Sono partita con le scarpe da trekking

Dedicato a chi scappa, dedicato a chi si sente vivo solo portando lo stesso paio di pantaloni per più di una settimana, dedicato a chi fa una carezza sulla testa dei bambini che chiedono l'elemosina, dedicato a chi odia trovare masse di turisti sul proprio cammino, dedicato a chi scappa dalle responsabilità a chi immagina una vita...
Scritto da: Irene Marcarelli
sono partita con le scarpe da trekking
Partenza il: 23/12/2005
Ritorno il: 08/01/2006
Viaggiatori: in gruppo
Dedicato a chi scappa, dedicato a chi si sente vivo solo portando lo stesso paio di pantaloni per più di una settimana, dedicato a chi fa una carezza sulla testa dei bambini che chiedono l’elemosina, dedicato a chi odia trovare masse di turisti sul proprio cammino, dedicato a chi scappa dalle responsabilità a chi immagina una vita avventurosa a chi va a dormire solo per sognare.

Dedicato alle persone gentili, dedicato a chi ti cede il passo e a chi ti dà una mano con i bagagli, dedicato a chiunque si è incontrato una sola volta nella vita ma ci rimane nella testa, dedicato a chi si innamora ogni volta che prende un aereo, dedicato a chi si addormenta in autobus, dedicato a chi beve birra…

dedicato a chi non smette mai di viaggiare.

“Ogni nome è un uomo ed ogni uomo è solo quello che scoprirà inseguendo le distanze dentro sé Quante deviazioni, quali direzioni e quali no Prima di restare in equilibrio per un po’ Sogno un viaggio morbido dentro al mio spirito E vado via, vado via mi vida così sia Sopra un’onda stanca che mi tira su Mentre muovo verso sud Sopra un’onda che mi tira su Rotolando verso sud…” Venerdì 23/12/05 Sono partita con le scarpe da trekking. Volevo le scarpette rosse che ti portano dove desideri, come Dorothy ne “Il mago di Oz” ma le scarpe da trekking rosse non sono ancora state inventate! Il coord mi aveva detto che gli scarponi non erano necessari ma cercavo una scusa per comprare il mio primo paio e questa non potevo perdermela. L’Africa lo meritava. Ma io non la conoscevo l’Africa… Me le son messe venerdì sera nuove di zecca e sono andata in aeroporto dove mi sentivo un po’ sperduta e allora ho pensato a quanto sarebbero state di compagnia le scarpette rosse…Tuttavia quegli scarponi pesanti pesanti mi facevano sentire più forte e tutto sommato erano uno scudo protettivo contro l’ignoto che avevo davanti: l’Africa, un sogno per me che non mi ero mai allontanata di più di 4 ore di volo da casa.

L’aereo è decollato all’una di notte alla volta di Addis Abeba. La notte l’ho passata a chiacchiera con un etiope che sapeva del mondo molto più di quanto io potessi immaginare. Ho anche dormito qualche mezz’oretta qua e là ma avevo caldo e i piedi in fiamme. Cavoli che calde quelle scarpe! All’aeroporto di Addis Abeba ho tolto i pantaloni di pile ed ho messo su quelli di cotone, poi ho bevuto un tè, senza limone, accidenti che triste il tè senza limone…

Ma le scarpe leggere erano rimaste in valigia dunque i miei piedi hanno continuato a ribollire e così durante il volo fino a Nairobi. Non lo avevo considerato ma quel volo mi aveva portato al di là dell’Equatore. Avevo scavalcato “the Line”…

C’erano tante cose che non avevo considerato. Il caldo, il limone, le scarpe, la lunghezza del viaggio…

Sabato 24/12/05 Messo piede sul suolo di Nairobi inizio a respirare un’aria diversa. Fuori c’è un sole cocente, fiori coloratissimi, macchine sgangherate che si ricordano il cippo a Forcella, una luce accecante e la polvere, con la quale ho iniziato a fare amicizia. Fa caldo. Siamo al 23 dicembre ed è estate! Il pulmino che doveva portarci ad Arusha non era poi così male. Mi son seduta vicino ad Adele, prima conoscenza di questa avventura africana. Il resto del gruppo? Siamo 16. Dei volti che non avevo inquadrato ma poco mi importava in quel momento. Perché avevo ancora la mia solitudine a tenermi compagnia e sapevo che nessuno avrebbe potuto alleviarla. Solo l’Africa. Mi aspettavo molto da quella terra. Mi avrebbe deluso? Viaggiavo con la testa fuori dal finestrino e godevo del vento caldo sulla faccia. Sempre più caldo man mano che ci avvicinavamo alla Tanzania…Ma che è? Al confine ho fatto la mia prima figuraccia perché ero l’unica cui mancava il visto. Poi alla prima sosta ho comprato tutti i regalini e mi son tolta il pensiero. Forse presentivo che poco dopo non avrei più avuto lo stesso bisogno di pensare a chi avevo lasciato a casa e ai regalini??? Mah… Siamo arrivati all’hotel di Arusha verso le 19. Ci pareva mill’anni di lanciarci sotto la doccia dopo quasi 24 ore di viaggio. Ho preso la camera con Patty, la mia compagna di tenda, ci siamo lavate e siamo scese per la cena. Leggera, riso bianco, verdure cotte con una salsina speziata e del pollo e patate lesse…Mica lo sapevo che avremmo mangiato quello per i successivi 10 giorni! (Cioè magari, le patate e il pollo sono state poi un lusso…) Poi briefing. Mi sono spaventata. Le notti previste in tenda erano aumentate da 3 a 5 e pareva non ci fosse posto nei lodge. Tutti avevano l’aria un po’ sparuta ma sembrava gente abituata a viaggiare. E poi c’erano varie coppie. Si davano man forte. Dopo cena sono crollata. Patrizia dice che mi son posata sul letto e sono rimasta in quella posizione fino al mattino! E vorrei vedere…

C’è un solo viaggio possibile: quello che facciamo nel nostro mondo interiore.

Non credo che si possa viaggiare di più nel nostro pianeta.

Così come non credo che si viaggi per tornare.

L’uomo non può tornare mai allo stesso punto da cui è partito, perchè, nel frattempo, lui stesso è cambiato. Da sè stessi non si può fuggire.

Tutto quello che siamo lo portiamo con noi nel viaggio.

Portiamo con noi la casa della nostra anima, come fa una tartaruga con la sua corazza. In verità, il viaggio attraverso i paesi del mondo è per l’uomo un viaggio simbolico.

Ovunque vada è la propria anima che sta cercando.

Per questo l’uomo deve poter viaggiare.

A. Tarkowsky Domenica 25/12/05 Peccato che in albergo ci fossero l’albero e le lucine intermittenti. Avrei preferito non pensarci ma poi ho ceduto e, a colazione, ho augurato Buon Natale ai miei compagni di viaggio. Io, che ero partita per saltare a piè pari le feste. Natale. Capodanno. Epifania.

Ho fatto colazione con Danilo. L’unico che si era alzato presto come me. Mi ha consigliato di prendere le uova sode e metterle da parte per il viaggio. Meno male…

Fuori c’erano le jeep che ci aspettavano. Che bello le jeep verdi! Ho sempre sognato di viaggiare su quei bestioni con le ruote così larghe e solcate. Grandiose! Nella jeep con me c’erano Adele, Paola, Patty e Danilo. San Danilo, lo avremmo battezzato di lì a poco per la santa pazienza a stare con quattro femmine piene di manie! Siamo partiti con 3 jeep alla volta del Tarangire. Il nostro primo parco.

Ero esaltata da quel sole e da quella polvere. Lungo la strada i primi Masai, le donne con le ceste sulla testa, i mercati, i villaggi. Mi sembrava tutto molto desolato… Ma non avevo ancora idea di cosa fosse la desolazione… Abbiamo fatto scorta di banane rosse e bananiti, ananas e qualche papaia che abbiamo messo nelle ceste di vimini comprate al mercato.

Ed ecco il parco. Il mio primo game drive. Cosa sarebbe stato? Non ne avevo idea. Non potevo immaginare cosa significasse trovarsi un elefante davanti… Un ELEFANTE!!!! Mio Dio! E le giraffe buffe, dalle zampe esili, le zebre con quelle strisce così precise che convergono nel sederino ?, gli gnu sempre a testa bassa e le gazzelle!!!! Non era la stessa cosa dei documentari. Delle foto degli altri. Dei filmati in tv. No. Lì nella savana c’ero io, in piedi nella jeep, a respirare gli odori ed i colori più intensi del mondo. A sentire i versi degli animali, a guardarli negli occhi! E poi il Tarangire è verdissimo, ricco di vegetazione, alberi e foglie, baobab dai tronchi antichi… La sensazione è bellissima. Di liberazione. Di leggerezza. Mi sentivo a casa. Ero a casa.

Il nostro primo campeggio a Mto Wa Mbo ci ha illusi. Verde, recintato, con i bagni ed il ristorantino. Io poi, unica a sfruttare il letto della stanza che sarebbe dovuta essere del capo! Scusate, perché perdere l’occasione? Ho comunque aiutato Patty a montare la tenda. Però, facile. Una casetta che si tira su in niente! Abbiamo anche fatto un giro per il villaggio, tra le botteghe ed i venditori ambulanti di batik. Un ragazzo mi ha detto che gli piacevo, “ma solo oggi perché è Natale”… però, mi son detta, ho fatto migliaia di km per sentirmi dire che l’amore dura un attimo. Accidenti, lo sapevo già! Allora, dopotutto, non ero in un mondo così diverso dal mio! Il mio cellulare è isolato. Niente auguri di Natale dall’Italia. Si può sopravvivere.

Lunedì 26/12/05 In cammino alla volta del Ngorongoro Crater.

Lungo la strada ci siamo fermati a comprare delle provviste ed una bimba ha intravisto le gallette di mais nella mia borsa. Non ho fatto a tempo a tirarle fuori che già si era avventata su di esse con una violenza inaspettata. Sono rimasta ghiacciata. Un altro piccoletto alto uno schioppo mi ha chiesto money in cambio di una foto. Io non posso capire la realtà di questa gente. Di questi bambini già grandi e consapevoli della durezza della vita. Di queste creature che ne sapevano certo più di me, ingenua buana bianca. Mi son sentita piccola piccola. Infima.

Fa caldo ma loro stanno con le maniche lunghe ed i giubbotti. Dice Patty che quel che tiene il caldo tiene anche il freddo. Poi abbiamo proseguito, a 40 km/h la strada è davvero lunga. Ma quando improvvisamente Karim, il nostro autista, si è fermato per farci ammirare il panorama, ci siamo trovati davanti ad una distesa enorme, mozzafiato. Con binocolo rubato un po’ ad Ade e un po’ a Danilo abbiamo scorto mandrie di bufali e file di elefanti piccoli come dei cespugli. O forse erano cespugli e non lo abbiamo capito? Pareva si muovessero… E di nuovo in jeep verso il camp-site, mentre il cielo si faceva sempre più nero. Così ci ha accolti lo Ngorongoro: fulmini e grandine violentissima che mi hanno fatto fortemente dubitare della mia preparazione in geografia. L’Equatore resta un mistero per me. Ma non era Londra che aveva le 4 stagioni in un giorno???? Arrivati al camp (2400 metri) la pioggia ci ha dato tregua e ci ha fatto piantare le tende. Stavolta non avrei avuto scampo. Uno spiazzo e intorno il nulla. Una baracca e dei bagni con turche in muratura. No recinto. No acqua. Ma la sera era lontana. Ci aspettava il game drive giù nel cratere. E lo sapevo. Lo sapevo già che laggiù mi sarei dimenticata del freddo e della fame e della paura di dormire tra le iene. Paesaggio completamente diverso dal Tarangire, molto più desolato e brullo ma sterminato, potente, silenzioso.

Non abbiamo visto molti animali, la densità non era paragonabile a quella del Tarangire ma verso il pomeriggio è uscito il sole ed il paesaggio si è colorato di quel giallo tipico, una sorta di giallo oro che si alterna a fasce di verde chiaro, verde scuro, azzurro del cielo spruzzato di bianco delle soffici nuvole ormai appaciate. Non credevo ai miei occhi. E mi è dispiaciuto che la mia macchina fotografica non potesse immortalare e rendere quei colori al calare del sole, che stendeva un manto arancione su tutto.

E poi up up up di nuovo al camp, morti di freddo e affamati, dove ci hanno fatto un brodo, del riso e delle verdure e poi alle 19:30 eravamo lì fuori. Niente luce. Niente caldo…Fortuna che c’era una buona compagnia a prendere la birra con me e fortuna che c’era sempre una birra, safari o Kilimangiaro poco importava! Ma alle 21 ci siamo arresi e siamo andati a nanna con la paura del leone e il freddo pungente. E finalmente si son fatte le 6 del mattino…

Martedì 27/12/05 Con la capa un po’ acquosa ma orgogliosa per aver superato la notte ho iniziato a smontare la tenda con Patty e a sgonfiare il mio materassino alto 15 cm che ci avevo messo una vita a gonfiare per metà! Poi, senza colazione, ci siamo ficcati nella jeep alle 7 in direzione Serengeti. Twendi twendi. Che strada ragazzi. Non si può chiamare sterrato. E nemmeno strada! Sballottati come fettine di mela in un frullatore ho avuta la nostalgia dei sampietrini sul motorino!!! E finalmente il parco, con un po’ di mal di testa iniziale, che ci guardavamo ingrugniti come per dire: “il primo che emette un solo suono va in pasto ai leoni!” Parola d’ordine: SILENZIO! Ma bello. Bello bello bello il Serengeti. Un paesaggio molto vario, alberi, radure, cespugli, rocce, colline e centinaia di zebre e bufali, gnu, famiglie di elefanti e tante giraffe di tutte le misure. Ad un certo punto abbiamo visto una leonessa zoppa con un cerchio di avvoltoi sulla testa (!!!!?) e poi un leone un po’ deboluccio, steso sotto un albero, che all’improvviso si è alzato e …Perdindirindina, era zoppo pure lui!!!! Potenza dell’Africa nera e del re della foresta, che poi è una savana… E più di mezzora appostati per vedere il leopardo…Ma tra le foglie sull’albero dove il furbetto si nascondeva, non si intravedeva che una chiazza gialla e nera e qualche baffo dispettoso. Inutile sfidare la natura. Gli animali qui sono discreti, orgogliosi, dignitosi. Non vogliono essere disturbati pur tollerando la nostra presenza. Ma ci guardano con piglio interrogativo o con fiero cipiglio (come dice Snoopy) e ci fanno capire che quella è casa loro, che siamo ospiti, forse, o forse che ci siamo autoinvitati e questo non è molto educato. Un elefante allarga le enormi orecchie per proteggere il figlioletto ma poi capisce che non c’è pericolo e si rilassa, grattandosi il muso sul tronco di un albero. E le giraffe, così buffe e vanitose, che corrono tenendo le zampe dritte (teseche teseche si dice dalle mie parti, cioè tese, mai piegate) e poi le allargano per brucare…Sì, credo siano i miei animaletti preferiti, col manto a chiazze gialle o marroni, e quella faccia un po’ stralunata forse colpa della testa fra le nuvole… ? E la pelle bruciava sotto quel sole nero.

Il nostro camp per quella sera era a Seronera. Ci siamo arrivati alla luce rossa di un tramonto imponente e ci siamo lanciati al gonfiaggio di materassini e al picchettaggio delle tende. Io ho finalmente trovato il modo per ridurre la fatica dei miei bicipiti raccordando il “pompino”, come Patrizia continuava a chiamarlo, all’enorme valvola del mio lettino con lo scotch da pacchi di Danilo!! E vai! Intanto guardavamo le docce autarchiche, dice Paoletta, col “negro” incorporato che versa l’acqua in una specie di grande preservativo di caucciù con il rubinetto alla base. Il tutto in un camerino di tenda in tela. Fantastico! Io però ho rinunciato a servirmene. Ero troppo sconvolta. E poi il tramonto ha lasciato il posto ad un buio stellato che mai avrei immaginato. Troppe e davvero vicine quelle lucine la cui luminosità non era inquinata che da lampi in lontananza, che hanno aggiunto il brivido alla già intensissima sensazione di sconfinatezza che mi dominava. Le stelle mi si rovesciavano addosso e mi sentivo leggera, libera. Il falò che con soddisfazione abbiamo messo su ci ha dato sicurezza; ha spento le stelle ed ha acceso la dimensione umana della realtà e del calore. Karim ha detto che avrebbe pagato 25 mucche per me. Sono rimasta un attimo interdetta ma in seguito ho saputo che ne basterebbero 2 per “comprare” una moglie. Carino no? ? Tra viaggiatori succede, ci si raccontano cose anche intime, tanto non ci si rivedrà mai più. Il paesaggio che scorre lateralmente offre loro un nastro su cui incidere le loro voci narranti, e lo spazio crea la necessaria cassa di risonanza, un sito dove chiudersi filtrando solo ciò che interessa della realtà.

Un sorso di grappa più del dovuto ha fatto il suo e sono crollata in un sonno profondo sul mio bellissimo materassino verde vellutato.

Mercoledì 28/12/05 Ho riaperto gli occhi alle 6.30 con le voci dei miei compagni già tutti svegli e in attività. Non mi pareva vero di aver dormito così pesantemente per 8 ore e mi chiedevo dove fossi e cosa mi aspettasse ma non ero molto lucida. Avevo sognato il Vesuvio che eruttava e io e Iaia che scappavamo. Ho ricordato la grappa ed ho pensato che era stata una buona amica. Poi ho trovato la forza di stendere le zampe fuori dalla tenda e mi son tirata su con una sola idea precisa e ferma in testa: la DOCCIA! Il mio Buongiorno mugugnato agli altri è stato l’unico suono emesso nell’arco di mezzora. L’acqua sulla testa e sul viso, sulle braccia, sui piedi…Mi ha ridato vita. Poi il tè caldo, no lemon, e tutti in jeep verso Lobo. Poco da vedere lungo il tragitto e in poche ore, forse 3, siamo arrivati al nuovo camp. Gonfia e picchetta e poi al villaggio in muratura a prendere una coca e a temporeggiare in attesa del game drive pomeridiano. Lì i babbuini la facevano da padroni, si rincorrevano dispettosi e si intrufolavano in cucina in cerca di cibo, rompendo piatti e bicchieri! BabbooPapà voleva dargliene di santa ragione al Babboofiglio che scappava a coda levata e nessuno ha capito perché!!! Al sole dei rettili ramarro-like viola e fucsia se ne fregavano del resto del mondo. Che strano universo. E che caldo! Qui i bambini ti guardavano timidi dalle porte socchiuse di casa e solo al richiamo delle penne e delle caramelle ci hanno fatto un sorriso.

E poi un safari SPETTACOLARE. Da “WOW”, come dice Patty…I “soliti” – dopo 3 giorni mi ero abituata! – elefanti, giraffe e gnu e poi impala, dick dick, antilopi rosse e finalmente un grande regalo: una famiglia allargata ? di leoni. Mamme leonesse con i cuccioli a spasso da un albero all’altro, il re della savana (scusate ma ‘ndo stà sta foresta??) che schiaccia un sonnellino a pancia all’aria e un piccolo che gli si avvicina per giocare con la sua coda. Lui si infastidisce ed emette un mezzo ruggito intimidatorio, allora il cucciolo si allontana ma di poco e quatto quatto torna all’attacco…Al secondo ruggito stavolta più minaccioso decide di raggiungere gli altri piccoletti per dar fastidio alla mamma pretendendo la pappa. E così lei cede e si stende all’ombra per nutrire una decina di monelli affamati, tra ruggitini e miagolii, una mezzora tale da far dimenticare il giorno, l’anno, la vita. Il sole ti scotta, intorno c’è il silenzio se le jeep sono spente, c’è solo in venticello ed il rumore degli animali. La comunione con la natura è totale e null’altro conta. Solo quel cielo, quel giallo, quel calore, quel suono, il linguaggio potente della natura incontaminata. Mica conta chi sei e cosa fai. Cosa sei? Forse un cuore che batte. Basta.

Stordita riprendo il cammino, non so se gli altri si sentono come me. Ed ecco una vallata con delle giraffe che leccano il sale e si muovono pole pole, piano piano, come se fosse un filmato al rallentatore, una zampa dietro l’altra in una serenità senza fine. E per finire un branco di zebre e gnu, coppia indissolubile perché uno vede bene e l’altro sente bene (tipo o’ zuopp’ e o’ cecato), ci hanno attraversato la strada a decine, in una silenziosa e prolungata migrazione diurna.

Ritorno al camp e cena con il riso bianco, le verdure e l’ananas che io ho mescolato al riso, un pollo ustionato e se non sto male stasera… Il buio è calato, la sigaretta mi è stata rifiutata e sono entrata in tenda per una lunga notte bianca e i rumori del vento e degli animali nelle orecchie e tra le tende…

Continente vivo desaparecido sono qua Sotto un cielo avorio sotto nubi porpora Mille fuochi accesi mille sassi sulla via Mentre un’eco piano da lontano sale su Quaggiù Un pianto lungo secoli che non ti immagini E polvere di polvere…

Sopra un’onda che mi tira su, long way Mentre muovo verso sud…Long way…

Giovedì 29/12/05 Ma si fa fatica a ricordarsi che giorno è! Forse lo faccio solo perchè vorrei che questo viaggio non finisse mai. Dice Kerouac che “Il viaggiatore ha due orologi che non si possono comprare da Tiffany, su un polso il sole, sull’altro la luna, tutti e due i cinturini sono fatti di cielo.” Sveglia presto e partenza veloce senza tè e senza lemon. Eppure mi giravano un po’. Stava diventando dura e volevo un bagno. Mi sono pure sentita male, il mio stomaco ha dato segni di ribellione e le frittelle di farina ed olio mi hanno dato la mazzata finale. Paola mi ha accompagnato al camp e mi sono stesa sotto un albero cercando di dormire un po’ mentre lei lavava le braghe. Poi refrigerio al lodge. Non c’era posto per dormirvi ma ci siam messi sul bordo della piscina, piedi a mollo, abbiamo preso da bere acqua e birra e ci siamo riposati su comode sedie vere. Alle 15 partenza per l’ultimo game drive. Abbiamo visto una leonessa appostarsi per cacciare una gazzella che però è scattata via a favore di vento. Niente da fare, la natura ha le sue preferenze a volte. Ma ero contenta. La tensione di vedere una morte in diretta è calata e tutto è tornato alla calma della savana. La luce era bellissima. I colori intensi, vividi, tanti. Verde chiaro, verde scuro, marrone. Giallo, oro, azzurro, blu. Un arcobaleno in terra. Abbiamo cenato al lodge e poi siamo tornati al camp. Abbiamo acceso un piccolo fuoco perché non c’era vento e poi eravamo soli. Ma dopo poco siamo andati a nanna, con la paura del leone…E c’era. L’hanno sentito ruggire… Quando si viaggia si sperimenta in maniera molto più concreta l’atto della Rinascita. Ci si trova dinanzi a situazioni del tutto nuove, il giorno trascorre più lentamente e, nella maggior parte dei casi, non si comprende la lingua che parlano gli altri. E’ proprio quello che accade a un bambino appena nato dal ventre materno. Con ciò si è costretti a dare molta più importanza alle cose che ti circondano, perchè da esse dipende la sopravvivenza. Si comincia a essere più accessibili agli altri, perchè gli altri ti possono aiutare nelle situazioni difficili. E si accoglie qualsiasi piccolo favore degli dei con grande gioia, come se si trattasse di un episodio da ricordare per il resto della vita. Nello stesso tempo, poiché tutte le cose risultano nuove, se ne scorge solo la bellezza, e ci si sente più felici di essere vivi.

Paulo Coelho Il cammino di Santiago Venerdì 30/12/05 Partenza per Natron. Il capo ci aveva anticipato che sarebbe stato un lungo trasferimento pesante. Bene. Io ci ho messo il carico da 90 perché ho preso il malarone a stomaco vuoto e sono stata preda di forti crampi per diverse ore. Dai vetri della jeep, stesa sul sedile posteriore, ho potuto vedere una leonessa gravida che dopo aver tentennato ci ha attraversato la strada. Il percorso è stato peggio di un rally, nella sabbia che pareva di stare in autolavaggio, abbiamo respirato e mangiato polvere per ore, poi rocce, sassi, greti di fiume, nel mezzo dell’Africa bollente, nel mezzo del nulla e i miei crampi persistevano. A metà via abbiamo visitato un villaggio Masai dove donne e bambini ci hanno cantato delle nenie e hanno saltato un po’ sul posto –sarà il loro ballo tipico?- poi ci hanno mostrato l’interno delle loro capanne di paglia e fango, pelle di animali e letame: strette, buie, piccole. Tanto loro ci passano giusto quelle poche ore di notte. Di giorno le donne vanno a prendere l’acqua a 2 – 3 miglia e gli uomini pascolano le loro mandrie. I bambini sono pastorelli oppure si occupano dei fratellini minori. Le donne hanno quasi tutte la testa rasata o acconciata con treccioline e portano orecchini pesanti che allungano a dismisura il lobo o addirittura lo forano enormemente, collane di perline e bracciali di metallo a spirale che imprigionano tutto il braccio. I Masai si nutrono del sangue dei loro zebù e di latte. Sono alti, magri, sdegnosi. Ma hanno imparato cos’è un turista bianco. E lo tormentano per vendergli i loro monili di perline colorate o farsi fare foto a pagamento, esclusivamente a pagamento. Ed hanno anche imparato che a meno di un dollaro non ti cedono nulla! Capito gli orgogliosi pastori guerrieri? Indossano toghe coloratissime, legate sulla spalla ovviamente sporchissime ma loro non se ne fanno mica un problema…Hakuna matata. Spesso gli abitanti di un luogo e chi viene da fuori hanno difficoltà a trovare un linguaggio comune, poiché ognuno di loro guarda il posto da un’ottica diversa: chi viene da fuori usa un grandangolare, che rimpicciolisce l’immagine ma allarga l’orizzonte, mentre la persona del posto ha sempre usato il teleobiettivo, se non addirittura il telescopio, che ingigantisce i minimi dettagli.

Ma l’esperienza è stata unica. Donne e ragazzine mi hanno circondata per farmi provare le loro collane e cercarne una della misura del mio collo, che mi piacesse. Me ne hanno provate decine, mi ficcavano braccialetti e collari ed io mi lasciavo fare comunicando con sorrisi di apprezzamento se la collana si avvicinava al mio gusto e con smorfie di dissenso se non gradivo. Quando mi hanno involontariamente tirato una ciocca di capelli ho urlato “aja!” e loro sono scoppiate a ridere! Intanto Danilo controllava e scattava fotografie…Ho comprato un bellissimo bracciale che mi ricorderà per sempre questo momento.

Il mal di stomaco andava diminuendo ma il viaggio era ancora lungo. Siamo arrivati al camp di Natron verso le 17 ed io ero stremata. Mi sono stesa sotto un albero in attesa della camomilla che mi è stata prontamente procurata. Poi ho preso un campo tenda per 10 dollari in più e mi son fatta una grande doccia e shampoo!!! Qui c’è tanta acqua, tubi attraversano il verdissimo prato con una pressione esuberante, abbiamo giocato a bagnarci e abbiamo fatto il bucato! Bellissimo! Ho girato un po’ con Paola, Ade e Dani, abbiamo comprato altri monili dalle donne delle bancarelle, preso una birra calda e poi abbiamo cenato…Riso bianco, verdure e pezzetti di carne! ? Calata la notte non c’era altra luce che quella delle lampade a kerosene davanti alla tenda e sono andata a dormire sola soletta in fondo al camping nel mio letto di spugna.

Ogni terra ha un nome ed ogni nome è un fiore dentro me La ragione esplode ed ogni cosa va da sé Mare accarezzami, luna ubriacami Rio, Santiago, Lima, Holguin Buenos Aires, Napoli…

Sabato 31/12/05 Auguri Iaia! Buon 27esimo compleanno, tesoro mio. Non posso farteli oggi perché a nessuno prende il cell. Devo aspettare domani sera che arriviamo ad Arusha. Mi sono svegliata presto per recuperare la mia colazione dalla jeep prima che gli altri partissero alla volta del lago Natron per vedere i fenicotteri rosa. Io son rimasta al camp per recuperare le forze e ho fatto un giro nella bottega di un tizio che voleva vendermi i batik a 25 dollari perché il trasporto da Arusha a Natron faceva lievitare i prezzi notevolmente. Non capiva che conoscevo bene la difficoltà del trasporto fino a quel luogo sperduto ma che il giorno dopo sarei stata ad Arusha e li avrei comprati ad un terzo del suo prezzo! Faceva un caldo umido terribile, le caprette brucavano l’erba e belavano continuamente. Stare sola in quella pace mi ha fatto ricordare che era l’ultimo giorno dell’anno, dell’anno più brutto della mia vita. Fortuna che la ciurma è tornata presto coi suoi racconti, la sua allegria e in regalo una piuma rosa per me. Abbiamo fatto una colazione favolosa con pane tostato, burro e marmellata poi io, Paola e Dani siamo andati al fiume per goderci un po’ di ombra e leggere un po’ o fare il sudoku. Invece sono arrivati dei bambini curiosi in cerca di penne e caramelle. Dei pastorelli bellissimi, sorridenti, con degli occhioni neri profondissimi. Danilo gli ha dato penne e blocchetti, io gli ho fatto barchette di carta e aeroplanini, Paola li ha fatti giocare con la corda e abbiamo fatto tante foto (prima che Danilo facesse volare la sua Nikon nel fiume) che loro ammiravano sorpresi dallo schermo della digitale in cui si riconoscevano! Tra una chiacchiera ed una birra si son fatte le 15 e ci siamo messi in cammino alla volta delle cascate. Altro che arrampicatina! E’ stata una bella scalata di un’oretta tra rocce e guadi di fiume. Finalmente le mie zampe si sono sfogate e la ricompensa dell’acqua ghiacciata delle cascate ha soddisfatto tutti. Grazie alla generosissima Cristina ho trovato il coraggio di lanciarmi tra le rapide (…Scherzo) e poi belli zuppi fradici siamo ridiscesi, carichi di meraviglia e contenti. E’ stato bello anche perché ho sempre trovato una mano tesa ad aiutarmi anche senza bisogno di alzare mai la testa dalla roccia. Tornati al camp abbiamo lavato le scarpe da ginnastica che si sono asciugate in poche ore appese ad un albero! Ci siamo fatti la doccia e verso le 20 eravamo a tavola per il “cenone”…Stavolta invece del riso c’era una bella pasta in bianco scotta (caz, una napoletana sopporta TUTTO tranne che la pasta scotta!) e una carne dal sapore decisamente selvatico (ce l’hanno detto 3 giorni dopo che era la scimmia…!) poi dei ragazzi color cioccolato ci hanno fatto una danza e delle acrobazie (era buio, cavoli, non si vedeva una cippa…) e buona parte dell’allegra compagnia si è ritirata in privata sede. Io, Ade, Paola e Dani siamo rimasti sotto le stelle, al buio, in attesa della mezzanotte…Non che ci interessasse questa mezzanotte ma qualcosa ci ha tenuto lì. Il silenzio, le stelle, i versi degli animali in lontananza, la pace che ci circondava. Tutto sommato eravamo in Africa per un motivo comune: non ci interessava il cotechino, il consumismo e lo champagne. E a me nemmeno questa mezzanotte se non per festeggiare una fine. Ma in compagnia di persone fantastiche tutto cambia e così sono stata serena fino alla mezzanotte africana, di 2 ore più giovane della nostra italiana, con un goccio di grappa ed una sigaretta concessa per l’occasione. Baci ed auguri e siamo andati a nanna, io e Ade che ha dormito con me per cominciare l’anno in compagnia. Buon 2006.

Stamattina non sono di nessuna religione. Il mio dio è il dio dei viandanti. Se si cammina con abbastanza energia probabilmente non si ha bisogno di nessun altro dio.

Bruce Chatwin In Patagonia Domenica 1 Gennaio 2006 Sveglia alle 6 perché sentivamo dei passi fuori dalla tenda. A dire il vero si è anche affacciata una sagoma scura sulla porta. Insomma, nun se po’ dormì! Alle 7 eravamo a colazione con le valigie pronte alla volta di Arusha. Ho messo in testa il cappellino giallo di velo che mi ha regalato Novi. Almeno inizio l’anno con l’abbraccio virtuale ed il pensiero di una persona cara nel cuore. Viaggio di 3 ore e mezza in una cornice fantastica che non ho parole per descrivere. Lo chiamano sterrato. Io direi che non c’è proprio percorso. Ma Karim è in gamba, wow come dice Patty! Il vulcano Ol Doinyo Langai, la montagna sacra ai Masai con una forma di cono perfetto, colline e distese di erba secca e rocce, il cuore della Rift valley. La savana si allontanava. Poi, l’asfalto…L’asfalto dopo una settimana.

Un paio di ore ancora e rieccomi all’hotel di Arusha dove era cominciato il mio sogno. Sì, bello il letto, le lenzuola, la doccia, il bagno, il tè col limone e il pantalone pulito. Ma se ho capito cos’è il mal d’Africa, io ce l’avevo già. Avevo il mal di savana. Cena, birra fredda, chiacchiere in terrazza e nanna. Non ho chiuso occhio. Troppo comodo quel letto. Buon anno nuovo. A tutti.

Lunedì 2 Gennaio 2006 Siamo diventati 12 perché due coppie hanno deciso di andare direttamente a Zanzibar a fare la ricotta in un albergo 5 stelle lusso. Perfetto. Ognuno ha la sua interpretazione del viaggio… Si parte per Marangu, ai piedi del Kilimangiaro, con jeep bianca comoda ma senza Karim… In un paio d’ore siamo al Babylon Lodge, carinissimo residence dove molliamo le valigie per andare ad esplorare la zona. Caldo caldo da morire, coca a volontà e giro per il paesino, nel coloratissimo mercato di frutta, spezie e stoffe, rosso pomodoro, verde bananito, giallo ananas. Ho comprato un telo blu e beige con le antilopi! ? Alle 14 abbiamo incontrato Jimmy la guida che ci ha portati nelle piantagioni alle falde del Kilimangiaro. Piante di tutti i tipi, banane, papaie, cocco, caucciù, caffè, avocado, mango, li abbiam mangiati tutti accompagnati dalla schifosissima birra di banana fermentata. Cascatine, passeggiatina, ritorno con Anochi per mano che non mi mollava più, me lo sarei portato via quel bambino dagli occhi nero pece luminosi come la luna piena… city centre per coca refrigerante. My God, che caldo appiccicoso! Ritorno al lodge, cena e chiacchiere. Paoletta si è messa il vestito nuovo. Io oramai dormivo e giravo con la stessa roba addosso da un pezzo!!!! Sai la puzza… Forse si ricorderanno di me. ? Martedì 3 gennaio 2006 Sveglia alle 5.30 e partenza per Dar es Salaam con bus pubblico. Un assassino. Correva come un matto, sorpassava senza criterio e le prime 5 ore sono state da incubo. Ad un certo punto ha causato un tamponamento di due bus provenienti dalla corsia opposta. A Chalinze ci hanno fermati. L’autista è stato arrestato! Nell’incidente c’erano stati dei feriti e così noi siamo rimasti sotto il sole per 4 ore in attesa che qualcuno ci venisse a raccogliere. Nel frattempo osservavo le scene dei bus che si fermavano al controllo polizia e di tutti i ragazzetti che si fondavano a braccia tese per cercare di vendere ananas e ceste di frutta o uova. Il nostro pulmino privato ci ha portati in 2 ore all’aeroporto di Dar es Salaam dove abbiamo preso l’aeroplanino per Stonetown. Un chesna o non so che ma piccolo piccolo (cavoli, parlo come gli africani, raddoppio tutte le espressioni!) dal quale finalmente ho rivisto il mare! La costa di Zanzibar, l’Oceano Indiano, un tramonto bellissimo, isolette incastonate nel blu… Ed in 20 minuti eravamo a Stonetown, capitale musulmana di Zanzibar, un’atmosfera lontana mille miglia da quella della savana ma profumata e leggera come solo l’aria di mare sa permettere. Barchette a vela, pescherecci in legno scuro…Quale altro regalo ancora mi avrebbe fatto l’Africa? Doccia e cena al Mercury’s. Non lo sapevo che Freddie Mercury fosse nato a Zanzibar e che sua madre fosse africana!!!! E vabbè. Ovviamente la musica dei Queen doveva essere presente in qualche modo. Ci ha tenuto compagnia nella lunga attesa della grigliata di pesce…Un’ora. Hanno impiegato un’ora per portarci da mangiare e noi eravamo letteralmente strinati dalla fame dopo 13 ore di allucinante viaggio e 10 giorni di riso in bianco!!! Aragostina, gamberetti, tonno, seppie e patatine fritte. Abbiamo digerito prima di finire di mangiare e ci siamo concessi anche il vino, io rosso…Tralascio di raccontare l’effetto che ha sortito unito alla stanchezza…Dico solo che vedevo triplo e avevo un caldo boia. Mi sono addormentata come una pera cotta e alle 4 sono stata svegliata dalla preghiera in stereofonia di quei debosciati di musulmani! Cos’e’ pazz! Mercoledì 4 gennaio 2006 Sveglia calma, colazione abbondante e poi giro per Stonetown tra mercati, spezie e vicoli. Il caldo era azzeccosissimo e l’umidità è peggiorata dopo le 3 gocce di pioggia venute giù proprio mentre stavo scegliendo il mio quadretto ad olio con le donnine Masai stilizzate! Infine l’ho comprato dopo aver impietosito Paola per spingerla a contrattare per me. Lo so, sono napoletana, ma non son capace di fare ste cose. In Kenya avevo mollato 40 euro per 3 piattini, 2 tazze e un elefantino… Stonetown è deludente, tenuta malissimo, cadente, fatiscente. Ma gli scorci di mare blu con le barche a vela…Ed i vicoletti intrisi del profumo delle spezie, i negozietti di batik e foulard, tutti quei dipinti ad olio con le donnine masai e le danze, e dammeli per 5 dollari, no 10, no no, 3 se vuoi se no me ne vado, ok 4 dollari ed è tuo, oh no, ho speso troppo, mia sorella si frega… Invece alle spezie ho ceduto. Zenzero, zafferano, chiodi di garofano, cardamomo, coriandolo…Li sapessi usare sarebbe anche più soddisfacente. Vabbè, troverò qualcuno che mi insegna.

Abbiamo fotografato qualche portone intarsiato, un paio di palazzi bianchi e qualche gatto. Ho comprato un cd di musica africana Hakuna Matata, con l’accento sulla a, gli ho mollato altri 5 dollari. Di questo passo il prestito chiesto ad Arturo dovrà rimpinguarsi, cavoli. Alle 14 pulmino per Jambiani. Finalmente via da quell’umidità opprimente e finalmente verso il mare e la spiaggia e la vacanza rilassante che aspettavo da tanto! Cala un sipario e compare un’altra scena. Incredibilmente contrastante con quella precedente. L’Africa è così. Ogni volta che chiudi gli occhi non sai cosa vedrai quando li riaprirai.

Ed io… “ho visto cose che voi umani non potreste nemmeno immaginare….” Questa era la frase che mi veniva continuamente in mente. In realtà chiunque può immaginarle ma viverle e vederle è un’altra cosa. Un villaggio di capanne, sabbia, mucche, galline e dromedari. Poi mare. Smeraldo. Caldo. Jambiani è così. Non c’è altro. La bassa marea ci ha costretti a fare un po’ di traversata nelle sabbie “mobili” scansando i ricci prima di raggiungere l’acqua ma quando poi ci sono arrivata… Marooooo’!!!!!!!! primo bagno al mare in gennaio della mia vita! Che bello!!!! ? bello è dir poco. Divino! Di una soddisfazione unica! In Italia al freddo e al gelo ed io in acqua a nuotare nell’oceano Indiano. WOW!!!! Poi siamo tornati a riva ed abbiamo perlustrato un po’ la zona, la spiaggia, i ristorantini sul mare e le conchiglie. Fatto doccia e asciughino perché il vento saliva ed io iniziavo a rabbrividire e poi abbiamo fatto una passeggiata fino all’estremità della lingua di sabbia che si scorgeva, un bel po’ di cammino. Birra al chiosco di paglia tra i tedeschi e poi di nuovo al bungalow per prepararsi alla cena. Cavolicchio se cucinano bene qui! Polpo al sugo, spinaci e carote, filetto di tonno, panini, tè, marmellata… Ora ricomincio ad ingrassare, vedrai. La serata si è conclusa con un ingrippo. Con Danilo abbiamo fatto un book fotografico ad un raduno di paguri vestiti a festa per la sera e arzilli come grilli. Avranno qualcosa in comune grilli e paguri? Pensierino per la notte…

Ho visto cose che voi umani Non potreste nemmeno immaginare.

Navi da guerra in fiamme al largo dei bastioni di Orione.

I raggi beta balenare al largo delle porte di Tannhausen.

E tutto questo andrà perduto per sempre Come lacrime nella pioggia…

Giovedì 5 gennaio 2006 Mi sono svegliata prestissimo e sono andata diritta in riva al mare per mettere i piedi in acqua. Che gioia vivere così, aprire gli occhi e vedere il mare. E’ tutto quello che vorrei. Sono un po’ malinconica, la partenza è vicina e non mi piace. Ci sono bimbe col velo e bimbi scalzi che vanno a scuola, camminano sulla riva con i quaderni sotto al braccio. Vestiti di blu e bianco. Questa è un’altra dimensione spazio temporale. Non c’è nulla da fare. Osservavo il mondo intorno a me con occhi sconcertati. Pole pole. Si va dai delfini. A Kizimkazi. Il cielo è nuvolo ma fa un caldo boia. Il mare è un po’ birbantello e mi devo tuffare con tanto di salvagente per riprendere un po’ di colore. Dei delfini poco e niente. Ci hanno presi in giro, comparendo qua e là in punti indefiniti, sempre diversi, nuotando velocemente e mostrando solo il dorso argenteo e la pinna. Troppe barche e loro, i delfini, non erano proprio d’accordo ad esibirsi davanti a degli estranei così curiosi. Il nostro barcarolo Giorgio ci ha detto che sono poco socievoli. Li capisco. Io avrei fatto lo stesso. E poi il delfino è un essere superiore, simbolo di fedeltà e di eternità.

Tornati alla spiaggia la marea ha cominciato a calare e noi ci siamo mangiati una grigliata di calamari e gamberoni…Poverini, loro non hanno la felice sorte dei delfini. Ma sono buonissimi! A panza piena abbiamo fatto ritorno a Jambiani e lì, giù sul lettino a farmi fare un massaggio con l’olio di cocco da una donna musulmana mentre le mie membra (!) si rilassavano e si scioglievano piano piano. Pole pole. Mi son stesa al sole ed è arrivato Danilo col lettore cd. La musica! Quanto mi era mancata la musica! Prima i Cranberries e poi Fiorella Mannoia. Ascolta l’infinito e giù 2 lacrime. Ma solo 2, giuro. Questo fa la musica quando ti riporta alla realtà della vita interiore. Perdindirindina, l’avevo messa da parte da un bel pezzo quella e nemmeno me ne ero accorta. Fortuna che la voce del capo mi ha distolta. Voleva fare due chiacchiere e sapere cosa mi era piaciuto di più del viaggio. La savana, ragazzi. Nemmeno a chiederlo. Nemmeno a dirlo! Solo la savana mi aveva fatto sentire a casa. Ancor più del mare. E per chi mi conosce, detto questo ho detto tutto.

La giornata è lunga, anche perché c’è molto da oziare e poco da fare. La passeggiata in riva è durata un paio di ore, ho raccolto e comprato conchiglie per pochi scellini da un vecchio pescatore bruciato dal sole e dal caldo, col sorriso stampato, retaggio della mimica di chi strizza gli occhi per difendersi dalla luce accecante. Birra al Pingo – un must con Dani – e poi cena con dei granchi formato famiglia che non avevo mai visto in vita mia! Enormi, grossi, sensazionali nel senso che mi facevano senso (questa è ridondanza!) e pieni di polpa da perderci la serata a ripulirli! Una goduria, poveretti loro che non sono delfini…Sì, ma son buoni…E vanno giù da Dio col vinello bianco freddo. Non seguire il sentiero già segnato; va invece, dove non vi è alcun sentiero, e lascia una traccia…

Sergio Bambarén Venerdì 6 gennaio 2006 Ultimo giorno di vacanza. Ho fatto incubi tutta la notte e per riprendermi sono andata subito in spiaggia col mio diario. Come diceva Amleto? “Potrei essere confinato in un guscio di noce e sentirmi re di uno spazio infinito se solo non facessi questi brutti sogni…” L’appuntamento era alle 9 per il Reef. Avevo ancora un paio di ore per riprendermi ma poi è arrivata un po’ di pioggia e il tutto è slittato alle 11 circa. La nostra feluca ci ha portati nel vento verso la barriera corallina. Anche stavolta nella mia testa c’era il punto interrogativo. Cosa sarà mai sto Reef? E come devo affrontarlo? Parlano di snorkeling. Certo, è una parola inglese, dovrei sapere cosa significa. Maschera, boccaglio e pinne. Poi testa sott’acqua. Mio Dio. Il silenzio. E un altro mondo. Veloce, vivace, colorato, very busy. E silenzioso. Madonna che silenzio favoloso. Ancora un altro sipario e un’altra scena. Pesci di tutte le forme e di mille colori, coralli, ricci giganti, la trinacria…Me l’ha detto Danilo, col piffero che sapevo cosa fosse! Ci siamo ritornati nel pomeriggio, c’era molta corrente ed ho fatto fatica senza pinne…Ho bevuto l’acqua dell’oceano, ma tanta! Così l’unione con il mare è stata piena e totale. Ritorno alla stanza per la doccia e l’ultima cena. Chiacchiere con tutti e poi valigia…Tutto ritorna dentro per diventare ricordo. Qualcosa l’ho lasciata lungo la strada. Il materassino. Il pantalone di felpa. Quello beige della arrampicata alle cascate. Ma ci sono i regalini. I batik. E le scarpe da trekking. Quelle non entrano. Ma non le lascio in Africa. Devono tornar con me.

La dignità degli elementi La libertà della poesia Al di là dei tradimenti degli uomini È magia, è magia… Sabato 7 gennaio 2006 Accipicchia, si parte per davvero. Ci sono nuvole spesse e il pulmino è fuori che ci aspetta per portarci all’aeroporto di Stonetown. Allaccio le scarpe da trekking e me le metto in spalla. Nel bus faccio girare il diario per le dediche e filmo un po’ il gruppo. Incontriamo un cartello stradale di pericolo attraversamento babbuini. Mi catapulto per fotografarlo e non mi accorgo nemmeno che scendo in strada scalza. Qualcuno se ne accorge e resta stupito. All’aeroporto di Stonetown salutiamo Danilo. Se ne va a Nwungui per l’estensione mare di una settimana. Beato lui. L’aeroplanino piccolo piccolo ci porta via da Zanzi (per gli amici ? ) e a Dar Es Salaam ritroviamo i 4 che si erano staccati ad Arusha. 4 ore lì e volo per Addis Abeba, dove abbiamo ribeccato il gruppo trekking Kenya con cui abbiamo scambiato chiacchiere e liquore al cocco (che di cocco ha il nome!). A mezzanotte imbarco per Roma, per casa, per il freddo, per la realtà. Daitan, Napoli, sister, nipotina, scuola, treni, centri commerciali, spesa, frigo vuoto, acqua frizzante, limone nel tè… Il volo sembrava lunghissimo ed ero stanca, le scarpe sotto il sedile davanti ed i piedi scalzi. Pensavo a tutto, alle cose viste ed alle persone incontrate. E pensavo che nel corso del viaggio di andata avevo sofferto il caldo per via delle scarpe da trekking e non mi era mai venuto in mente, nemmeno per un attimo, che potevo semplicemente toglierle.

Domenica 8 Gennaio.

Arrivo a casa alle 10. Mi sento più sperduta di quando sono partita. Molto di più. Non so proprio che fare, chi chiamare, dove andare. Mi guardo intorno e cerco qualcosa che mi sia familiare. Vedo la mia valigia, piena di terra e sabbia. La apro. E per la prima volta, forte, vero, intenso, penetrante, sento l’odore dell’Africa venir fuori prepotente per farmi sentire a casa.

… Il viaggio non finisce mai. Solo i viaggiatori finiscono. E anche loro possono prolungarsi in memoria, in ricordo, in narrazione. Quando il viaggiatore si è seduto sulla sabbia della spiaggia e ha detto: “non c’è altro da vedere”, sapeva che non era vero. Bisogna vedere quel che non si è visto, vedere di nuovo quel che si è già visto, vedere in primavera quel che si è visto in estate, vedere di giorno quel che si è visto di notte, con il sole dove la prima volta pioveva, vedere le messi verdi, il frutto maturo, la pietra che ha cambiato posto, l’ombra che non c’era. Bisogna ritornare sui passi già dati, per ripeterli, e per tracciarvi a fianco nuovi cammini. Bisogna ricominciare il viaggio. Sempre.



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