Spettacolo di stelle e di maree
In giro per Zanzibar con bambina al seguito
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L’Africa è potente, banale considerazione, che diventa dirompente quando ti trovi in un pezzetto di Africa che pure è uno dei più turistici, Zanzibar. Siamo partiti da Roma, volando con Ethiopian airlines. Breve scalo ad Addis Abeba, giusto per gustarsi questo snodo dell’Africa vera. Al bagno delle donne, una fila in cui si incrociano sederi e seni ingombranti che sfidano la forza di gravità, per mano una folla di bambini. Nei corridoi dell’aeroporto donne con vestiti coloratissimi sedute in gruppo, uomini vestiti all’occidentale e con abiti tradizionali, uno strano servizio del caffe, che, visto che siamo in periodo di ramadan , ha come avventori solo occidentali. Nello scalo a Dar, scendono la maggior parte degli africani, ed un po’ di missionari, mentre noi ci guardiamo divertiti lo scarico dei bagagli. Quello che ha l’aria di capo gruppo , tutto sudato ed affaticatissimo sostanzialmente guarda mentre due ragazzi scaricano colli enormi ( alla faccia del limite dei 23 kg), che lanciano a casaccio nei carrelli, per poi doverli rimuovere e riposizionare. Nel frattempo il nastro continua a trasportare bagagli, che inevitabilmente cadono a terra o addosso ai ragazzi. Dopo un po’ si ricomincia da capo, una parte dei bagagli scaricati vengono ricaricati, (forse andavano a Zanzibar?) e finalmente siamo pronti per l’ultimo tratto di volo fino a Stone Town. Dall’alto Zanzibar è splendida, un’isola piatta e verde, incastonata in una laguna dai mille colori, Stone Town una cittadina con vie regolari, pianificata, tetti in lamiera o in eternit, a falde, tranne un gruppo di casermoni da socialismo reale, che, mi spiegherà nei giorni seguenti uno dei driver, sono stati costruiti un po’ ovunque in Zanzibar, dal primo presidente, e sono molto apprezzati (ad ognuno la sua fetta di progresso). All’aeroporto mi aspettavo la folla di questurini, invece trovo persone gentilissime, che mi consegnano il bagaglio, nessuno mi chiede niente e ci avviamo verso il tassista che ci aspetta, inviato da Casa del mar, l’albergo che abbiamo prenotato su internet. Non so se dipenda dal fatto che non siamo arrivati con un charter, ma con un volo di linea, ma tutto si è svolto molto regolarmente, e, visto compreso, ci abbiamo messo 5 minuti! Inoltre le foto tessere non servono più, infatti adesso fanno le foto direttamente all’ufficio visti, e ci troviamo immortalati con i lineamenti stravolti dalla nottata passata in volo! La bimba non paga nulla per il visto, così sono 50 $ a testa per gli adulti, foto ricordo compresa. L’autista è di poche parole, e ci dirigiamo verso Jambiani, attraverso prima i sobborghi di Stone Town, poi gli interni di Unguja ed infine, passata la Jozani forest, le steppe della zona est. Jambiani è sicuramente un grosso impatto. Piccole case bianche ad un piano, ordinate e pulite per quanto possano esserlo delle case costruite con pietra di corallo sulla sabbia e coperte con tetto di foglie di palma. Niente immondizia in giro ed anche la spiaggia è pulitissima. Si scopre presto il perchè dell’assenza della plastica. Ci sono numerosi cestini, ma soprattutto non c’è mercato! E’ la prima volta che visito un paese, un grosso paese, in cui non c’è il mercato. Sono presenti solo due o tre negozietti, definiti minimarket, che corrispondono ai nostri spacci, in cui si vende un po’ di tutto, ma praticamente ciò che è contenuto in un mq di un nostro supermercato. Non c’è mercato della frutta, non c’è mercato del pesce, gran parte del giorno non c’è elettricità, e di conseguenza non c’è acqua, nonostante l’efficientissima rete di acquedotti di zanzibar , eppure…… Ci sono un mare di persone che ti salutano, ti parlano e ti spiegano cosa possono venderti, offrirti senza mai importelo, e fermandosi a parlare con te comunque, per il piacere di farlo,di imparare la tua lingua, di sapere cosa fai e come vivi. Ti danno indicazioni se ne hai bisogno, semplicemente ti salutano. Ci sono bambini che giocano in spiaggia ( è il ramadan e c’è solo un paio di ore di scuola al giorno) e non lasciano i loro giochi per venire a chiederli qualcosa. I turisti sono entrati a far parte del paesaggio, sono una risorsa, ma la vita, non gira tutta intorno a loro. A proposito di giochi di bambini. Sono ormai vent’anni che vedo laboratori sul riciclo di materiale per creare giochi, nel frattempo almeno due generazioni sono cresciute e lo spreco è progressivamente aumentato, i giochi non durano più di una stagione, l’elettronica imperversa e si passa più tempo nel mondo virtuale che in quello reale. A Jambiani…con una bottiglia di plastica si crea un macchina a vela, con un pezzo di palma un modellino di barca, con un po’ di bacche la pista delle palline. Nessun animatore in giro, niente percorsi didattici sul riciclaggio ma una perizia nel realizzare giochi fatti per durare il più possibile. Qui non si tratta di teoria, ma di pratica. Questi sono giochi nuovi almeno quanto il nintendo da noi, forse di più. Poi c’è anche chi “gioca” a fare la questua ai turisti, ma senza mai chiedere soldi, solo penne o magliette, o comunque tutti quegli oggetti meravigliosi che i turisti posseggono, a partire dai fazzoletti di carta. L’unica cosa che c’è da fare sostanzialmente a Jambiani è passeggiare sulla spiaggia, o in paese, a qualunque ora del giorno e della notte, e noi ne approfittiamo, facendo alcuni chilometri al giorno, ed altrettanti di notte. Ogni giorno lo spettacolo è diverso. La marea avanza e si ritrae due volte al giorno, è sempre possibile comunque fare il bagno, anche se c’è da camminare un po’, in alcune ore del giorno. Il fondo è abbastanza praticabile, basta fare attenzione ai ricci. Per i bambini sono comunque consigliabili le scarpette. Il nostro albergo, Casa del mar, ha una piscina, così, se proprio uno non vuole godersi l’oceano indiano, ha una alternativa. Il cambiamento del mare durante l’andare e venire della marea è incredibile. Cambiano i colori, cambia la dimensione dello spazio, cambiano le attività che si svolgono in spiaggia. Infatti gli abitanti di Jambiani vivono buona parte della giornata in spiaggia.. Durante la bassa marea le donne coltivano i propri campi di alghe ( lavoro faticosissimo), le bambine raccolgono telline, gli uomini raccolgono la pietra di corallo, con cui si fabbricano le case e la calce, oppure sotterrano le noci di cocco per farle macerare e ricavarci le corde, oppure, cercano lombrichi, i dohw vanno avanti e indietro trasportando merci e turisti, o per la pesca, alcuni cercano di accalappiare qualche turista proponendo qualunque tipo di attività, quasi tutti parlano un buon inglese, qualcuno un po’ di italiano o di spagnolo. . Sullo sfondo la barriera corallina, su cui si infrange l’oceano. Nonostante sia distante circa un km, si sente potente il rumore delle onde. La barriera è interessante, ma non è tra le più belle, anche perchè sia i pescatori che i turisti ci passeggiano sopra portando inevitabili disastri. Le stelle marine sono bellissime, enormi, come le conchiglie. Il grosso della pesca è di barriera ( polpi, calamari e crostacei), ma alcune imbarcazioni si avventurano anche oltre, in mare aperto. Non ci sono, almeno per ora, mezzi a motore nel mare di Jambiani, e pochi sono anche i mezzi che circolano per le vie del paese. Una gita in dohw fino alla barriera noi la facciamo con rastababy, e un esperto marinaio, che sorpassa gli altri dohw di bolina, con una perizia da Cino Ricci. Sappiamo già che alla sera mangeremo quello che i ragazzi hanno pescato, aragoste o calamari che siano, accompagnati della verdure dell’orto e da riso bollito. A casa del mar infatti si mangia abbastanza bene, ma niente in confronto ai piccoli ristorantini autogestiti della spiaggia, che si raggiungono dopo una camminata sotto le stelle. Molti dei ristorantini sono chiusi a pranzo per il ramadan, oppure, causa mancanza di elettricità, non possono servire bevande fresche o cibi cotti al forno. I ritmi sono molto rallentati, e gran parte delle attività sono gestite dai rasta, o da ragazzi molto intraprendenti,che si arrangiano con quello che hanno. Nei giorni passati a Jambiani ho visto uno splendido bar sulla spiaggia con incorporata branda sul tetto per il barista, cucinare l’aragosta tenendo una pila in bocca per illuminare la cucina ed avere le mani libere, servire cene deliziose a base di pesce e crostacei su tavoli arrangiati e con stoviglie e sedie rimediate, per tetto, le stelle…piatti semplici, tradizionali, ma molto buoni, e, quando c’era un po’ di elettricità anche una pizza accettabile per nostra figlia. I nostri locali preferiti sono stati lo One stone, con le splendide aragoste dello chef Amed e lo Step in. Da provare anche Capitan Cook, che è un vero personaggio! Il concetto di slow food qui è la regola, è bene prenotare il giorno prima per il giorno dopo, ed arrivare con un po’ di anticipo. Pole Pole è la prima parola swajli che si impara. Il paese si snoda lungo la costa, per alcuni chilometri, ed ha la piazza principale che funge anche da pascolo e da campo di calcio. Le donne,anche in periodo di ramadan, sono coloratissime, vestite con il kanga tradizionale, sono sempre indaffaratissime, ma disponibili a scambiare due parole. Tutti hanno un aspetto molto sereno e sano, ma….non si vedono persone anziane in giro. Alla scuola ci dicono che hanno bisogno di tutto e che anche i vestiti sono ben accetti. Solo di recente un programma governativo ha consentito di limitare il numero di ammalati di malaria, che sono sempre moltissimi. Le zanzare sono infatti numerose, nonostante sia la stagione secca, e qualche puntura ce la prendiamo anche con l’autan. Causa preghiere del ramadan e mancanza di energia elettrica non siamo mai riusciti ad accedere alla “grande accademia di internet”, unico internet point di Jambiani, che altro non è che una capanna con un po’ di computer. Alla sera va in scena il cielo africano. Uno spettacolo unico, che dalla spiaggia si gode pienamente, nella totale assenza di qualunque luce artificiale, mentre qualche gruppetto di ragazzi organizza falò sulla spiaggia. In tutta Jambiani saremo forse 200 turisti, così che Paje, altrettanto bella e selvaggia, ci sembra troppo turistica, anche se la passeggiata per raggiungerla (8km) merita proprio. Ci spiegano poi gli abitanti di Jambiani che Paje è di proprietà di occidentali, mentre a Jambiani dei locali, e proprio per questo non ha perso il suo spirito originario. Un solo giorno ci avventuriamo a Kizimazi, per andare a vedere i delfini, avendo cura di andare presto e venire via quando arrivano le grandi barche cariche di turisti. Nel frattempo ne approfittiamo per fare un giro nel sud e fermarci a visitare qualche paesino e le scuole, ci fermiamo a parlare con le ragazzine che preparano l’esame di fine ciclo e scopriamo che oltre all’immancabile religione studiano ben tre lingue! Con lo stesso autista organizziamo il viaggio verso Kendwa la seconda tappa che abbiamo programmato a Zanzibar. Lasciare Jambiani porta via un po’ di cuore e ci consoliamo con l’ultima grigliata di aragoste da Amhed, allo One stone, accompagnata da un riso dolcemente speziato alla cannella. Salutiamo anche la camera di Casa del mar, ed i piccoli visitatori notturni che abbiamo sentito camminare e mangiucchiare sopra il tetto in maputi (non lasciate alcun tipo di cibo in giro!). Così, dopo tutto questo, l’impatto con Stone Town quasi ci stordisce, una sosta per ritirare un po’ di soldi in uno dei pochi bancomat della capitale, e si riparte verso Kendwa. L’impatto con questa spiaggia è strano, forse dovevamo fare il giro al contrario. Infatti tutto ci sembra scontato, turistico e poco interessante. Sullo sfondo c’è la terrificante gemma dell’est, un ecomostro, la spiaggia con lettini ed ombrelloni fa molto villaggio, ma in giro pochissimi bambini e nessuno che ti saluti senza interesse. Ci mettiamo un po’ a entrare in contatto con i ragazzi della spiaggia. Qui nessuno ti dice il suo nome vero, ma un nome di comodo adattato agli italiani, che imperversano a Kendwa. Magari un posto fantastico per i festaioli di tutto il mondo, ma per noi solo una spiaggia bella ed abbastanza turistica. I ragazzi della spiaggia ci invitano a non andare in giro da soli la sera, perchè si sono verificate diverse aggressioni. Sono piuttosto arrabbiati per questo, visto che il turismo è la loro fonte di guadagno. Organizziamo con loro una gira a Menmba con pranzo sulla spiaggia, una giornata piacevole, da fare con una spesa di 25 E a testa,(la bambina non paga) e di nuovo incontriamo i delfini. A Kendwa abbiamo alloggiato al Kendwa rocks, adatto magari a ragazzi in cerca di party sulla spiaggia, ma con camere decisamente fatiscenti e non proprio economiche. Per mangiare ci sono diverse soluzioni, tutte più o meno equivalenti e nessuna all’altezza dei ristoranti autogestiti di jambiani Sempre con i ragazzi della spiaggia organizziamo il trasporto a Bububu popoloso sobborgo di Stone Town, dove passiamo gli ultimi giorni di vacanza. A Bububu ritroviamo le maree e la gente di Zanzibar. Il primo impatto è nuovamente piuttosto forte. L’hotel è isolato sulla spiaggia, fuori c’è un accampamento di pescatori sulla spiaggia, e niente altro. La spiaggia non è balneabile, ed anche il mare risente della relativa vicinanza con la città. Ci facciamo comunque una passeggiata ammirando le mangrovie, il tramonto sulle isolette di fronte a Stone Town ed il profilo della città sullo sfondo. L’odore forte della calafatura alle barche certo non aiuta, almeno la vicina discoteca è chiusa per il ramadan e quindi la zona è molto tranquilla. Decidiamo di cenare all’Imani, dove alloggiamo, visto che nelle vicinanze non ci sono alternative. L’imani è molto carino, ed il proprietario gentile e disponibile, la connessione internet è gratuita con il proprio pc, ma non c’è molto altro da fare….rinviamo il giudizio al mattino dopo. Così dopo colazione ci avviamo nel vicino paesino e decidiamo di prendere il dalla dalla. E’ stata una svolta! Certo non è il modo più comodo per viaggiare ma è un mezzo fantastico per entrare in contatto con la gente del posto. Sul dalla dalla le donne alzano il velo, gli uomini parlano, tra sè, i bambini ti scrutano curiosi e noi finalmente abbiamo la possibilità di scorrazzare nei dintorni di Stone Town a qualsiasi ora ed in autonomia. Il problema è semmai quando cerchiamo di riprendere il dalla dalla per tornare a Bububu: qui ci rendiamo conto di tutta la nostra inesperienza e di fatto riusciamo a salire in mezzo alla calca solo quando la gente, impietosita, ci lascia passare e ci indica il mezzo da prendere! Comunque, appena arrivati a Stone Town facciamo un giro nel centro storico visitando le celle degli schiavi (agghiaccianti), la Hause of wonder ed il forte. Il tutto si conclude in un oretta, e di fatto, i cosidetti monumenti non sono niente di che. Ma nel frattempo ritroviamo Abdul, un ragazzo conosciuto sulla spiaggia di Jambiani. Ci fa un po’ da guida, ci porta in un barrino locale, in cui si pranza nonostante il ramadan, e ci accordiamo per i giorni successivi. Dopo poco ritroviamo anche dei ragazzi fiorentini conosciuti a Kendwa, con cui ceniamo. A poco a poco prendiamo gusto a girare senza meta per Stone Town e la gente comincia a riconoscerci e a salutarci. Del resto siamo tra i pochi italiani a girare senza la guida ed il personal shopper. Solo all’ora della preghiera ci sentiamo più insicuri, visto che in giro rimangono solo un po’ di scoppiatoni locali, e ci ritiriamo in qualche terrazza a bere qualcosa ( compresa l’africa house, turistica, ma merita). Per il resto devo dire che la città è decisamente più tranquilla di una città europea. Nei giorni trascorsi a Stone Town abbiamo mangiato in diversi posti ma il nostro preferito è il Monsoon, o, per uno spuntino, la pasticceria vicino alle poste centrali. L’islam a Stone Town è decisamente più presente che a Jambiani, anche se circolano alcol e sigarette. Il suq ha qualche oggetto interessante (soprattutto tessuti, cestini, scarpe), ma nel complesso non è che ci sia un artigianato particolarmente di qualità, e buona parte della produzione viene fatta in Asia! Nei giorni seguenti andiamo a visitare una delle fattorie delle spezie (noi andiamo con Abdull, ma la cosa è fattibilissima anche con i dalla dalla, che portano proprio davanti alle fattorie). Il giro è veramente carino e divertente, anche se le spezie vengono vendute a prezzi esagerarti. Meglio fare spesa all’ingrosso nei vicoli di Stone Town, dove un kg di chiodi di garofano costa mezzo euro!! per l’ultimo giorno ci lasciamo una bella escurisione, una gita in barca al banco di sabbia, bellissimo, sorprendente, come un miraggio nel mare che appare e scompare, con una barriera veramente variopinta. Passiamo una splendida giornata e a Prison Island riusciamo a veder anche le piccole antilopi, oltre alle tartarughe giganti. Dopo questa ultima giornata da veri turisti prepariamo le valigie e andiamo a cena a Stone Town. Si sente il clima elettrico nell’aria: la luna ricompare nel cielo, è finito il ramadan! La mattina dopo Stone Town esplode di colori. Le donne, sempre velate nei giorni precedenti sono colorate e bellissime, le bambine vestire a festa, agghindate come non mai, Zanzibar ci regala questa immagine di sè, completamente diversa. Salutiamo Abdull che ci accompagna all’aeroporto. Anche il check in per ripartire è abbastanza rapido e udite udite non si paga più per uscire. A Addis Abeba ritroviamo le donne del caffè e l’aeroporto che stavolta è pieno di cinesi. In terra fasci di erba profumata e nell’aria il fumo dei carboni con cui si prepara il caffè. L’aeroporto di Addis Abeba è uno spettacolo! I biglietti del volo verso Roma ci vengono consegnati personalmente, dopo un comico appello. Ci rimane la curiosità dell’Etiopia, chissà che non sia una prossima meta di viaggio?