Sorprese, imprevisti e trekking in giro per Creta
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Arriviamo all’aeroporto di Chania domenica notte, il tempo di dormire qualche ora nell’unico hotel prenotato dall’Italia e la mattina seguente ritiriamo la macchina noleggiata con Monza car, una piccola compagnia locale.
Lunedì: l’Akrotiri e Chania
Decidiamo di passare la mattina visitando i monasteri della penisola di Akrotiri: a Gouverneto non si può entrare con i pantaloncini corti; cambiarci in macchina ci ha regalato però una sosta all’ombra del patio del monastero, dove il pope sedeva chiacchierando sotto un pergolato; il roseto, il silenzio, i muri giallo ocra e pochissimi turisti ci fanno già intuire che Creta sarà un’isola che si fa scoprire con un po’ di pazienza.
Dal monastero è possibile scendere per un sentiero di ciottoli fino al sacrario di Katholiko, nascosto in una grotta, e poi fino al mare, ma inizia a fare un gran caldo e non abbiamo acqua, così scendiamo per un tratto, capre e cespugli bassi, coline di pietre, erba bruciata e terra rossa, e poi decidiamo di risalire e ripartire per visitare Chania passando per il monastero di Agia Triada di cui però riusciamo a vedere solo la facciata maestosa perché è chiuso.
Chania è stata anche una fortezza veneziana, stradine strette, una moschea e una basilica a distanza di poche decine di metri, il porto con un faro molto bello e ben restaurato, e una gran quantità di piccoli ristornati e localini; giriamo, passeggiamo, e a settembre è ancora pieno di turisti: non immaginiamo che caos possa essere il lungomare a luglio ed agosto.
Beviamo una birra nel parco zoo della città, il locale è una palazzina liberty incredibile, curata, con bagni che ci sembrano arrivare direttamente dall’impero austriaco, e wifi libero grazie al quale prenotiamo una stanza per la notte a Kissamos, 40 km ad ovest. Ripartiamo alle sei di sera, l’appuntamento per la nostra stanza è alle 9, siamo in anticipo e decidiamo di non percorrere l’unica superstrada a scorrimento veloce dell’isola (che collega il litorale nord dell’isola); faremo la statale che costeggia il lungomare. All’altezza di Afrata nel giro di un quarto d’ora si succedono tutti gli imprevisti possibili: sbagliamo strada e finiamo a costeggiare una stradina a picco sulla scogliera, il navigatore si scarica senza riuscire più a riaccendersi, inizia a fare buio e improvvisamente piove, diluvia: saette, tuoni e capre che scappano. E noi foriamo una gomma.
Tiziano la cambia sotto il diluvio e arriviamo a Kissamos dal signor Vassili con un’ora di ritardo, bagnati e infangati, ma lui e sua moglie ci aspettano con biscotti e raki, e ci dicono che quando hai un problema devi bere raki: dopo il terzo sono spariti tutti i pensieri. La stanza che abbiamo affittato non è molto pulita, ma i signori sono gentili e la posizione è perfetta: domani dobbiamo andare a Balos.
Martedì mattina ci svegliamo e partiamo per Balos
Ho letto tanti diari di viaggio e viene descritta come una delle spiagge più belle del Mediterraneo: ed è vero. Il nostro viaggio itinerante è stato bellissimo, ma lo sarebbe stato anche solo rimanendo a Balos. La strada per arrivarci è sterrata e ci vuole un’ora di auto per fare 8 chilometri, e noi abbiamo paura di forare di nuovo, anche perché non abbiamo più gomme di scorta; ci sono anche i traghetti per arrivare, ma io consiglio davvero di fare il piccolo sforzo di andare presto e in modo autonomo, senza essere legati agli orari della nave, che arriva a mezzogiorno e riparte verso le 4. Dopo lo sterrato scendiamo dall’auto con il mal di schiena, ma già il sentiero da percorrere a piedi (mezz’ora di sentiero di sassi, quindi da non fare in infradito! almeno un paio di scarpe da ginnastica ci vogliono) ci fa capire che stiamo scendendo in una cala protetta e particolare. Dal sentiero si apre la vista sulla laguna, rimaniamo immobili a guardare: la laguna dall’alto ha tutte le sfumature dal bianco al turchese scuro; la sabbia è bianca, gli ombrelloni sono di un colore neutro che li confonde nel paesaggio, e la spiaggia è grandissima, selvaggia, ci sono punti in cui l’acqua è cristallina, calda e alta pochissimi centimetri e poi, a poco a poco, diventa più profonda e si può fare il bagno in pozze di acqua tiepida; non c’è ombra praticamente, perché ci sono solo cespugli bassi o massi, e quindi prendiamo a noleggio un ombrellone e due lettini a 5 euro per tutta la giornata; la sera quando percorriamo il sentiero di ritorno non riusciamo a staccare gli occhi dal paesaggio immobile della laguna di Balos. Colline di terra rossa, alle spalle, la spiaggia bianca e il mare turchese.
La sera andiamo a cena a Sfinari, ci sono solo due piccoli ristoranti sulla spiaggia: mangiamo insalata greca, polipo, triglie, mussaka, yogurt; non c’è fretta, ci siamo solo noi e altri 4 turisti; mangiamo, chiacchieriamo, beviamo raki, paghiamo e beviamo altro raki: meravigliosa Creta, lenta e piena di sapori.
Mercoledì partiamo per Elafonissi
È descritta addirittura come una delle spiagge più belle al mondo. Ma la strada principale è chiusa per lavori, e così dei cartelli (molto poco chiari a dire il vero) ci fanno deviare per l’interno, stradine di montagna che passano per paesini in cui il turismo è ancora lontano; ci mettiamo 1 ora mezzo per fare 50 chilometri, ma vediamo paesaggi che non ci aspettiamo: questa parte dell’isola è molto fertile e ricca di acqua, così passiamo per colline terrazzate e coltivate; le costruzioni finalmente sono di pietra bianca, niente più calcestruzzo che abbiamo visto mangiarsi la costa da Chania a Kissamos.
Facciamo una sosta al monastero di Moni Hrissoskalitissa, bianco e a picco sul mare, anche se per più di metà in stato di conservazione scarsa.
Arriviamo finalmente alla mitica Elafonissi, e rimaniamo incredibilmente delusi. La giornata non è bella e inizia ad essere abbastanza nuvoloso, così l’acqua cristallina, la laguna con la sabbia rosa sono in realtà sui toni del grigio; la spiaggia, nonostante la giornata e la bassa stagione, è letteralmente assaltata da ombrelloni, baracchini, asciugamani e musica ad alto volume; decidiamo di attraversare la laguna e arrivare sulla penisola, dove anche qui troviamo gran parte delle calette già occupate. Rimaniamo un po’ sulla spiaggia, delusi di aver fatto tanta strada e di non essere tornati a Balos, a pochi chilometri da dove abbiamo la stanza.
Torniamo indietro e decidiamo di affacciarci sulla spiaggia di Falassarna prevista per il giorno seguente: la spiaggia è larghissima, rossa, attrezzata, campi da volley, ombrelloni e qualche locale: no, domani si va verso il mar libico.
Giovedì mattina partiamo verso il sud-ovest dell’isola
Arriviamo in tarda mattinata ad Hora Sfakion che è soprattutto il punto si sbarco dei traghetti che alla sera arrivano dalle gole di Samarià. All’ora di pranzo invece il silenzio è totale: il borgo si animerà solo dalle sei alle otto di sera, per il resto della giornata è quasi un enorme parcheggio di pullman. Prendiamo il traghetto per Loutro, un piccolo villaggio di pescatori in cui si arriva solo via mare o a piedi; il traghetto è un peschereccio riadattato, e nella mezz’ora di navigazione guardo le colline che finiscono a picco sul mare: qui non c’è più neanche erba secca o arbusti: solo pietre roventi al sole, capre che si riparano all’ombra dei guard rail, e il mar libico blu cobalto; mi rendo conto che non saprei dire se sono ancora in Europa o già in Africa.
Da Loutro, con un paio di scarponcini da trekking, si può tornare a piedi fino Hora Sfakion, 6 km costeggiando le scogliere e passando per delle calette dove ci sono pozze di acque risorgive (la siaggia si Sweetwater beach); lo scopriamo solo da due turisti francesi che conosciamo bevendo una birra dopo un bagno nelle acque trasparenti; non lo sapevamo e ormai abbiamo già preso il biglietto di ritorno con il traghetto, così li guardiamo incamminarsi con invidia mentre noi saliamo in una motonave a più piani affollata di centinaia trekker entusiasti che tornano stanchi dai 16 km delle gole di Samaria.
La sera andiamo a dormire a Polyrizo (una ventina di Km ad est di Hora Skakion); lungo la strada ci fermiamo a Frangokastelo, la fortezza di pietra rossa con il leone di San Marco di fronte al mar Libico.
A Polyrizo andiamo dalla signora Caterina che ha anche una taverna, la Routard la descrive come uno dei posti migliori per mangiare la mussaka: quando arriviamo, senza neanche aver prenotato, la signora Caterina ci accoglie, ci porta in cucina per farci vedere cos’ha preparato; mangiamo agnello in una terrazza di fronte al mare. Ancora una volta siamo in pochi, la località è abbastanza isolata, ma finiamo di nuovo la serata bevendo raki, ringraziando, parlando una commistione di italiano, greco, inglese che ci fa sentire benvenuti anche se non riusciamo a spiegarci bene.
Venerdì mattina verso le gole di Aradena
Decidiamo di percorrere quelle che la guida descrive come le più selvagge; arriviamo ad Anopoli per fare colazione prima del trekking, e nella taverna nel centro del piccolo paese ci sediamo in un tavolo di legno sotto il pergolato di viti; siamo gli unici italiani, gli altri turisti nordeuropei sono perfetti, attrezzati , composti; mi accorgo di come noi due risaltiamo nel nostro essere mediterranei, beviamo caffè espresso e non mangiamo niente di salato, io fumo una sigaretta mentre Tiziano guarda la carta per decidere i sentieri, e così il proprietario continua a fissarci e si avvicina parlando direttamente in italiano: ci chiede dove vogliamo andare e ci spiega quale sentiero prendere, e poi ci chiede come va in Italia, com’è la situazione politica, perché italiani e greci devono trovare una strada in comune.
Da Anopoli proseguiamo in macchina per qualche chilometro fino al ponte di Aradena dove lasciamo l’auto ed entriamo nelle gole; il primo tratto è effettivamente impressionante: non arriva il sole e siamo soli sul fondo di un canyon che durante dall’autunno fino alla primavera è il letto di un torrente che fa defluire l’acqua dai Lefka Ori! Le gole non sono pericolose, ma ci vuole un po’ di attenzione: servono scarpe da trekking, non si percorrono il giorno dopo un temporale per il pericolo di distaccamento di pietre e bisogna fare attenzione se ci sono capre abbarbicate sulle pareti laterali (e ce ne sono sempre) perché potrebbero far cadere sassi.
Man mano però le gole si allargano, incontriamo qualche escursionista con cui condividiamo pezzi di percorso, fino ad sfociare nella Marmara beach, un’altra caletta che si raggiunge solo a piedi o in barca. Ormai il sole è a picco e camminare arrampicandoci nelle pietraie nere è davvero una fatica, è quasi fine settembre e ci sono più di 30 gradi; chissà il caldo africano di luglio e agosto; e allo stesso tempo chissà quanto deve essere bella la primavera, con le giornate che si allungano.
Da Marmara beach risaliamo a Livaniana, dove ci fermiamo all’unica taverna e vediamo la scena che rimarrà sempre nella nostra memoria: sotto un pergolato due anziane signore vestite da perfette trekker parlano e ridono in tedesco con un uomo; la terrazza è sulla collina che sovrasta la costa, e il silenzio è totale, non un auto sulla strada, Livaniana è un borgo abbandonato; l’uomo ci porta dei libri e delle raccolte fotografiche sugli hippy a Matala, e ci racconta che il suoi genitori si sono conosciuti così e che lui è nato lì, che le due signore sono amiche svizzere dei genitori, che vanno a trovarlo da anni; poi accende lo stereo e mette un disco di Leonard Coehn; quando ripartiamo, sentiamo per centinaia di metri solo la musica lenta e delicata che si diffonde nelle colline e nei sentieri di pietra.
Finiamo il nostro giro tornando ad Aradena in 5 ore; abbiamo percorso circa 700 metri di dislivello (con molte soste per il gran caldo), e i sentieri sono abbastanza ben segnati con della vernice sui massi; ma nella zona si possono fare diversi percorsi, quindi prima di partire è meglio chiedere bene informazioni. Ripartiamo verso nord: arriviamo a Eraklio a tarda sera, prima ci fermiamo a di circa 700 metri di dislivello Vrises famosa per miglior yogurt al miele di Creta, ma a noi è piaciuto ovunque lo abbiamo mangiato.
Sabato è dedicata solo ad Eraclio
I due giorni tanto solitari a sud, amplificano la sensazione di caos in città; abbiamo preso una stanza ad Amudara: siamo a cento metri dal mare e non riusciamo a vederlo, perché il lungomare è invaso di palazzi di cemento, locali, birrerie e pizzerie.
Andiamo a visitare il palazzo di Cnosso, e conosciamo Stella, un guida, ”la ragazza del labirinto”: ci racconta che è cresciuta nel palazzo perché era la figlia del guardiano, così negli anni ha assistito ai ritrovamenti ed ai restauri che si sono susseguiti; il palazzo va visitato con una guida, perché è stato in gran parte ricostruito e può sembrare tutto molto artificioso; Stella ci racconta aneddoti personali, scherza in napoletano, risponde a tutte le nostre curiosità e ci spiega bene tutto quello che è stato portato al Museo Archeologico, che visiteremo nel pomeriggio. Di solito non amiamo andare nei musei in vacanza; questo però è piccolo, ed alcuni ritrovamenti del periodo minoico sono incredibili per fattura e conservazione.
Passiamo tutta la giornata ad Eraclio, ma non riusciamo davvero ad appassionarci a nulla: in fondo siamo venuti solo per vedere Cnosso e perché domani si prende l’aereo da qui.
La sera però andiamo a cena da Erganos, tra le tante pizzerie, riusciamo a ritrovare questo piccolo ristorantino frequentato da greci e Creta ci saluta nel migliore dei modi: mangiamo tsazichi, capra in umido, polpette, erbette di montagna, insalata greca, olive, humus….ci portano così tanti piatti che nel tavolo non ci stanno neanche più, e finiamo come sempre con la frutta, lo yogurt e l’immancabile raki. Spendiamo meno di quanto pagheremmo una pizza a casa.
Domenica mattina ripartiamo per l’Italia. Consegniamo la macchina dopo ver percorso 700 km in 6 giorni: ci eravamo promessi una vacanza itinerante, ma volevamo anche riposarci; invece abbiamo girato ogni giorno una città diversa, e sempre con la sensazione che avevamo fatto bene a non rimanere nello stesso posto perché ogni giorno abbiamo scoperto un angolo che non ci aspettavamo.
Torneremo, per vedere la Messara, Lassithi, Festo, la parte orientale.
Al prossimo viaggio!