Spettacolare Yucatan on the road e Riviera Maya

Messico 2006 Introduzione La partenza dovrebbe essere immediata eppure, a metà ottobre 2006, ancora non abbiamo deciso dove andare! Los Roques in Venezuela era inizialmente la meta predestinata, ma due italiani in vacanza sono appena stati uccisi in una posada e si è creato il caos, perciò è meglio rimandare. Per restare da quelle parti del...
Scritto da: Ivanweb
spettacolare yucatan on the road e riviera maya
Partenza il: 01/11/2006
Ritorno il: 19/11/2006
Viaggiatori: in coppia
Spesa: 2000 €
Messico 2006 Introduzione La partenza dovrebbe essere immediata eppure, a metà ottobre 2006, ancora non abbiamo deciso dove andare! Los Roques in Venezuela era inizialmente la meta predestinata, ma due italiani in vacanza sono appena stati uccisi in una posada e si è creato il caos, perciò è meglio rimandare. Per restare da quelle parti del globo siamo attirati comunque dai Caraibi e, avendo poco tempo per organizzare da soli, un’offerta last minute da Blu vacanze per due settimane a Santo Domingo sembra accettabile. Consideriamo anche il Kenya, che in questo periodo è alquanto allettante nella zona Malindi / Watamu. Nessuna di queste mete però sembra convincere fino in fondo. Finché giunge un’interessante proposta in villaggio Veraclub al Gand Oasis nella riviera Maya… Il Messico è sempre stato in cima alla nostra lista dei viaggi, ma più volte scartato per prezzi troppo elevati. Forse adesso è l’occasione buona. La vacanza nasce inizialmente con l’idea di soggiornare due settimane in villaggio all inclusive per avere un punto di riferimento, e quindi spostarsi con le numerose gite proposte in loco. Mi informo adeguatamente e assiduamente in internet per conoscere a fondo le opinioni dei viaggiatori sui villaggi nella zona Playa del Carmen e dintorni. Premetto che, poiché sia io che Stefania non amiamo molto stare in spiagge troppo affollate e hotel grandi con animazione, in genere optiamo sempre per luoghi tranquilli, riservati e possibilmente solitari. E Playa del Carmen insieme a Cancun sono l’esatto opposto di queste considerazioni. Così spostiamo l’interesse verso la Riviera Maya, più giù tra Playa e Tulum, nella zona di Akumal. E rispunta nuovamente il Veraclub Grand Oasis, di cui gli italiani nel sito forum.Ilgiramondo.Net parlano molto bene. Ancora meglio sembra il Columbus Club (Akumal Beach Resort), che sorge dicono tra le migliori spiagge con barriera corallina in assoluto della zona, anche se danneggiata ben due volte dagli uragani Wilma ed Emily tra luglio e ottobre del 2005. Continuiamo ad accumulare informazioni su gite, luoghi da visitare, esperienze di altri viaggiatori da tripadvisor.It, turistipercaso.It, cisonostato.It, viaggiscoop.It e vari altri portali di viaggiatori. Compriamo anche le guide cartacee della Lonely Planet e la Key Guide illustrata della Touring Club, nuova edizione 2006. Infine chiediamo in diverse agenzie per le disponibilità, ma per le partenze di fine ottobre i voli charter sembrano andati a ruba e non si trova posto da nessuna parte… Il Messico è così gettonato? ma l’alta stagione non inizia a dicembre? Sembra tutto sfumare nel nulla finché non insorge l’orgoglio personale e l’avversione innata verso i viaggi organizzati a pacchetto. Ormai siamo veterani dei viaggi ‘fai da te’ e abbiamo talmente tante informazioni che la domanda sorge spontanea: “dobbiamo davvero ricorrere all’agenzia??” Creiamo in quattro e quattrotto un itinerario nel nostro stile, approssimativo quanto incisivo e molto, molto migliore dell’idea iniziale. E che rispecchi lo stesso costo inferiore ai 2000 euro a persona per almeno due settimane di viaggio. La parte più difficile è trovare il volo. Expedia.It, proprio come l’anno scorso per la Malesia, non delude le aspettative e dà inizio al tutto. Dopo continui tentativi in successivi giorni, provo tutte le combinazioni da Roma per Cancun tra il 30 ottobre e il 25 novembre e l’unico volo al prezzo di 700 euro è quello della Martinair Holland in combinazione con la KLM con partenza il 1° e rientro il 18, passando per Amsterdam. E’ fatta, lo prenotiamo subito prima che scappi! Rimangono da organizzare i 17 giorni in Messico, che dividiamo idealmente tra auto a noleggio per la prima settimana e ultimi giorni nella Riviera Maya per un pò di relax al mare. In pochi giorni stendiamo un itinerario più preciso prevedendo un giorno a Cancun, per entrare nel clima e nel fuso orario di sette ore in meno dall’Italia, il noleggio dell’auto per una settimana, un paio di giorni buca da decidere probabilmente a Playa del Carmen, e gli ultimi sei all’Akumal Bech Resort, che offre il miglior prezzo all inclusive della zona (sempre con tariffe da Expedia). Scartiamo l’ipotesi della posada del Capitan Lafitte, suggerita da qualche viaggiatore: un posto intimo e carino come sembra dal fumettistico sito, che ha lo stesso prezzo di partenza dell’Akumal con solo il pernottamento (120 dollari a camera per notte senza pensione inclusa). Riguardo l’auto, preferiamo prenotarla in loco (pare sia più conveniente), e stabiliamo un giro in senso antiorario quasi ad anello per un percorso ‘on the road’ abbastanza classico: da Cancun verso Chichen Itza, Merida, Uxmal, la Ruta de Puuc, per poi tornare indietro passando ad Izamal, Cobà, Tulum e quindi la Riviera Maya. Dobbiamo scartare con nostra disperazione l’Isla Holbox, dove organizzano snorkelling per nuotare con gli squali balena, i pesci più grandi del pianeta e del tutto innocui (hanno una bocca enorme ma mangiano solo plancton). Purtroppo per noi, il periodo per osservarli va da maggio a settembre, come confermato per email da due italiani che gestiscono una posada del posto. Un altro snorkelling da non perdere invece è quello di Hidden Worlds, suggeritomi da un viaggiatore del forum di giramondo, assai meno turistico, avventuroso e spettacolare, come si intuisce dallo stesso sito: www.Hiddenworlds.Com. Scopriamo che vi hanno anche girato il film horror “The Cave”, che affittiamo subito a noleggio per averne un’idea. Siamo anche fortunati, perchè oltre il film, nel dvd sono presenti degli extra esaurienti proprio sugli scenari mozzafiato e sulle difficoltà di riprendere in un ambiente subacqueo sotterraneo. La pellicola è per la precisione girata in parte nello Yucatan (appunto nei pressi del cenote Dos Ojos dove sta la sede di Hidden World) e parte in Florida. Ancora qualche giorno per imparare le basi di spagnolo, preparare le valigie, prenotare il volo Cagliari-Roma, le prime due notti a Cancun e le ultime sei ad Akumal. Finalmente arriva il 1° Novembre: Messico arriviamo! IL VIAGGIO…

01/11/2006 – Volo Cagliari – Roma – Amsterdam Alle 15:15 decolla il volo da Cagliari per Roma, che atterra dopo un’ora esatta. Ecco di consueto davanti a noi, come ogni anno, la piazza di Terrazza Roma a Fiumicino. Manca solo la Mascotte del viaggio, che compriamo in un negozio di giocattoli: un unicorno bianco rosa della Nice che chiamiamo Maya, giusto per restare in tema messicano. Attendiamo qualche ora ripassando qualche frase in spagnolo, fino al giungere delle 19 quando possiamo effettuare il check-in. Alle 20.55 decolla il volo 1608 della KLM per Amsterdam. Sono 1.302 Km per la durata di due ore e mezza. E’ la prima volta che usufruiamo di una tratta della KLM, e gli aeromobili sono molto confortevoli come sapevamo da nostri amici. All’arrivo cerchiamo un posto accogliente dove trascorrere la notte. L’aeroporto di Amsterdam per fortuna, con nostra sorpresa, è davvero molto bello e organizzato, con splendide poltroncine comode per sdraiarsi. Altro che Fiumicino! Troviamo un angolo nascosto ed intimo protetto da pannelli, dove non transita nessuno. Cerchiamo di dormire qualche ora nell’attesa del chek-in delle 6.30. Il bar vicino, aperto 24 ore su 24, permette di riscaldarci con qualche thè caldo, visto che indossiamo abiti leggeri da clima tropicale! Superiamo velocemente la notte. Del resto si sa, l’eccitazione della partenza sovrasta qualsiasi avversità! Alle 8.30 l’ultimo decollo del lungo viaggio: il volo 639 della Martinair Holland per Cancun. Stavolta sono ben 8.267 Km per quasi undici ore di traversata! Inaspettatamente, non troviamo i monitor nei sedili e pensiamo di annoiarci a morte. Scopriamo invece poco dopo che si possono affittare i più comodi lettori portatili, assai migliori e personalizzabili individualmente. 02/11/2006 – Volo Amsterdam – Cancun. Terracaribe Hotel.

Atterriamo a Cancun alle 13.00 ora locale e spostiamo le lancette dei nostri orologi a -7. Questa è la differenza dall’Italia anche con l’entrata dell’ora legale, che viene ugualmente applicata in Messico. La fila disordinata e la confusione per uscire dall’aeroporto sono sconvolgenti: è il caos totale! Dicono che Cancun è molto americanizzata, di certo non sotto questo profilo. Cambiamo nel frattempo i primi euro in pesos al tasso di conversione € 1 = 12 pesos. Non è molto conveniente perchè dovrebbe essere almeno equiparato a 13. All’uscita, cerchiamo confusi tra decine e decine di tassisti e accompagnatori che urlano i nomi più disparati nell’attesa di turisti e clienti. Finalmente appare il cartello col mio cognome dalle braccia dell’autista del Terracaribe hotel. Raggiungiamo il pulmino a nove posti e carichiamo velocemente le valigie. Il transfer è esclusivamente per noi.

In mezzora circa arriviamo in centro città. Siamo all’angolo con l’Avenida Lopez Portillio, una delle strada principali. E si vede dall’intenso traffico! Rimaniamo sorpresi invece dalle abitazioni: basse e piccole. I palazzi non esistono e le strade sono in condizioni pietose. La parte moderna e americanizzata infatti è sul lato mare, nella zona chiamata Hotelera. Intanto inizia a piovere a dirotto proprio mentre scendiamo dal pulmino! Il Terracaribe è carino, ma un pò trasandato. Al ricevimento sono cordiali e informali e parlano solo spagnolo. Fa eccezione il titolare, che se la cava bene anche con l’inglese e appare una persona molto in gamba. La nostra camera è al 2° piano: carina, confortevole, spaziosa e pulita. Preciso che qui in Messico il concetto di piano terra non esiste ed è considerato come il nostro 1° piano. Per cui il 2°, in realtà, è il nostro primo. L’unico neo della stanza è il rumore del traffico, per via della finestra sulla strada principale. Continua a piovere ininterrottamente e, stanchi dal viaggio, crolliamo a letto senza neanche cenare, dormendo di fila per ben undici ore consecutive!!! 03/11/2006 – Visita di Cancun Alle otto in punto scendiamo al ristorante per la colazione, ancora increduli di aver dormito tanto. Siamo circondati da messicani, i turisti non sembrano esser molti da queste parti. La scelta della breakfast è discreta, e si paga a parte. Un’altra precisazione da fare infatti è che qui in Messico il prezzo dell’alloggio è esclusivamente per il pernottamento. Se non specificato diversamente, colazione e pasti non sono mai compresi. Abbiamo la cassetta di sicurezza in camera ma qualcuno prima di noi, poco attento, l’ha lasciata chiusa col suo codice prima di andar via e non si riesce ad aprire. Non è un problema comunque perchè ve ne sono a disposizione anche al ricevimento gratuitamente, a fianco al banco. Lasciamo valori e passaporti e pensiamo a cosa fare. Il cielo è ricoperto di nuvole pesanti e l’idea iniziale di andare all’isola Mujeres sfuma velocemente con qualche rimpianto, poiché abbiamo scelto il Terracaribe anche perché l’imbarco all’isola è raggiungibile a piedi in pochi passi. Dedichiamo così la giornata a visitare Cancun. Vi sono parecchi autobus che passano di fronte all’hotel, ma per non perder tempo saliamo su un taxi che con 80 pesos porta nei pressi di Playa Caracol, nella Zona Hotelera, di fronte all’Hard Rock cafè. Sembra già di essere in un altro mondo, rispetto alle basse decadenti casette del centro città. Passeggiamo infatti tra palazzi e negozi strampalati che rappresentano in sé un’attrazione turistica. Molto bello il piazzale principale con l’enorme monumento di una chitarra elettrica, dove a lato sorge il Coco Bongo e dentro si entra nel centro commerciale. Qui, tra ristoranti e negozi vari, spicca l’Hard Rock Cafè al centro della grande struttura al coperto di due piani. Questo sì che ricorda Orlando con i parchi Disney! Dopo una breve perlustrazione, camminiamo per la strada principale raggiungendo la spiaggia vicino a Punta Cancun. Troviamo un accesso libero con qualche difficoltà, dal momento che le entrate passano quasi tutte per gli hotel. Questi si riservano infatti una bella fetta di spiaggia, che in questo tratto è comunque piuttosto stretta. Chi non ne ha, si munisce di piscine attrezzate per compensare. Il mare è davvero molto bello anche col cielo grigio, e si colora stupendamente di verde-azzurro appena esce qualche raggio di sole. E quando esce, fa così caldo che lo zaino sulla schiena è quasi insopportabile! Dopo un lungo giro ad anello, torniamo nella piazza dell’Hard Rock cafè. Pranziamo al Rainforest, una famosa catena di ristoranti a tema, per la cifra sopravalutata di 550 pesos, ordinando un piatto enorme di antipasti messicani e un primo di pasta piccante ricca di spezie che non riusciamo neanche a finire. Il posto è carinissimo e singolare, con quei camerieri vestiti da esploratori alla Indiana Jones e la finta fitta jungla che si anima a intervalli ripetuti! Volevamo toglierci questo sfizio visto che non l’abbiamo fatto al Rainforest di Londra… Passeggiamo nel pomeriggio ancora sul litorale, doppiando punta Cancun e scendendo verso sud. L’accesso alla spiaggia è sempre difficile dalla strada principale e i punti di ingresso sono pochi. Bisognerebbe prendere un taxi e farsi portare più a sud nelle spiagge libere più famose. Ma preferiamo tornare indietro visto il cielo perennemente nuvoloso. Compriamo una scheda telefonica in un market per 100 pesos della durata di oltre ottanta minuti per chiamate verso l’Italia, insieme ad alcune cartoline ed una cartina stradale più aggiornata e particolareggiata della nostra. Torniamo all’Hard Rock cafè, di cui rimaniamo un pò delusi per il negozio troppo piccolo, e scattiamo qualche foto di fronte al Coco Bongo. Siamo tentati di tornare dopo cena per lo spettacolo delle 22.30 che costa 43 dollari. Subito dietro l’inquietante ingresso del locale (tenebroso perché siamo in periodo di Halloween!), c’è un comodo accesso alla spiaggia, che da questo lato è molto più ampia e lunga. Si vede un bel tratto del golfo, e il mare è sempre stupendo anche se più aperto, con grosse e potenti onde dove i surfisti danno il meglio di sé stessi. Non c’è quasi nessuno e la mancanza di sole e la forte brezza non invogliano certo a stare in costume. Un signore con un buffo arnese in mano, del tutto simile a quello per cercare oggetti di metallo, scandaglia la sabbia. Starà cercando l’oro a Cancun? Per rientrare al Terracaribe fermiamo un altro taxi, ma stavolta caschiamo nella prima fregatura: 160 pesos il costo, cioè il doppio esatto dell’andata!? L’autista dice che il prezzo è diverso dal centro alla Zona Hotelera e viceversa, nonostante il percorso sia lo stesso… Ma sarà vero? Potrebbe anche avare ragione, ma siamo stati così ingenui nel non leggere il cartello di fronte alla piazza che pubblica ufficialmente il costo dei tragitti dei taxi per le diverse zone della città. Errore da non ripetere più! Il pesante pranzo è ancora intatto nello stomaco creando una stanchezza inaudita. Forse anche il caldo e il fuso orario non aiutano per niente. Crolliamo perciò nuovamente a letto… Altro che CocoBongo! ON THE ROAD…

04/11/2006 – Spostamento a Chichen Itza. Dolores Alba hotel. Cenote Ik-Kil Il primo pensiero di oggi è rivolto ad affittare l’auto per poter iniziare il nostro viaggio on the road. Il titolare al ricevimento si è offerto già ieri di chiamare un’agenzia locale, la Executive, sostenendo che i prezzi sono competitivi e possono venire a prenderci direttamente in hotel. Ne approfittiamo per prenotare una Atos, l’utilitaria economica più diffusa da queste parti. Il prezzo di 300 pesos al giorno (€ 24), comprese assicurazioni e aria condizionata, appare incredibilmente conveniente. Praticamente è la metà di quello offerto dalle agenzie internazionali più diffuse, come la Avis per citarne una, nella quale abbiamo chiesto ieri un preventivo per avere un raffronto. Ci sarà la fregatura? Arriva l’autista dopo soli dieci minuti (aveva detto venti al telefono!), mentre stiamo facendo colazione al Terracaribe, cogliendomi perciò del tutto impreparato. Lascio Stefania al tavolo e salgo in auto per raggiungere la sede della Executive. L’unica cosa a cui penso nel tragitto è prendere punti di riferimento per ricordarmi la strada del rientro! Una volta in agenzia sbrighiamo le comuni formalità per il noleggio e controlliamo l’auto, la quale presenta qualche graffietto che viene puntualmente segnato nella documentazione. Chiedo di poter restituire la vettura a Playa del Carmen e mi viene consegnata una cartina della città, dove sono attive ben tre sedi della Executive. Basta andare in una qualsiasi di queste. Il drop off per la distanza da Cancun è di 16 dollari. Il prezzo sembra davvero un affare e accetto. Eccomi così alla prima guida della Atos verde chiaro tra le trafficate strade di Cancun. Per fortuna ricordo subito la direzione e ringrazio di aver preso il Terracaribe in Lopez Portillio, via ben segnalata dai cartelli stradali. Mi fermo anche per il pieno di benzina in un distributore PEMEX. Sono uguali in tutto il Messico e anche il prezzo della benzina è fisso. Non esistono i self-service come da noi: il benzinaio è sempre presente alla pompa a servire. La tacchetta del fuel è all’incirca ad un quarto, e il “lueno” (così si dice il pieno) viene a costare 160 pesos (circa € 13). Magari potessi fare un pieno a questo prezzo in Italia! Torno al Terracaribe, notando che nel parcheggio dell’hotel le altre auto a noleggio, a differenza della nostra Atos, hanno tutte il marchio o il bollino. Ho letto in qualche racconto che a volte può rappresentare uno svantaggio perchè si è facilmente riconoscibili come turisti, e qualcuno ne può approfittare. Purtroppo, capita persino con la polizia stradale, di cui anche la Keyguide consiglia di non avere possibilmente mai niente a che fare: è capitato di ricevere multe inesistenti per spillare qualche dollaro. Contenti di poter girare anonimi, carichiamo le valigie e iniziamo il nostro viaggio on the road! Seguiamo la stessa Avenida Portillo Lopez per lasciare Cancun e immeterci nella strada 180, che si divide in due. Una si chiama cuota, è a pagamento e veloce, l’altra è invece libera ed è la vecchia strada di collegamento che passa per Valladolid e all’interno dei paesi. Poco prima di Mérida le due strade si ricongiungono e diventano la stessa (senza pedaggio ad accesso libero). Vogliamo raggiungere Chichen Itza e per risparmiare tempo scegliamo di prendere la cuota. Arrivare all’imbocco dal centro di Cancun è tanto facile come direzione quanto traumatico, per via delle condizioni pietose dell’asfalto. Non solo è un susseguirsi continuo dei famosi topes, ovvero i dossi di rallentamento che sono veramente alti e costringono a fermarsi come ad uno stop per superarli (se si vuole conservare integra l’auto!), ma in più sono presenti una miriade di buche, più propriamente voragini, dovute alle piogge. Prenderne sbadatamente una significa terminare il viaggio on the road direttamente dal carrozziere! Alla velocità di 40 Km orari si corrono più pericoli che ad andare a 200 in una strada delle nostre e non si possono tassativamente togliere un secondo gli occhi dalla strada! Imbocchiamo finalmente la 180 cuota e la strada cambia radicalmente, permettendo di raggiungere agevolmente il limite di velocità che sale a 90 / 110 Km a seconda del tratto. Il tutto però ha un prezzo decisamente alto. Ben 230 pesos (quasi 20 euro) da pagare al casello dell’uscita per Chichen Itza! Tra l’altro la strada è piuttosto monotona e l’autoradio non riceve alcun segnale. Inizialmente veniamo colpiti dalla fitta vegetazione della jungla intorno, ma una volta abituati non c’è altro da vedere, perchè il tragitto è perpetuamente rettilineo sull’immenso altopiano dello Yucatan. Non esistono colline, abitazioni, rilievi, cambi di paesaggio: il panorama è piatto! Unica eccezione: qualche messicano a piedi che trascina un carretto con della legna. La domanda sorge spontanea: da dove arriva se non vi sono diramazioni, paesi e segni di civiltà per decine di chilometri? Passiamo per Pisté, un piccolo paese sorto vicino al sito archeologico di Chichen Itza sfruttandone l’ingente domanda turistica. Siamo a circa 220 Km da Cancun e 120 da Mèrida. Osserviamo le case sempre molto basse e piccole, i messicani per la strada, qualche bambino incuriosito, diversi cagnolini randagi magri e in cattive condizioni, che fanno un pò di pena e tenerezza. Superati i topes, arriviamo all’ingresso del sito, ma proseguiamo oltre per cercare il Dolores Alba, un hotel che la Lonely Planet descrive con ottimo rapporto qualità prezzo. Lo troviamo qualche chilometro dopo senza alcuna deviazione sulla strada principale (che è la 180 libera, che va da Valladolid a Chichen e prosegue a Merida). E’ proprio di fronte al cenote Ik-Kil e a due passi dalle grotte di Balankanchè, entrambi luoghi che vogliamo visitare. L’hotel è caratteristico e carinissimo, in mezzo alla natura, con una bella piscina e quaranta camere disposte a schiera al piano terra sul retro della jungla. Una notte (senza colazione) viene 420 pesos (€ 35) e si può pagare anche in dollari o euro e con carta di credito. Accettiamo subito perchè il posto merita. Il titolare, con un aspetto da cowboy messicano, è un personaggio di suo. Ci consegna le chiavi della camera numero 24, che è piacevolmente proprio fronte alla piscina. E’ pulita e personalizzata in vero stile messicano. Non presenta comfort di lusso ma vale pienamente il prezzo pagato. E c’è anche una comoda cassetta di sicurezza. E’ ormai troppo tardi per visitare Chichen Itza, così lasciamo i bagagli e andiamo a piedi verso il cenote di Ik-Kil. Dobbiamo solo attraversare la strada e siamo all’ingresso. L’entrata costa 60 pesos a testa. Percorriamo un bel tratto suggestivo in mezzo alla vegetazione tra stupendi cottage che sono anch’essi camere (costeranno una cifra diversa dal Dolores Alba suppongo!). Arriviamo di fronte al parcheggio e constatiamo che vi sono solo un autobus e qualche auto. Meglio così, pensavamo fosse molto più frequentato. Pranziamo allo splendido ristorante all’aperto in un grande senso di relax e pace, spendendo 300 pesos in due con menù a buffet. La visita del nostro primo cenote è alquanto emozionante. Scendiamo dei gradini illuminati che portano ad un punto panoramico, un finestrone aperto sulla roccia che si affaccia sul profondo cratere con una pozza d’acqua all’interno: è una gran bella visione, oltre le aspettative! La scalinata scende ancora in cerchio per parecchie decine di metri fino a raggiungere il fondo dove sorge la piscina naturale. Non c’ è quasi nessuno intorno, meno ancora in acqua: solo qualche coraggioso che si tuffa dall’alto e sembra divertirsi parecchio! Avendo appena mangiato non è il caso di fare il bagno nell’acqua fredda, dove scorrazzano numerosi simpatici e visibili pesci rossi di discrete dimensioni. Ci limitiamo perciò a scattare le foto di rito in questo luogo suggestivo, anche se un po’ rovinato da una parete in cemento artificiale che stona con la fitta vegetazione che avvolge il cenote. L’acqua scende da tutte le parti, sia dal soffitto che dai lati, creando un piacevole suono scrosciante. Dopo una mezzora risaliamo in superficie e rientriamo al Dolores Alba. Riposiamo un pò davanti alla piscina dove, oltre gli sdraio e i tavolini ai bordi, sono presenti delle comode amache sotto un gazebo in legno. Con una breve passeggiata seguiamo i confini dell’hotel, scoprendo che più in fondo è stata costruita un’altra piscina, questa scavata addirittura nella roccia naturale. Il Dolores Alba è comunque molto raccolto e si estende parallelo alla strada principale, al confine con la jungla tropicale retrostante. Dalla finestra del bagno infatti, che dà appunto verso l’interno, entrano i magnifici rumori prorompenti ma a volte inquietanti della foresta! Ceniamo in hotel nella sala all’aperto, sempre di fronte alla piscina, in una tranquilla e romantica atmosfera con luci basse e sottofondo musicale latino ed europeo, tra cui si mischiano anche delle versioni spagnole dei nostri cantautori più famosi all’estero come Eros Ramazzotti, Laura Pausini e Tiziano Ferro.

05/11/2006 – Sito archeologico di Chichen Itza. Grotta di Balankanchè. Light & Sound Show.

La tranquillità del Dolores alba ci spinge a confermare la camera per un’altra notte, subito dopo la colazione. Possiamo così avere il tempo di visitare senza fretta Chichen Itza e le grotte nel pomeriggio e stare un altro giorno in questo splendido posto. Prendiamo l’auto e in un paio di chilometri siamo di fronte al più famoso sito archeologico dello Yucatan. Si paga 10 pesos per il parcheggio (con validità per l’intera giornata, anche se ci si sposta e si rientra successivamente). Altri 100 pesos a testa sono per il biglietto d’ingresso (viene indossato un braccialetto, valido anche per lo spettacolo di luci che si svolge in serata). Essendo la visita del nostro primo sito archeologico, pensiamo di prendere una guida per avere un’infarinatura della storia e cultura dei Maya più approfondita di quella letta dalle guide cartacee. Non possiamo essere più fortunati, poiché si presenta subito davanti a noi un simpatico signore con un aspetto bonaccione che parla anche italiano, che si presenta col nome di Arturo. Il costo per un giro di un ora e mezzo all’interno del sito è di 450 pesos (e non sono trattabili perchè vi sono all’ingresso i cartelli che espongono i prezzi ufficiali). Anche la Lonely Planet parla in effetti di un costo di circa 40 dollari. Accettiamo dunque senza pensarci troppo. Arturo esordia con delle congratulazioni per essere venuti così presto (non sono neanche le 8.30), visto che c’è molto meno caldo e pochissimi turisti. Questo permetterà di visitare al meglio il sito. Gli autobus infatti, come letto da altri racconti, arrivano verso le 11.00 del mattino con il grosso dei visitatori, e da quel momento Chichen Itza diventa un carnaio. Nella sala d’ingresso sono presenti alcuni negozi di souvenir, un market, un utilissimo ATM (l’unico della zona) per il prelevamento di contanti, le toilette. Poco più avanti iniziamo il tour sostando nei pressi del plastico dove è ricostruito il fulcro del sito in miniatura, con una splendida vista del Castillo e dei principali monumenti circostanti. Arturo spiega le basi della storia dei Maya e la costruzione di Chichen Itza. Per farne un breve riepilogo, la civiltà Maya ha origini antichissime: i primi insediamenti si possono attribuire al 1500 A.C., anche se è nel 300 a.C. Che si iniziano a sviluppare le prime grosse città. L’impero era localizzato negli attuali territori del Veracruz, Yucatán, Campeche, Tabasco e Chiapas in Messico, nonché nella maggior parte del Guatemala e in alcune aree del Belize e dell’Honduras. Il periodo classico, compreso tra il 300 ca. E il 900 d.C. , è caratterizzato dalla diffusione in tutti i territori maya di una cultura pressoché uniforme. Le maggiori città maya furono allora Tikal, Copan, Bonampak, Piedras Negras, e Palenque. In questo periodo la civiltà presenta il suo sviluppo più interessante nell’organizzazione culturale, politica, tecnologica, culminando in uno scenario dove ogni città era un piccolo stato che aveva contatti con le medesime solo per scambi commerciali.

Intorno al 900, le città vennero abbandonate, probabilmente per carestie e cause naturali, anche se non se ne ha la completa certezza. Parte della popolazione si spostò nello Yucatan, e qui ebbe il suo centro la civiltà maya del periodo seguente. Il Nuovo Impero culminò nelle città di Chichen Itza, Uxmal, Mayapan e Labnà. L’apice del popolo Maya fu intorno al 1000 D.C., ma problemi interni e guerre fra le varie città ne provocarono la decadenza.

Una delle caratteristiche più rilevanti e studiate di questo popolo era l’elevato grado di conoscenze tecniche, rappresentate dalla rete idrica, costituita da piccolissimi canali che convogliavano in grandi cisterne adibite alla raccolta dell’acqua per l’uso quotidiano e per l’irrigazione nei campi, e la costruzione di lunghissime strade che collegavano enormi distanze. Ma forse più di tutte sbalordisce dei Maya la conoscenza dell’astronomia, delle stelle e del calendario, qui a Chichen Itza rappresentato egregiamente tramite lo studio dei blocchi del monumento più famoso: la piramide El Castillo. Proseguiamo pochi metri in un viale alberato, leggendo le incisioni originali in lingua Maya, costituita da un alfabeto di geroglifici. Ancora pochi metri avanti ed ecco spuntare all’improvviso sul prato verde proprio El Castillo, con i suoi 30 metri di altezza! Finalmente! Solenne e spettacolare, è una grande emozione che trasforma il sogno del Messico in una visione reale di fronte ai nostri occhi! E ancora più intensa è l’eccitazione di trovarsi qui da soli senza nessuno intorno! Arturo parte con le spiegazioni e le nostre foto si sprecano in tutte le pose. Ma lui consiglia di aspettare perché siamo sul lato ovest in ombra e le immagini migliori si ottengono nell’altra facciata della piramide, illuminata dai caldi raggi del sole che oggi risplende senza una sola nuvola nel cielo azzurro. Costeggiamo la piramide mentre apprendiamo le nozioni storiche. Essa è una vera e propria rappresentazione del calendario Maya, con 9 piani e 52 riquadri, e quattro gradinate da 365 scalini totali. Osserviamo la facciata dalla quale, durante l’equinozio primaverile del 21 marzo e quello autunnale del 21 settembre, due volte l’anno, la luce solare visualizza magicamente sulla gradinata con un gioco di ombre la forma di un serpente, creata ad onore del dio del Serpente Piumato. Migliaia di persone si riuniscono quei giorni per vedere l’evento, mostrato in numerose cartoline. Non si può purtroppo salire sulla scalinata da ormai più di un anno, poiché un’americana si fece male e, in ogni caso, la piramide non fu costruita per sostenere il peso di migliaia di turisti che vengono ogni giorno a visitarla. Notiamo inoltre la differenza sostanziale tra le due facciate restaurate e riportate allo splendore di un tempo, rispetto alle altre due originarie molto più rovinate.

Inizia a vedersi un po’ di gente ed è ancora meglio, dal punto di vista fotografico, di quando non c’è nessuno perchè, come da manuale, per immortalare la grandezza di un monumento è necessario che vi sia un soggetto di riferimento nella foto, per attribuire maggiore imponenza all’opera stessa. Passiamo a visitare il gruppo delle mille colonne e attraversiamo il verde prato dalla parte opposta verso il campo del Juego de Pelota, il più grande mai costruito. Misura ben 170 metri di lunghezza e 50 di larghezza, con muri laterali alti fino a 8 metri. In realtà veniva usato poche volte per il gioco, tra l’altro estremamente difficile, mentre più spesso era sede di spettacoli teatrali, avendo un’acustica strepitosa. Arturo batte le mani per farne un esempio, ed è letteralmente da rimanere a bocca aperta! Il gioco di allora consisteva in un pallone di caucciù, dal contenuto peso di ‘appena’ due chili (ma era una pietra o un pallone da calcio?), che si faceva rimbalzare in terra e tra le pareti del campo con lo scopo di imbucarlo, come nel basket, in un apposito canestro laterale. Si potevano usare i gomiti, le ginocchia, le spalle e i fianchi ma non le mani o i piedi. Risultava così praticamente impossibile, visto che i canestri sono a circa sette metri di altezza. Tanto che nel caso qualcuno riusciva nell’intento, veniva considerato un uomo eccezionalmente forte. E quindi, come meglio poterlo premiare se non spedendolo direttamente come messaggero al dio tolteco con un bel sacrifico di sangue? Bisogna considerare che, al tempo, questo era considerato un onore supremo e il concetto di morte era assai diverso dal nostro… In ogni caso, la pratica di riti sacrificali non era consuetudine nella originaria cultura Maya. E’ diventata una brutale realtà nell’ultimo scorcio decadente della storia di questo popolo, tra il X e il XII secolo D.C., chiamato il periodo Tolteco. Qui, Arturo racconta una storia complicata della venerazione di questo dio, che si consuma in un combattimento nella notte dopo il tramonto infuocato con l’oscurità del male, e la resurrezione all’alba grazie all’aiuto del Jaguaro, considerato un animale sacro. Per dare forza al proprio dio e venerarlo, veniva compiuto il brutale rito del sacrificio dei cuori umani, che consisteva nel drogare il povere predestinato col belcè e strappargli il cuore ancora in vita. Il belcè è ricavato naturalmente dal tronco di alcuni alberi, presenti qui sul sito stesso. In basse dosi, diventava più o meno una comune birra, ma in quantità concentrate assume i connotati di una vera droga. L’ossessione a tale rito comportava anche e soprattutto l’utilizzo dei prigionieri in battaglia. Tra questi venivano scelti sempre i più forti, per apportare un maggiore ‘contributo’ al sacrificio stesso.

Scopriamo anche un’altra curiosa verità dei maya: talvolta, alcune punizioni consistevano nella dieta, che non significava però non assumere cibo come lo intendiamo noi adesso, ma semplicemente non poter usare le spezie, in particolare il peperoncino. Quest’ultimo era usato in abbondanza nella cucina di allora e mangiare un piatto senza la sua presenza era considerato insapore, perciò come non mangiare nulla.

Poco oltre il Campo della Pelota i Toltechi costruirono la piattaforma dello Tzompantli, il “muro dei crani”, e quella della Casa delle Aquile dedicata ai corpi militari elitari. Sul “muro dei crani” venivano esibiti dai Tolteci i teschi dei giocatori sacrificati, pratica che non aveva mai raggiunto livelli così cruenti nel precedente popolo Maya. L’importanza del sangue versato come contributo appare chiaro anche nei rilievi che decorano la Casa delle Aquile dove giaguari e rapaci, emblemi dei due ordini militari più importanti, nonché simboli rispettivamente del Sole notturno e del Sole diurno, divorano cuori umani.

Sono le 10:00 e si vedono parecchi messicani che iniziano ad aprire e imbastire le proprie bancarelle, in attesa del boom dei turisti. Diamo così un’occhiata fugace in anteprima ai stupendi oggetti artigianali di vario genere.

Raggiungiamo il tempio dei Giaguari, con interessanti rilievi e raffigurazioni, e poi il Caracol, l’osservatorio circolare. Gli studi astronomici venivano fatti qui, in uno dei pochi edifici circolari a chiocciola della cultura maya. Su un doppio basamento dagli angoli smussati venne costruito questo capolavoro in blocchi di pietra levigata scandito da quattro porte, mentre sul tamburo superiore furono applicate delle maschere di Chaac in corrispondenza delle aperture. Un ulteriore piano del Caracol presenta invece delle finestrelle da cui si affacciavano i sacerdoti-astronomi per scrutare il cielo. Qui, senza strumenti se non due assicelle di legno incrociate, i sacerdoti potevano seguire il cammino del sole, della luna e delle costellazioni. Con grande pazienza annotavano lo scorrere del tempo e crearono un calendario solare di 365 giorni, con uno scarto minimo di quello stabilito dagli astronomi moderni. L’anno solare infatti era diviso in 28 settimane di 13 giorni ciascuno. Da questa conoscenza del tempo derivava anche il loro potere, essendo in grado di prevedere i cambi di stagione e molti degli eventi ripetitivi oggi comunemente conosciuti, ma allora ignari per la maggioranza del popolo. Qui finisce anche la visita guidata, durata quasi due ore, anche più del pattuito. Arturo è stato gentilissimo ed esaustivo e siamo davvero soddisfatti di averlo conosciuto perchè ha dato informazioni precise e dettagliate non presenti neanche nella Lonely. Siamo liberi adesso di girare per le parti rimanenti del sito. Alle 11:00 sembra di essere in un altro luogo di quello visto due ora fa: centinaia di turisti e gruppi affollano il piazzale principale del Castillo e fa un caldo micidiale! Raggiungiamo il Cenote Sagrato, nel quale venivano effettuati altri sacrifici al dio della pioggia. Pensavamo di trovare poco più di una pozza d’acqua e invece il cenote è davvero grande. Un vero e proprio profondo cratere all’aperto! Sarà per questo che vi hanno scoperto all’interno oltre 200 scheletri umani e circa 4000 reperti vari di oggetti? Sostiamo poi qualche minuto al comodo chiosco dove compriamo qualcosa di fresco per dissetarci. Tornando indietro verso il piazzale principale, sostiamo tra le infinite bancarelle ormai brulicanti di turisti che trattano per qualsiasi acquisto. Tutti i viaggiatori consigliano di comprare qui perchè costa molto meno che nel resto del paese e si possono tirare di più i prezzi. La scelta dei souvenir da portare a casa è praticamente illimitata. Affrontiamo così diverse contrattazioni per alcune delle cose dalle quali siamo più attirati. La prima trattativa è per degli strumenti musicali in legno, come flauti e tamburi costruiti su canne, ovviamente tutti a mano. Poi passiamo a contrattare una magnifica testa di giaguaro in legno di cedro rifinitissimo, la più bella di tutte le bancarelle. Il messicano ne vuole 600 pesos, ma alla fine con 500 ne ricaviamo la testa, un bellissimo quadretto a stella (anch’esso in legno, da solo valeva 150 pesos) e vari braccialetti e collanine. Un ragazzo italiano ci manifesta persino i sinceri complimenti, dicendo che lui non è riuscito a scendere sotto i 500 solamente per la testa. Per gli americani, il prezzo era addirittura 800 pesos non trattabili perchè, afferma il messicano (e non è il solo a dirlo!), loro sono più ricchi e possono permetterselo! Osserviamo anche qualche amaca ma non ne siamo totalmente convinti. Finiti gli acquisti, torniamo sfatti al Dolores Alba, sfiancati dalle ore di cammino sotto il sole cocente. Pranziamo all’aperto di fronte alla piscina per riprendere le energie. Qui la sensazione di pace è ancora più amplificata dopo la folla di Chichen Itza! Alle 14.40 siamo al parcheggio della grotta di Balankanchè, vicinissima all’hotel, raggiungibile volendo anche a piedi. L’ingresso costa 35 pesos a testa e si effettuano le visite ogni ora. Mentre attendiamo dunque le 15, visitiamo velocemente il piccolo museo sottostante che parla dei reperti storici ritrovati all’interno delle grotte. La guida è pronta e il gruppo si riunisce, composto da noi, qualche turista messicano più una coppia europea probabilmente di francesi. Alcuni cartelli avvisano sulla difficoltà di respirazione nel profondo della caverna, essendo il complesso completamente chiuso senza sbocchi. Non ne diamo la giusta importanza inizialmente, ma dobbiamo ricrederci dopo i primi duecento metri, su un percorso che si inoltra per ben 800 metri per tre quarti d’ora di cammino. C’è carenza di ossigeno e il caldo e l’umidità sono al limite della sopportazione! Ogni passo di troppo pesa come una corsa di cento metri… Le grotte però sono stupende, davvero meritevoli! Presentano all’interno dei resti archeologici quali vasi e sculture di notevole interesse, oltre che sale colme di stalattiti, stalagmiti, e una pozza finale di acqua limpidissima nella quale termina il giro turistico ed inizia quello degli speleologi subacquei. L’acqua è così cristallina che si confonde con l’aria e il fondale appare nitidissimo. Il rientro viene fatto più velocemente, alla ricerca disperata di ossigeno che all’uscita sembra bruciare i polmoni! Al parcheggio troviamo un signore messicano che sta inaspettatamente lavando i vetri della nostra Atos guadagnandosi la mancia. Torniamo al Dolores Alba ma la giornata non è ancora finita. Alle 18.30 siamo di nuovo a Chichen Itza per il Light and Sound Show, lo spettacolo delle luci serali delle 19:00. Quasi tutti i turisti hanno il braccialetto addosso della visita di Chichen Itza della mattina, ma alcuni sprovvisti comprano apposta il biglietto solo per vedere l’esibizione. Entriamo e percorriamo di nuovo il sentiero alberato che porta al piazzale di fronte a El Castillo. Fa un certo effetto con il buio tutto intorno. Occupiamo subito due sedie tra le numerose sistemate appositamente di fronte alla piramide che danno una suggestiva visione del sito notturno. Lo show dura una quarantina di minuti e consiste in un narrato in lingua spagnola che spiega nozioni di storia e usanze, mentre i monumenti principali si illuminano a tema creando una suggestiva atmosfera. Scattare foto è quasi impossibile, se non appoggiando la macchina o usando il cavalletto. I fotografi professionisti però, che hanno un loro spazio appunto con cavalletto, pagano una cifra assai più elevata! Terminato lo spettacolo, rientriamo infine in hotel appagati da una giornata memorabile. Ceniamo con il menù completo che comprende una zuppa di verdure, carne di manzo, purè, riso, dessert e caffè.

06/11/2006 – Visita Mérida. Dolores Alba hotel. Alle 8:00 facciamo colazione e subito dopo il chek-out della camera, pagando direttamente in euro. Abbiamo riflettuto sul depliant dell’omonimo Dolores Alba di Mèrida, che appare molto bello. E visto che qui siamo stati benissimo, prenotiamo una stanza per stanotte tramite il ricevimento stesso. Carichiamo le valigie in auto e di strada sostiamo un attimo a Chichen Itza per ritirare contante in pesos dall’ATM con carta di credito. Poco più avanti, all’uscita di Pisté, mettiamo il pieno di benzina entrando in un distributore deserto. Il serbatoio è poco meno della metà e il ragazzo benzinaio fa pagare 260 pesos. Rimango perplesso e ho un po’ di confusione pensando che la benzina Magna sia quella più cara. Ne esistono di due tipi infatti in Messico: la verde e la rossa. Ma controllando pochi minuti dopo sulla Lonely, è esattamente il contrario: la verde, cioè la Magna, è la più economica! Il benzinaio ha tirato un bel bidone, perchè il primo pieno fatto a Cancun era di 160 pesos con la lancetta alla stessa altezza. E dire che ho anche guardato che azzerasse il contatore, ma non lo ho visto il prezzo scritto da nessuna parte. I consigli letti erano tutti veri e le fregature ci sono, occorre tenere gli occhi aperti! Scartiamo la cuota e proseguiamo sulla 180 (gratuita) che va verso Mèrida, sperando che almeno questa sia più caratteristica e vi siano cose più interessanti da vedere della prima. In realtà non cambia molto. Il paesaggio è sempre la jungla, senza rilievi, piatta e dritta per decine di chilometri. Si passa in qualche paesino minuscolo, poche case, ancora cani randagi e malati, qualche messicano sul ciglio della strada. I topes non mancano mai, e non tutti sono segnati e per giunta visibili poiché si confondono col colore dell’asfalto. Dove è costruita anche una sola casa, bisogna aspettarselo! Non superare mai i 40 Km orari nei pressi di un centro abitato è la regola numero uno per salvaguardare il viaggio on the road… Per fortuna almeno la strada è nel complesso in condizioni assai migliori di quelle di Cancun.

L’ingresso a Mèrida è piuttosto traumatico. Dalla jungla verde si passa a quella cittadina. Ma non certo per l’asfalto o per il cemento (visto che le case sono sempre esclusivamente basse e piccole, al 90% ad un piano e il restante 10% massimo due o tre – praticamente i palazzi non esistono), quanto per la gente. Una fiumana umana pullula per le vie principali andando ogni dove in mezzo ad un traffico intricato di veicoli impazziti. Adesso non bisogna stare attenti solo alle vetture, ai topes, ai cartelli stradali, ai semafori (che sono posizionati diversamente dai nostri, e cioè all’americana dall’altra parte dell’incrocio), ma anche a non investire nessuno! Per fortuna il Dolores Alba è vicino al Calle 65, che è la strada d’ingresso principale a Mèrida uscendo dalla 180. Fermo l’auto di fronte alla porta sgangherata dell’hotel e chiedo se hanno parcheggio all’interno. L’ingresso è pochi metri più avanti, in un piccolo e stretto vialetto. Parcheggiamo e sbrighiamo le formalità del check-in. L’hotel presenta due parti differenti attorno a due cortili adiacenti. La prima è in perfetto stile coloniale, molto suggestiva, dove vi sono tavolini all’aperto per mangiare e delle stanze al piano di sopra più ‘messicane’. L’altra invece è la parte moderna, con camere su due piani con vetrate a specchio direttamente sulla piscina. Prendiamo una di queste, la n° 255 al 2° piano, per 450 pesos (€ 37). Le camere in stile coloniale venivano appena di meno, 430 pesos. L’albergo è davvero molto bello e gli alloggi stupendi, spaziosissimi, puliti, luccicanti e nuovi, con comodi tavoli e poltroncine e la cassetta di sicurezza: un’oasi di paradiso nell’inferno di Merida! Non l’avrei mai detto a guardare il portone sbilenco dell’ingresso e devo confessare che la Lonely Planet ha nuovamente fatto centro, poiché cita il Dolores come una vera istituzione della città con ottimo rapporto qualità/prezzo.

Lasciamo le valigie e passeggiamo per il centro di Mèrida, che conserva il soprannome di “Città bianca”, visto che un tempo era una città pulita e gli abitanti vestivano sempre di bianco. Oggi è una città movimentata, non particolarmente caratteristica ma in continuo fermento e sempre in festa. Bisogna camminare quasi a spinte! Il centro storico non dice molto e si limita per lo più alla piazza principale El Zocalo, dove sorgono alcuni edifici coloniali come la Casa de Montejo, costruita nel 1549 e abitata dall’omonima famiglia. Oggi è una banca, uno degli esempi migliori di plateresco secolare. Lì vicino sorge il Palacio de Gobierno (Palazzo del Governo), che invece risale al 1892 e fu costruito dove un tempo c’era il palazzo dei governatori coloniali. Intorno vi sono molti negozi di souvenir e artigianato. Mèrida è infatti particolarmente famosa per le lavorazioni tessili, specialmente per le amache in Yuta e le Huipiles, l’indumento femminile indigeno (una specie di camicetta decorata con disegni preispanici vivacemente colorati), nonché per i cappelli Panama realizzati con le foglie della palma Jipiapa.

Seguendo le indicazioni della Lonely, sostiamo per pranzo al Café Lucia. Si mangia italiano, ma per modo di dire. Il cibo è buono, ma la pizza ha la pasta di una piadina e la pasta è un scotta. Siamo da soli in tutto il ristorante e probabilmente il motivo è il prezzo un pò alto: 350 pesos. La Lonely deve aggiornarsi in proposito… In compenso il ristorante è comunque bello e di una gradevole atmosfera con un’esposizione di quadri d’autore nelle pareti e un servizio impeccabile e di classe. Stupendo è anche il giardino sul retro, poiché il Café Lucia è da poco diventato anche un hotel con stanze da 120 dollari a notte! Torniamo per le vie della città, incontrando per caso un professore che fa una battuta sentendo parlare il nostro italiano. E’ stato nel nostro paese per il viaggio di nozze e racconta di Venezia e altre città dai ricordi memorabili. Pare che siano molti i messicani che scelgano per il matrimonio come destinazione l’Italia. Considerano il nostro popolo simile al loro per cultura, simpatia, calore e l’immancabile tradizione della siesta pomeridiana! Passeggiando mostra di strada la sede dell’università dove lavora. Dice che stasera c’è una grande festa in piazza e suggerisce di andarci. Ci porta poi in una bottega di amache, panama e vestiti dal nome “Casa de Artesanias Mayas LOL-BE”, al Calle 62 n. 486 x 59 y 57. Un ragazzo allegro con stivali da cowboy si presenta col nome di Errique e inizia una lunga, buffa e divertente conversazione italiana ricca di battute. Esordia che qui vi sono prodotti originari di famiglie locali, interamente fatti a mano, e acquistandoli si ha la possibilità di aiutare direttamente queste persone senza intermediari. Tutte cose già sentite per invogliare a comprare i turisti ovviamente. Ma Errique risulta estremamente simpatico e continua ad esaltarsi mostrando la differenza sulla qualità delle diverse amache. Mèrida è infatti comunemente rinomata come il posto migliore in assoluto per comprare amache in Messico. Quelle a maglia larga, afferma, non servono a niente e sono da evitare perché irritano anche la pelle. Quelle in cotone a maglia più stretta vanno meglio, ma si sfilacciano e si rompono facilmente agganciando sbadatamente il cinto, le chiavi o le scarpe. Le vere amache messicane sono in yuta, dall’inconfondibile tessuto che ha un gradevole odore per l’uomo ma non piacevole invece alle zanzare. Per questo i messicani non hanno mai bisogno dell’Autan! Resistenti alla pioggia, alla lavatrice, al peso, agli strappi e alle sfilacciature: praticamente indistruttibili per 30 anni! Non sono mai stato attratto dal dondolio dell’amaca prima, ma queste sono veramente strepitose e bellissime. Proviamo con tutta calma sia quella media (che vale per due persone maya o un europeo) che quella grande (per quattro persone maya e due europei – volendo anche con un bambino piccolo in braccio) mentre Errique si offre volontario per riprenderci con la telecamera. Uscirà un filmino molto spassoso e vivace, questo è poco ma sicuro! Il top arriva quando tira fuori da un cassetto il libricino dell’Amakasutra, con le posizioni chiaramente del più famoso Kamasutra adattate sull’amaca. Da qui si susseguono una serie di indimenticabili battute e luoghi comuni italiani che Errique conosce alla perfezione, oltre le parolacce più ‘raffinate’. E ribatte soprattutto sull’incubo delle suocere, che qui in Messico tengono a bacchetta il marito delle proprie figlie e sono odiatissime! E’ una cosa che abbiamo già sentito spesso nelle bancarelle, dove per acquisire la simpatia del cliente si urla: “Regalo per la suocera?”.

Iniziamo ‘furibonde’ contrattazioni con Errique, che ribatte ancora una volta la sua disponibilità nel venire incontro a due ragazzi italiani rispetto a quei ricchi americani che comprano senza badare alla qualità delle cose. Dall’esagerato prezzo iniziale di 4.200 pesos (350 euro!) per una amaca grande, raggiungiamo dopo venti minuti infine quello di 100 euro per l’amaca grande, dai colori splendidi e vivaci, più il panama. Anche questo è di qualità eccellente: leggerissimo, si piega in una tasca, si mette in lavatrice, si regola la grandezza della testa col ginocchio o con la benda, e torna sempre perfetto in pochi istanti! Mai visto un cappello tanto flessibile… Non abbiamo i soldi con noi ma Errique non si mette alcun problema ed è disponibile ad accompagnarci indietro al Dolores Alba per andare a prenderli. Passeggiamo velocemente tra le vie di Mèrida, sempre più affollate, mentre scambiamo con Errique opinioni varie su politica, cultura, sport ed economia per tracciare le differenze tra Italia e Messico. Conclusione: tutto il mondo è paese e i problemi di fondo sono pressoché gli stessi. Parliamo di argomenti seri e di cose buffe e, nonostante questo pomeriggio fosse inizialmente programmato per la visita della città, risulta essere estremamente interessante con Errique perché apprendiamo il modo di vivere dei Messicani da un vero Messicano. E si dice sempre, solenne verità, che mischiarsi con la popolazione locale è l’unico vero modo di conoscere un luogo che si visita. Tornati in hotel, saliamo in camera a prendere i soldi e una volta giù troviamo Errique chiacchierando con altri italiani: lo spirito da commerciante è insito nel suo carattere! Lo paghiamo, ma non è finita: a questo punto rilanciamo l’offerta chiedendo un’altra amaca grande per 50 euro da regalare, ovviamente, alla suocera. Presi in simpatia, non batte un ciglio e torniamo nuovamente alla bottega tra risate generali. Scegliamo un’amaca a strisce bianco-blu e salutiamo Errique, scattando una foto insieme a lui come ricordo di questo pomeriggio indimenticabile a Mèrida! Il tramonto è prossimo e rimane ormai poco tempo per visitare velocemente la piazza principale (El Zocalo), dove scorgiamo un pupazzo ‘vivente’ alquanto buffo che balla pubblicizzando un locale. Sostiamo all’interno di un 7 Eleven per placare la sete di questa calda giornata e della corsa appena fatta tra le vie della città.

Non resta che rientrare al Dolores Alba, dove ceniamo nell’affascinante cortile coloniale in una rilassante e solitaria atmosfera. Inizia anche a piovigginare ma per fortuna i tavoli all’aperto sono coperti da grandi ombrelloni. Ordiniamo della zuppa di verdure (piccante!) e un secondo piatto completo, spendendo 100 pesos in tutto.

07/11/2006 – Ruta Puuc: sito archeologico di Uxmal. Uxmal Lodge Alle 7:30 siamo nuovamente nel cortile del Dolores Alba per una veloce colazione a buffet, molto varia e buona. Carichiamo le valigie in auto e riprendiamo il viaggio on the road, seguendo il calle 261 e lasciando Mèrida alle spalle. Il nostro intento è percorrere la famosa Ruta Puuc, itinerario dedicato alla civiltà maya fiorita tra il VIII e il X secolo. Con questo nome si indicano sia le omonime colline che caratterizzano questa regione, le quali finalmente regalano una maggiore varietà e fascino ai paesaggi finora piuttosto piatti per via dello sterminato altipiano dello Yucatan, sia il fiorito stile archeologico, caratterizzato da grandi complessi di palazzi a pianta rettangolare, gruppi di colonne alternate a pannelli incorniciati, maschere di Chaac sulla facciata e mosaici di pietra.

Seguiamo le indicazioni della cartina e arriviamo a Uxmal alle 11.00, dopo circa 80 chilometri di strada quasi desolata, suggestiva e immersa nella jungla. Cerchiamo per prima cosa alloggio, in modo da sistemare le valigie e avere il resto della giornata a disposizione per visitare il sito archeologico. L’offerta non è molto varia e si concentra in poche strutture ricettive isolate sulla strada principale. Non sorge nei paraggi alcun paese abitato infatti, come invece avviene per esempio a Pistè per Chichen Itza. Sulla destra, un paio di chilometri prima di Uxmal, la Lonely cita il Rancio come hotel economico ma discreto. Chiediamo i prezzi, che sono effettivamente bassi (35 dollari per la notte), ma la vista della camera lascia piuttosto perplessi. Il posto è piccolo, lasciato andare a sé stesso, umido e decadente, molto spartano. Tentiamo più avanti entrando al Mision, un gran bell’hotel dall’esterno con camere che hanno i balconi con vista jungla e sito archeologico. Il prezzo della camera qui sale a ben 110 dollari per notte. Andiamo ancora avanti un chilometro raggiungendo l’ingresso del sito, dove sorge la splendida Hacienda Uxmal, una meravigliosa struttura in stile coloniale molto caratteristica e ben tenuta. Il prezzo della camera è ugualmente di 110 dollari, ma qui siamo a poche decine di metri dal sito, raggiungibile comodamente a piedi. Non essendoci altra scelta, optiamo per alloggiare qui. E la decisione si rivela piacevolmente azzeccata. Al ricevimento infatti, comunicano che nell’Hacienda non vi sono al momento camere disponibili ma che allo stesso prezzo ne offrono una al Lodge, pochi metri più avanti. Raggiungiamo il lodge, che appare una visione paradisiaca, con due piscine fantastiche, dei bungalow stupendi immersi nella jungla, un ristorante all’aperto: tutto esattamente di fronte a Uxmal. Lasciamo l’auto al parcheggio e scarichiamo le valigie. Seguendo un viottolo in ghiaia, raggiungiamo la camera al piano terra, di fronte alla piscina più bella con le palme al centro. E’ perfetta: nuova, spaziosa, con un efficiente condizionatore, un letto gigantesco e comodo, armadi grandi, tavolo e sedie, un bagno stupendo con rifiniture di pregio e una vasca gigantesca. Nella veranda esterna vi sono altre sedie in legno a dondolo che danno sulla piscina. Una pace sconcertante regna intorno. Questo alloggio merita pienamente il prezzo che costa ed è sicuramente il migliore visto finora! A mezzogiorno usciamo e attraversando la piscina, appena dieci metri più avanti, siamo all’ingresso del sito archeologico di Uxmal. Paghiamo il biglietto che, come a Chichen Itza, è valido per l’intera giornata e per lo spettacolo notturno di luci e suoni. Iniziamo la visita leggendo qualche informazione dalla guida. Intanto, il nome Uxmal vuol dire “costruita tre volte”, in riferimento alle tre fasi di realizzazione del luogo. Sono stati scoperti qui splendidi edifici in stile Puuc caratterizzati dall’uso di mosaici e le cui tessere raggiungono dimensioni fino a un metro di lunghezza. Per lunghi secoli questa è stata una delle città maya piú importanti dello Yucatán, grazie ai numerosi chultunes, grandi cisterne che assicuravano una duratura riserva idrica con un ingegnoso sistema di approvvigionamento d’acqua. Non bisogna dimenticare che qui non vi sono pozzi naturali e l’acqua scorre a circa 40 metri sottoterra, profondità non raggiungibile con le tecniche conosciute allora. I Maya perciò furono costretti a trovare altri sistemi per l’approvvigionamento idrico, facendo defluire l’acqua per conservarla in grandi e profonde buche in prossimità di pozze d’acqua naturali, impermeabilizzandole artificialmente. Oppure, vicino alla propria capanna, costruivano delle piattaforme che convogliavano l’acqua piovana in cisterne sotterranee. Questi sistemi erano chiamati aguadas i primi e chuetun i secondi. In media una cisterna conteneva circa 35 litri d’acqua che venivano utilizzati non solo per gli usi domestici ma anche per il materiale delle costruzioni.

Riguardo alle nozioni storiche, all’arrivo degli Spagnoli Uxmal era ancora abitata, ma l’ultima dinastia Xiú aveva da tempo trasferito la sua capitale a Mayapán. Il frate spagnolo Alonso de Ponce è stato il primo a raccontare di questi luoghi nelle sue memorie, dopodiché Uxmal cadde nel dimenticatoio fino alla prima metà dell’Ottocento, quando venne riscoperta dall’esploratore statunitense John Lloyd Stephens e dall’architetto e disegnatore inglese Frederick Catherwood. A quei tempi non era ancora ben chiaro che la civiltà dei Maya si estendesse per un’area così vasta e Stephens e Catherwood, appassionati entrambi delle culture precolombiane, esplorarono per anni le foreste tropicali del Guatemala, dell’Honduras e dello Yucatán alla ricerca delle antiche rovine di popolazioni sconosciute, dando un enorme contributo scritto e visivo dei monumenti del tempo. La nostra lettura viene interrotta pochi metri dopo l’ingresso, dove veniamo strabiliati dalla costruzione più celebre del sito: la Piramide dell’Indovino, che raggiunge i 39 metri di altezza, sulla quale purtroppo è vietato salire. I turisti sono pochissimi e possiamo ammirare e fotografare con la dovuta attenzione questo spettacolare monumento. La curiosa base ovale è piuttosto insolita e caratterizzante, poiché non si trova in nessun altro posto conosciuto. Fu costruita tra il VI e il X secolo e anticamente era dipinta di rosso, con particolari in giallo, nero e blu. Il sito si presenta geograficamente molto diverso da quello di Chichen Itza, con alture a gradoni e un verde più fitto e intenso, che conferiscono una maggiore sensazione di integrale immersione nella natura. E il fatto di essere molto meno frequentato permette di trovarsi in angoli solitari e godere appieno del fascino del luogo.

Accanto alla Piramide dell’Indovino svoltiamo verso l’enorme Cuadrangulo de las Monas, Quadrilatero delle Monache, perché ricorda il cortile di un convento, con le 74 stanzette-celle. Non è ben chiaro a cosa fosse realmente adibito. Passeggiamo in assoluta tranquillità nel suo interno, caratterizzato da un perfetto prato verde all’inglese. Da qua torniamo indietro all’altro lato della Piramide dell’indovino, dove c’è il Chiostro, un cortile lungo 75 metri e largo 60, circondato da quattro edifici dalle facciate scolpite. La funzione del Chiostro era probabilmente servire da residenza ai sacerdoti che officiavano nella Casa dello Stregone, così chiamata anche se si trattava in realtà del principale tempio di Uxmal. Da qui vi sono ottimi spunti fotografici, con giochi di profondità per le colonne e interessanti prospettive architettoniche.

Attraversiamo il finto arco del Quadrilatero scendendo dei gradini e il panorama spazia maggiormente, mostrando una serie di terrazze a livello. E’ sempre tutto immerso magnificamente nel verde. Spuntano tantissime farfalle e iguane dappertutto, di ogni dimensione, che scorrazzano libere, rincorrendosi tra le rocce o prendendo il sole, ma che non si lasciano avvicinare troppo. Passiamo il Campo da gioco della pelota, drasticamente più piccolo di quello di Chichen Itza, e saliamo su una piccola collina dove si trova il Palazzo del Governatore, un edificio lungo quasi 100 metri che sorge sopra una vasta piattaforma a gradinate e serviva da residenza per le massime autorità. Il palazzo è orientato verso il sorgere del pianeta Venere e presenta una parte inferiore semplice e lineare, mentre il cornicione superiore è decorato con i simboli della cultura maya e sul fregio si possono contare ben 260 maschere del dio Chaac. Sul retro del palazzo sono presenti una serie di strette porte a forma di punta di freccia, le quali immettono in un piccolissimo vano il cui uso è rimasto sconosciuto. Gli elaborati mosaici che decorano le quattro facciate sono composti da circa ventimila pezzi! Sempre sul retro del palazzo, si sbuca con un bel colpo d’occhio a metà altezza sulla ripidissima gradinata della Grande Piramide, che si trova attaccata alla collina.

Prima di vistarla, percorriamo il giro ad anello tornando sull’orlo della terrazza dove sorge la Casa de las Tartarugas, una costruzione chiamata così per il fregio del cornicione superiore decorato con piccole tartarughe scolpite. Pare sia stata costruita come tributo al dio dell’acqua. Da qui si può osservare un discreto panorama del sito, con la Piramide dell’Indovino che si erge maestosa e prepotente dalla jungla. Sulla sinistra, proseguiamo per qualche metro scendendo di livello e raggiungiamo la prima citata Grande Piramide, alta circa 40 metri. E’ quasi interamente rovinata e salire su quegli scalini così stretti comporta una notevole fatica, ampiamente ripagata però dal superlativo panorama soprastante. Si può rilassarsi qui seduti mentre si osservano tutto il sito archeologico nella sua imponenza e la fitta jungla a perdita d’occhio. La discesa è ancora più difficile e va eseguita in diagonale per evitare il senso di vertigini. Passeggiamo al vicino El Palomar, la “piccionaia”, una curiosa struttura con il tetto a cresta che ricorda le colombaie arabe. Sul retro c’è anche un piccolo sentiero di cui ignoriamo la destinazione e che percorriamo solo per un breve tratto. Abbiamo visto più o meno tutto in tre ore abbondanti di visita ad Uxmal, che trovo personalmente più affascinante di Chichen essendo più isolato, vasto, e con un paesaggio più interessante grazie alle terrazze a gradoni che permettono una visuale progressiva crescente di tutto il luogo, nonché grazie alle numerose iguane e farfalle presenti ovunque. Il paragone è comunque difficile perché parliamo di due posti molto differenti tra loro.

Torniamo indietro all’ingresso, dove si trovano alcuni negozi e l’ATM per il ritiro di contanti, e un ristorante di cucina messicana nel quale pranziamo praticamente da soli. Si mangia bene e a prezzi contenuti. Qualche minuto dopo ci troviamo in costume rilassati nella splendida piscina dell’Uxmal Lodge, senza fare purtroppo il bagno perché l’acqua è più fredda del previsto. Anche qui siamo da soli, dopo aver salutato un signore inglese che era sprovvisto di telo extra. Lui una nuotata se la farebbe volentieri, abituato a temperature ben diverse dalle nostre. Questo posto è veramente un paradiso dell’eden! Riprese le forze, alle 19:00 siamo nuovamente all’interno del sito per assistere allo Light and Sound Show, lo spettacolo di luci e suoni. Dopo un articolato percorso semi illuminato, saliamo delle scale che conducono ad una terrazza panoramica sopra il quadrangolo de las Monas. Apparentemente vi sono solo due file di sedie e riusciamo a sistemarci in ottima posizione con una visione eccellente. Pochi minuti prima dell’inizio, arriva però un numeroso gruppo di persone che crea scompiglio. Vengono portate altre sedie ma si rivelano insufficienti, così molti si accomodano per terra davanti a noi, coprendo parzialmente la visuale e annullando il fascino e la suggestione dello show, il quale risulta già di per sé piuttosto monotono e meno interessante di quello di Chichen Itza. Nonostante sia bello vedere illuminato il quadrangolo e la grande piramide sullo sfondo, il chiasso dei turisti e i flash continui delle macchine compatte distraggono dalla narrazione. Persino il fotografo professionista seduto fianco a noi, che ha pagato fior di dollari per avere la prima fila con cavalletto dedicato, è parecchio seccato della situazione e non esita a manifestarlo con loquaci ‘gesti’ con il dito medio a chi scatta dietro di lui. Non possiamo che dargli ragione, poiché l’organizzazione è risultata purtroppo mal gestita. Dovrebbero vietare l’uso del flash, anche perché del tutto inutile. Solamente i principianti che non conoscono alcuna base della fotografia possono sognare che il lampo di una compatta possa servire a qualcosa fotografando soggetti al buio a decine di metri di distanza, appena illuminati da faretti. E infatti, guardando nello schermo della digitale e vedendo solo una fotografia nera, continuano persistentemente a scattare a vuoto… Alla fine dello show, lasciamo da parte i principianti e prima di uscire dal sito proviamo a scattare invece qualcosa di sensato, appoggiando la macchina fotografica su un cumulo di pietre di fronte alla magnifica Piramide dell’Indovino, illuminata ad arte per creare un alone di pura magia.

Torniamo stanchissimi al bungalow e Stefania un po’ indisposta rinuncia persino alla cena pur di coricarsi. Prendo perciò qualcosa al piccolo ristorante all’aperto del Lodge, alquanto suggestivo se non fosse per qualche fastidioso insetto di troppo, e una camomilla da portare in stanza… 08/11/2006 – Ruta Puuc: siti archeologici di Kabah, Sayl, Labnà e Grotte di Loltun. Spostamento al Mancanchè B&B a Izamal.

La colazione al Lodge alle 8 del mattino è più cara della media (200 pesos) ma ottima. Si sentono solo gli uccellini cantare intorno e c’è molta pace. Prima di andar via, stiamo una mezz’oretta nel piazzale del parcheggio all’ingresso del sito di Uxmal, per dare da mangiare qualche crakers ai poveri cagnolini magri, di cui i messicani paiono non curarsi particolarmente.

Alle 10:30 siamo sulla strada 261, continuando come da manuale l’itinerario della Ruta Puuc. Arriviamo al primo sito archeologico della successione: Kabah, che significa “la mano che cesella” o “il signore dalla mano forte e potente”. La differenza con i siti finora visitati è netta. Il parcheggio intanto è inesistente: una piccola piazzetta dove è presente solo un’altra Atos. L’ingresso viene 45 pesos a persona e il biglietto si fa in una baracca spartana con un signore che non parla una parola di inglese, ma è circondato da cani che per una volta sembrano condurre una vita dignitosa. Un gran bel piazzale con prato verde dà subito una visuale complessiva dei resti archeologici, che sono piuttosto malridotti confrontati ai siti maggiori. Spuntano ovunque una moltitudine di farfalle e di api, che devono essere le famose api maya che cita la guida… Prima di venire nello Yucatan, non ero minimamente a conoscenza che l’omonimo cartone animato era riferito ad una specie realmente esistente di api! Leggendo un po’ di storia, la città risale ad un periodo compreso tra il 750 e il 950 D.C. E a quell’epoca risultava la più importante dopo Uxmal. Le due erano unite da strade di 20 km, oggi purtroppo invisibili poiché i viali lastricati di pietre bianche sono sepolti sotto la vegetazione della jungla. Sulla destra (rispetto all’ingresso), iniziamo salendo la scalinata che porta all’edificio di maggior interesse: il Palacio de los Mascarones, (Palazzo delle Maschere). Si tratta di uno stupefacente esempio di stile precolombiano barocco esacerbato, costruito tra il 700 e il 900 D.C. Lungo 46 metri, con due file di cinque stanze collegate a coppia, il Palazzo ha una bellissima facciata ornata da 300 maschere del dio della pioggia Chac Mool. Purtroppo la maggior parte sono rovinate e le migliori, le uniche quasi integre, si trovano all’estremità destra del palazzo, che è anche il confine visitabile di Kabah.

Sul retro, si notano i due Atlantes, strutture architettoniche di forma umana che assumono una particolare importanza, essendo le uniche figure umane tridimensionali trovate nei siti maya. Le osserviamo spiccare tra il cielo azzurro di questa splendida giornata, che solo a tratti diventa appena parzialmente coperta. Continuiamo a passeggiare salendo su una terrazza, finché un’altra ripida gradinata piuttosto rovinata porta a El Palacio, edificio in stile Puuc di sobria eleganza: ha una serie di portali con colonnine sulla parte superiore della facciata. Siamo nuovamente nel largo piazzale a prato in fondo all’ingresso principale. Sul retro, tenendo il palazzo alla propria destra, un viottolo conduce in pochi minuti al Templo de las Colomnes, in un rilassante anfratto solitario circondato della jungla. Bisogna stare attenti alle numerose misteriose buche naturali che sprofondano nel vuoto, appena coperte da qualche trave in legno. Non se ne vede la profondità e chissà, magari laggiù si trova qualche cenote nascosto… Tornati al parcheggio, visitiamo la seconda parte del sito, seguendo le indicazioni di un altro sentiero. Costeggiamo un cumulo di pietre che un tempo formavano la Grande Piramide e arriviamo in dieci minuti circa all’Arco monumentale restaurato. Vi sono anche altri sentieri laterali privi di indicazioni e proviamo a seguirne uno per una decina di minuti. Non vedendo alcuna segnalazione però torniamo all’auto e lasciamo Kabah. Proseguiamo on the road verso il successivo sito di Sayil, il “luogo delle formiche”, che raggiungiamo dopo qualche chilometro di strada desolata, immersa in un suggestivo paesaggio nella jungla. Era una grande città, costruita tra il 750 e il 1000 D.C. L’ingresso viene ancora meno di Kabah, per la precisione 30 pesos a persona. Un sentiero lastricato e ben curato conduce all’attrattiva principale e praticamente unica di questo piccolo luogo: lo spettacolare El Palacio, grandioso edificio composto di tre piattaforme con una facciata lunga 85 metri. E’ considerato uno dei più bei palazzi dell’architettura maya, pari a quello di Uxmal. Splendide le decorazioni puuc sulle colonne, raffiguranti Chaac Mool e un dio discendente, Ah Mucen Cab (dio ape). Scattate le foto di rito, tentiamo qualche sentiero sul retro che dovrebbero portare a El Mirador, un osservatorio malridotto, costituito da un tempio quadrato decorato con un’alta merlatura in stile Chenes. Desistiamo dopo pochi minuti però, per non andare troppo in là coi tempi. Un altro breve tragitto in auto ed entriamo a Labnà. Al parcheggio, una ragazza si avvicina chiedendo se può provare ad aprire la sua Atos con le nostre chiavi. Ha commesso l’imperdonabile errore di chiudere il cofano e gli sportelli lasciando le chiavi all’interno…Ahiahi! Avendo anche noi una Atos, il tentativo è valido ma non porta nessun frutto. Il bello è che qui non esiste praticamente nulla nelle vicinanze: né case, paesi e tanto meno meccanici. Li lasciamo così sconsolati stando bene attenti alle nostre chiavi… Labnà, che significa “Casa vecchia”, è un sito di medie dimensioni: più piccolo dei più conosciuti Uxmal e Chichen Itza ma più vasto di quelli secondari della ruta Puuc. Questa città vide la luce nel IV secolo e fiorì per secoli, sino alla sua decadenza intorno all’anno 1000. Un sentiero ombreggiato grazie a magnifici alberi secolari passa per un piccolissimo market e conduce in un enorme slargo a prato verde, dove sorge il Palazzo che aveva un totale di 67 stanze disposte su due livelli. Purtroppo oggi una parte delle stanze è andata perduta, ma l’edificio è comunque considerato un gioiello dello stile Puuc. Da qui parte una singolare via cerimoniale rialzata, il saché, che attraversa buona parte del sito congiungendo i monumenti principali. Mentre la percorriamo ritroviamo i ragazzi del parcheggio, che sono riusciti grazie all’aiuto di un tassista messicano di passaggio, ad aprire lo sportello scendendo il vetro. “E’ stato facilissimo” dicono, “attenti che adesso aprono anche la vostra…”. Un gran bel consiglio ironico da tenere in considerazione seriamente. Seguiamo il sachè costeggiando El Mirador, l’osservatorio posto in cima ad una piramide quasi distrutta che si erge al cielo, ed arriviamo all’Arco, magnifico arco monumentale ampio tre metri e alto sei, che marcava l’ingresso e l’uscita dalla città. E’ perfettamente ristrutturato ma faceva parte di un edificio andato invece purtroppo interamente distrutto. Si tratta di un tipico falso arco maya, ed è decorato da mascheroni di Chaac e piccole nicchie che riproducono capanne.

Tanto per cambiare, non si vede quasi nessuno in giro e la passeggiata è estremamente rilassante e piacevole. L’unico neo è il caldo della mattinata, ma del resto non si può avere tutto… Di rientro osserviamo anche l’Edificio de las Columnas, col suo basamento di 40 metri e 20 di larghezza.

Lasciamo soddisfatti Labnà, il più bel sito tra i tre visti oggi, e proseguiamo tra le dolci colline di una strada quasi sempre deserta, osservando con stupore che nonostante la Ruta Puuc sia tra gli itinerari più famosi, non presenta granché scelta di offerta per alloggi o ristoranti. Sulla strada non se ne incontra neanche uno, ed è necessario per trovarli spostarsi in qualche paese nelle vicinanze. Alle 14:15 giungiamo alle Grotte di Loltun, considerate tra le gemme dei complessi calcarei da visitare qui in Messico. La prossima visita è alle 15:00, dura un’ora e il biglietto costa 60 pesos a persona. Ne approfittiamo per cercare un posto veloce per pranzare, escludendo il ristorante fronte all’ingresso per motivi di tempo. Seguiamo le indicazioni di un cartello, camminando su un viottolo che costeggia la strada per una decina di minuti, ma giunti a destinazione scopriamo amaramente che il chiosco di alimentari è chiuso. Torniamo alle grotte e ci accontentiamo di qualche snack. Siamo un gruppo di una decina di persone tra cui un’altra coppia di italiani, i primi visti finora, anch’essi in viaggio on the road verso il sud del Messico. La nostra guida si presenta e fa cenno di entrare. Scendiamo alcuni gradini verso la bocca della grotta. Rassicura che l’intero percorso è areato e non vi sono problemi di respirazione, come accade invece per quelle di Balancanchè, provate in prima persona. Il percorso si rivela subito oltre ogni previsione. E’ semplicemente stupefacente, alternando cavità immense di dimensioni inusuali che lasciano esterrefatti, a stretti e bassi cunicoli di difficile passaggio. Uno di questi porta ad una labirintica sala, col soffitto tanto basso da stare molto attenti a non pestare la fronte sulle centinaia di stalattiti e stalagmiti, per lo più unificate in colonne uniche. Ognuna di queste, come mostra la guida, ha un suono particolare. Ebbene sì, battendo sulle colonne esse emettono un suono che guarda caso ha la musicalità esatta di LOL – TUN. Da qui è evidente anche il significato del nome storico della grotta! Saliamo qualche ripida e scivolosa scalinata con l’aiuto delle corde, e giungiamo in un’altra sala mastodontica, estremamente suggestiva, che presenta due caratteristiche fessure sul tetto che portano la luce. Più avanti, un’altra gradinata sale all’uscita, esattamente di fronte al chiosco che abbiamo trovato chiuso prima. Ripercorriamo così il piccolo viottolo e torniamo al parcheggio, febbricitanti dall’esplorazione di queste incredibili grotte naturali.

La nostra giornata di visite è finita e adesso, dopo aver chiacchierato brevemente con la coppia di italiani, dobbiamo percorrere un lungo tratto di strada per arrivare ad Izamal. Seguiamo la strada 18 e deviamo sulla 180, lasciando Mèrida alle spalle senza neanche entrarci. Dopo una settantina di chilometri, alle 19:00 ormai buio inoltrato, giungiamo finalmente ad Izamal. Seguendo le indicazioni della Lonely, superiamo lo storico medievale centro del paese e troviamo il Calle 22, dove al numero #305 si trova il Macanchè B&B. All’esterno appare piuttosto comune, ma una volta dentro si aprono le porte di una vera oasi, perfettamente curata e personalizzata in stile inglese. La stanza viene 450 pesos per notte con prima colazione (anche il prezzo è in stile inglese, poiché è la prima volta qui in Messico che troviamo la breakfast compresa nel pernottamento). Le camere non sono numerate ma hanno un vero e proprio nome ciascuna. La signora inglese ne mostra due e la nostra scelta ricade su “Santa Fe”, vivace e colorata. La particolarità è che il B&B si trova esattamente al confine tra città e jungla, e i signori inglesi ne hanno costruito un vero paradiso con animali (gatti stupendi e ben tenuti, i primi finalmente qui in Messico), fontane, gazebo, amache, una piscina naturale sulla roccia e tanto tanto verde. Dà una netta impressione che questi vivano barricati qui senza bisogno di uscire mai e si siano costruiti il loro regno! La signora propone per la cena un buonissimo pesce fresco, da cucinare sul momento grazie alle abili doti culinarie del marito. Accettiamo volentieri il suggerimento, e dopo esserci assestati un’oretta, torniamo per sedere ai tavoli nel cortile all’aperto. Si respira una sensazione di pace e serenità in questo posto davvero piacevole, grazie anche alla cordialità dei proprietari. Il pesce è ottimo, come i nachos messicani di cui stiamo ampiamente facendo razzia in questi giorni! 09/11/2006 – Visita Izamal. Spostamento a Valladolid a El Mason del Marques hotel. Cenote Dzitnup.

La colazione alle 9:30 è ottima, secondo le migliori tradizioni inglesi. Giriamo l’oasi del Macanchè alla luce del giorno, invidiando il frutto del lavoro svolto da questa singolare coppia che ha scelto il suo angolo di paradiso nella piccola Izamal. Stiamo poi una mezzora nella veranda della nostra camera, a dondolare nell’amaca che dopo le spiegazioni di Errique riconosciamo essere non in yuta e perciò molto meno prestante di quella acquistata a Mèrida… La tipica amaca da ‘turista’ come diceva lui, e non da messicano! Carichiamo le valigie e salutiamo il singolare Macanchè B&B, raggiungendo in auto il centro della cittadina. Parcheggiamo nella piazza principale e appena scesi un poliziotto del turismo si avvicina cordiale, intrattenendoci un buon quarto d’ora per suggerire tutte le possibili cose da fare e vedere ad Izamal. Si chiama Arturo ed è anche troppo gentile, tanto da pensare che vi sia qualcosa di sospetto sotto. Rassicura per l’auto, dicendo che è protetta sotto il suo controllo, e fa il nome di un certo Luis per la visita al convento. Siamo imbarazzati perché non sappiamo se dargli la mancia o meno. Seguiamo i consigli della Lonely e della Keyguide, che sconsigliano vivamente di dare soldi in pubblico ai poliziotti, e ci limitiamo a ringraziarlo cortesemente.

Lasciamo Arturo ed iniziamo la visita di Izamal. Gli Spagnoli edificarono qui sulle rovine della antica città nativa maya, dedicata al culto di diverse divinità, tra le quali Itzamna, dio creatore, nel tardo preclassico (300a.C. – 100d.C.). Da allora Izamal conserva le caratteristiche di una splendente cittadina coloniale molto ben conservata. Molti edifici sono del secolo XVI e XVII e sono dipinti nel colore classico dell’epoca, l’ocra chiaro, dal quale deriva il soprannome di Città Gialla.

Di fronte a noi, nella piazza principale, sorge il Convento de San Antonio da Padua, principale attrazione turistica di Izamal. Fu costruito nel 1561 dai frati francescani, che utilizzarono le pietre del distrutto tempio maya di Papp Hol Chac per edificare lo spettacolare monastero, il più famoso di tutto il Messico e spesso oggetto di copertina per tanti depliant e guide di viaggio.

Prima di entrare passeggiamo per la piazzetta laterale, ricca di bancarelle, con delle signore messicane vestite in tradizionale costume locale che attendono i turisti. Compriamo da una di queste alcune candele, guardacaso gialle, in sintonia con le case circostanti, e saliamo poi la lunga scalinata che porta al vastissimo atrio sopraelevato del convento. E’ circondato da un portico di 75 archi disposti in forma di rettangolo irregolare: un bel colpo d’occhio architettonico! All’interno, accendiamo la candela gialla mischiandola alle centinaia offerte, e visitiamo velocemente la cappella, a rigor del vero un po’ scarna confrontata alle nostre chiese. Troviamo quindi il Louis di cui parlava Arturo. E’ un piccolissimo uomo (circa 1 metro e quaranta) piuttosto gobbo, che fraternizza subito con Stefania e si occupa di condurci per le vie del monastero. Visitiamo la chiesa principale che è il Santuario de la Virgen, con stupendi affreschi del XVI secolo, ma le spiegazioni date da Louis in spagnolo sono quasi incomprensibili.

Gli lasciamo cortesemente la mancia e usciamo dall’ingresso principale, dove si ha una stupenda vista della piazza centrale. Notiamo una lunga fila di calesse parcheggiati, che sostituiscono i taxi portando i turisti in giro perla cittadina. Ritroviamo Arturo che, visto il poco tempo a disposizione, propone di salire su uno di questi per visitare il resto del paese. Optiamo per una ‘cavalcata’ di mezzora al costo di 70 pesos. E’ piuttosto divertente e ne vale la pena, anche perché ad Izamal non vi è molto altro da vedere, se non i resti della piramide ormai ridotta un cumulo di pietre. Girando in calesse invece, si ha la possibilità di apprezzare uno scorcio di vita messicano osservando negozietti, bancarelle, bambini che giocano per strada, e sempre ovunque le piccole basse casette dipinte esclusivamente di giallo, che rendono questa cittadina la più caratteristica e ben tenuta vista finora. Una volta rientrati, adocchiamo un mini market molto ben fornito dove riforniamo gli approvvigionamenti di prima necessità. Lasciamo dunque Izamal, riprendendo la strada cuota per Valladolid per accelerare i tempi. Sempre seguendo le indicazioni della Lonely, raggiungiamo il centro della cittadina, trafficata ma assai meno caotica di Mèrida, cercando l’hotel El Mason del Marques il quale risulta essere proprio sulla piazza principale. Scendo e chiedo informazioni sul parcheggio, che come di consueto ha un piccolo ingresso contorto nel retro raggiungibile da un portone quasi invisibile. Parcheggiata l’auto in questo sterrato, torniamo al ricevimento, passando per il cortile coloniale del ristorante che appare veramente bello. Ci viene assegnata la camera n° 206 al secondo piano, al costo di 505 pesos. E’ carina e confortevole, ma meno di altre viste nei giorni precedenti. Dà verso la piscina del cortile adiacente il ristorante. La tranquillità del posto è spezzata da alcuni lavori in corso per la ristrutturazione di nuove camere, ma niente di insopportabile. Le chiavi fanno largamente sorridere perché sono attaccate ad un enorme pesante figura in ferro, grande due volte la mia mano. Forse vogliono assicurarsi che i clienti non le portino fuori dall’hotel… Lasciamo tutto in stanza e scendiamo in piazza, dove prendiamo un taxi per raggiungere il cenote Dzitnup, a circa sette chilometri di distanza, già fuori dal centro abitato. Il biglietto d’ingresso costa 40 pesos a persona, e non vi è limite di tempo per la visita. Una ripida e angusta scalinata porta dentro il cenote, che si rivela molto suggestivo e sicuramente più bello e naturale di Ik-Kil visto a Chichen Itza. E’ anche molto più buio però del previsto, perché la luce entra solo da una piccola fessura circolare, mentre dalle foto che viste in cartolina pareva diversamente. Evidentemente sono scattate con tempi lentissimi in condizioni particolari, ecco perché suggeriscono tutti di comprarle all’uscita. Provo qualche scatto anche io appoggiando la fotocamera in alcuni punti, non avendo cavalletto. L’acqua è freddina e avendo appena mangiato escludiamo di fare il bagno. Una coppia di coraggiosi si cimenta invece in una nuotata tra le enormi e splendide stalattiti del cenote, riflesse per lo più a specchio dalle placide acque verdi stagnanti. Siamo davvero in pochi qui dentro e vale la pena sedersi a contemplare questo capolavoro naturale. Percorriamo poi un piccolo sentiero interno tra le rocce che porta più in alto, senza però nulla di interessante da vedere.

Stiamo circa un’oretta e torniamo in superficie, comprando alcuni oggetti nelle poche bancarelle di artigianato rimaste aperte. Il taxi è ancora lì ad attendere, come pattuito. Del resto, si dovrà guadagnare i 150 pesos che ha chiesto! Rientriamo di fronte all’hotel al crepuscolo. Ne approfittiamo per una passeggiata per la piazza centrale, osservando i numerosi negozi di artigianato locale. Entriamo in uno a caso, nel quale trattiamo con un loquace e simpaticissimo messicano per delle bottigliette di tequila e di vaniglia, nonché per una bambolina di pezza. Incontriamo con enorme stupore due nostri amici continentali che lavorano stagionalmente in Sardegna: quanto è piccolo il mondo! Raccontano che loro sono in villaggio nella Riviera, e che sono in gita giornaliera organizzata. Hanno visitato Cobà e adesso, prima di rientrare, hanno questa tappa obbligatoria per l’acquisto di souvenir. Li salutiamo e continuiamo la divertente contrattazione con il messicano che, tra l’altro, afferma di poter fare un prezzo inferiore proprio perchè non siamo in tour organizzato, poiché evita di pagare la commissione all’agenzia. Ho sempre sostenuto che si risparmiano parecchi soldi nei viaggi fai da te! Compriamo alla fine del peperoncino e la bottiglietta di vaniglia, dopodiché torniamo a El Meson del Marques sull’altro lato della piazza. Qui ceniamo nel cortile coloniale, ancora più affascinante in notturno per l’eccellente romantica atmosfera, creata ad arte da un’attenta illuminazione a candela. Il servizio inoltre è impeccabile e la cena è la migliore di tutto il viaggio, con un insuperabile piatto di fajitas di pollo! La ciliegina finale sulla torta è il conto estremamente economico (330 pesos), considerato il ristorante di classe e paragonato ad altri provati.

10/11/2006 – Visita Valladolid. Sito archeologico di Cobà. Spostamento a Tulum a El Crucero hotel. Scendiamo per la colazione nel cortile dell’hotel (60 pesos a testa). Anche questa è ottima come la cena di ieri. Passeggiamo per la piazza centrale adibita a parco, molto curato e con un bel verde. Vi sono, oltre le comuni panchine, dei buffi ma geniali sgabelli per due nei quali è possibile sedersi insieme guardandosi negli occhi frontalmente. Entriamo per una breve visita alla Cattedrale, adornata vivacemente per qualche festa. Notiamo dal traffico l’uso ancora frequente qui in Messico dei Maggiolini vecchio stile: una gran bella vettura ormai considerata d’epoca per noi italiani! Acquistiamo ancora qualche souvenir e pensiamo ai regali vari da portare in Italia a parenti e amici: questi saranno gli ultimi che compriamo, poiché nei prossimi giorni nella Riviera Maya diamo per scontato che i prezzi schizzeranno alle stelle per oggetti identici a questi. Infine lasciamo Valladolid e ci dirigiamo verso Cobà, una delle più estese città maya dello Yucatan. Si trova a metà strada tra Valladolid e Tulum (50 Km circa da entrambe) ed è considerato il sito meno frequentato dei più battuti Chichen Itza e Tulum.

Cobá fu fondata nel 623 e prosperò per circa quindici secoli, fino al tardo periodo post-classico. Venne riscoperta nel 1891, grazie agli scavi dell’austriaco Maler, studiata in seguito nel 1930 e quindi quasi dimenticata sino al 1973, quando si ricominciò a scavare. Oggi i resti messi alla luce e visitabili costituiscono solo il 5% dell’intera superficie, che ammonta a ben 50 kmq. Data la sua grandezza, il sito rimane assai più dispersivo degli altri e all’interno sono attrezzati per il noleggio di bici o l’utilizzo di bici taxi. L’architettura riscontrata non è ancora del tutto chiara: le sue piramidi e le 32 stele scolpite, anche se molto rovinate, ricordano lo stile di Tikal che si trova però a molte centinaia di km, piuttosto che quello dei vicini Chichen Itza e Tulum. Secondo alcuni archeologici, riporta la Lonely, questo è forse dovuto all’alleanza che Cobà dovette stipulare proprio con Tikal, fatta attraverso matrimoni. Le rovine sono disseminate intorno a cinque laghetti e comprendono i resti di una rete stradale, le sacbés, ossia i viali lastricati di pietra, che collegavano il quartiere centrale della città alle zone periferiche. La strada più lunga rinvenuta fino a oggi conduce per un centinaio di chilometri fino a Yaxuná.

Parcheggiamo in una piazza sterrata non custodita, sulla sponda di uno dei tanti laghetti che si trovano in questa zona. Incontriamo una coppia di signori che era presente due giorni fa al Macanchè di Izamal. Li salutiamo sorridendo per la coincidenza e loro ricambiano, suggerendo tra l’altro di lasciare l’auto col cofano rivolto pochi centimetri da un tronco di un albero, in modo che non sia possibile aprirlo. In effetti, lasciando tutte le valigie in vista, il parcheggio incustodito non dà una grande garanzia. Seguiamo così volentieri il loro esempio ed entriamo nel sito. L’ingresso viene 60 pesos a testa. Pochi passi caratterizzano i principali aspetti di questa area archeologica, ancora una volta differente da tutte le altre. Qui a Cobà i reperti sono molto rovinati, talvolta appena un cumulo di pietre, sparsi e a grandi distanze l’uno dall’altro, immersi in una jungla con alberi ad alto fusto che regalano molta ombra e panorami stretti. Ricorda per lo più le ambientazioni delle avventure di Indiana Jones. Come prima cosa sulla destra vediamo il Templo de las Iglesias, una enorme piramide sulla quale è vietato salire. Poco più avanti c’è un’area attrezzata per il noleggio di biciclette, che a noi per il momento non interessa. Preferiamo camminare nella jungla e percorriamo un bel tratto a piedi, raggiungendo il Grupo Macanxoc che si trova proseguendo diritto al bivio dopo il juego de la pelota. I sentieri sono larghi e ben segnati, nonché quasi per intero all’ombra grazie agli alberi tutto intorno. A tratti si dividono in due percorsi (uno per le bici e uno per chi cammina), pur conducendo allo stessa destinazione. Le distanze comunque sono in effetti maggiori di quel che pensavamo e la bici comporta un notevole risparmio di tempo. Seguendo le indicazioni arriviamo al Nohoch Mul, il “grande tumulo”, detta anche Grande Piramide, che coi suoi 42 m è la più alta struttura maya della penisola. Gli scalini sono tutti rovinati e bisogna stare attenti nella scalata, ma si possono utilizzare in ausilio le corde, soprattutto nella discesa che è più impegnativa. Da sopra si deve dominare il sito con una visione stupenda, ma raggiungere la vetta richiede calma e concentrazione e lasciamo questa impresa ai turisti con più tempo a disposizione, accontentandoci di applaudire in gruppo i coraggiosi più audaci. Torniamo velocemente al parcheggio, un po’ preoccupati per l’auto e a dirla tutta soprattutto per i regali acquistati, non tanto per il valore ma per il fatto che sono caratteristici e unici di diverse zone del Messico e non avremo più la possibilità di ritrovarli sulla costa. Per fortuna è tutto in ordine e riprendiamo il viaggio sollevati. La strada tra Cobà e Tulum è disseminata di lavori in corso e in fase di ampliamento, che denota un certo interesse turistico in crescita. Presto, questo sito che tutti citano come il meno battuto avrà la sua rivincita, e purtroppo non sarà visitabile con quell’aria di fascino misterioso. Già oggi c’era parecchio fermento e abbiamo incontrato molti più turisti che a Uxmal e di qualsiasi altro sito della Ruta Puuc. Giungiamo dopo tre quarti d’ora a Tulum Pueblo, la cittadina vera e propria di circa 7.000 abitanti nella quale si trovano la stazione degli autobus, la banca, l’agenzia viaggi, gli internet point, i negozietti, le caffetterie, gli hotel e i ristoranti. Si snoda lungo la via principale, Avenue Tulum, che percorriamo per intero alla ricerca di alloggio. Il mare si trova a circa sette chilometri dal centro, nell’area chiamata Zona Hotelera (proprio come a Cancun) dove invece sorgono gli hotel più richiesti. Qui si trovano anche numerose cabanas, che sono bungalows di varie tipologie: da quelle piuttosto spartane, spesso fatte solo in legno, con tetto di paglia e pavimento in cemento o sabbia, a quelle di lusso, eleganti e dotate di tutti i confort. I prezzi sono i più disparati e ovviamente proporzionati all’offerta: ve ne sono da 20 dollari a notte per le più basilari, fino ai 70 dollari per quelle più comuni, e oltre i 100 dollari per le migliori. Errique a Mèrida suggeriva proprio una cabana per risparmiare, sfruttando l’amaca per dormire all’aperto. Quelle economiche comunque sono poche e vanno anche a ruba, per cui è quasi obbligatorio prenotarle per tempo. Noi cerchiamo un ‘tradizionale’ alloggio e restiamo nel circondario di Tulum Pueblo, dove è più facile trovarlo a buon mercato essendo distanti dal mare.

Sempre su consiglio della Lonely, cerchiamo l’hotel e ristorante “El Crucero”, che troviamo quasi subito. Appare come una piccola oasi, un po’ in stile Macanchè di Izamal. Le camere sono ad un solo piano, sul retro del ristorante in un’area verde, e sono presenti anche le immancabili amache (sempre però in cotone e non in yuta!). In definitiva la struttura in sé stessa è tanto personalizzata e caratteristica quanto trasandata e decadente, nonostante il posto dove sorge è suggestivo e la posizione eccellente: come per Uxmal, siamo di fronte al sito archeologico che possiamo visitare comodamente a piedi. Le camere disponibili sono di due tipi e ovviamente di due prezzi. Le vediamo entrambe, e scegliamo la più cara per 600 pesos a notte. E’ spaziosa ed incredibilmente particolare, dipinta in stile prettamente fumettistico. Sembra di entrare in un cartoon! Il resto però lascia a desiderare, poiché è presente una forte umidità sui muri ed è pieno di zanzare. Il bagno inoltre, è essenziale e spartano. Lasciamo le valigie e camminiamo nei dintorni, raggiungendo l’ingresso alle rovine del sito, che sta chiudendo i battenti alle 18:00. Curioso il colorato trenino che porta i turisti avanti e indietro per il viale di neanche un chilometro! Torniamo indietro e chiediamo informazioni per trovare una sede della Executive, scoprendo con immenso piacere che ne esiste una proprio a due passi dal Crucero. Vogliamo infatti tenere l’auto un giorno in più, e consegnarla qui a Tulum stesso anziché a Playa del Carmen, come inizialmente preventivato, raggiungendo Akumal dopodomani in taxi. L’addetto al noleggio afferma che non esiste alcun problema in merito, basta pagare il giorno in più e ricalcolare il drop-off, di qualche dollaro appena più alto (essendo Tulum più distante di Akumal da Cancun).

Soddisfatti, restiamo ad El Crucero per cena, che in qualità di ristorante guadagna notevolmente punti in positivo. Pur non essendoci nessuno (le zone più frequentate sono ovviamente quelle della Zona Hotelera), si mangia davvero bene. Prendiamo un abbondante piatto di quesadillas e fajitas più birra cerveza, spendendo 350 pesos.

Riposiamo le membra con l’intento di prepararci ad una lunga giornata di visite ma durante la notte, purtroppo, mi sveglio diverse volte per via dei continui tuoni e della pioggia scrosciante. Sta diluviando, e non solo fuori, visto che gocciola anche dal soffitto dei rovinati muri della camera! 11/11/2006 – Sito archeologico Tulum. Riserva Aktun Chen. Playa el Paraiso. Andrea’s Tulum hotel.

Alle 7:30 siamo in piedi per la colazione. Il tempo è parecchio migliorato ed è uscito il sole, pur rimanendo il cielo a tratti nuvoloso. Constatiamo con ilarità che la nostra auto è ‘annegata’ nel parcheggio sterrato, ridotto ad un piccolo lago dalla pioggia di stanotte. Sarà un problema arrivare allo sportello per entrare! Dovendo stare qui un’altra notte, mi avvicino a chiedere per curiosità all’hotel Andrea’s Tulum, proprio di fronte al Crucero, quanto venga una camera. Essendo ancora in costruzione, propongono un prezzo promozionale di 400 pesos per una stanza al piano terra, nuova fiammante e senza umidità. Accettiamo senza pensarci due volte. I 200 pesos risparmiati sono esattamente la cifra che occorre per raggiungere in taxi Akumal, e la camera è molto più adeguata ai nostri standard europei e confortevole, anche se non fumettistica e messicana come quella del Crucero. Alle 9:30 fa già parecchio caldo ed iniziamo la visita di Tulum, uno dei siti archeologici più fotografati del mondo. Il motivo è semplice: si tratta dell’unico sito Maya costruito sul mare, in un promontorio erboso a picco sul Mar dei Carabi. E questo lo rende unico nel suo genere e a sé stante. Adesso, dopo aver visitato la maggior parte dei siti dello Yucatan e Quintana Roo, possiamo effettivamente affermare che ognuno presenta peculiarità e caratteristiche differenti dagli altri. E questa è una nota estremamente positiva, perché ne rende più stimolante ogni volta la visita! L’ingresso costa 45 pesos a persona e si visita in senso orario, percorrendo un sentiero in salita sulla collinetta che porta di fronte alle mura. Tulum significa per l’appunto “fortezza”, poiché è circondato su tre lati da una muraglia difensiva che misura circa 6 metri di spessore e dai 3 ai 5 metri di altezza. Fra il 1100 e la conquista spagnola la città fu un fiorente nodo commerciale, probabilmente retto da una classe di ricchi mercanti. Non sono presenti piramidi, ma solo templi. E tutti recintati, non si può entrare o salire in nessuno, neppure nell’edificio più importante, il celebre El Castillo, la torre di guardia in calcare alabastrino affacciata sul mare. Gli abitanti veneravano il Dio Discendente, la cui effige è ancora visibile sulla porta del tempio omonimo. Le costruzioni ospitate all’interno delle mura erano adibite alla classe dirigente. Delle loro case restano piattaforme, ossia le fondamenta delle costruzioni in legno e paglia andate distrutte. Il sito archeologico è grazioso, armonioso e rilassante da visitare il mattino presto, ma non molto grande. Totalmente l’opposto di Cobà, è raccolto e si estende su ampi panorami sul mare e sulla collina a prato verde. Qui è impossibile ripararsi dal sole che picchia! Una volta superate le mura non c’è un ordine preciso per la visita, si può camminare pressoché ovunque scegliendo di stare all’interno del pianoro o sul lato mare, assai più suggestivo. Camminiamo senza meta osservando il Templo de Las Pinturas, a due piani, probabilmente l’ultima costruzione maya edificata prima dell’arrivo degli Spagnoli. Ormai gli affreschi colorati al suo interno sono disfatti ma rimangono belle le maschere e le stele che lo decorano. Si susseguono poi il Templo del Dios Discendente e El Palacio, che riportano entrambi immagini della divinità (probabilmente il dio ape). Nel Templo de la Estela, “tempio delle stele”, fu rinvenuta la stele (oggi al British Museum di Londra) con sopra impressa la più antica data maya scritta conosciuta (564 D.C.), mentre il Templo del Dios del Viento è invece il miglior punto per fotografare l’incredibile paesaggio sulle rovine e il mare sotto. E’ qui che Tulum fa la differenza rispetto ai concorrenti, poiché la vista dei colori caraibici è stupefacente e regala panorami indimenticabili. Una scala in legno scende verso la spiaggia, dove per fortuna, visto l’orario mattutino, ancora non c’è nessuno. Il mare è bello ma un po’ mosso. Nel giro di dieci minuti arrivano turisti a frotte, così risaliamo e prendiamo un altro sentiero. Sostiamo ad osservare un iguana e un curiosissimo minuscolo granchietto indaffarato a scavare la sua tana, tra l’altro parecchio lontana dalla spiaggia. Sbuchiamo poi verso il balcone che dà sul punto più fotografato di tutto il sito. Qui vi sono ancora pochissime persone, e uno stupendo iguana appostato sulla roccia rende ancora più da cartolina uno scatto già di per sé enormemente suggestivo.

Proseguiamo dalla parte opposta, scorgendo sullo sfondo dietro le palme la splendida spiaggia El Paraiso: altra eccellente visuale da cartolina. Infine, quando ormai il sito stracolma di gente, usciamo soddisfatti e contenti di questo che di fatto è l’ultimo sito archeologico che visiteremo in questa vacanza. Dovendo fare una classifica, è impossibile scegliere quale tra quelli visti sia il migliore, proprio data la loro diversità. Personalmente, confermo che per i miei gusti Uxmal è stato quello che più mi ha attratto e trasmesso emozioni. Cambiamo alloggio, trasportando semplicemente le valigie a piedi dal Crucero all’Andrea’s Tulum hotel. Ci rinfreschiamo con una doccia, e leggiamo sulla porta la curiosa traduzione in italiano delle regole da seguire (scritte anche in inglese, tedesco, francese e spagnolo). E’ pessima, direi che non è neanche accomunabile all’italiano perché al 90% incomprensibile, se non leggendo le parole originali in inglese… Di sicuro fa veramente sorridere! A mezzogiorno recupero l’auto dalla pozza d’acqua, per niente asciutta nonostante il micidiale caldo di oggi e il sole splendente. Appena a lato dell’hotel, imbocchiamo la 307, la trafficata highway principale che percorre rettilinea tutta la Riviera Maya fino a Cancun. Finalmente una strada decente e senza buche che non sia a pagamento. I topes però ci sono lo stesso, anche se molto meno marcati e assai più visibili. Si incrociano parecchi pulman turistici e minivan che fanno da taxi collettivi o privati. Dopo una mezz’oretta raggiungiamo il bivio per Aktun Chen. Una strada sterrata con parecchie buche porta dopo qualche chilometro alla sede di questa riserva naturale. Abbiamo letto vari racconti che ne consigliano vivamente la visita, essendo poco frequentata e meno conosciuta dei più grandi parchi acquatici di Xel-ha e Xcaret. Parcheggiamo l’auto in un piccolo spiazzo alberato, che fa intuire di per sé la poca presenza di visitatori: siamo nel bel mezzo della jungla! Scendiamo dei gradini e raggiungiamo il ricevimento. L’ingresso è piuttosto caro e viene 22 euro a persona. Attendiamo una decina di minuti l’arrivo della guida del nostro gruppo, composto quasi interamente da messicani stessi in vacanza. Arriva un signore del tutto simile ad un ranger americano, che dopo una breve presentazione inizia la visita portandoci ad osservare vari serpenti in gabbia e un trighillo, felino molto simile al gatto. Spiega quasi tutto in spagnolo, essendo la maggior parte dei turisti di lingua nativa. Bene o male si comprende quasi tutto, a parte i nomi tecnici. Mostra i serpenti più velenosi, che sono quelli piccoli, e ne prende in braccio un altro più grosso che ovviamente non lo è, permettendo di accarezzarlo.

Torniamo al ricevimento dove riceviamo un casco bianco di protezione, e veniamo condotti alle grotte. Il percorso da fare è abbastanza lungo. Le concrezioni di stalattiti sono magnifiche, le migliori viste finora. Le sale sono meno estese di Lol-tun ma altrettanto spettacolari e rese suggestive da un accurato gioco di luci. In nessuna delle grotte viste in Messico esiste alcun divieto di fotografare o riprendere, ma la poca luce rende spesso quasi impossibile scattare senza cavalletto. Qui ad Aktun Chen esistono per fortuna un paio di punti appositamente illuminati per immortalare la classica foto ricordo. Le sale si susseguono tra lo stupore generale, e inoltre le grotte sono più di una: è un vero e proprio complesso carsico di decine di chilometri, visitabile turisticamente solo per una piccola parte. Si esce in superficie e si rientra sottoterra diverse volte. Un imprevisto che mi lascia assai contrariato è l’inceppamento della cassetta DV nella mia videocamera. E’ già la seconda volta in questo viaggio ma qui, al buio e di corsa, è impossibile capirne il problema. La guida infierisce suggerendo di tenere lo spazio per le riprese finali al cenote, che è fantastico. Non avendo alternative, sfodero il mio cellulare Nokia 6233 ed inizio a riprendere con questo. Non sarà proprio la stessa cosa, ma almeno con un un gb di Micro SD ho a disposizione 30 minuti di riprese alla massima risoluzione, che non vengono neanche tanto male ad eccezione dell’audio che è ridicolo. Non sono un fanatico dei cellulari iper tecnologici, ma oggi ammetto che mi hanno salvato! Attraversiamo delle passerelle in legno a pelo dell’acqua in stretti passaggi, dove la guida chiede di stare attenti a non mettere i piedi oltre il legno per evitare spiacevoli incontri con i piragna. Inizialmente pensiamo a una presa in giro, ma poi intuiamo che sta dicendo sul serio! Infine arriviamo nel punto più profondo dove si apre la sala finale con il cenote. E’ un’emozione molto forte: appare un luogo magico come quelli descritti nelle fiabe. A seconda della regolazione delle luci, che la guida cambia per realizzare cosa vuol dire ‘il buio’ senza illuminazione artificiale, l’acqua assume colorazioni di verde smeraldo intense da lasciare senza fiato. Siamo sopra una lunga passerella in ferro che lo attraversa per intero. Purtroppo il problema di queste pedane per un fotografo è che quando uno del gruppo muove un passo trema tutto, perciò appoggiare la fotocamera sperando che nessuno cammini in quel momento richiede molte prove a vuoto e tentativi vani. Qualche bella foto però riesce e così, anche senza un filmato di qualità, immortaliamo il più bel cenote visto finora in Messico! Usciamo estasiati da questa esperienza e proseguiamo il cammino nella riserva. Vi sono esemplari simili a piccoli cinghiali, che sembrano aggressivi e fanno un gran baccano, poi numerosi cervi e pappagalli, anche questi esagitati. I tucani sono chiusi in una grande gabbia, mentre le scimmie ragno dentro un largo ed alto recinto. Questa è una delusione perché leggevamo nei racconti che vengono libere a prendere i turisti per mano. La motivazione, viene spiegato, è perché in questo periodo le mamme sono incinta e diventano aggressive. La visita guidata termina qui. Con un po’ di stupore, la guida non chiede ma pretende la mancia, sostenendo alcune motivazioni per noi in realtà non del tutto valide. Comunque, è risultato molto professionale e preparato e gli lasciamo 50 pesos. Sono le 15:00 e la fame si fa sentire. Sediamo al piccolo chiosco del posto e consumiamo un cheesburger veloce, tra le urla dei pappagalli e un cervo sulla strada che osserva incuriosito. Ne approfittiamo per avvicinarlo e finalmente riusciamo a toccarlo, cosa che non eravamo riusciti a fare prima. Sono abituati ai turisti ma ancora un po’ diffidenti, e in realtà è meglio così. Notiamo un gruppo di ragazzi con i quad passare per sentieri interni: sono gli stessi che abbiamo visto anche all’uscita delle grotte. Abbiamo visto il depliant che parla di questo tour e deve essere divertente, anche se la visita a piedi della riserva è sicuramente più esaustiva e ‘naturale’.

Rimaniamo ad osservare per mezzora buona le scimmie ragno, che sembrano dolcissime e incredibilmente curiose, anche se un po’ altezzose. Sono incredibili con quegli arti così lunghi e quella coda da cui deriva il loro nome che usano per appendersi dappertutto e per lanciarsi tra gli alberi, proprio come se fosse un altro arto. Oltretutto, camminano ricordando davvero i movimenti del ragno… I maschietti stanno seduti e tirano fuori il braccio dalla rete per dare la mano ai turisti. Appena vedono qualcosa che si muove cercano di afferrarla, tipo una busta di plastica, una lattina, persino il mio cellulare! Le mamme invece stanno sugli alberi con i cuccioletti e studiano la situazione. Quando si stancano, si arrampicano tra gli alti alberi e iniziano a dondolare e lanciarsi tra i rami compiendo acrobazie spettacolari! Sono davvero stupende da vedere. Appare all’improvviso anche un buffo e singolare animale, che inizialmente pare un formichiere ma non lo è affatto. Il suo nome locale è Tejon.

Lasciamo contenti la riserva di Aktun Chen e rientriamo a Tulum, passando per la Zona Hotelera. Percorriamo un bel viale dove parecchie persone si cimentano nel jogging, e passiamo numerosi resort, cabane e ristoranti. Rimangono tutti comunque abbastanza caratteristici, separati e intimi tra loro, immersi in un bel verde circostante, senza dare senso di affollamento o cementificazione inopportuna. Poiché non vediamo il mare, deviamo per una piccola stradina e parcheggiamo la Atos in un minuscolo spiazzo di sabbia. Pochi metri a piedi e sbuchiamo al tramonto a Playa el Paraiso, davvero una gran bella spiaggia come dicono! Rientriamo infine all’Andrea’s Tulum, dove restiamo anche a cena spendendo appena 250 pesos. Il ristorante del Crucero comunque era notevolmente superiore per qualità delle pietanze.

IN VILLAGGIO…

12/11/2006 – Akumal Beach Resort Alle 9:30 del mattino passeggiamo per l’ultima volta sul piazzale di fronte al sito archeologico di Tulum. Vi sono parecchi negozietti, nonché ristoranti e fast-food. Pare ancora tutto sonnecchiante nei dintorni e alcune bancarelle iniziano ad aprire soltanto ora. Abbiamo constatato che i messicani hanno degli orari che gratificano gli amanti del sonno: prima delle 10:00 infatti è facile trovare molti esercizi ancora chiusi. Non siamo attirati da nulla in particolare e tra l’altro, come preventivato, i prezzi qui sulla Riviera sono assai più cari rispetto all’interno. Poco dopo raggiungiamo la filiale della Executive, per consegnare indietro l’auto a noleggio. Il commesso inizia ad esaminare la Atos e nota subito un piccolo foro nel fanalino posteriore destro. Chiede se è stato messo in evidenza a Cancun o se per caso è stato procurato da noi durante il tragitto. Rimango un po’ perplesso perché non mi sono accorto del fanalino ed è la prima volta che lo osservo. Ma sono sicuro al 100% che non abbiamo fatto noi quel piccolo buchetto, che non compromette affatto la funzionalità della luce di segnalazione. Pare che non sia comunque convincente perché il commesso insiste su questo argomento. E’ insospettito da tracce di stucco che si notano nei bordi e che secondo me, a questo punto, hanno messo alla sede stessa per incollare il piccolo pezzo senza cambiare per intero il fanalino. Durante il viaggio, si deve essere staccato da solo per i più svariati motivi. Sembra in ogni caso il tutto francamente eccessivo, anche considerando quale possa essere il costo irrisorio del piccolo pezzo eventualmente da sostituire. Nella documentazione data a Cancun per giunta, è visibile una ‘X’ generica in quel punto che a mio avviso indica esattamente quel problema (non se ne vedono altri del resto). Il commesso preferisce chiamare comunque alla sede centrale per esporre la questione e valutare se addebitare questa famigerata luce di segnalazione di coda sul conto dell’auto. Per fortuna che, ad onore dell’onestà, viene validata la mia versione e il tutto si risolve senza problemi, se non mezzora di tempo perso nel nulla. Il costo dell’auto è confermato in quello iniziale di 300 pesos al giorno (€ 24) più 18 dollari di drop-off, che viene addebitato sulla mia carta di credito. Adesso posso effettivamente affermare che il noleggio con la Executive, compagnia locale, è stato enormemente più conveniente di quello che avrei stipulato con le altre compagnia internazionali.

Torniamo a piedi in cinque minuti all’Andrea’s Tulum hotel, lasciando la camera e portando le valigie sulla strada principale. Scartiamo l’ipotesi dei taxi collettivi, che passano di frequente sulla Highway 307 (la strada principale della Riviera), perché quelli visti finora sono tutti minivan a 9 posti senza bagagliaio, indispensabile per noi che vantiamo due consistenti valigie e un numero indefinito di buste piene di regali! Optiamo perciò per il taxi tradizionale, che ha un punto di sosta appena a lato, con le tariffe fisse esposte in un cartellone informativo. Per raggiungere l’Akumal Beach Resort (meglio conosciuto come il Columbus Club dagli italiani) occorre la cifra tonda di 200 pesos. Ne prendiamo uno qualsiasi e percorriamo una mezz’oretta circa di tragitto sulla Highway 307. Una deviazione sulla destra porta all’ingresso del resort, controllato da guardie e chiuso da sbarre automatiche. Abbiamo letto, riguardo a questo, sulla severità della vigilanza, con assurdi paradossi di qualcuno che, per raggiungere località distanti di primo mattino, è dovuto partire di notte riuscendo a stento ad uscire dal villaggio, causa la convinzione della guardia della malafede di voler lasciare il resort senza pagare il conto. Pagare cosa poi, se è un villaggio all-inclusive? Al di là di queste quasi ironiche disavventure, il tassista si limita a comunicare che siamo clienti dell’Akumal e riceviamo il permesso per entrare. Veniamo accolti da una gentile ragazza messicana che parla un discreto italiano. Spiega alcune nozioni basilari e che per il check-in e la consegna della camera dobbiamo aspettare alle 15:00. Nel frattempo (ora è mezzogiorno) possiamo usufruire di tutti i servizi del villaggio, della stanza di sicurezza per lasciare le valigie, dei bagni per cambiarci, del ristorante e dei bar. Il tutto indossando il braccialetto blu identificativo degli ospiti italiani. Scopriamo dal cartello esposto che ogni colore è identificativo della lingua parlata: il verde è assegnato per l’americano / l’inglese, il viola per il francese e via di seguito anche per tedesco, greco, ecc. Ovviamente il braccialetto è da tenere saldamente per tutto il soggiorno, perché è l’unico modo di sapere velocemente l’appartenenza al villaggio (c’è un codice identificativo infatti, diverso per ogni resort), ed è possibile che venga richiesto dalle guardie che sorvegliano giorno e notte ininterrottamente sia la spiaggia che il fulcro del villaggio. Mai visto tanti controlli in una struttura vacanziera! La domanda sorge spontanea: la motivazione è da considerare perché sono avvenuti troppi furti in passato o perché li vogliono evitare? Lasciamo le valigie, indossiamo il costume e giriamo per il villaggio. Svoltiamo l’angolo del ricevimento e raggiungiamo la piscina. La prima impressione è a dire il vero un po’ sconfortante. Nonostante sia considerato tra i resort più tranquilli, l’Akumal è sempre una struttura di oltre 200 camere ed io e Ste non sentiamo proprio di appartenere alla categoria di turisti da villaggio. Dopo esser stati nelle oasi del Dolores Alba a Chichen Itza e Mèrida, dell’Uxmal Lodge, del Macanchè B&B di Izamal, piccoli alloggi condivisi praticamente con nessuno, adesso lo realizziamo ancora meglio. L’avversione verso il turismo di massa, i balli di gruppo, l’animazione onnipresente, è più forte di noi. Ma c’è anche da dire che questa è l’ora più attiva in cui esplodono tutte le attività del resort. Camminiamo senza meta percorrendo un po’ tutti i sentieri e tiriamo le conclusioni più accurate. Oggettivamente, il luogo e il resort sono belli, ma abbiamo visto di meglio in altri viaggi. Subito dietro il ricevimento si snoda il fulcro del villaggio, con il bar all’aperto, il piazzale con le bancarelle, il ristorante principale a buffet, e poi la piscina di fronte alla spiaggia. Curiosa l’enorme scacchiera con i pezzi alti un metro! La sabbia è bella, bianca, ma ce n’è poca e camminarci sopra è agevole visto che non si ha il senso faticoso dello sprofondamento. Il panorama del piccolo golfo intorno è caratterizzato per lo più dal colore del mare, che all’ora di pranzo dà il meglio della giornata, e dalle barche in fondo alla spiaggia più a nord, dove sta il piccolo paese di Akumal, raggiungibile in dieci minuti scarsi di camminata sulla spiaggia. Per il resto il paesaggio è un po’ piatto, interamente pianeggiante senza rilievi, come il 90% della Riviera Maya. Pranziamo al ristorante principale a buffet, tutto in legno e molto grande, con una discreta scelta di piatti di diverse nazionalità. Poi finalmente, alle 15 in punto, riceviamo le chiavi dal ricevimento della camera. Gli alloggi sono molto colorati e raccolti in diverse sezioni, ognuna delle quali presenta caratteristiche leggermente diverse. Alcune sono completamente staccate dal villaggio in fondo alla spiaggia (lato sud), collegate solo da un sentiero. Altre sono proprio al centro di fronte alla piscina, e quindi più animate. Altre ancora sono staccate dal centro del resort, ma comunque vicine a tutto, in prossimità dei due ristoranti italiano e messicano. Qui è la nostra camera, la n° 308, nella zona chiamata Pitzé. E’ spaziosa, confortevole, molto vivace nei colori, con una graziosa veranda abbastanza intima che dà sul prato verde acceso e dove si vedono il mare e gli ombrelloni. C’è un lungo armadio per il guardaroba, l’utile cassaforte, un discreto bagno. Si sa che gli italiani sono molto esigenti in questo! Non avendo prenotato tramite tour operator, la nostra zona è staccata da quella di tutti gli altri italiani che arrivano in gruppo col Ventaglio. Pare che occupino circa un terzo della clientela, mentre un altro terzo è costituito da inglesi e americani e il restante da francesi. Possiamo finalmente svuotare le valigie e raggiungere la spiaggia con più comodità a prendere il sole caraibico! La situazione degli sdraio purtroppo non è felicissima. Proprio come descritto nei forum, non sono tantissimi e si rischia di non trovarlo disponibile. Quelli all’ombra poi spariscono subito e nonostante sia chiaramente scritto di non occuparli a vuoto, pena rimozione degli asciugamani, ho la netta impressione che questo non avvenga e i furbi ci siano sempre.

Alle 16:00 siamo in acqua con maschera e pinne per lo snorkelling. Le prime decine di metri dalla spiaggia sono esclusivamente di sabbia, con qualche residuo di barriera corallina. Poi iniziano i primi coralli, abbastanza rovinati come avevano preannunciato. La fauna nei dintorni non è tanta, anzi è piuttosto scarsa. Sono presenti alcuni pesci pappagallo, pesci farfalla, pesci angelo, ma in piccole quantità. Ho la fortuna però di intravedere almeno una bella manta da un metro di apertura alare. La temperatura dell’acqua è piacevole, ed è sensibilmente variabile a seconda della posizione. Basta spostarsi di un metro per passare da una gelida corrente ad una anche troppo calda. Quello di cui rimango veramente perplesso è la visibilità, parecchio scarsa e, soprattutto vicino al tramonto, praticamente nulla in prossimità della riva. La barriera vera e propria invece, dove si infrangono le onde, è assai lontano e raggiungibile solo con una lunga nuotata. Questo permette anche di avere sempre il mare calmo di fronte al resort per quasi tutta la lunghezza della spiaggia. Alle 17:00 è già buio pesto. Torniamo in camera e alle 20:30 percorriamo il piacevole viottolo che da Pitzè costeggia la piscina e la spiaggia e conduce al ristorante a buffet. Ceniamo e passeggiamo per il villaggio, in questo momento incredibilmente animato. Pare che la domenica sera infatti, siano ospiti venditori ambulanti che esibiscono la loro mercanzia in bancarelle di ogni genere. Osserviamo un brillante artista nella creazione dei suoi particolari dipinti con le bombolette spray, che assumono una stupefacente bellezza quando vengono illuminati posteriormente da una lampada. Folgorante anche il modo in cui asciuga istantaneamente le sue opere, tramite un’altra bomboletta che funziona esattamente come un lancia fiamme in miniatura! Uno di questi quadretti costa 150 pesos (pensavo molto di più), mentre due sono in offerta al prezzo di 250 pesos. Non possiamo resistere, e compriamo l’ultimo appena fatto davanti ai nostri occhi (una piramide maya al tramonto rosso infuocato) più un altro dei delfini che saltano durante la luna piena. 13/11/2006 – Snorkelling e spiaggia.

Raggiungiamo il ristorante per la colazione alle 8:30. Come in tutti i grossi buffet dei villaggi con clientela internazionale, la quantità e varietà del cibo è praticamente illimitata per soddisfare ogni tipo di palato. Qui ad Akumal è discreta anche la qualità del cibo e del servizio (ci si serve da soli ma i camerieri passano spesso per pulire i tavoli e portare via i piatti e bicchieri vuoti). Poco dopo siamo in spiaggia dove riusciamo ad occupare degli sdrai spostandoli all’ombra degli alberi, che per fortuna si trovano più facilmente nella zona decentrata fronte Pitzè. Il tempo è ottimo e la crema solare obbligatoria! Alle 10:30 entriamo in acqua per rinfrescarci e tentiamo uno snorkelling, senza però vedere nulla di particolare. Seguendo i consigli letti nei forum, ci spostiamo così di fronte al paese di Akumal che raggiungiamo con una brevissima camminata sulla spiaggia. Osserviamo sulla sinistra qualche piccolo stabilimento attrezzato con ombrelloni, anche se il litorale rimane per lo più piacevolmente spazioso e aperto, con pochi turisti. Nella piccola baia ormeggiano le barche dei pescatori, ed è qui che proviamo nuovamente a entrare in acqua per avvistare le tartarughe. Ne vediamo una quasi subito e la seguiamo per un po’, mentre lei sembra del tutto indifferente della nostra presenza. E’ facile trovarle qui perché si nutrono delle alghe verdi a prateria sul fondo che, purtroppo, di contro rendono l’acqua estremamente torbida e melmosa con una visuale pessima e limitata a pochi metri dal palmo della mano. Occorre prestare attenzione sulla superficie ogni tanto per non incorrere in spiacevoli inconvenienti con barche che salpano o rientrano dal mare aperto. Torniamo ai nostri lettini e mentre Stefania prende il sole io cammino per la battigia verso il lato sud, dove il resort è più tranquillo, per esplorare un po’ la zona. Vi sono delle camere sul retro ma pochissimi sdrai e quasi nessuno sulla spiaggia, perché qui il fondo è roccioso ed è difficile entrare in acqua. Scorgo uno stupendo airone alto un metro e mezzo che cammina a pochi metri dalla battigia e mi avvicino lentamente insieme ad altre due persone per cercare di fotografarlo. E’ davvero bello, ma anche giustamente diffidente e a pochi metri di distanza prende il volo con una spettacolare apertura alare. Un altro fatto che mi lascia a bocca aperta è subito dopo osservare un gruppo di pesci saltare fuori dall’acqua per diversi metri e passare tra le urla emozionate di una coppia di ragazzi. Verso mezzogiorno conosciamo il fotografo ufficiale del villaggio, un ragazzo messicano molto simpatico e alla mano. Si arrangia con un buon italiano e dice di alternarsi con un collega italiano. Hanno lo studio all’aperto appena a lato del bar principale, dove espongono i provini delle foto digitali. Gli parliamo anche della Sardegna, che lui ha sentito nominare varie volte ma non ha mai avuto modo di visitare. E’ convinto che qui ad Akumal sia più bello, e lo lasciamo con un sorriso nella sua illusione. Onestamente, spiagge di pari bellezza ne abbiamo davvero tante nella nostra isola e molte ancora immensamente meglio. Ovviamente, parlo esclusivamente in termini di mare cristallino, spiaggia, qualità della sabbia e colori. Per il resto, i paragoni non si possono fare poiché ogni parte del mondo ha le sue caratteristiche univoche: qui siamo in Messico tra grotte, cenote, templi maya, tequila e nachos! Raggiungiamo il punto informazioni per chiedere le varie gite proposte in questi giorni. A quest’ora è chiuso, ma sono a disposizione su un tavolo i vari depliant e un libro con foto e descrizioni. Scartiamo Cobà, i quad ad Aktun Chen, Chichen Itza e Tulum che abbiamo già visitato, mentre troviamo interessanti i tour dei delfini e della Biosfera a Siankan, entrambi dal costo di un centinaio di dollari l’uno. Scegliamo il primo, un’esperienza da cui eravamo attirati anche in Florida ma non abbiamo avuto il tempo di fare.

Prenotiamo quindi il ristorante italiano per la cena (questo e quello messicano sono sempre compresi nell’all-inclusive, ma poiché sono molto frequentati è richiesta la conferma dalla mattina, che consiste in una semplice iscrizione ad una lista).

Alle 13:00 la spiaggia si svuota e si spostano tutti a mangiare. E’ questa l’ora migliore per staccarsi dalla massa e godere il mare, perché c’è più relax e i colori sono stupefacenti. Basta pranzare un’ora dopo, alle 14:00, per trovare anche assenza di file e meno caos nel ristorante a buffet. Il pomeriggio è nuvoloso, così stiamo a dondolare e oziare nelle comode amache che appendono la mattina, se fa bel tempo, a lato del ristorante italiano, sempre all’altezza degli alloggi Pitzè. Sono poche, ma non bisogna litigare per averle perché non le calcola nessuno. Il lettino sarà anche più comodo è vero, ma l’amaca è più messicana: usiamola! Più tardi passeggiamo lungo il litorale fino a raggiungere il paese di Akumal. E’ davvero piccolo, costituito appena da un gruppetto di abitazioni con qualche hotel, un paio di ristoranti, case in affitto, un internet point molto frequentato dove sostiamo per mandare un’email, qualche particolare negozio di souvenir, un centro diving e un market molto ben fornito. All’interno di quest’ultimo si trova anche l’unico utilissimo sportello automatico della zona per il prelievo di contanti con bancomat / carta di credito. L’atmosfera intorno è estremamente rilassata e intima, un bel posto per trascorrere una vacanza. Sarei curioso di sapere quanto vengono gli appartamenti in affitto per fare un confronto con l’hotel, ma i prezzi non sono esposti sulla strada. Rientriamo all’Akumal Beach, dove tento un veloce snorkelling alle 16:30 prima del tramonto. Non dura neanche cinque minuti, visto che la visibilità è zero, soprattutto imboccando le correnti calde in riva dove l’acqua crea un fastidioso effetto a mosaico. Sediamo allora nella terrazza di fronte alla piscina, dove lo snack-bar offre una ristorazione completa con succulenti tranci di pizza (buoni tutti ma da evitare l’immangiabile pizza all’ananas!), hot dog, hamburger, nachos, insalate, succhi, limonate, e cosi via. Alle 17:00 assistiamo ad uno splendido tramonto tropicale, da vedere obbligatoriamente nella zona della piscina. Il sole infatti tramonta sul retro del villaggio dietro il ricevimento e regala magnifiche tonalità di rosso, non visibili dalla spiaggia. Per cena siamo prenotati al ristorante italiano, vicinissimo alla nostra camera a Pitzè. Dobbiamo percorrere appena pochi metri di corridoio e siamo arrivati. Non c’è tanta gente come pensavamo, anzi solo pochi tavoli occupati. Il servizio è buono, l’ambiente un po’ impersonale e le pietanze niente di eccezionale. Ad essere onesti ci aspettavamo qualcosina in più dai racconti letti. Quello messicano, proprio a fianco, sembra all’apparenza molto più interessante. Fuori inizia a piovere a dirotto e le tende della finestra sbattono incontrollate per via del forte vento… Non si preannuncia una bella giornata domani! Il conto è sempre all-inclusive nel villaggio, l’unica differenza col ristorante a buffet è che qui si è serviti dal cameriere a cui bisogna lasciare la mancia. Rientriamo di corsa in camera per evitare di bagnarci col diluvio universale che si sta scatenando stanotte, e tra l’altro fa anche abbastanza freddo! 14/11/2006 – Snorkelling, kayak, spiaggia.

La colazione è alle 7:30. Avendo vissuto ieri una giornata intera in villaggio, posso affermare per certo che l’Akumal è un resort molto gratificante per gli amanti del cibo. Il ciclo giornaliero infatti, non prevede nessuna pausa e buco scoperto per chi dovesse soffrire un improvviso attacco di fame o sete. Appena chiude il ristorante a buffet apre lo snack bar sulla spiaggia e viceversa. All’ora di pranzo sono aperti entrambi, e quasi tutto il giorno sono disponibili anche i bar presso il ricevimento e sulla spiaggia, che servono le bibite e i cocktail più svariati. E’ un all-inclusive veramente completo ed esauriente. Alle 9:00 esce uno splendido sole ed una limpida giornata. Qui ad Akumal tra l’altro, nonostante le temperature siano elevate come tipico del clima tropicale, si sente sempre una piacevole brezza che attenua la sensazione del caldo soffocante. Alle 10:30 affittiamo gratuitamente il kayak per un’ora, approfittando del mare piatto. E’ incluso anche questo nei servizi del resort, per cui basta prenotarlo per tempo o avvisare semplicemente il bagnino se, come nel nostro caso, ve ne sono liberi sulla spiaggia. Da sopra il kayak il mare è oggi stupendo e finalmente cristallino: si riescono a vedere le rocce, i pesci e persino il fondale alto qualche metro. Il litorale, come già detto, è tutto sommato piuttosto piatto e non regala panorami eccelsi. Rientrati nei lettini a prendere la tintarella, veniamo catturati dal fotografo del villaggio, stavolta però quello italiano, che sta andando in giro con una signora messicana che ammaestra pappagalli e iguana. Non aspettiamo un secondo per posare insieme a questi due splendidi esemplari, seguendo i consigli e le precauzioni forniteci dalla padrona per tenere fermi gli animali. Ne esce un servizio alquanto divertente e ironico, anche se un po’ imbarazzante visto che in genere siamo abituati a fare noi le foto e non a posare. Parliamo poi col fotografo, che risulta simpatico anche se con qualche pecca di superbia. I suoi scatti presi singolarmente sono originali e accattivanti, montati con cornici simpatiche del National Geographic e altre riviste famose di viaggi, avventura e moda, ma nel complesso si ripetono per tutti i clienti, come tipico delle foto da villaggio appunto.

Alle 11:30 fa caldo ed è l’ora di un altro snorkelling. Nuotiamo per un’ora, rimarcando il fatto per l’ennesima volta che la barriera è molto rovinata e intere aree del mare risultano deserte. Compare qualche branco interessante di un centinaio di pesci all’improvviso, quasi come se nuotassero sempre e solo tutti assieme.

Alle 12:30 siamo sdraiati in pieno relax sulle amache all’ombra appese di fronte a Pitzè, e poco dopo pranziamo allo snack bar con tranci di pizza, nachos, e l’ottimo gelato da macchinetta tradizionale al classico gusto panna/cioccolato. Alle 15:00 si solleva un forte vento, a tratti fastidioso. Un altro snorkelling di un’ora mi porta a vedere una grande razza, che scompare velocemente essendo molto più veloce nel nuoto! Alle 18:00 restiamo esterrefatti nel vedere una ragazza inglese ubriaca e manesca che urla piangendo e attaccando il fidanzato, il quale poveraccio tenta di portarla in stanza. La versione ufficiale è che lei voglia bere ancora e forse non è più il caso… È questo diventa un piccolo inconveniente dei villaggi all-inclusive che offrono bevande alcoliche a qualsiasi ora del giorno e della notte senza limitazioni. Credo che i controlli perpetui servano anche a questo, visto che uno degli addetti alla sorveglianza sta appresso alla vivace coppia senza mollarli di vista un secondo! Subito dopo raggiungiamo la piscina per osservare un altro splendido tramonto tropicale rosso infuocato, nel momento in cui il villaggio tra l’altro si svuota e appiana le attività, regalando il momento più pacifico e rilassante del corso della giornata.

Un aspetto positivo da questo punto di vista, su cui devo ricredermi, riguarda il reparto dell’animazione, dove i ragazzi sanno essere sempre gentili e molto discreti. Salutano cortesemente ma non insistono mai sulla partecipazione alle attività se non vedono interesse da parte del cliente. Alle 20:30 ceniamo al ristorante messicano con una zuppa piccante, tortillas, nachos, pollo, churros. Le pietanze sono decisamente più buone di quelle del ristorante italiano e il locale è assai più personalizzato e caratteristico, con una buona musica a tema. Lasciamo la mancia al cameriere di 60 pesos. 15/11/2006 – Swim Adventure al Dolphin Discovery Alle 7:30 abbiamo l’appuntamento al ricevimento per il Dolphin Discovery (tour dei delfini). Il pick up viene a prelevarci puntuale e dopo venti minuti sulla Highway 307 siamo a Puerto Aventura. Abbiamo scelto il programma dello Swim Adventure, considerato l’intermedio (c’è quello base per bambini che consiste nell’incontro con i delfini, lo swim adventure appunto da 99 dollari a testa che consiste in quattro attività diverse sempre con i delfini, e un altro più completo avanzato da 160 dollari che comprende anche incontri con i lamantini e leoni marini).

L’autista parcheggia e ci accompagna a piedi in una piazza poco più avanti. Dice di aspettare qualche minuto l’apertura dell’ufficio biglietteria. Nel frattempo osserviamo intorno Puerto Aventura che è un complesso molto carino, una sorta di piccolo villaggio con un enorme piscina al centro sede dei delfini, divisa in cinque vasconi. Vi sono negozi, case e tante barche intorno. Registriamo i nostri nomi e raggiungiamo il centro delle vasche, dove dobbiamo attendere le 9:00 per il briefing. Abbiamo quindi ancora un po’ di tempo per passeggiare. Notiamo i primi delfini adulti che si mostrano da una vasca e osservano incuriositi. Nella vasca successiva invece ve ne sono tanti altri cuccioli che iniziano a saltare e giocare. In seguito arrivano anche gli istruttori che entrano in acqua con la muta e danno loro la colazione tra coccole e carezze varie. Iniziano ad arrivare parecchi turisti e si crea un po’ di confusione tra i gruppi dei diversi programmi. Veniamo condotti nella zona centrale dove viene consegnata l’attrezzatura (maschera, boccaio e giubbotto salvagente) nonché una chiave per la cassetta di sicurezza dove lasciare zaini e vestiti. Attraversiamo la passerella che conduce alla piattaforma interna (circondata dalle vasche), e ascoltiamo le spiegazioni del tour. Viene anticipato cosa faremo con i delfini e che l’intero programma sarò fotografato e filmato. Troveremo una copia del dvd alla fine della mattinata nel negozio all’ingresso, dove abbiamo effettuato la registrazione. La prima tappa è una foto con i tucani, che vengono posati sulle braccia. Poi iniziano le riprese mentre raggiungiamo la vasca dove ci immergiamo. Una passerella in ferro permette di tenere l’acqua all’altezza della vita, mentre il fondale è molto più profondo. Sopra di noi turisti guardano incuriositi e la fotografa ufficiale si prepara a scattare. Siamo una decina in questo gruppo e abbiamo a disposizione due splendidi delfini adulti che si chiamano Pegaso ed Estrella tutti per noi. L’istruttore è un ragazzo giovane che spiega brevemente le quattro fasi del programma. Iniziamo con la ‘presentazione’, che consiste nel posizionarsi al centro della vasca in ordine sparso mentre i delfini nuotano liberamente per fare la nostra conoscenza. Quando passano vicini, basta mettere le mani in una certa posizione per accarezzarli dolcemente e se vogliamo possiamo guardarli sott’acqua nuotando usando la maschera. In realtà la visibilità del fondale è scarsissima e l’acqua molto torbida, ma anche se per pochi istanti è già una grande emozione vedere i delfini nuotare! La seconda fase si chiama ‘Belliride’, e consiste nel raggiungere singolarmente uno ad uno l’angolo della vasca e tenere salda la tavoletta con le braccia. Al segnale dell’istruttore, i due delfini con grande precisione spingono col muso le piante dei piedi a velocità sconcertante dando la sensazione di planare sull’acqua: il divertimento è assicurato, insieme a una montagna di schiuma! La terza fase è semplicemente detta ‘Kiss’. Si tratta, come intuibile, di dare un dolce bacio ad uno dei delfini, tenendo il muso tra le mani ed evitando gesti che possano infastidirlo, come accarezzarlo negli occhi per esempio. E’ un’emozione stupenda, che stabilisce un primo intenso feeling con questi mammiferi intelligentissimi che hanno un’incredibile espressività. Durante il mio turno, ho la possibilità di guardare bene Pegaso, che presenta profonde rigature nel dorso dietro la testa. E’ incappato in una spiacevole disavventura con qualche elica di barca, e per fortuna recuperato in tempo dal Dolphin Discovery che lo ha curato e riabilitato. Un po’ come per il Seaworld in Florida, si potrebbe discutere all’infinito su questi centri di recupero. Qualcuno sostiene che è sempre triste vedere gli animali portati via dal loro abitat naturale e rinchiusi in vasche o gabbie o recinti, e che nei centri così turistici vengono sfruttati per questioni economiche. Qualcun altro afferma però che questi centri sono anche utilissimi per studiare, salvaguardare, e aiutare specie in difficoltà, e che l’aspetto ‘turistico’ è soltanto una parte del tutto e in ogni caso utile per sensibilizzare la coscienza delle persone, e in particolar modo dei bambini. Credo che in entrambe le tesi vi siano aspetti veritieri da tenere sempre in considerazione, per giudicare personalmente con occhio critico caso per caso. Sinceramente, qui come al SeaWorld, i delfini appaiono gioiosi e giocherelloni, curati e molto ben voluti dai propri istruttori con i quali hanno un intimo rapporto. Credo fermamente che chi faccia questo mestiere voglia un bene incondizionato a questi splendidi mammiferi. Del resto, ci affezioniamo al nostro cane e al nostro gatto, come possiamo non amare la specie più dolce e intelligente esistente sul pianeta terra? Siamo però altrettanto d’accordo sia io che Ste, sul fatto che altri animali non abbiano la stessa fortuna e che vivano in condizioni più sacrificate. I lamantini per esempio, visti prima di entrare in questa vasca, hanno uno spazio molto più ristretto nonostante la mole assai più grossa… In ogni caso, è certo che questa esperienza al Dolphni Discovery sentiamo di consigliarla a tutti, perché ci sta regalando emozioni indimenticabili. E anche Estrella sembra ricambiare il nostro entusiasmo, visto che al turno di Stefania per il kiss, chiede spontaneamente il bis di sua volontà! Adesso trascorriamo un pò di tempo libero, ‘Freetime’ per l’appunto, a giocare con i delfini cantando, applaudendo, urlando. Come già appreso in Florida infatti, sappiamo che le grida di gioia, soprattutto dei bambini, piacciono molto ai delfini ed è per questo che non rappresentano per loro alcun pericolo.

La quarta fase si chiama infine ‘Pectoral Shake’, e consiste nel nuotare insieme al delfino prendendolo per le pinne anteriori mentre lui tiene la pancia verso di noi e il dorso sott’acqua. Nonostante possa sembrare fastidioso per il mammifero, in realtà è soltanto una forma di gioco: basta seguire sempre le disposizioni dettate dagli istruttori per non creare problemi all’animale. L’aggancio è abbastanza singolare e il delfino parte a razzo con uno sprint mozzafiato! Il tutto ovviamente dura pochi secondi ma è sicuramente molto più eccitante di una montagna russa! Gli ultimi minuti del programma prevedono alcune spettacolari esibizioni di salti in coppia dei delfini, che evidenziano appieno la loro potenza muscolare. Siamo rimasti circa un’ora in vasca, e ne usciamo strabiliati con l’adrenalina a mille… Ne è valsa veramente la pena, oltre le aspettative! Appena fuori, una ragazza dello staff porta tutto il gruppo in una sala d’aspetto, di fronte ad una grande televisore. Monterà il filmino proprio davanti ai nostri occhi: bello, però potevano farci almeno asciugare prima! Il dvd dura circa dieci minuti ed è davvero un ricordo memorabile, nonché estremamente divertente visto le risate generali… Da comprare senza neanche pensare al prezzo.

Torniamo dunque sulla terraferma riprendendo zaini e vestiti nella cassetta di sicurezza. Vediamo alcuni animatori con dei bradipi in braccio, che si abbracciano al collo e si muovono a rallentatore. Più in là attraversiamo le vasche più piccole, dove i turisti che hanno scelto il programma completo stanno nuotando con i lamantini e i leoni marini. Non è certo la stessa cosa che vederli liberi, come noi abbiamo scelto di fare a Cristal Ryver, un fiume nel nord della Florida! Entriamo nel negozio di shopping del Dolphin Discovery, dove ordiniamo una copia del video a 35 dollari e passiamo al reparto foto. Partiamo con l’idea iniziale di prenderne una o due, pensando ad una qualità mediocre della stampa, ma restiamo invece strabiliati dalle dieci foto che vengono mostrate, già stampate in formato standard 15x20cm e panoramico 15x25cm: sono davvero bellissime e di altissima qualità, pronte per essere incorniciate! Alla fine le prendiamo tutte per 1259 pesos, visto che sono anche le uniche che abbiamo di questa esperienza indimenticabile.

E’ mezzogiorno quando l’autista viene a prelevarci per rientrare in hotel. Qui passiamo il resto della giornata a rilassarci pranzando allo snack bar e prendendo il sole. Siamo costretti a stare nei lettini in piscina perché in spiaggia il vento è fortissimo e fastidioso. Alle 15:30 passeggiamo fino al paese di Akumal, entrando nel solito fornitissimo market per guardare i souvenir, le cartoline, e ritirare contanti. Ceniamo al buffet e andiamo a dormire dopo una breve passeggiata per le vie del villaggio. 16/11/2006 – Hidden Worlds La colazione è alle 7:00. La giornata si rivela subito molto nuvolosa, così pensiamo di anticipare oggi la visita ad Hidden Worlds prevista inizialmente per domani. Tanto in grotta non fa molta differenza se piove…Prepariamo uno zaino portando il minimo indispensabile, come suggerito da altri che vi sono stati, inserendo maschere e boccaio (perché le abbiamo già, ma le forniscono anche sul posto), un asciugamano, una macchina fotografica usa e getta e ciabatte. Alle 10:00, pochi metri fuori dall’hotel, attraversiamo la strada e attendiamo sulla piazzola il taxi collettivo. E’ la prima volta che lo prendiamo. I collettivi sono pulmini dai nove ai dodici posti che percorrono tutta la riviera da Cancun a Tulum in continuazione, e caricano i turisti ad apposite fermate facendo pagare una tariffa di pochi dollari proporzionata alla tratta. Inizialmente siamo da soli ma alla successiva fermata sale un gruppo numeroso di americani che riempe il taxi. E’ un’esperienza divertente perché il signore seduto fianco a me ha uno strano senso dell’umorismo in proposito. Dopo neanche venti minuti superiamo il cartello con la segnalazione di Hidden Worlds e sono costretto ad avvisare l’autista di fermarsi. Si scusa perché ha dimenticato la nostra destinazione, e si ferma appena più avanti. Paghiamo la tratta di 40 pesos e percorriamo un centinaio di metri a piedi per raggiungere l’ingresso. Si entra in una piazza sterrata e quindi in un capanno nel quale si prenotano i tour. C’è un minimo di ristorazione e i bagni all’esterno. Il tutto è piuttosto spartano e si vedono pochi turisti in giro. Chiediamo informazioni e guardiamo il libro con le foto di diving all’interno delle grotte. Sono stupefacenti, proprio come si vede dal sito (www.Hiddenworlds.Com)! Vi sono vari tour disponibili tra cui quelli di mezza giornata anche per lo snorkelling, visitando dei cenote e delle grotte di una bellezza primitiva.

Prenotiamo per 440 pesos a testa lo snorkelling che parte alle 11:00, fra qualche minuto. Nel frattempo indossiamo la muta e il salvagente che vengono forniti al bancone, e conosciamo Pakal, una piccola splendida e vivace cagnolina di appena un mese. E’ un pastore belgian malinois dice Jacob, che oggi farà la sua prima prova di addestramento. Jacob è un signore molto magro, soprannominato non a caso ‘The skinny man’, che sarà oggi la nostra guida.

Arrivano man mano anche gli altri componenti del gruppo: siamo dodici in tutto. Sistemiamo lo zaino e le ultime cose nell’armadietto di sicurezza, lasciando la chiave al custode: siamo finalmente pronti a partire! Per prima cosa saliamo sul cassone posteriore di uno scardancato e rumoroso trattore, che porta il nome di Chango. Ve ne sono altri due parcheggiati con nomi altrettanto strampalati.

Jacob lascia a noi il compito di badare a Pakal, timorosa della sua prima esperienza, e si mette alla guida consigliando di tenersi saldamente. Il sentiero su strada sterrata infatti è alquanto movimentato per via di enormi buche amplificate dalla pioggia di questi giorni. Il tragitto è divertente ed eccitante allo stesso tempo. Entriamo nei meandri della jungla, evitando che i rami degli alberi colpiscano le nostre alte teste (visto che non esistono i sedili e siamo in piedi!). Non si vede una sola pozza d’acqua che non siano quelle di fango della strada, ma noi abbiamo addosso muta e giubbotto salvagente: tutta la situazione è alquanto singolare! Dopo un quarto d’ora e due chilometri e mezzo, arriviamo alla prima destinazione. Jacob preannuncia che vedremo due posti distinti molto diversi tra loro. Il primo è questo, chiamato qualche anno fa dai suoi scopritori Don Manuels e figli “Tak Be Ha”, ovvero “The Place Of Hidden Waters”. E’ costituito da un cenote raggiungibile da una piccola apertura esterna, che presenta spazi ampi di un vero lago sotterraneo. Il secondo invece, chiamato Caverna de Murcielagos (Bat Cavern), è un complesso di grotte e labirintici cunicoli molto più stretti e bui, che si snodano per ben 60 chilometri (quelli che si conoscono per ora, ma potrebbero essere molti di più). In maniera alquanto ironica, chiede se preferiamo entrare dall’accesso facile o da quello difficile, e mostra sottolineando quello facile un pozzo largo un metro scarso che sprofonda nel vuoto… Andiamo bene! Pochi metri più avanti c’è invece la vera entrata, assai simile alla prima ma almeno con una ripidissima scala in ferro che scende a strapiombo per una decina di metri. Si vede solo l’inferriata che sprofonda nel buio, ed è strettissima! L’adrenalina sale esponenzialmente e viene da chiedersi, proprio come letto nei racconti di altri turisti: “ma dove siamo capitati?”.

Prima di iniziare l’avventura all’interno, Jacob presenta Marc Torrecillas, un simpatico ragazzo che farà le foto al gruppo in questa sensazionale esperienza. E’ dotato di una Canon digitale Ixus con flash e custodia subacquea. Quasi non ci credo, pensavo di non riuscire a portare via nessun ricordo di Hidden Worlds! E’ ora di entrare nell’abisso, mentre Marc scatta le prime foto ad uno ad uno all’ingresso della scala. Pochi gradini scivolosi e si apre finalmente il mondo delle favole! Le pupille si abituano velocemente alla luce interna, amplificata appositamente da alcuni faretti, e lo stupore si disegna sui nostri volti come in poche esperienze nella nostra vita. La bellezza e la magia di questo posto sono indescrivibili, al di là di ogni previsione immaginabile! Tutto intorno a noi si estende un cenote di acqua cristallina, talmente trasparente e piatta da confondersi con l’aria. Dall’alto scendono stalattiti multiformi e lunghe radici di alberi che cercano acqua dalla superficie, come avviene in altre grotte viste in Messico ma qui in maniera più marcata. Il tutto assume connotati surreali e ricorda paesaggi della saga del Signore degli Anelli, con la sottile differenza che lì erano creati a computer e qui sono veri, proprio davanti ai nostri occhi! Jacob spiega velocemente che nuoteremo per circa quaranta minuti, percorrendo un giro ad anello seguendo il perimetro del cenote. L’adrenalina sale alle stelle. Entriamo ad uno ad uno da una pedana che dà accesso all’acqua subito profonda diversi metri, e anche piuttosto fredda nonostante indossiamo la muta. Appena messa la maschera la visione sotto è spettacolare! Non è presente alcuna forma di pulviscolo e la visibilità è perfetta. In questo anfratto che dalla superficie sembrava un piccolo laghetto, si aprono sul fondo delle grandi cavità laterali segnate con una corda e illuminate da un potente faretto: qui è dove si infilano i divers, che seguono un altro strabiliante percorso sotterraneo. Dopo esserci ambientati, Jacob consiglia di non scattare foto con le macchinette usa e getta (come la mia) perché per esperienza sa non uscire niente di accettabile in fase di sviluppo. Provo lo stesso ma sono convinto abbia ragione. Veniamo quindi condotti in fila indiana attraverso un passaggio più stretto dove bisogna prestare attenzione alle rocce affioranti. Spuntano stalattiti e stalagmiti ovunque sopra, sotto e ai lati, tra rocce imponenti, tunnel, cavità buie e misteriose, alcune parzialmente illuminate. Tutto intorno è pura magia, non c’è bisogno di aggiungere altro! Sostiamo alcuni minuti, chi fuori dall’acqua seduto tra le rocce, chi come me ultimo in fila ancorato ad alcuni spuntoni. Continuo ad osservare incredulo il fondale mentre Jacob spiega l’evoluzione geologica di questo luogo e la sua formazione primordiale. Infine, dopo un altro breve tratto, usciamo dal cenote estasiati e torniamo in superficie. Sta piovendo ma tanto noi siamo già fradici! Per fortuna le mute conservano il calore mentre siamo sul trattore per tornare indietro al ricevimento. Qui possiamo usufruire di una pausa ‘toilette’, come suggerito dal nostro prezioso skinny man. Pochi minuti ancora sul Chango, dove tentiamo di farci scattare una azzardata foto ricordo incuranti delle buche sulla strada sterrata, e raggiungiamo l’ingresso delle Bat Cavern. Qui staremo altri 40 minuti facendo snorkelling con la torcia elettrica, vista la mancanza totale di luce sia naturale che artificiale. L’ingresso è altrettanto angusto e si inizia entrando in ginocchio a pelo dell’acqua, nuotando lentamente stando attenti a non sbattere le ginocchia sugli spuntoni e la testa sulle stalagmiti! I cunicoli sono stretti e si prosegue in fila indiana, cosicché si vede soltanto la persona che si ha di fronte e spesso neanche questa perché puntando la pila lateralmente tutto il resto intorno è buio. Si gira bruscamente ad angolo nei passaggi sotterranei, che in alcuni tratti diventano un intricatissimo labirinto. E qui non vi sono corde da seguire! Jacob approfitta per l’appunto di un anfratto più largo, dove riusciamo a stare tutti insieme, per dire di seguire sempre il prossimo senza azzardarsi nell’avventura in corridoi alternativi, poiché il rischio di perdersi non è alto, è certo. Persino lui, le prime volte, non riusciva a tornare indietro per l’assenza totale di punti di riferimento ed una naturale perdita dell’orientamento, pur avendo la cartina delle grotte sottomano. Se qualcuno si ritrova improvvisamente da solo, in qualsiasi caso, bisogna stare fermi e non provare a girare a vuoto: pensa lui a trovarci! Intanto Marc ne approfitta per scattare qualche foto mentre passiamo ad uno ad uno di fronte a lui, appostato in quei pochi punti dove le grotte sono più larghe. L’emozione è davvero unica nel suo genere: si sente sulla pelle uno spropositato senso di esplorazione primitiva, da sempre innata nella natura umana. Chi adora l’avventura e il mare non può venire in Messico senza visitare Hidden Worlds! Sostiamo brevemente in un altro slargo, con delle concrezioni eccezionali sulla nostra testa: altra foto memorabile! Inizia a sentirsi il freddo ma l’emozione è troppo grande per badare a queste piccolezze. Adesso è il momento, sotto direzione di Jacob, di provare la sensazione del buio totale, spegnendo le torce. Nessuno fiata, e l’impressionante silenzio prende il sopravvento. Non si vede e non si sente nulla di niente per circa un lunghissimo minuto, nel quale il tempo sembra perdersi e fermarsi. La voce di Jacob spezza la magia: è ora di rientrare… A malincuore, raggiungiamo l’uscita con percorso diverso da quello dell’andata. Saliamo sul trattore e rientriamo alla base. Dopo esserci asciugati e vestiti, osserviamo le foto del gruppo che Marc fa scorrere sul monitor del computer. E’ incredibile pensare che pochi minuti fa eravamo lì dentro! Il suo prezzo è un vero affare, poiché per 220 pesos masterizza il cd con tutte gli scatti di oggi più in aggiunta una galleria fotografica realizzata qui a Hidden Worlds, facendo diving ed esplorando la riserva. Chiediamo anche dell’esistenza di altri cenote dove fare snorkelling, e lui conferma che qui in Messico le possibilità sono pressoché infinite, per chi vuole semplicemente nuotare, usare anche la maschera, o approfondire con un diving l’esplorazione nelle viscere della terra: fantastico! Lasciamo questo luogo strabiliante, certi di aver appena vissuto una delle esperienze più belle mai fatte nei nostri viaggi, e prendiamo nuovamente il collettivo per tornare ad Akumal al costo ugualmente di 40 pesos. Pranziamo allo snack bar e il pomeriggio passeggiamo in paese. Ceniamo quindi al buffet e andiamo a letto esausti.

17/11/2006 – Snorkelling e spiaggia.

Alle 6:45 siamo in piedi per la colazione. Il tempo è come ieri molto nuvoloso, così per non far finta di prender un sole inesistente negli sdrai, facciamo una passeggiata sul lato destro del resort, dove il golfo è più selvaggio e desolato. Il tratto è roccioso e pianeggiante, e bisogna stare attenti a dove si mettono i piedi per i detriti e gli scogli affioranti. Qui sono spaventosi gli effetti disastrosi degli uragani, con palme sradicate rovesciate sulla spiaggia e grovigli intricati di rami. Mettere a posto l’Akumal Beach resort è stata un’impresa grossa ma almeno redditizia, mentre è evidente che a nessuno interessa se il resto del litorale sia lasciato a sè. Osserviamo una bella villa isolata e oltre il golfo che si apre a mezza luna, per terminare più in là sulla successiva spiaggia del Veraclub (è troppo lontana e scomoda però da raggiungere a piedi). Esce finalmente il sole e torniamo al resort sulla spiaggia. Scegliamo sempre punti diversi per lo snorkelling ma la situazione sottomarina non cambia mai: pochi pesci, acqua un po’ torbida e detriti di barriera sparsi. L’unica scena interessante oggi è l’incontro con sei splendide seppiette disposte in fila che si muovono sincronizzate come se fossero robotizzate! Prendiamo ancora un po’ di sole e poi nuotiamo lentamente verso il paese. Vi sono le solite barche ormeggiate e l’acqua è scura. Avvistiamo una bella tartaruga che sbuca dalla melma delle alghe verdi, proprio come qualche giorno fa, e la seguiamo per un tratto.

Pranziamo nuovamente allo snack bar, che preferiamo al buffet perché molto più tranquillo, meno affollato e rilassante essendo fronte alla spiaggia. Queste ore sono tra l’altro le migliori della giornata per i colori caraibici. Stiamo ancora in amaca tutto il pomeriggio, tirando ormai le conclusioni di questo magnifico viaggio in Messico. Entro in acqua verso le 16:00 senza vedere quasi nulla. Prima di cenare al buffet, per completare i ricordi di questo viaggio, compriamo due foto in formato 20x30cm (una con l’iguana e l’altra con i pappagalli) dallo studio fotografo del villaggio, più i file di altre otto per un totale finale di 450 pesos.

Poi raggiungiamo a fianco il ricevimento e paghiamo il conto della stanza, consistente solo nel costo del tour con i delfini visto che tutto il resto è all inclusive. 18/11/2006 – Partenza! Volo Cancun – Amsterdam Dopo l’usuale colazione delle 7:30, stiamo in spiaggia sulle amache per le ultime ore di sole. Un pizzicore alla gola mi suggerisce di non fare il bagno stamattina e stare all’ombra delle poche palme libere presenti. E’ una bellissima giornata e scattiamo le ultimissime foto in ricordo di Akumal beach.

Lasciamo la camera ed effettuiamo il check-out a mezzogiorno. Pranziamo e sediamo nella sala d’attesa all’aperto a lato del ricevimento, comoda e ombreggita. Alle 16:30 chiediamo informazioni di un taxi per raggiungere Cancun, ma per fortuna il ragazzo addetto alla custodia dei bagagli suggerisce di chiedere il transfer all’autista di un pulmino appena arrivato dall’aeroporto dove sta tornando. Propone 60 dollari anziché 75 del taxi e accettiamo senza pensarci due volte. E’ un minivan da nove posti tutto per noi, stiamo anche più comodi! Durante il viaggio sulla Riviera Maya scorrono malinconicamente i ricordi memorabili di questo viaggio. E’ incredibile pensare che sia già finito! Passiamo anche Playa del Carmen, inizialmente prevista nell’itinerario ma poi scartata per motivi logistici e di tempo. Non ce ne pentiamo, visto che per le nostre esigenze è già troppo affollata Akumal. Tornando indietro, farei solo una piccola modifica a questo magnifico viaggio, allungando di qualche giorno il tragitto on the road per l’interno del Messico, più affascinante e vero, a scapito della riviera ormai troppo turistica e impersonale. Alle 18:00 entriamo all’aeroporto di Cancun, dove un ragazzo ci accompagna nella minuscola sala d’attesa, costituita da due file di sedie fronte agli arrivi. Abbiamo diverse ore davanti a noi, visto che il volo decolla alle 22:10.

Alle 20:00, due ore prima come da manuale, ci spostiamo verso gli sportelli del check-in restando però sconvolti dalla fila interminabile e disordinata davanti a noi. In nessun aeroporto di decine di città visitate al mondo si è mai verificata una cosa del genere! Passa un’ora e non siamo neanche a metà percorso. Si intravedono ben cinque banconi che effettuano il check-in, tutti di una lentezza esasperante. Riusciamo finalmente, esausti, a fare il nostro dopo ben due ore e mezza di attesa nell’estenuante coda. E per giunta, vengono assegnati posti separati a me e Stefania sull’aereo: quasi da non credere! Il volo della Martinair Holland decolla anche in ritardo da Cancun verso Amsterdam. Ormai non resta che dormire profondamente e lasciare il Messico alle spalle.

19/11/2006 – Volo Amsterdam – Roma – Cagliari. Rientro.

Dopo quasi dieci ore di viaggio atterriamo ad Amsterdam alle 15.00. Mentre ci spostiamo dal terminal, alcuni ragazzi vengono incontro con delle buste in plastica avvisando di stare attenti ai liquidi eventualmente presenti nel bagaglio a mano. Avevamo sentito accennare di questa nuova imposizione negli aeroporti prima di partire, ma pensavamo riguardasse solo l’America. Tra l’altro, non abbiamo avuto nessun problema né all’andata, né ieri partendo da Cancun. Richiamiamo frettolosamente alla mente i nostri liquidi, tirando fuori dentifricio e lozione per le lenti a contatto, non ricordando però dei regali, ormai chiusi in busta e incelofanati, acquistati i primi giorni del viaggio a Chichen Itza e Valladolid. Veniamo fermati al passaggio delle borse dove chiedono il contenuto di alcune buste. Le apriamo collaborando senza porre obiezioni ed escono fuori una bottiglietta di vaniglia e due piccole bottigliette di tequila, che Stefania ha preso come souvenir per i fratelli. Sottolineiamo che si tratta semplicemente di souvenir, perfettamente sigillati, e che stiamo venendo da Cancun senza aver avuto alcun problema di imbarco. La ragazza addetta ai controlli, pacatamente dopo un lungo discorso, dice che è dispiaciuta e le deve buttare, poiché si tratta di una disposizione entrata in vigore il 6 novembre. Possiamo però fare complain agli uffici se lo riteniamo opportuno. La sua faccia in realtà non sembra affatto così mortificata quando prende le bottigliette e le butta nel cassone. La scena è talmente veloce che non riusciamo a realizzarla, dopo la stanchezza di 16 ore in viaggio. Ma era davvero necessario? Cosa costava, se proprio vuoi applicare la regola del 6 novembre a due poveri turisti sfigati che non possono saperne nulla, visto che sono in viaggio dall’1 novembre fuori dall’Europa, mettere anche quelle piccole bottigliette tascabili nella busta di plastica che abbiamo già per gli altri liquidi, dal momento che restiamo inoltre abbondantemente al di sotto del massimo consentito? Passiamo sopra con amarezza sulla poca cortesia ricevuta, e lasciamo Amsterdam alle 17:40 col volo KLM, che in due ore e mezza porta a Roma. Qui aspettiamo altre due ore e alle 21:45 decolliamo per Cagliari, sfiniti da un viaggio meno lungo ma estremamente più pesante e sfortunato di quello dell’andata.

Pazienza per le bottigliette: abbiamo appena conquistato i ricordi indelebili del Messico che porteremo per tutta la vita! (Per le centinaia di foto rimando al mio sito personale: www.Ivanweb.Net)



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