Sotto il cielo di Zanzibar
Partiamo puntuali da Malpensa alle 22.50 di martedì 27 novembre. Non serve aggiungere nulla sul volo, compagnia lauda-livingston, personale gentile ed efficiente, impeccabile. Arrivati a Zanzibar ci attende la parte più fastidiosa di tutto il viaggio, ovvero l’uscita dall’aeroporto. Avvolti da un caldo afoso tutti in fila per sganciare i 50 dollari della tassa d’ingresso, se non hai dollari non c’è problema, puoi pagare anche con 50 euro, ma non pensare nemmeno lontanamente di ricevere il resto, il funzionario ti mette il timbro nel passaporto e puoi andare a cercarti il bagaglio. Nessun nastro trasportatore, il personale preposto allo smistamento mette in mostra una valigia alla volta, se vuoi velocizzare la ricerca basta qualche dollaro e la valigia te la mettono in mano. Anche i poliziotti non sono da meno, che ti invitano ad aprire il bagaglio per il controllo, ma lo puoi evitare se fai la mancia. Appena si rendono conto che sei disposto a farti aprire la valigia di fanno passare, senza insistenza.
Finalmente usciamo dall’aeroporto, ad attenderci c’è l’assistente Ventaglio, gentile e sorridente ci invita a lasciare i bagagli, gli incaricati ce li faranno trovare più tardi,davanti alla nostra stanza.
Un’ora di pulmino, attraversando l’isola da est a ovest, passando prima per la capitale Stone Town subito dopo si incontrano i villaggi con gruppetti di case, alcune in muratura, fatte con blocchi di cemento ed il tetto in lamiera, altre di fango con il tetto di foglie. Molte persone camminano lungo il ciglio della strada, molti anche i bambini che osservano divertiti coloro che passano. Spesso superiamo i tipici autobus chiamati “Dalla Dalla”, semplici furgoncini con due file di panche sul cassone ed il portapacchi per portar ogni genere di merce.
Qui si sbarca il lunario come si può, in queste minute baracche di terra rossastra si vende di tutto, frutta, verdura, bevande, qualche piccolo elettrodomestico, ricambi per biciclette, la cosa che subito appare evidente è l’arte del sapersi arrangiare con i pochi mezzi a disposizione.
Percorriamo quest’arteria asfaltata ma l’ultimo tratto di strada è in terra battuta, con buche profonde abilmente schivate dall’autista, sembra tuttavia che i cantieri siano a buon punto, notiamo diversi operai intenti a spostare massi di pietra, nel preparare il terreno all’asfaltatura in quello che è l’unico collegamento ai villaggi turistici, disposti uno dopo l’altro nella magnifica località di Kiwengwa.
Arriviamo al VentaClub Karibu. Il villaggio si presenta accogliente già dalla maestosa reception, i bungalow dal tetto makuti immersi nel verde ben si adattano al contesto ambientale circostante.
La stanza è pulita, il bagno spazioso, con doccia e bidet, nella camera il letto a baldacchino ha la zanzariera, molto utile a chi, come noi, non aveva fatto alcuna profilassi antimalarica. Tuttavia di zanzare durante il nostro soggiorno ne abbiamo viste poche, forse complice la forte dose di Autan che ci si metteva al tramonto. Un piccolo armadio, cassetta di sicurezza, frigobar, insomma, c’è tutto quello che serve.
Fuori dalla porta un panorama stupendo, il nostro bungalow è tra i più alti, sullo stesso livello della reception e del ristorante principale, tra le palme si scorge il mare di un’azzurro che lascia senza fiato, ci facciamo una doccia veloce, scendiamo le scale tra i giardini ben curati e fuggiamo in spiaggia, il riflesso della sabbia bianca ci fa lacrimare gli occhi, una foto può rendere parzialmente l’idea di ciò che ci avrebbe accompagnato per tutto il resto della nostra vacanza.
L’appetito si fa sentire e ci dirigiamo verso il ristorante. Sotto un tetto retto da centinaia di pali in legno fissati con apparente disordine i tavoli ben disposti, quelli verso l’esterno godono della visuale sulla parte più bassa del villaggio, disposto a terrazze, scorgendo il mare tra le palme.
Torniamo in spiaggia, avidamente ci godiamo qualche ora di sole ma il pomeriggio svanisce in un attimo, e ci troviamo a socializzare con gli altri ospiti sorseggiando qualcosa al bar, prima di ripercorrere la scalinata che ci porta al bungalow. Dopo cena ci rilassiamo con la simpatica e divertente compagnia degli animatori del villaggio, prima ascoltando e ballando un po’ di musica, poi tutti in anfiteatro per lo spettacolo serale. Nei primi giorni prendiamo confidenza con tutto ciò che ci circonda, ogni tanto lascio Alice sdraiata sul lettino, a godersi il sole come una lucertola, io mi armo di macchina fotografia, una massiccia dose di crema solare protezione 30 e passeggiando per la spiaggia mi godo quello che per tanto tempo ho atteso e sognato, sfogliando i cataloghi delle agenzie di viaggio o navigando in rete.
Appena scavalchi quell’invisibile confine che delimita il territorio OFF limits ai beach boys ti affiancano cercando di venderti di tutto, dalle collane ai quadri, dalle statuette in presunto ebano alle magliette, dai denti di leone alle spezie , per non parlare di escursioni, sigarette, hasihsh . Un fiorente mercato che permette loro di racimolare qualche dollaro, all’inizio si prova un certo imbarazzo nel sentirsi circondati ma poi ci si abitua alla loro presenza e con un sorriso ci si saluta. Percorrendo la lunga spiaggia non sento ma ascolto, non guardo ma osservo. Il suono del mare, il volto di anziani pescatori, i lunghi e colorati vestiti delle donne, il sorriso dei bambini che giocano. Ogni tanto dai minareti si sente innalzarsi l’ode della preghiera, non dimentichiamo che Zanzibar è prevalentemente di religione musulmana, che effetto trovarsi in spiaggia e sentire il canto delle loro preghiere.
La spiaggia è molto ampia, e le caratteristiche maree la rendono particolarmente mutevole, tant’è che viene esposto un cartello con l’orario di bassa ed alta marea, utile per evitare disagi dovuti ad un improvviso innalzarsi del livello del mare, che, a seconda della luna, può superare anche i tre metri. La ciclicità delle maree in questo periodo è di poco più di sei ore: durante la bassa marea il mare sembra scomparire,l’impressione è quella di uno scenario lunare. Passeggiando si notano conchiglie, granchi, paguri e molti altri animaletti. In queste condizioni la barriera corallina si può facilmente raggiungere a piedi. Con l’alta marea, invece, è piacevole uscire con i kayak, o sentire la brezza durante un giro in catamarano. Un pomeriggio saliamo sulla barca di alcuni pescatori e ci facciamo portare alla barriera, per un po’ di snorkelling e per vedere le numerose stelle marine.
Ormai la nostra pelle ha preso un bel colore, è tempo di organizzarsi per un’escursione in barca. Prendo contatti con un simpatico beach boy, che ci porterà a vivere una delle più belle giornate della nostra vacanza. Dopo colazione passa a prenderci un pulmino, percorriamo la stessa strada già fatta il primo giorno, verso la capitale Stone Town, per proseguire verso Fumba, un piccolo villaggio di pescatori a sud-ovest dell’isola, lo spostamento dura in tutto circa un’ora e mezza. L’ultima parte del percorso si fa su una strada sterrata, piena di buche ed insidie. Saliamo a bordo della tipica imbarcazione zanzibarina, il Dhow, e ci dirigiamo su una piccola lingua di sabbia bianchissima, che scompare del tutto in presenza dell’alta marea. Una tenda improvvisata per proteggersi dal sole, un tuffo nelle cristalline acque e ci godiamo questo angolo di paradiso, intanto ci viene preparato del cocco e ananas a fette, ottimo spuntino, un grazie al nostro giovane accompagnatore.
Torniamo sulla barca e andiamo a fare un po’ di snorkelling poco distante. Non ci sono molti pesci, ed il corallo non è vistoso e colorato come nel mar Rosso, ma in compenso risaliti in barca riusciamo a scorgere alcuni delfini, il tempo di “armare” le macchine fotografiche che sono già spariti! Proseguiamo, raggiungendo l’isola di Qwale, dove trascorreremo il resto della giornata. Sotto un capanno fatto di foglie ci attende un pranzo da leccarsi le dita: un succulento barbecue di pesce, calamari, aragostine e cicale di mare con contorno di patatine, e poi l’immancabile frutta, ananas, banane, anguria, mango.
Per smaltire il pranzo ci facciamo una passeggiata, scattiamo qualche foto ad un enorme pianta di baobab, per poi visitare il mangrovieto situato nell’altro versante dell’isola. Ci rimane il tempo per un altro bagno, per poi rientrare in villaggio, stanchi ma appagati da tanta naturale bellezza.
Il giorno dopo Alice ed io lo trascorriamo tranquilli in spiaggia, pianificando con i beach boys il pomeriggio successivo, visita alla costa nord dell’isola, la stupenda spiaggia di Nungwi. Partiamo alle 14, siamo in cinque, il pulmino percorre le solite strade dissestate e dopo circa un’oretta arriviamo a Nungwi, attraversiamo il polveroso villaggio, incuriositi dalle case in fango, dalle bancarelle, dal disordine che sembra padroneggiare. Ci accompagnano a visitare un parco acquatico naturale, dove venticinque tartarughe giganti si avvicinano non appena gettiamo un po’ di alghe in acqua. Sembrano mansuete, ma è preferibile prendere in mano quelle più minute, ordinatamente disposte all’interno di contenitori più piccoli ed accessibili. Il tempo per qualche foto e poi si risale a bordo, percorriamo pochi chilometri e finalmente arriviamo in spiaggia. E’ vero, avevano ragione… chi ci aveva dato consigli sul viaggio non ha esagerato dicendoci che questa è la più bella spiaggia di tutta l’isola… Alice ed io facciamo una passeggiata, la sabbia è bianchissima, il mare davanti a noi calmo, le onde si increspano appena. Prendiamo accordi con un ragazzo che ci porterà con la sua barca a fare un giretto costeggiando la riva, per poi godere di un tramonto che toglie il respiro. Ci resta solo un giorno di vacanza, e un po’ di nostalgia per quello che si andava lasciando già iniziavamo a sentirla… Martedì 04 dicembre, l’ultimo giorno lo trascorriamo con gli amici Andrea, Eleonora, Romano e Barbara, scattiamo foto, durante il mattino un nuvolone di passaggio fa scendere dieci minuti di fine pioggierella, gli unici dell’intera vacanza, quasi a farci ricordare che la pacchia è finita, e si dovrà tornare alle vecchie abitudini.
Giusto il tempo per comprare gli ultimi ricordi da portare a casa, lasciare qualche maglietta, uno zainetto, le scarpe a chi troppo raramente ne vede un paio. L’ultimo bagno, poi cala il tramonto e insieme al sole si spengono i riflettori su quei pochi giorni che ci hanno permesso in parte di ammirare ed apprezzare uno scorcio di Africa che non conoscevamo. La sera si respira un aria un po’ triste, ma credo che sia giusto così… ogni piacevole vacanza andrebbe vissuta con un pizzico di malinconia, è così che si fa nascere il desiderio di ritornare.
Questo viaggio ci ha fatto capire molte cose, provare molte sensazioni, torniamo sicuramente arricchiti nell’animo, desiderosi di rivivere altre emozioni, magari con un safari in kenya, chi lo sa! Desideriamo riportare le parole di chi, del parlare di viaggi, ne ha fatto un mestiere, Licia Colò…«L’Africa può essere una terapia. I grandi spazi, la natura in alcuni posti ancora selvaggia. La vita semplice. Il sorriso dei bambini che non hanno nulla. I grandi silenzi. Sono tutte cose che ci fanno pensare e forse comprendere quanto poco valore abbiano tutte quelle piccole cose per cui ci danniamo.» Se vuoi vedere qualche foto vieni sul nostro blog: http://cocarum.Spaces.Live.Com/ e per qualsiasi informazione puoi scriverci un’email, ciao! Andrea e Alice