Sotto il cielo del Madagascar
Quindici giorni per innamorarci a prima vista dell’isola Rossa
Dopo nove ore e cinquanta di volo Neos su uno spazioso Boing 787 partito da Roma, con scalo a Milano (ebbene sì, siamo tutti ecosostenibili!), sorvoliamo il Madagascar. Apriamo gli occhi su un’alba distopica: un sole rosso porpora insanguina un cielo viola fosforescente. È il degno benvenuto di un paese chiamato anche Isola Rossa, per il colore del suolo ricco di laterite, che tinge anche le acque dei fiumi, arrivando fino al mare. Siamo emozionati neofiti del Madagascar, la quarta isola al mondo per grandezza, dopo Groenlandia, Nuova Guinea e Borneo. E soprattutto, appassionati di snorkelling come siamo, non possiamo certo mancare l’appuntamento con la seconda barriera corallina al mondo per estensione, dopo quella Australiana. Già il nome è fico: è la Barriera Corallina del Capricorno, dal Tropico che la taglia a metà. La nostra meta è Nosy Be, isola a largo della costa nord ovest del Madagascar. In lingua malgascia Nosy Be significa “isola grande”, anche se in realtà è grande appena una volta e mezzo l’Isola d’Elba. Ma tutto è relativo, e Nosy Be è certamente la maggiore di un arcipelago costituito da atolli e minuscole isolette, molte delle quali disabitate. Per dare un’idea delle dimensioni, il Madagascar ha una superficie grande due volte quella dell’Italia ed è tre volte meno popoloso, è abitato da 22 milioni di persone.
Atterriamo a Hellville, capoluogo di Nosy Be, in una bella giornata di sole di un gradevolissimo caldo secco tardo primaverile. La temperatura arriva infatti a 28 gradi massimo durante il giorno, che diventano 23 la notte. È la prima quindicina di novembre ed il clima è ideale: la notte piove sempre e frequenti sono anche i temporali notturni, ma durante il giorno splende sempre il sole. Siamo al limitare della stagione secca, poi per tre mesi, da dicembre a marzo, sarà la stagione delle piogge, caratterizzata da frequenti temporali diurni, tanta umidità e zanzare a volontà. Da evitare, possibilmente!
Un bus ci porta ad Andilana Beach resort: il villaggio Bravo Club è uno spettacolo. Il grande giardino lussureggiante di piante tropicali, di palme, mangrovie e baobab, profuma di ylang ylang, ibiscus e frangipani e, digradando dolcemente verso la spiaggia, è la casa di lemuri, coccodrilli e tante tartarughe, tra cui Carolino, l’enorme, affabile tartaruga centocinquantenaria, mascotte del villaggio. Siamo due appassionati di snorkelling e qui è uno spasso. Il reef si raggiunge a nuoto direttamente dalla spiaggia. Tanti pesci pappagallo, pesci angelo e poi pesci farfalla dalle seduttive livree, perfino azzurrine a strisce bianche. Nessun luogo è come le Maldive per grandezza, quantità e differenti qualità di pesci, ma qui i coralli sono più colorati e vividi: con tutte le puntine fosforescenti dal viola al rosa al blu ceruleo, sono frementi di nuova vita. Non ci mancano troppo gli incredibili pesci volanti maldiviani, né i pesci pigiama o le mante e le aquile di mare, perché qui tanto per cominciare una bella tartaruga marina è un appuntamento quotidiano nel mare di fronte alla spiaggia di Andilana Beach resort. È una tartaruga decisamente riservata, non ci permette di carezzarla come una sola volta abbiamo avuto il privilegio di fare a Marsa Alam, e nemmeno di sorvolarla a nuoto: ci semina sempre in un attimo. Tanti simpatici pesci palla e pesci scatola e poi una quantità di stelle marine dai colori assortiti.
Banchi di calamaretti sfilano ordinati a pelo d’acqua, poi incontriamo un banco di barracuda. E avvistiamo intere famiglie di pesci pagliaccio, alcuni enormi, i più grandi mai visti, carezzati dalle loro inseparabili anemoni, fluttuanti come lunghi capelli. Mentre ci divertiamo sott’acqua nella nostra caccia al tesoro quotidiana, il mare, prodigo di meraviglie variopinte, ci insegna in silenzio il piacere della contemplazione, la bellezza svincolata dal desiderio di possesso.
Sulla spiaggia di fine sabbia bianco rosata i beach boys passano spesso con uno zebù, un docile infaticabile bovino con una grossa gobba, talmente prezioso al popolo malgascio come animale da soma, da essere considerato sacro. Ed io ho avuto perfino il privilegio di un giro in carrozza trainata da zebù!
Nottetempo, grossi granchi attraversano i vialetti del giardino tropicale, con chele aperte leggermente minacciose. In realtà ci ignorano, ma guardali come sfilano impettiti davanti ai nostri occhi insieme a paguri formato jumbo. I massaggi rilassanti all’olio di ylang ylang ad opera delle native dal tocco magico, sui comodi lettini a pochi passi dal mare, sono un piacere in cui indulgiamo piacevolmente. Potremmo senza rimpianti non muoverci mai più da qui. Solo che noi siamo turisti per caso. Così, il villaggio diventa la base di partenza per le nostre escursioni alla volta dell’arcipelago di Nosy Be.
Ci arrampichiamo su per i sentieri di Nosy Komba, l’isola dei lemuri macaco, prodiga di emozioni, profumi e colori smaglianti, coi suoi mercatini degli artigiani, pittori e scultori. Alcune salite si mostrano piuttosto impegnative, ma Antonio la guida ci sorride esortandoci a procedere ‘mora mora’ come dicono qui, cioè piano piano. Sotto il suo occhio vigile, lunghi serpenti gialli ci strisciano sibilanti sulla schiena, intorno al collo. Ma ancora più emozionante è farci scalare da un grosso camaleonte verde brillante dagli occhi roteanti. Ha una livrea pazzesca e con zampine delicatissime mi cammina lieve lieve sul braccio, quasi senza peso, mentre mi guarda con i suoi occhi sporgenti zebrati. Lemuri curiosi e affabili, saltano leggeri sulle nostre spalle al richiamo Maki maki, consolidato da Gio, un nativo, con un pezzetto di banana in premio. I lemuri ne vanno golosissimi, ma anche i camaleonti allungano veloci la lingua per mangiare un po’ di quella banana generosamente spalmata per loro sul ramo. Le lemuri, col loro folto manto beige e le paffute guance pelose, si mostrano più affabili dei maschietti, dal pelo nero. Decisamente più riservati, i lemuri maschi ci ignorano, preferendo di gran lunga continuare a dormire placidamente sui rami superiori degli alberi più frondosi. Qui i lemuri sono molto diversi da quelli di Fuerteventura, che con la loro tipica coda a strisce bianche e nere e un atteggiamento simile a quello dei cani: non troppo rispettosi del nostro spazio personale, ci piombavano pesanti addosso senza ritegno, usando i miei capelli come liane (ahia!). Invece qui in Madagascar lemuri come gattini si avvicinano timidi, leggiadri camminano sulle nostre teste, mi cingono le mani con le loro manine forti lisce lisce, per sfiorarmi con commoventi dita nere sottilissime. Cercano le mie carezze offrendomi il collo, come fa sempre la mia micina Lili. Non mi sorprenderebbe sentirli vibrare di fusa! Ci affascina imparare che grazie al suo ambiente ricco e variegato che ha permesso a molte specie di adattarsi, il Madagascar ospita ben il 5% delle specie mondiali e che solo nell’ultimo decennio sono state scoperte circa 600 nuove specie, tra cui il camaleonte più piccolo al mondo e la “fossa”, specie carnivora a metà tra un puma e una mangusta che esiste solo qui. Un record di biodiversità preservate grazie all’isolamento dal continente. Separato dall’Africa e dal blocco indiano molto tempo fa, la natura ha avuto circa 80 milioni di anni per divertirsi con l’evoluzione!
Le insenature nascoste dell’isola e l’assenza delle principali potenze europee per secoli hanno anche fatto del Madagascar un rifugio sicuro per centinaia di pirati, condendo di misteriosa piacevolezza quest’isola di cui siamo già perdutamente innamorati. A proposito di amore, come non parlare dei baobab innamorati, emblema del Madagascar. Secondo una leggenda dal gusto quasi shakespeariano, due ragazzi appartenenti a famiglie rivali si innamorarono profondamente. Le rispettive famiglie furono così irremovibili nella crudele decisione di separarli che, disperati, i due innamorati implorarono gli dei di dar loro una possibilità di amarsi per sempre, a qualsiasi costo. Non potendo contravvenire ai voleri dei genitori dei ragazzi, gli dei trasformarono gli amanti in due baobab, alberi immortali, che crescendo si unirono in un abbraccio indissolubile, simbolo dell’amore che tutto può e tutto vince, perfino l’odio cieco, perfino il tempo.
Ovunque alberi di ylang ylang, tanto profumati quanto prolifici: qui fanno addirittura tre raccolte alla settimana, producendo un fantastico olio da massaggi.
Nosy Iranja è la celeberrima lingua di sabbia che taglia un mare dalle mille sfumature di blu, adorata dai cacciatori di selfie, perché è tanto fotogenica. Noi ne ricorderemo soprattutto la succulenta aragosta mangiata direttamente sulla spiaggia, favolosa!
Per il resto preferiamo Nosy Tanikely, parco marino protetto dove avvistiamo diverse tartarughe e perfino una torpedine.
Spostarci dall’ albergo ci permette di ammirare diverse ville spettacolari sul mare, ma soprattutto di conoscere l’entroterra, l’altra faccia del Madagascar. Ma a dispetto delle strade dissestate e delle numerosissime baracche fatte di eternit, gli indigeni sono tutti sereni, disponibili e sorridenti. Antonio ci spiega che qui la scuola pubblica non è obbligatoria. Il risultato sono bambini e ragazzi in giro a giocare o a non far niente, a rincorrere bus e auto dalla guida spericolata, avvicinandosi sempre più rischiosamente. Chi può manda i figli alla scuola privata, per garantire un’istruzione almeno di base. Le donne hanno tutte il viso imbrattato da un impiastro giallastro: si chiama masoanjony ed è la tradizionale maschera di bellezza che protegge la pelle dal sole e dalle aggressioni esterne. Le verdure usate per questa maschera preservano flessibilità e morbidezza della pelle, con una ricetta preziosa tramandata da madre a figlia.
Mora mora, assaporando intensamente ogni istante malgascio, alla fine arriva anche lei, l’ultima sera, una sera introspettiva, che ci godiamo in spiaggia, lontano dalle luci del resort. Sotto un altro cielo, cascate di stelle sfavillano immense. Come solo un’altra notte in Polinesia, la loro intensità ci illanguidisce il cuore. Pensiamo ai primi impavidi esploratori. Varcare senza saperlo la cintura equatoriale. La notte impenetrabile, senza poter confidare nella luce elettrica, rischiarati se fortunati solo dagli astri celesti. Sotto un cielo sconosciuto, un altro cielo, perdere tutti i riferimenti. Però stasera, sotto questo cielo magnetico, finisco per perdermi anch’io. E il naufragar m’è dolce in questo mare.
Il cielo stellato sopra di me.
E il meraviglioso Madagascar in me.
Laura Gagliardi