Sparkling Myanmar

Ad un anno dal nostro viaggio in India e Nepal, finalmente, torniamo a raccontarvi un’esperienza meravigliosa in un paese mistico, di struggente bellezza e contrasti: la Birmania. I nostri preparativi si concentrano in due settimane di fuoco ma alla fine, il 4 aprile, lasciamo l’Italia alla volta di YANGON. L’arrivo al fantomatico...
Scritto da: Sabrina Raczynski
sparkling myanmar
Partenza il: 04/04/2004
Ritorno il: 25/04/2004
Viaggiatori: in coppia
Spesa: 2000 €
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Ad un anno dal nostro viaggio in India e Nepal, finalmente, torniamo a raccontarvi un’esperienza meravigliosa in un paese mistico, di struggente bellezza e contrasti: la Birmania.

I nostri preparativi si concentrano in due settimane di fuoco ma alla fine, il 4 aprile, lasciamo l’Italia alla volta di YANGON. L’arrivo al fantomatico “International Airport” della capitale avviene, alle nove di mattina, dopo 10 ore di volo. Durante l’atterraggio scorgiamo l’arcaica e tropicale campagna birmana: pagode e strade rosso fuoco si alternano a vegetazione e villaggi isolati.

L’aereoporto si presenta come uno spoglio capannone stile militare. Di internazionale, insomma, c’è ben poco: l’unico aereo sulla pista è il nostro! Ad aspettarci, all’uscita, c’è Zaw Win, l’autista che ci accompagnerà per alcuni giorni lungo il nostro percorso. Decidiamo in agenzia gli spostamenti e le tempistiche, dopodiché ci facciamo lasciare in albergo. Sveniamo per la stanchezza e, solo dopo alcune ore, riemergiamo dalla nostra stanza pronti ad entrare in una nuova dimensione.

Abbandoniamo le nostre scarpe e le nostre consuetudini occidentali ai piedi della Shewandung Paya, il cuore pulsante della vita sociale e religiosa birmana. Lo zedi dorato s’innalza maestoso sulla città e, man mano imbrunisce, diventa di color ambra splendente. L’immagine mistica dei monaci che pregano e camminano con moto circolare, le scene di semplice vita quotidiana, gli incontri tra innamorati nei piccoli templi evocano un profondo senso di meravigliosa serenità.

Restiamo ad osservare quanto ci circonda fin dopo il tramonto: cambiano i colori, cambia l’atmosfera e ciò che di giorno era, di sera non è più.

La mattina seguente lasciamo Yangon in direzione BAGO. Osservo, durante il viaggio, le file di monaci lungo i bordi delle strade, le case che man mano diradano e lasciano il posto alle risaie.

A Bago ammiriamo la maestosità dei 4 Buddha seduti, l’enorme statua di Buddha sdraiato e, da lontano, lo zedi dorato che tanto assomiglia alla Paya di Yangon. Il caldo è opprimente e il sole batte impietoso. Lungo le strade la gente ci osserva e ci saluta sorridente.

Voci stonate portano alle nostre orecchie sgraziate melodie midi che vengono usate come base per la fonte di intrattenimento più gettonata in Birmania: il Karaoke > rimarrà il leit motiv per tutta la vacanza; almeno da noi, quando Fiorello faceva cantare le piazze, il vincitore era intonato! Dopo alcune ore di vagabondaggio ci dirigiamo verso TAUNGOO dove passiamo la notte in una splendida guesthouse gestita da due medici ed interamente realizzata in tek. Il caldo avvolgente della notte, i profumi sprigionati dalla terra al calar del sole lasciano il posto ad un altro giorno che comincia, come promesso la sera prima, con la colazione più abbondante che io abbia mai avuto in vita mia. Luca guarda, stupito, la tavolata che ci viene presentata dalla proprietaria: una ventina di piattini contenenti frutta tropicale e dolci a base di pasta di riso glutammato, cocco e zucchero di canna. Il tutto sistemato ad arte ed accompagnato dalle spiegazioni dalla nostra ospite.

Lasciamo a malincuore il piccolo paradiso di Taungoo e puntiamo senza indugio in direzione Lago Inle. Il viaggio è lungo e la macchina comincia a dare i primi segnali di cedimento. In un piccolo paesino sulla strada per KALAW rimaniamo a piedi e affidiamo la macchina con le ventole rotte al meccanico del paese. Zaw Win prende la cosa con calma e si addormenta nella capanna adibita a officina nonché cinema di paese. Per noi, invece, ha inizio il pomeriggio più bello di tutto il viaggio. Due ragazzi stranieri non devono esser stati una gran consuetudine in questo paesino e i bambini sono letteralmente entusiasti dalla nostra presenza. Ci portano dai loro genitori, ci offrono mango, the verde e ci accompagnano al tempio per pregare assieme. Luca ed io ci divertiamo a fare gli ostaggi dei piccoli birmani e , pur non avendo un dialogo a parole con loro, ci facciamo capire a gesti. Quando comincia a piovere ci rifugiamo nella capanna del meccanico e qui l’anima fantasiosa degli italiani da il suo meglio con canti e giochi proposti ai bambini. Tra un Bella Ciao e un Romagna Mia d’annata la macchina sembra essere a posto e noi, a malincuore, lasciamo i nostri piccoli compagni in direzione Kalaw dove arriviamo alla sera. Siamo nello stato Shan, il cuore del Triangolo D’Oro, dove viene prodotta forse la maggior quantità di papavero da oppio al mondo. Chiaramente le zone adibite a queste coltivazioni sono off-limits per i turisti anche se, in generale, si può dire che la visita di tutti il paese è ben delimitata dalle disposizioni delle autorità birmane. Da Kalaw proseguiamo il nostro viaggio con una sosta al mercato itinerante Shan ed alle grotte di Pindaya. Il mercato è un’esperienza entusiasmante: colori, odori, confusione…Sembra di essere fuori dal mondo e anche qui siamo gli unici occidentali, guardati con curiosità e divertimento. Centinaia di persone lasciano i villaggi sulle montagne per venire ad acquistare in questo mercato e non è difficile distinguere membri della comunità dei Pa-o tra la folla. Ci lanciamo in improbabili contrattazioni e, alla fine, compriamo alcune coloratissime borsine Shan (un must per chi viaggia in Birmania) ed i mitici infradito di gomma. Dopo questo momento di puro consumismo ci facciamo trasportare dalla bellezza e dalla pace di PINDAYA. Migliaia di Buddha di varie dimensioni, fattezze e colore sono incastonati nelle pareti di queste grotte profonde un paio di centinaia di metri. La vista è davvero mozzafiato e nonostante le piastrelle umide e scivolosissime (chiaramente si deve camminare a piedi scalzi) continuiamo a muoverci tra i meandri più bui per visitare anche le piccole grotte, adibite alla meditazione, cui si accede carponi. NAUNGSHUE è la nostra prossima meta e base per la visita al LAGO INLE. Anche qui, pur non essendo gli unici occidentali, veniamo fermati da ragazzi, donne e bambini il cui commento unanime è la bellezza della mia fossetta quando sorrido e del mio essere una “modern girl”! Diciamo che per l’ego di una donna un viaggio in Birmania è un toccasana mentre per un uomo, l’India è sicuramente più indicata! Il giro in barca del lago ci vede impegnati in un pellegrinaggio senza fine attraverso finte “fabbriche” di sigari, argento, seta, barche nonché attraverso il non più originale mercato galleggiante (ormai denominato “L’assalto al turista”…Scene degne de La maledizione della prima luna – chiaramente gli assaltati sono i poveri viaggiatori, bloccati sulle strette canoe ) fino alla conquista dell’unica cosa che vale la pena di vedere: il Monastero dei Gatti Saltanti. Bellissimo, col suo colore caldo e la miriade di gattini dormienti che, solo per alcuni “fortunati” vengono fatti saltare dai monaci attraverso dei cerchietti. Dal Lago Inle ci dirigiamo, il giorno seguente, a Mandalay. Lungo il tragitto ci fermiamo al magnifico monastero ligneo che si trova all’entrata di Naungshue per poi proseguire, attraverso paesaggi mozzafiato e difficili strade di montagna, in direzione della seconda città birmana per grandezza. MANDALAY non ci entusiasma con i suoi enormi palazzi sulla 26esima strada e le sue decadenti casette di due piani alternate a capanne. Visitiamo Sagaing Hill, Amarampura e l’U-Bein Bridge. Il ponte di legno U-Bein è bellissimo e maestoso, scene di vita arcaica e quotidiana, monaci. Ammiriamo i bellissimi affreschi nel monastero sulla sponda opposta dell’Ayerawaddy (ci facciamo accompagnare da un giovane monaco di 21 anni) e, con l’ultimo spostamento assieme a Zao Win, lo Zeygo Market. Durante il nostro pellegrinaggio al mercato cominciamo ad avvertire l’avvicinarsi del Water Festival – eh già, senza farlo apposta, il nostro viaggio coincide con l’evento dell’anno, il periodo più goliardico (o forse l’unico) per gli oppressi birmani: il capodanno buddista! Tanto per farsi capire, il passatempo più gettonato consiste nel versare acqua sul collo – gesto con un significato originario legato alla purificazione del fedele – diventato, in tempi più recenti, una vera e propria “battaglia d’acqua” dove tutto è lecito e lo scopo principale è riuscire a bagnare il più possibile altre persone ( inutile dire che gli stranieri corrispondono ad un bonus extra!). Ecco quindi spuntare ogni 2 metri: Pistole d’acqua (per i bambini e i più timidi) – Bazuka d’acqua (arma molto apprezzata anche dai ragazzi canadesi che incontriamo durante un’escursione) – Pompette da bicicletta intinte in bacinelle d’acqua – Bottiglie d’acqua gelata – Secchi – Canne e, dulcis in fundo, Idranti sistemati su palchi appositamente costruiti ai margini delle strade. Inutile dire che, il giorno seguente la dipartita di Zao Win (tornato a Yangon) ed alla nostra visita di Mingun e della Mahamuni Paya, le strade attorno alla cittadella di Mandalay sono completamente allagate! Noi stessi, fradici, siamo circondati da ragazzi ubriachi ma, come al solito, cordiali e truccati per l’occasione a mo’ di orchi. Riusciamo anche ad intonare un “Hey Jude” con un ragazzo che segue il nostro risciò in moto! Grandi pick up girano carichi di ragazzi e … d’acqua (molti con i cofani aperti per veder i danni causati dagli idranti). E’ davvero un delirio ed uno iato incredibile, pensando alla tranquillità dei giorni precedenti. La nostra partenza per BAGAN avviene all’alba: il giorno precedente abbiamo comprato i biglietti per il traghetto turistico che, dopo 10 ore di viaggio, ci lascia sulle sponde sabbiose e desertiche dell’area archeologica. Un forte vento spira incessante e, dopo aver pagato la tassa d’ingresso, ci facciamo accompagnare da una carrozza verso U NYAUNG, dove abbiamo deciso di soggiornare.

La scoperta dei templi e di questo luogo mitico visitato dallo stesso Marco Polo, avviene con il mezzo più comodo ed indipendente che si può trovare presso ogni guesthouse: la bicicletta. In questa ottica di calore e sole incessante, il Water Festival si rivela un aiuto non indifferente alla sopravvivenza – certo che, completamente fradicia, siamo uno spettacolo davvero divertente per i pellegrini birmani! Visitiamo i templi più famosi ed i più defilati, percorriamo le strade asfaltate ma soprattutto le carraie, spesso invase dalla sabbia. Per due giorni siamo completamente assorbiti dalla bellezza e dall’unicità di Bagan (anche se, per visitarla tutta al meglio una settimana non basterebbe!). Bellissima, selvaggia, decadente e romantica, questa è la nostra Bagan.

Il nostro pellegrinaggio è intervallato da pranzi pantagruelici (e finalmente assaggiamo sapori della cucina birmana, soppiantata quasi ovunque, da ristoranti di “cucina cinese”), incontri con ragazzi in festa, comitive in pellegrinaggio e dalla conoscenza di Andreas, Frank e di una ragazza birmana con cui ceniamo, tutti assieme, alla sera. Andreas, grandissimo personaggio, è un ragazzo svizzero che ha viaggiato per quasi un anno attraverso la Birmania. Grazie ad un permesso per un soggiorno presso un centro di meditazione ed una febbre provvidenziale scambiata per malaria, è riuscito ad ottenere un prolungamento abnorme del visto che lo ha portato a scoprire angoli remoti di questa magnifica terra. Frank, invece, è un ragazzo tedesco, nostro futuro compagno di soggiorno a Ngpali Beach. Tutti assieme ci scambiamo opinioni, idee e scopriamo tanti risvolti sulla vita birmana grazie alla nostra giovane amica. La vita di questa gente così pacifica è rigidamente regolamentata da disposizioni imposte anche nell’ambito della vita privata dei cittadini, della dittatura militare al governo. Basti guardare la televisione dove canti marziali e nazionali si alternano a telegiornali che esaltano l’operato del governo. E’ una situazione così starna ed irreale.

Trascorre anche l’ultimo giorno a Bagan. Ci incontriamo con Andreas e la nostra amica presso un piccolo tempio che è ufficialmente diventato il nostro sunset point. I mattoni si infiammano sotto gli ultimi raggi bronzei del sole, la cupola dell’Ananda Patho sembra oro fuso. Lasciamo Bagan con queste immagini nel cuore e verso le nove ci dirigiamo alla stazione. Il prossimo spostamento è in treno verso PYAY – città di passaggio per arrivare a NGPALI BEACH. Alcuni giorni prima abbiamo acquistato i biglietti tramite la nostra guesthouse: con il Water Festival, infatti, il mondo sembra fermarsi e quanto pare l’unico modo per lasciare Bagan è il treno (che naturalmente non c’è sempre ma solo in alcuni giorni della settimana)! In poche parole, siamo stati fortunati.

Fuori c’è buio pesto, cerchiamo di dormire. L’aria calda della notte entra dal finestrino aperto. Viaggiamo lentamente e in maniera molto movimentata: siamo continuamente sballottati da una parte all’altra come se fossimo sulle montagne russe al luna park! Siamo in pochi occidentali su questo treno: forse neanche una decina. Arriva il giorno e non riusciamo a capire dove siamo. L’arrivo a Pyay sarebbe previsto per le nove di mattina. Io Pyay, alle nove, non la vedo. Sosta presso una piccola stazione. Tutti scendono, stiamo fermi per un ora circa – il tempo necessario per la pausa pranzo. Provvidenziale, direi, visto che conosciamo due ragazzi di Bratislava anche loro diretti a Ngpali. L’arrivo alla nostra meta è alle 15:30 sotto un sole rovente (cioè più di 6 ore dopo il previsto!). Per pura fortuna vediamo un piccolo cartello con la scritta Pyay, altrimenti non avremmo mai capito che la piccola costruzione di cemento in mezzo alla campagna è la stazione della terza città per grandezza della Birmania! Scendiamo e, a gesti, riusciamo a chiedere un passaggio per la città. Siamo rimasti solo noi in stazione. I pick up e i pochi risciò presenti hanno già accompagnato gli altri passeggeri birmani altrove. Aspettiamo fiduciosi e il pick up che abbiamo fermato arriva. Pyay è sonnolenta e pochissima gente passeggia per strada. Con Jurai e Josef, i due ragazzi slovacchi, cominciamo a girare per capire come raggiungere Ngpali. Tutti i bus sono fermi per il Water Festival e di treni non ce ne sono: l’unico mezzo rimane il pick up. Ngpali è a poco più di 200 Km da Pyay, tuttavia il problema risiede nel fatto che bisogna attraversare strade per la maggior parte non asfaltate di montagna. Riusciamo a stabilire una cifra accettabile con un ragazzo e stabiliamo l’ora di partenza per le sei di sera. Nel frattempo ceniamo e ci prepariamo spiritualmente a quello che sarà il viaggio più incredibile della nostra vacanza. La mia postazione è davanti, assieme all’autista. Dietro, nel cassone, ci sono Luca, i due ragazzi slovacchi e un “aiuto”. Partiamo dopo aver salutato la famiglia di questo giovanissimo ragazzo che ci guiderà a destinazione. Preghiera a Buddha (già comincia a gelarmi il sangue nelle vene) e stop tattico per abbassare il mio finestrino mezzo incastrato e rotto.

Lasciamo la città per la montagna. Diventa scuro e poi notte. Gente che abbandona i campi, piccoli villaggi sperduti, ristorantini con karaoke. Facciamo alcune soste per svegliarci. Sonnecchio ma soprattutto seguo l’autista nelle sue manovre più o meno spericolate. Foglie di betel sul cruscotto, succo di frutta tropicale. I suoi piedi scalzi si muovono velocemente sui pedali. Il viaggio dei ragazzi nel cassone è durissimo: sono uno incastrato vicino all’altro, ricoperti di polvere e indolenziti dalle buche che li fanno sobbalzare continuamente. Anche il mio osso sacro non è messo molto bene ma più che altro soffro per il caldo non indifferente sprigionato dal motore che rende l’abitacolo invivibile. Soste a vari posti di polizia dove ombre assonnate spuntano da angoli nascosti per trascrivere i nostri dati su registri consunti. I fari tagliano le ultime ore di buio e mi sembra di vivere il video di “Karma Police” dei Radiohead. Alle prime ore dell’alba raggiungiamo NGPALI. Sono le 6. Troviamo una guesthouse sul mare, paghiamo l’autista ed andiamo a dormire. Jurai e Josef vengono sistemati in una stanza vicino alla nostra e, quando di risvegliamo alcune ore più tardi ,possiamo davvero dire di essere in paradiso. Le camere sono ricavate in bungalow di paglia e danno sulla spiaggia. L’ombra delle palme, la sabbia bianca, il mare caldissimo. Onde imperterrite rendono questo posto un paradiso per i surfisti, più che per i bagnanti, tuttavia dopo il lungo viaggio la sosta di alcuni giorni in questo luogo incantato è davvero un toccasana. In spiaggia ritroviamo che il nostro amico di Bagan, Frank – insomma, alla fine ci creiamo una piccola famiglia! Le cene a base di pesci tropicali alla griglia, la febbre di Luca curata con grappa slovacca e Sparkling Lemon (sorta di Lemon Soda locale molto apprezzata e, soprattutto, dissetante), le escursioni verso spiagge vicine sono alcuni dei momenti che hanno reso il soggiorno a Ngpali movimentato e nello stesso tempo meravigliosamente unico. L’esperienza più bella è stato l’inaspettato invito a pranzo da parte del custode di una fabbrica che si è privato della sua porzione di riso per darlo a noi (dispersi, ai suoi occhi su una spiaggia di un paesino di pescatori). Esperienza indescrivibile dal punto di vista umano. Passano i giorni ed arriva il momento di partire. Siamo rimasti soli. Sono partiti prima Jurai e Josef poi Frank. Alla sera guardiamo i pescatori al largo della baia mentre formano una lunga linea di fuoco e calano le reti. Il ritorno a YANGON è un bello iato: fa caldissimo e l’ambiente cittadino ci sconvolge un po’ dopo la pace e la solitudine di Ngpali. Gli ultimi due giorni sono, come buona norma, dedicati allo shopping: assalto a Bodgoye Market – tra una bottiglia d’acqua gelata e una lattina di Sparkling Lemon – e ultimi acquisti di varia natura, dalle magliette street wear al mio zaino North Face (originale!), dalle marionette di legno ai longyi. L’ultimo sguardo è alla Sule Paya vicino all’albergo presso cui soggiorniamo. Tutte le immagini del nostro viaggio ci scorrono davanti. Sfreccia il taxi verso l’aereoporto attraverso grandi archi su cui troneggiano scritte inneggianti allo sviluppo di un paese che guarda al futuro.

Signore e signori, benvenuti in Myanmar,The Golden Land.



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