alle 6.30, fuori c’è una meravigliosa luce. Siamo sempre i primi ma stamattina c’è una sorpresa, il wc non funziona.
Due biscotti e un caffè, poi vista la meravigliosa atmosfera mi tuffo subito in acqua per fare una nuotata fino a riva in solitaria, prima che si sveglino gli altri.
Faccio una passeggiata e ancora non c’è nessuno, è bellissimo, il sole è ancora basso e c’è più corrente, si vede che il maltempo di stanotte ha mosso un po’ le acque ma ora sembra volgere di nuovo al meglio.
Quando torno in catamarano si sono svegliati tutti, riorganizziamo l’utilizzo dei bagni, altra colazione e alle 9.30 si levano le ancore e si riparte per tornare a Union Island, non però al porto di Clifton dove eravamo ieri ma in una baia a ovest dell’isola che si chiama Chatham Bay.
Anche qui gettiamo l’ancora e subito iniziano a sbucare dall’acqua qua e là le testoline delle tartarughe che guardano incuriosite chi sia arrivato. Questa baia piace a tutti, tranne a me. Si, è bella, è tranquilla e c’è poca gente, ma non ha nulla della particolarità prettamente caraibica del paesaggio visto a Cannouan, Tobago o Mayerau che, personalmente, preferisco. L’acqua è colorata ma non troppo, la vegetazione non contempla palme e la sabbia non è bianca ma gialla e soprattutto è corta, molto inclinata e un po’ lasciata andare, comunque…..è piacevole lo stesso passarci un po’ di tempo.
A bordo nel frattempo parte subito la trattativa con i pescatori che ci raggiungono con le loro barche.
Scendiamo con il tender. Michele ci presenta Alex, un omone grande e nero che nel pomeriggio ci potrebbe accompagnare in una passeggiata all’interno dell’isola per 30 EC da dividere con chi ci sarà. Accettiamo e concordiamo di trovarci verso le 16.
Facciamo una passeggiata a piedi, da un lato, ben mimetizzato, c’è un resort, ma la spiaggia non è attrezzata e non c’è nessuno degli ospiti al mare…allora che si viene a fare ai caraibi? In…piscina? Ma daaaai…. Qui davanti incontriamo un altro gruppo di italiani e anche loro ci raccontano un esperienza decisamente più problematica della nostra. Ma tra tutte le cose che non hanno funzionato la cosa peggiore è…….la mancanza di caffè!! Quando diciamo che il nostro catamarano è “Bella Signora” dicono di averci già notati a Tobago….che il nostro rientro canterino non sia passato inosservato? Bè…noi ci siamo divertiti un sacco…
Ci spostiamo sul lato opposto della spiaggia e proviamo a fare un po’ di snorkeling, che ci delude un po’, vedo tanti pesci, ma tutti uguali e monocromatici, pochi colori.
Tornati in spiaggia troviamo Patrizia stesa sui lettini, le prestiamo maschera e pinne e noi torniamo vicino al pontile a prendere un po’ di sole. Michele si fa attendere ed è molto caldo, mi riparo sull’altalena e quando finalmente arriva ci dice che ha avuto parecchio da fare con il nostro bagno che pare si sia intasato a causa dei capelli che effettivamente qualche volta ho buttato. Chiedo venia, non pensavo che anche i capelli potessero essere un problema nel wc di una barca.
Tornati a bordo faccio un giro di snorkeling attorno al catamarano e vedo un sacco di stelle marine sul fondo, poi pranzo e relax.
Alle 16 torniamo a terra con il tender per l’appuntamento con l’omone grande e nero per il giro all’interno dell’isola, con noi c’è anche Elena e si aggiunge anche una coppia di turisti francesi.
Come prevedibile il giro non si rivela un gran che, facciamo abbastanza fatica a salire su per la prima parte del sentiero in sassi con le infradito, ancora di più nell’ultima parte che il sentiero non c’è praticamente più e saliamo su per un ripido prato a rischio di scivolare sull’erba, alla fine attraverso una carraia più comoda, arriviamo in un paio di punti panoramici in cui scattiamo delle belle foto della baia dall’alto. Lungo il percorso incontriamo mucche, un paio di tartarughe di terra, un piccolo allevamento di capre e oche. L’omone grande e nero ci raccoglie e ci regala un paio di enormi carrube che, dice, possiamo usare per fare musica stasera perché sbattendole contro una mano i semi all’interno suonano. Le terremo come ricordo.
Il tutto dura un po’ più di un ora, compreso il rientro attraverso lo stesso sentiero dell’andata. Solo che lui con le sue gambe lunghe e la sua abilità ad un certo punto ci semina e andiamo a tentativi per tornare alla spiaggia di partenza. Quando arriviamo spunta alle nostre spalle, e da dove è passato? Scherzetto!
Alla fine ci chiede anche soldi in più, 40 EC anziché i 30 concordati, altro scherzetto.
Torniamo al pontile ad aspettare Michele e nel frattempo facciamo un po’ di foto e di chiacchiere mentre il sole inizia a scendere accendendo di colori caldi tutta la baia. Quando arriva propone un aperitivo al bar e accettiamo volentieri, solo che noi ci sediamo a bere, mentre lui va in cerca di pesce per la cena e quando lo trova va a cercare Alex, l’omone grande e nero, per farselo cucinare. Noi, seduti in prima fila, aspettiamo con il nostro drink in mano, guardano un tramonto annuvolato ma molto colorato, con un Bob Marley qualunque che fuma marijuana alle nostre spalle.
Arrivano per cena anche gli italiani di stamattina e viene pure fuori che alcuni di loro avevano contattato Michele per organizzare il viaggio ma non hanno scelto lui perché l’agenzia in più gli organizzava il volo, mentre Michele no. Per noi è un ennesima conferma di aver fatto la scelta giusta, ma ci dispiace per loro e pensiamo che potremmo tranquillamente essere al loro posto, se siamo qui così è solo per una questione di fortuna. Ci sembra doveroso a questo punto invitarli a prendere il tanto agognato caffè.
Torniamo a bordo in tender tutti insieme che è buio, e il viaggio è tutto una comica perché abbiamo con noi anche le pentole bollenti con il pesce cucinato da Alex, o chi per lui, che tra gli incastri delle nostre gambe, gli zaini e i tentativi di non scottarsi ma allo stesso tempo di salvarle dal ribaltamento, abbiamo tutti la ridarella. Sembriamo dei profughi e anche scendere con tutta sta roba non è semplice. Mangiamo felici il nostro pesce, che comprende anche due aragoste, che io non tocco, e aspettiamo i nostri nuovi amici dando fondo al bottiglione di ruhm, ma non si vede nessuno e ad una certa ora andiamo a letto senza aver offerto il caffè.
Sabato 3 – Petit Saint Vicent
Apro gli occhi e dall’oblò vedo l’acqua tinta di un caldo color rosa. Balzo in piedi per uscire a vedere, sono le 6.24 e oggi non sono neanche la prima, c’è già Patty alle prese con la moca. Usciamo e nel silenzio ogni tanto fanno capolino le testine delle tartarughe attorno al catamarano.
Un paio d’ore volano via così, a guardare i colori dell’acqua che cambiano a mano mano che cresce il sole che però è ancora nascosto dietro l’isola, il tempo sembra sospeso, la vita di tutti i giorni lontana anni luce. Mi preparo per tuffarmi in acqua, ma in quel momento arrivano visite: una parte del gruppo di italiani che doveva venire ieri sera ci sta raggiungendo a nuoto, spiegano che non sono potuti venire perchè si è rotto il motore del tender e sono dovuti tornare a remi (anzi, con un solo remo) e quindi non hanno fatto una deviazione da noi, se è lo stesso il caffè lo vorrebbero adesso.
Li accogliamo a bordo e restano subito meravigliati da quanto spazio ci sia sul nostro catamarano, rispetto alla loro barca ad uno scafo, mentre una voce maschile si accerta dalla loro barca che effettivamente il caffè ci sia, e avendone avuto conferma si tuffa e arriva a tutta birra.
Facciamo due chiacchiere (con caffè) e ascoltiamo le loro disavventure, poi per loro arriva il momento di ripartire e per me quello di tuffarmi per il mio bagno di prima. Al primo giretto attorno al catamarano non avvisto tartarughe nelle vicinanze, ma dopo essere risalita le vedo e mi butto di nuovo, ed eccone una che se ne va in giro tranquilla tranquilla a pochi passi da noi, la seguo un po’, lei sul fondo, io a pelo dell’acqua con la maschera, è bellissima e per un po’ si lascia ammirare, poi decide che ne ha abbastanza, parte a tutta velocità e chi le sta più dietro?
Torno a bordo ancora più felice per ripartire, ad un orario indefinito. Destinazione Petit Saint Vincent, per andare da un isola all’altra delle Grenadine non si impiega mai più di un oretta di navigazione.
Arriviamo, ed è uno dei posti più belli visitati finora: il mare è favoloso, l’acqua sembra quella di una piscina. Appena il tempo di sistemare l’ancora che Patty ed Elena si tuffano e vanno a riva a nuoto, per noi è un po’ troppo lontano così rimaniamo con Michele a fare snorkeling attorno al catamarano, avvistiamo giusto una sogliola e un lambì, ma l’acqua è talmente meravigliosa che è un piacere lo stesso. Poco dopo arrivano anche i nostri amici del caffè, che però hanno deviato per Petit Martinica per fare acqua e rifornimento, che pur essendo ben visibile di fronte, appartiene allo stato di Grenada.
Attendiamo il rientro di Patty ed Elena per pranzare, poi relax fino alle 15.30, e mentre ci prepariamo per scendere arriva un pescatore che Michele aveva contattato telefonicamente perché portasse del pesce per cena e lui lo porta…solo che è congelato nelle vaschette! Stavolta ci siamo presi una fregata! I nostri amici sono già ripartiti per una destinazione che non sapevano nemmeno loro, non hanno un buon rapporto con lo skipper…
Tardiamo un po’ e infine scendiamo con il tender, passiamo attraverso il bar che è vicino al molo e che è accessibile a tutti, facciamo una passeggiata nella bellissima spiaggia che sarebbe privata del resort che occupa tutta l’isola, ma lungo il bagnasciuga sembra si possa passare. Sbirciamo dentro e non si vede praticamente nulla, tranne ogni tanto qualche angolino nascosto con un paio di lettini sotto ad una capanna con un tavolino, ma solo uno di questi è occupato, il resto è tutto vuoto. All’interno si vede un bosco di palme attraverso il quale non si scorgono strutture, di sicuro il tutto è ben inserito, ed è anche estremamente costoso, infatti al bar c’è una brochure con il listino prezzi che si aggira dai……9.000 ai 12.000 euro alla settimana. Bello eh….però, che tristezza. Il silenzio che c’è qui non è di pace, ma di pesantezza, le poche persone che abbiamo visto senza l’ombra di un sorriso.
La spiaggia è bella, con sabbia fine e bianca battuta dalle onde del mare, che non tolgono nulla ai bellissimi colori dell’acqua. Ogni tanto incontriamo qualche enorme conchiglia e anche una specie di riccio dagli aculei bianchi che non capiamo cosa sia.
Torniamo indietro, superiamo il bar e andiamo nella spiaggia “dei poveri” ovvero quella posizionata nella parte opposta rispetto al molo, in cui anche i comuni mortali che sostano in barca all’ancora possono stendersi a prendere un po’ di sole e farsi un bagno, si tratta di un breve tratto perché poi ricomincia quella del resort, da cui, naturalmente, appena stendiamo un po’ di roba, ci mandano via. Non è un problema, quella per tutti è altrettanto bella e c’è pure un altalena su cui ci fermiamo un po’ a giocare come dei bimbi. Si è unita a noi anche Patrizia. Passiamo un oretta fra bagni, altalena e sole, poi, verso le 17.30 torniamo al bar dove Patrizia prende un drink e si accomoda nelle poltroncine che sono proprio davanti al muretto sul mare, io la seguo e mi godo per un po’ con lei la vista.
Verso le 18 Michele ci viene a prendere, torniamo in barca e c’è un tramonto splendido, così facciamo un altro aperitivo mentre ce lo gustiamo tutto minuto per minuto. Intanto Michele ed Elena preparano una cena luculliana a base di brodetto di pesce e pesce stufato con patate, pomodori e cipolle, così neanche ci accorgiamo che si tratta di pesce congelato.
Dopo cena sempre tra le solite chiacchiere, scrittura del diario e bevuta di rhum, che a forza di trincare è quasi finito!
Domenica 4 – Tobago Cays/Union Island
Sveglia sempre prestissimo, alle 6.30, faccio il primo caffè e mi metto al posto guida del catamarano a gustarmelo ammirando i meravigliosi colori del mare e dell’isola alla luce dell’alba. Che gioia. Dopo poco però arriva una grande nave merci a rovinare quest’oasi di pace, si intruffola tra i catamarani come se nulla fosse e tenta di avvicinarsi al pontile dove siamo sbarcati ieri. Non riesce al primo tentativo e così la guardo manovrare per girarsi, uscire e rientrare come se fosse una piccola utilitaria incastrata in un parcheggio. Sono affascinata dall’agilità con cui posso essere manovrati questi bestioni, ma il rumore ha rovinato la bella atmosfera e ora anche la vista è oscurata da questa brutta nave che sta scaricando rifornimenti per il resort e caricando immondizia e pacchi vari.
Il rumore sveglia anche gli altri che piano piano emergono dagli scafi, Michele non ci mette molto a realizzare che il bestione ha parcheggiato proprio sopra, o comunque molto vicino, alla nostra ancora e che finché non decide di ripartire lui, anche noi non possiamo muoverci. Facciamo un breve briefing sulle varie possibilità che ci si prospettano in base all’orario in cui saremo liberi, ma siamo fiduciosi che la nave ripartirà a breve, appena finite le operazioni di carico e scarico. Dopo oltre un ora niente si muove, quindi parto in esplorazione con maschera e pinne per vedere l’esatta posizione dell’ancora, la trovo a pochissimi metri dalla nave ma non proprio sopra, Michele mi guarda dal catamarano e valuta che, avendo il vento contro, ce la può fare. E ce la fa. Un po’ di manovre millimetriche e siamo liberi da vincoli.
A grande richiesta vogliamo tornare a Tobago Cays a passare le ultime ore di crociera, che è il posto che è piaciuto di più a tutti quanti. In un ora e mezza siamo lì, ma non andiamo davanti alla spiaggia dell’altra volta, Michele preferisce ancorare in una diversa posizione, più spostati verso l’isola delle tartarughe, in mezzo ad un meraviglioso mare turchese, dove non c’è nessuno, solo noi. Chiudiamo la nostra vacanza proprio in bellezza!
Ammiriamo estasiati il mare per un po’, poi partiamo con il tender per andare andare a fare snorkeling vicino al reef, cosa che finora non abbiamo mai fatto, vuoi per pigrizia, vuoi per le troppe correnti. Ai Caraibi in generale il reef è molto distante dalle spiagge e bisogna raggiungerlo per forza con il gommone, il che comporta comunque una certa difficoltà a risalire per tornare indietro. Michele ci tranquillizza del fatto che siamo molto vicini al catamarano e nel caso qualcuno di noi non riesca a risalire, ci potrà trainare pian piano attaccati ad una cima e arriveremo in appena un minuto, anche meno, e si posiziona in un punto in cui se la corrente ci facesse allontanare, ci porterebbe comunque verso il catamarano per cui non ci sono pericoli anche se il mare è piuttosto mosso. Gettiamo la piccola ancora che abbiamo portato con noi per fermare il tender, Patty, Michele ed io scendiamo subito, Paso solo dopo un po’ ma non si allontana. Loro sono nuotatori molto più esperti di me e vanno verso l’esterno del reef, io faccio un giro intorno senza allontanarmi troppo e nella fase di rientro riesco a tenere la direzione giusta e ad arrivare al tender, ma mi costa abbastanza fatica. Comunque finalmente vedo un po’ di pesci colorati in mezzo alle rocce e agli anemoni, nulla di paragonabile alle Maldive o al mar Rosso, ma nuotare in mezzo ai pesci e alla vita marina è sempre un’emozione!
Solo che la corrente è tanta e mi stanco presto. Michele e Patrizia girano più al largo ma non tardano neanche loro a tornare, soprattutto Patrizia che ha avuto un incontro ravvicinato con uno squaletto, che è rimasto immobile, ma ha ritenuto più prudente tornare indietro il più in fretta possibile! Riusciamo a risalire tutti sul gommone e torniamo al catamarano dove Elena ha preparato un ottimo cous cous per pranzo.
Il dopo pranzo lo passiamo a rilassarci in mezzo al blu dipinto di blu, Paso si fa imbragare e sale sull’albero del catamarano per fare delle foto dall’alto.
Verso le 15.30 dobbiamo proprio andarcene per arrivare a Union in tempo, ovvero prima che faccia buio, salutiamo già con un po’ di nostalgia Tobago e questo mare così bello, domani si sbarca.
Arriviamo dopo un oretta e attracchiamo nello stesso punto dell’altra volta, sempre all’inglese, guardiamo per l’ultima volta le manovre, i nodi, i parabordi, diretti come sempre alla perfezione da Michele ed Elena e siamo arrivati, da qui non ci muoveremo più. Scacciamo l’amarezza con l’ennesimo aperitivo anche se è presto, ma ogni scusa è buona per aprire una bottiglia di vino.
Prima che faccia buio decidiamo di scendere per fare un giro e un po’ di acquisti da portare a casa, ma dopo pochi passi ci sorprende un acquazzone. Torniamo indietro, cambiamo le magliette fradice e quando smette facciamo un secondo tentativo, armati di kw però stavolta! E’ domenica ed è tutto chiuso, c’è molta meno gente in giro, troviamo solo un paio di negozi aperti e compriamo qualche regalino e una bottiglia di rhum per Michele ed Elena, che prima di avere altri ospiti a bordo avranno qualche giorno di riposo, in sostituzione di quella che, a forza di un bicchierino o due tutte le sere, abbiamo finito!
Torniamo al catamarano che è praticamente buio, Michele sta facendo rifornimento di acqua dolce, e scopriamo che è un operazione piuttosto lunga anche questa. Diamo una mano come possiamo, cioè praticamente tenendo solo la luce della torcia.
Facciamo una doccia e usciamo per l’ultima serata tutti insieme in cui abbiamo deciso di andare al ristorante. Ma prima facciamo un secondo aperitivo al bar dell’Ancorage, la marina in cui siamo attraccati, anche perché inizia a piovere di nuovo. Ma non abbiamo fretta, stiamo un po’ lì a chiacchierare e tra Michele e Paso si concludono anche affari di lavoro che, probabilmente, ci porteranno a rimanere in contatto in futuro.
Per cena andiamo al ristorante Lambì dove ordiniamo pesce e pollo e ci arrivano mille piatti con lambì, aragoste, tonno, riso, verdure, banane fritte e ogni ben di dio, mangiamo tantissimo e rimane un sacco di cibo che però ci facciamo incartare e portiamo via, così domani Michele ed Elena avranno pranzo e cena pronti. Mentre ce ne andiamo inizia un piccolo concerto di musica suonata con strumenti strani, tipo barattoli di latta, peccato che sia tardi e noi siamo stanchi, per cui ascoltiamo solo per qualche minuto prima di tornare al catamarano per l’ultima notte.
Una volta a bordo facciamo i conti per metterci in pari con le ultime spese di acqua e carburante, iniziamo a mettere le prime cose in valigia e andiamo a letto tardissimo per come siamo abituati in mezzo al mare, ben mezzanotte!
LUNEDÌ 5 – Union Island, Clifton
Nonostante la “nottata” cigolosa non manca la sveglia alle 6.30 anche oggi, purtroppo il tempo non è sereno e l’ultima alba dal catamarano non è delle migliori.
Patrizia è già in piedi in piena crisi di astinenza da nicotina perché la porta per uscire si è bloccata e non riesce ad aprirla dall’interno, va a fumare con la testa fuori dal lucernaio della cabina mentre io cerco di capire cosa sia successo. Quando torna riusciamo a scoprire l’arcano, era uscita da una guida laterale e la mettiamo a posto.
Al chè può partire la solita routine mattutina fatta di risvegli con calma, qualcuno che fa il caffè, qualcun altro che taglia la frutta per colazione, qualcun altro ancora che sgranocchia qualcosa, come se non dovessimo sbarcare da lì a poco. Piano piano iniziamo a ragionare e radunare le nostre cose ancora sparse per la barca, alla fine in qualche modo riusciamo a fare la valigia mettendoci dentro anche il “piccolo” souvenir che abbiamo preso ieri dalla spiaggia, un guscio vuoto di lambì che avrà un diametro di 30 cm e peserà tre kg. Tutti i gusci di lambì che vengono pescati, e i cui molluschi vengono cucinati nei ristoranti, sono poi abbandonati in enormi mucchi che si trovano qua e là in mare vicino alla spiaggia. Molti sono stati utilizzati in edilizia, si possono infatti vedere annegati nel cemento nei muretti o lungo i sentieri, quelli non utilizzati semplicemente buttati in questi mucchi. E’ un altra mattanza simile a quella delle aragoste: un volta pescati viene fatto un buco sul retro del guscio per disturbare il mollusco, che non sentendosi più al sicuro nella sua casa, che ci ha messo anni e anni a costruire in tutta la sua bellezza, esce dal davanti, a quel punto viene preso e tagliato a pezzi. Ieri ne abbiamo preso uno da questi mucchi abbandonati, come simbolo di quest’isola, ma con la tristezza nel cuore pensando alla crudeltà di queste operazioni, a come facciamo presto noi uomini a rovinare la grandezza del lavoro di un piccolo animale che è una vera e propria opera d’arte.
Alle 9 usciamo tutti per accompagnare Patrizia all’aeroporto, rifacciamo la stessa strada dell’altra volta quando abbiamo accompagnato Mauro e Roberto. Iniziano i saluti, noi ci accertiamo che non ci siamo problemi per il nostro cambio volo, che abbiamo spostato a domani, ed è tutto ok.
Guardiamo qualche aeroplanino (sono tutti piccolissimi!) partire e capiamo perché la recinzione che costeggia il fondo dell’aeroporto vicino alla marina è tutta piegata all’infuori: perché quando partono con le eliche al massimo si forma un vento incredibile!
Torniamo per l’ultima volta in catamarano a recuperare le nostre valigie, le scarichiamo a fatica, in particolare la mia che tra il lambì e i panni bagnati che, a causa della pioggia di stanotte non si sono asciugati, è pesantissima, quindi andiamo verso il paese, in direzione opposta rispetto all’aeroporto, a cercare un passaggio per l’hotel.
Michele ferma la prima macchina che incontra, non è un taxi, ma una coppia che passava di lì e accetta di portarci al Sant Joseph Hotel per 10 EC, qui non c’è da aver paura, non c’è criminalità. Quindi anche per noi è il momento dei saluti con Michele ed Elena e saliamo con questi sconosciuti che in pochi minuti di insicura guida ci lasciano a destinazione, che, come pensavamo, dista poco dal paese ma è tutta in salita e con le valigie sarebbe stata durissima.
Entriamo dal cancello e seguendo le indicazioni di un signore, saliamo le scale che ci conducono all’edificio in stile coloniale, troviamo una signora, forse la moglie, vista la confidenza, impegnata a stirare al piano terra che ci da le chiavi e che paghiamo, ci indica la nostra camera al secondo piano e che, nonostante ci dica che per qualsiasi cosa possiamo fare riferimento a lei, in realtà non vedremo più.
Andiamo in camera e….finalmente un letto e un bagno con una doccia spaziosa e un wc con acqua corrente! La barca è bella ma queste comodità dopo un po’ mancano! Abbiamo un piano tutto per noi, la camera affaccia in un soggiorno con divani, tv, tavoli e libreria che a sua volta si affaccia su un grande terrazzo da cui c’è un’incantevole vista dall’alto sul mare. Ci sistemiamo un attimo e usciamo di nuovo a piedi per tornare giù in paese, prima però ci fermiamo a curiosare in una spiaggetta subito sotto all’hotel piccola e difficilmente sfruttabile ma carina.
Attraversiamo di nuovo il paese e raggiungiamo la spiaggetta dei kite dove siamo andati alla festa la scorsa settimana, ma appena seduti inizia di nuovo a piovere. Ci rifugiamo nel bar e quando smette torniamo nella sabbia, che si asciuga in fretta, a guardare le evoluzioni dei kitesurfisti. Dopo un po’ poi ci spostiamo alla spiaggia pubblica per fare un bagno senza pericoli e prendere un po’ di sole. Anche qui troviamo un enorme mucchio di gusci vuoti di lambì, ne prendiamo uno un po’ più piccolo per sostituire il nostro che ha dimensioni e peso esagerati, anche se è molto bello, ma per il viaggio forse è un po’ troppo.
Si fa ora di pranzo e andiamo a mangiare un ottima pizza al Waterfront, un locale affacciato sul mare dall’ambiente soft e ricercato, se non fosse per vasca di aragoste vive in bella vista su un lato, da cui le poverette cercano disperatamente di uscire arrampicandosi invano sui lati.
Dopo un caffè espresso e un po’ di shopping nel negozietto accessibile solo dall’interno del locale, che ha ottimi prezzi, torniamo in spiaggia e ci mettiamo un po’ all’ombra delle mangrovie dove alla fine rimaniamo tutto il pomeriggio, a crogiolarci al sole, fare dei bagni, giocare con una simpatica cagnolina di nome Twilight, e a osservare e fotografare i granchi e il loro continuo lavorio a portare fuori dalla tana la sabbia.
Verso le 17 il cielo si annuvola di nuovo, così torniamo in paese, ci fermiamo per un ultimo sguardo al molo dove ora è attraccato un altro catamarano al posto di Bella Signora.
Ripassiamo dal paese lentamente, facciamo un po’ di acquisti per la cena che abbiamo intenzione di consumare sul terrazzo davanti alla nostra camera e torniamo pian piano a piedi guardando il panorama, mi colpisce in particolare il cimitero, immerso nel verde, adagiato in fondo ad un sentiero proprio a picco sul mare. Comunico a mio marito che tra le mie ultime volontà ci sarà di essere seppellita in un posto così!
Una volta arrivati all’hotel facciamo amicizia con una gattina che, dopo due carezze, ci segue fino in camera e sembra non abbia più intenzione di allontanarsi, sistemiamo meglio le cose in valigia e prepariamo quello che ci servirà per domani.
Paso va alla ricerca della proprietaria perché la connessione ad internet non funziona e vorremmo fare il check-in, ma non trova nessuno, sembra che siamo completamente soli in questa grande struttura. Incontra però due canadesi alloggiati nell’edificio a fianco e così viene a sapere che siamo in una struttura gestita dalla Chiesa, effettivamente i libri che sono nel salone sono tutti di carattere religioso. Gli offrono la loro connessione e riesce a fare tutto.
Quando torna facciamo una doccia, ceniamo con quello che abbiamo e andiamo a letto presto. Domani sarà una giornata lunga, talmente lunga che finirà solo dopodomani!
Martedi 6 – Union Island/St. Lucia
Ultima sveglia nei Caraibi. Balziamo in piedi, è tardissimo! Sono le 7.30. Non siamo più in catamarano. Calma. Il vento ha soffiato tutta notte e la stanza è piena di spifferi.
Ci prepariamo con calma e usciamo con le valigie al seguito, vorremmo chiedere se qualcuno può portarci all’aeroporto ma non troviamo nessuno. Lasciamo quindi la chiave nella porta e ci avviamo a piedi, per fortuna è tutta discesa, però è fatica lo stesso con le valigie al seguito.
Arrivati in paese ci fermiamo a fare colazione in un bar che sembra un po’ più signorile rispetto ad altri e che ha un cartello appeso fuori “life is better at the beach”. Sono pienamente d’accordo e do fiducia a questa verità. Mentre siamo seduti ad un tavolo ricavato da un enorme tronco d’albero (forse di quercia) che sembra fatto apposta per ospitare attorno delle sedie, arriva una ragazza bianca e si capisce che è una titolare, o comunque, una che si occupa della gestione, di sicuro una delle tante e ammirevoli persone che abbiamo incontrato che hanno avuto il coraggio di cambiare la propria vita.
Ripartiamo e camminiamo fino all’aeroporto, ci aprono le valigie e gli zaini per i controlli (altro che radar) ma non vedono il guscio di lambì avvolto nella biancheria sporca, non penso ci siano problemi a prenderli su, dato che loro li buttano, però nessuno mi ha saputo dire con certezza questa cosa.
Con qualche minuto di ritardo arriva il nostro mini aereino, tutto blu con delfini e tartarughe colorati disegnati sopra, siamo cinque passeggeri oltre al sorridente pilota, bianco anche lui, che chiude gli sportelli come se fosse un automobile, indossa le cuffie e ci augura buon viaggio.
Partiamo a tutta velocità e decolliamo senza problemi, il viaggio è tranquillo, dura un po’ meno di un ora e dalla quota in cui siamo, non troppo alta, ci godiamo i bellissimi colori del mar dei Caraibi dall’alto, riconosco quasi tutte le isole in cui siamo stati nei giorni scorsi.
Atterriamo a Saint Lucia, dove una volta sbrigate le formalità di sbarco, ripeschiamo le valigie e usciamo dall’aeroporto dove ci aspetta la tassista del primo giorno con cui alla fine abbiamo raggiunto l’accordo di 140 dollari per portarci un po’ in giro oggi pomeriggio. Abbiamo il volo per Londra alle 20.40, contiamo di tornare in aeroporto al massimo alle 18 e ora sono le 12, quindi abbiamo un po’ di ore a nostra disposizione per visitare la parte sud/ovest dell’isola.
Non abbiamo trovato molte informazioni, ma quelle poche consigliavano tutte più o meno le stesse cose quindi innanzitutto ci facciamo portare ai Diamonts Botanic Garden che distano circa 45 minuti di auto. Si tratta di un giardino botanico, molto curato e molto bello. All’ingresso ci dicono che compreso nel biglietto di ingresso c’è una guida che però non troviamo, quindi proseguiamo la visita da soli. Meglio così, già non conosciamo i fiori e le piante in italiano, figuriamoci cosa avremmo capito in inglese. Ci accontentiamo dei cartelli informativi che troviamo lungo il percorso e passeggiamo con calma nel sentiero che forma un tragitto obbligato, è tutto ombreggiato da piante enormi di diverse specie, ne riconosciamo solo alcune, ci sono fiori coloratissimi dappertutto, dalle forme più strane. Verso metà si arriva in un punto di ristoro con un negozietto, il bar e i bagni, accanto c’è l’ingresso alle piscine termali, che null’altro sono che tre piccole piscine artificiali alimentate dall’acqua calda di sorgenti presenti nell’isola vicine al cratere del vulcano che visiteremo più tardi. Dallo stesso ingresso si passa anche per raggiungere la cascata in fondo al sentiero. Andiamo a vedere e quando torniamo valutiamo se fare un bagno oppure no, le piscine infatti sono accessibili con lo stesso biglietto di ingresso, ma bisogna avere dietro l’occorrente, telo e ciabatte. Anche se siamo attrezzati decidiamo di no, sono molto piccole e già piuttosto affollate e preferiamo proseguire nel giro.
Ci supera veloce un gruppo entrato dopo di noi con la guida, abbiamo fatto bene a non aspettarla, la visita con lei risulta molto più veloce, quasi troppo, e, confermo, non avremmo capito niente. Noi invece ci fermiamo a fare tutte le foto che vogliamo e sfruttiamo tutta l’ora a nostra disposizione immersi in questa natura, tra sentierini curati, pergolati in legno e fontane non funzionanti.
Usciamo e la nostra tassista ci sta aspettando per proseguire la gita. Ci porta prima in un punto panoramico da cui vediamo la baia di Sufrière, dove siamo arrivati il primo giorno e ripensiamo a come sembrava tutto diverso, perché la barca ha questa particolarità: si diventa subito amici, si entra immediatamente in confidenza con le altre persone e con i posti che si visitano da un punto di vista privilegiato e questo fa si che in pochi minuti si passi dal distacco iniziale di quando attorno a te è tutto nuovo a quando invece tutto diventa familiare, parte integrante del proprio essere, e senza accorgersene.
Proseguiamo poi per Sulphur Spring, ovvero il cratere del vulcano. Anche qui appena entrati ci sono piscine naturali di acqua calda ma fangosa, in cui si può andare a rilassarsi però serve pagare un sovrapprezzo che noi non facciamo perché poi dobbiamo affrontare il viaggio di ritorno e così infangati non è proprio il caso!
Costeggiamo a piedi il cratere lungo la strada prestabilita guardando i fumi che si sollevano qua e là dal tappo che è lì immobile da metà del 1700 circa. Arriviamo in un punto attrezzato con mercatini dove una guida ci becca e assieme ad un altra coppia ci accompagna per il resto del percorso spiegando l’attività geologica della zona e di tutta l’isola in un inglese chiaro e piuttosto semplice, ma visto l’argomento abbastanza complesso non riusciamo comunque ad afferrare tutto, possiamo solo ricostruire carpendo qualcosa un po’ a tratti. Dapprima la guida raccoglie un po’ d’acqua in una bottiglietta dal fiumiciattolo che alimenta poi la piscina termale per farci sentire la temperatura: scotta! È quasi fatica tenerci le mani sotto. Poi ci conduce all’ultimo punto panoramico da cui si vedono i punti con il magma liquido da cui fuoriesco le bolle. Ci lascia lì e fa capire che vorrebbe la mancia che Paso non da perché dice che ci è stata imposta senza possibilità di scelta. Va bè…poveretta. Mentre l’altra coppia torna indietro noi proseguiamo per la scalinata alle nostre spalle e arriviamo al museo in cui assistiamo ad un filmato che in spagnolo capiamo un po’ meglio e ci chiarisce di più le idee di quello che abbiamo visto. Il resto del museo è poco più che qualche foto estratta dal filmato.
Non sappiamo bene dove ci aspetti la tassista perché c’è un uscita anche qui, ma dopo un po’, non vedendola, rifacciamo tutto il percorso all’indietro e la troviamo nel punto in cui abbiamo agganciato la guida.
Non c’è molto altro in questa zona di Saint Lucia e per finire la giornata ci facciamo quindi portare in una spiaggia vicino all’aeroporto dove ci fermiamo un altra oretta. Facciamo una passeggiata sul bagnasciuga, siamo nel villaggio di Laberie e lungo la spiaggia si susseguono vecchie casette di pescatori, con la confusione di panni e immondizia tipica dei paesi poveri, in cui non vi sono controlli e nessuno tiene più di tanto alla salvaguardia delle bellezze, ma di certo siamo in uno dei posti più autentici visitati finora. Nelle verande di un paio di queste casette qualcuno sta cucinando del pesce in quantità, forse un ristorante affacciato sulla strada principale? Le condizioni igieniche lasciano un po’ a desiderare ma magari sarà buono….
Ci fermiamo a guardare dei bambini che giocano a calcio subito dietro alla spiaggia e a prendere l’ultimo sole, che si sta avviando al tramonto, fino alle 17.15, ora in cui decidiamo di farci riportare definitivamente in aeroporto. Attraversiamo quindi dall’interno il paese con l’auto e troviamo conferma che lungo la strada principale ci sono diversi ristoranti. Il resto del paese è fatto delle stesse piccole casette, vicine ma singole, rovinate dalla salsedine, molte disabitate o comunque fatiscenti a causa, penso, dagli uragani, che la nostra tassista ci conferma con tutta la naturalezza del mondo che ogni tanto passano, ma non in questo periodo dell’anno. Non c’è l’ombra di un turista, solo tante persone che oziano, bambini che giocano, cani che girano, sporcizia, caos, ma da nessuna parte ho mai avuto la sensazione di pericolo.
Arriviamo in aeroporto, paghiamo e salutiamo la nostra tassista, e ci prepariamo al lungo viaggio di ritorno. Partenza puntualissima da Saint Lucia alle 20.40 per sbarcare a Londra Gatwich 8 ore dopo, cambio aeroporto per Heatrow con lo stesso pullman della National Express dell’andata, e ripartenza per Bologna dopo alcune ore di attesa in cui abbiamo fatto gli ultimi acquisti nel negozio di Harrods e pranzato con due hamburger alla vergognosa cifra di 50 euro!
Informazioni utili:
– la moneta in corso a Saint Lucia e Grenadine è il dollaro caraibico (EC). E’ del tutto inutile fornirsi di dollari americani, dappertutto prendono, anzi preferiscono, gli euro, ma è importante essere ben informati del cambio (all’epoca in cui siamo andati noi era 1 a 3), come in tutto il mondo il turista è sempre visto come un pollo da spennare e nelle trattative in partenza puntano sempre in alto;
– programmare un volo interno permette di fare un viaggio a senso unico, consentendo di godere appieno di tutti i giorni disponibili da vivere sulle isole più belle. Saint Lucia e Martinica sono i punti di arrivo più comuni dall’Europa, ma sono molto a nord rispetto alle Grenadine, Martinica ancora di più di Saint Lucia. Già arrivando su Saint Lucia poi bisogna mettere in conto almeno due giorni (con poche tappe) di navigazione per arrivare alle Grenadine e quindi altri due per ritornare, da Martinica altrettanti, facendo il dritto, se non di più se ci si ferma. Tutto tempo portato via alle zone più belle che, indubbiamente, sono alle Grenadine! Il volo interno da Union a Saint Lucia con la compagnia SVG a noi è costato circa 200 euro a testa, è durato appena 45 minuti ed è uno spettacolo come se fosse un escursione, sicuramente consigliato.
– tra gli italiani incontrati che hanno prenotato una vacanza simile alla nostra, ma attraverso un agenzia, abbiamo riscontrato gli stessi problemi che, onestamente, se fossero capitati a noi ci avrebbero un po’ infastidito. La differenza sta nel fatto che un agenzia italiana si appoggia poi ad un agenzia locale, la quale fornisce mezzo e personale del posto e tende a riempire il più possibile i posti anche con persone che arrivano e partono in giorni diversi, modificando il programma in modo da “raccattare” tutti. Mi spiego meglio. Abbiamo sentito di gente che ha pagato 14 giorni di vacanza per passarne alle Grenadine solo 5 o 6, perché hanno girato per Saint Lucia, Saint Vincent e Bequia caricando persone in giornate successive e partendo per la metà finale solo dopo. Stessa cosa per i rientri, perché i voli internazionali, naturalmente, non sono tutti nello stesso momento. Non che si stia male in queste zone, ma come si sarà capito dal diario, è un altra cosa.
Lo skipper locale fa solo ed esclusivamente lo SKIPPER. Non tocca nulla in cucina, anzi bisogna provvedere anche per lui, non parla la tua lingua, non aiuta nella contrattazione se vuoi acquistare il pesce dai barcaioli, anzi, probabilmente parteggia per il barcaiolo, ma nella sua lingua tu non lo puoi capire.
Tutti avevano scelto di non avere la hostess per risparmiare. Ok, è comprensibile. Ma questo vuol dire dover fare TUTTO da soli e quando ci si trova con degli estranei non è facile….non è facile presentarsi a dei perfetti sconosciuti e andare a fare la spesa insieme in un paese straniero in cui non ti sai muovere, che debba bastare per tutti e per tutto il tempo della durata del viaggio tenendo presente gli spazi ridotti della barca e le possibilità di conservazione limitate, come frigorifero piccolo e assenza di freezer. Si fanno poi i turni per cucinare e lavare, d’accordo, ma quella volta che ti tocca non è facile mettere insieme un pranzo o cena per 10/12 persone che vada bene a tutti in un metro quadro di spazio, e quella volta che ti tocca lavare i piatti, sono tanti! Se non vuoi questi problemi prendi l’hostess ma bisogna pagarla….con Michele abbiamo trovato la giusta via di mezzo, Elena si occupava di cucinare, lavare i piatti e rassettare la cucina, noi davamo una mano ad apparecchiare, sparecchiare e asciugare. Non si occupava di riordinare e pulire le cabine e i bagni, ma se volevamo farlo noi avevamo a disposizione prodotti e stracci.
– in barca non ci sono spazi privati. Oltre a condividere tutto in ogni momento della vacanza, gli spazi sono molto ristretti e si sta sempre a stretto contatto con gli altri ospiti. Questo ancora di più se si tratta di una barca ad uno scafo, anziché a due come è un catamarano. La barca ad uno scafo, oltre ad essere soggetta a sollecitazioni maggiori per via della minore stabilità rispetto al catamarano, non è dotata di vere e proprie cabine, ma di posti letto in qualche caso anche molto ridotto. Bisogna condividere anche quelli. E’ il caso di un gruppo di persone incontrate durante il nostro viaggio, barca ad uno scafo e skipper locale, in cui due che viaggiavano soli, un uomo e una donna, si sono trovati a dover condividere addirittura il letto, talmente stretto da risultare impossibile. Al loro fermo rifiuto, lo skipper ha messo a disposizione il suo posto letto, trasferendosi a dormire nel divanetto del soggiorno, ma per tutto il resto del viaggio non gli ha più rivolto la parola, nemmeno per informarli su dove li stava portando…..
Il catamarano è decisamente più comodo, ha delle cabine, la cui grandezza dipende dalla grandezza del catamarano stesso, nel nostro caso era composto da due matrimoniali e due da quattro posti. Essendo pochi ospiti abbiamo potuto sistemarci in modo da avere ognuno la sua cabina e il suo bagno, Patty in una cabina matrimoniale, noi in una da quattro posti. Se fossimo stati più ospiti probabilmente avremmo dovuto dividerla con qualcun’altro, ma i letti matrimoniali sono degni di questo nome e Michele comunque ha assicurato che mai e poi mai farebbe dormire nello stesso letto un uomo e una donna che non si conoscono!
– le valigie rigide in barca è meglio non portarle, non c’è il posto per riporle. Meglio dei borsoni morbidi che si possano piegare e poche cose: si sta tutto il giorno scalzi, in costume e pareo. Giusto un cambio se si decide di uscire la sera che ci si ferma in porto, tutto il resto del tempo non serve veramente nulla di più del costume e maglietta.
A seguito degli “accordi di lavoro” siglati tra Michele e Paso davanti alla pina-colada dell’ultima sera a Union Island, ora Michele ha un sito tutto suo mikisail.com oltre al contatto facebook