Sognando la California: un viaggio on the road alla conquista del West

Un anello (o meglio un 8) da Los Angeles a Los Angeles passando per Las Vegas e i grandi parchi
Scritto da: zainetto75
sognando la california: un viaggio on the road alla conquista del west
Partenza il: 06/08/2011
Ritorno il: 26/08/2011
Viaggiatori: 2
Spesa: 3000 €
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Documentazione

Diari di viaggio prima di tutto. Come guide avevamo la Lonly Planet che però non è entusiasmante. Avevamo anche la DeAgostini che contiene un po’ più foto e piantine, anche se informazioni meno dettagliate. Infine, l’agenzia viaggi ci ha regalato una guida che forse è stata quella più utile, almeno per quanto riguarda le informazioni relative ai parchi. Avevamo anche scaricato parecchia documentazione da internet sia sul sito dei parchi nazionali che sui siti dei vari stati americani che abbiamo visitato. Utah e California ci hanno anche inviato materiale a casa per posta. Onestamente per quanto riguarda i parchi non conviene portarsi dietro niente, tanto all’ingresso c’è sempre un gentile ranger che ti fornisce piantine e mappe aggiornate, talvolta anche in italiano.

Prenotazioni prima di partire

Se andate in agosto vi consigliamo di prenotare tutti gli hotels perchè in alcune zone non c’è molta offerta e sono pienissimi, quindi rischiate di dover fare km prima di trovare una stanza disponibile. Il volo prima riuscite a prenotarlo e meglio è, infatti più si avvicina la data della partenza e più salgono i prezzi. Prenotate la macchina direttamente dal sito internet. Noi abbiamo scelto la ALAMO e ci siamo trovati molto bene. Sono seri, hanno belle macchine, nuove ed abbastanza economiche e prenotando dal sito americano (non quello italiano) abbiamo risparmiato grazie ad una promozione per prenotazioni on-line. Ci sono comode navette che ti portano dall’aeroporto al car-rental, dove sbrigate velocemente alcune formalità burocratiche ti fanno scegliere la macchina che preferisci tra quelle disponibili nella tua categoria. Noi abbiamo scelto un mid-suv, un bellissimo Ford Escape bianco che ci è davvero rimasto nel cuore. Se prendete e riportate la macchina nella stessa località inoltre, l’affitto costa davvero molto meno. Prenotate anche tutte le gite che pensate di fare perchè tante senza prenotazione dall’Italia sono impossibili da prenotare in loco per la lunghissima attesa o perchè sold-out. Una di queste è la visita ad Alcatraz a San Francisco. Noi abbiamo prenotato oltre a quella anche il giro in elicottero sul Grand Canyon e la crociera col battello sul Lake Powell (imperdibile). La visita all’Antelope Canyon invece non serve prenotarla in anticipo (anche perchè gli indiani Navajo che gestiscono il parco non accettano prenotazioni), ma dovete recarvi sul posto alle 8:00 quando aprono e prendere subito il biglietto per l’orario che desiderate. Se non volete andare lì alle 8:00 ma volete partire già con la prenotazione in mano, allora potete prenotare il tour via internet con una delle agenzie di Page sempre gestite da indiani, che però costano di più e sono più scomode perchè invece di andare con la macchina direttamente all’ingresso del parco, devi andare a Page e poi ti portano loro nel parco con le jeep.

Itinerario: Los Angeles – Las Vegas – Grand Canyon/Tusayan – Page/Lake Powell – Monument Valley – Monticello – Moab (Canyonlands/Arches) – Springdale (Zion N.P.) – Bryce Canyon – Las Vegas – Death Valley – Yosemite N.P. – San Francisco – San Simeon – Santa Barbara – Los Angeles.

Il viaggio

SABATO 6 AGOSTO

Il nostro volo parte sabato mattina presto da Milano Malpensa, quindi levataccia notturna, carichiamo in macchina le nostre valigie mezze vuote (in realtà già fin troppo piene) e via per l’aeroporto. Lasciata la macchina nel parcheggio DRA Parking prendiamo il volo American Airlines per NY JFK per fortuna in orario. Gli aerei dell’American Airlines, anche gli intercontinentali sono scandalosi: sedili strettissimi, vecchi, niente tv sui sedili, ma solo qualche sporadico video appeso al soffitto e cuffie a pagamento (2$). Se riuscite volate con altre compagnie ed evitate AA. Arriviamo a NY dopo 9 ore di volo ma il volo per Los Angeles parte da Newark quindi ritiriamo i bagagli, prendiamo lo shuttle che ci porta nel secondo aeroporto newyorkese dove rifacciamo il check-in e dopo altre 6 ore di volo su un aereo anche peggiore (qui anche i pasti sono a pagamento) arriviamo finalmente a LA. Ritiriamo il bagaglio e tramite shuttle andiamo alla ALAMO a prendere il fantastico FORD ESCAPE che sarà il nostro fidato destriero in questo lungo viaggio americano. Arriviamo in hotel, il Ramada Inn Hollywood Universal, che non si chiama più Ramada Inn, che è ormai quasi mezzanotte. La nostra prima cena americana sono biscotti al cioccolato presi dal distributore automatico in corridoio.

DOMENICA 7 AGOSTO

Ci svegliamo abbastanza riposati, fuori è una bella giornata di sole, ma l’aria è fresca, anche più del previsto. Inaspettatamente ci dicono che è inclusa la colazione (secondo Alidays no) quindi ci riempiamo la pancia con una buona e abbondante american breakfast inclusi waffles con sciroppo d’acero, uova, pancetta e brioches.

Partiamo direzione Beverly Hills. Los Angeles sembra una bella città, anche se alcuni quartieri periferici appaiono vecchi e un po’ miseri, ma del resto come in qualsiasi città del mondo. Quando ti avvicini a Beverly Hills, anche prima di vedere il cartello che ne segnala l’ingresso, ti accorgi subito del panorama che cambia attorno a te. Iniziano a spuntare belle case, giardini curati, siepi perfette, prati all’inglese e negozi di famose griffe spesso italiane. Man mano che ci si inoltra nel quartiere le belle case diventano lussuose ed enormi ville e di certo noi non abbiamo nemmeno visto quelle più sfarzose dei divi di Hollywood. Parcheggiamo la macchina e a piedi ci avviamo per la famosissima Rodeo Drive, la strada dello shopping di lusso dove hanno sede tutti i negozi delle case di moda più famose al mondo, da Valentino ad Armani, da Prada a Chanel, da Tiffany a Jimmy Choo. E’ domenica quindi tutti i negozi sono chiusi, ma si respira comunque quel clima da Pretty Woman e con i jeans e le scarpe da ginnastica ci si sente comunque un po’ fuori posto.

Lasciamo Beverly Hills in direzione Hollywood! Parcheggiamo in un parcheggio a pagamento, dove le prime due ore costano due dollari se si fa vidimare il biglietto al centro visitatori. Finalmente eccoci sulla tanto fotografata Walk of Fame, ovvero il marciapiedi delle star di Hollywood. Per terra ci sono infatti le luminose stelle col nome di attori, cantanti, artisti, registi…Ovunque ci sono strani tizi in costume, ravestiti da personaggi famosi tipo Elvis oppure da cartoni animati come Shrek o l’Uomo Ragno che si fanno fotografare con i turisti che sborsano qualche dollaro. Percorrendo il Walk of Fame arriviamo davanti al famoso Chinese Theater nel cui piazzale si trovano le orme dei piedi e delle mani di personaggi famosi. Facciamo le foto di rito, poi ci rechiamo all’ultimo piano del centro commerciale a pochi metri di distanza (che poi sta sopra al parcheggio) da cui si vede in lontananza la scritta HOLLYWOOD sulla collina che domina la città.

Riprendiamo la macchina e andiamo a cercare un punto panoramico da cui vedere la scritta più da vicino. Optiamo per la vista da Mulholland Drive all’Hollywood Bowl Overlook, dove un piccolo parcheggio sulla sinistra permette di arrivare tramite una breve scalinata, in cima ad una collinetta da cui si vede non solo l’Hollywood Sign, ma anche buona parte di Los Angeles, secondo la foschia che c’è. Bisogna comunque avere un buon obiettivo tele per riuscire a tirare la scritta un po’ ingrandita, perchè è comunque abbastanza lontana anche da qui.

Accaldati e anche un po’ affamati partiamo per gli Universal Studios. Senza troppa coda entriamo e parcheggiamo al Jurassic Parking all’ultimo piano, ma un comodo ascensore ci porta dritto al centro dell’area commerciale/alimentare degli Studios. Decidiamo malauguratamente (colpa mia) di non mangiare da Bubba Gump Gamberi, bensì in un fast food dove entriamo in contatto col primo vero hamburger americano così composto: hamburger di carne, formaggio cheddar, pancetta fritta, anelli di cipolla fritti, il tutto schiacciato tra due metà di un panino ed accompagnato da una montagna di patatine fritte. Appena prendiamo in mano l’hamburger inizia a colare tanto olio da riempirne i piatti… una vera zozzeria che ci rimarrà sullo stomaco per tutto il resto della giornata! Finito di mangiare decidiamo di entrare agli Studios veri e propri dove ci sono le attrazioni e le giostre. Sono le 16:30 quindi decidiamo di fare il Front Line Pass che ti permette di saltare le code alle varie attrazioni, per l’ingresso pomeridiano per 99$ a testa poichè il giornaliero ne costerebbe circa 160$. La scelta si rivela azzeccata, soprattutto se non si hanno molte ore a disposizione, meglio non perdere tempo a fare code e poi si hanno anche i posti riservati nelle posizioni migliori per vedere i vari spettacoli. Sugli Studios non vorrei dilungarmi troppo, perchè in realtà sono una specie di Gardaland con attrazioni a tema cinematografico. Davvero molto bello ed avvincente è Water World in cui è stata ricreata parte della scenografia del film e fanno evoluzioni davvero spettacolari sulle moto ad acqua e non solo. E’ carino anche il tour con il trenino che ti porta a gironzolare in mezzo ai capannoni dove girano i films e i telefilms e dove si vedono anche tante ambientazioni di films famosi tipo lo Squalo o la piazza del municipio con l’orologio di Ritorno al Futuro o la strada Misterya Lane dove girano Desperate Houswives. Molto bello davvero King Kong 3D che si vede durante il tour. L’unica pecca è che dura 45 minuti, quindi va via un’ora buona solo per questa attrazione (…se poi devi andare in bagno con una certa urgenza per colpa del maledetto hamburger imbevuto di olio, quei 45 minuti sembrano un’eternità!).

Altre attrazioni che meritano ma che ha fatto solo Marco sono i Simpson, la Mummia e Jurassic Park, ma mi raccomando, quest’ultima attrazione fatela di giorno quando fa ancora caldo e c’è il sole, perchè ne uscirete completamente fradici ed alle nove di sera con il vento freddo non è il massimo della vita. Marco naturalmente l’ha fatta come ultima attrazione della giornata, quindi siamo tornati in macchina a cambiarci e metterci una felpa!

Finiamo la serata passeggiando tra negozi e ristoranti dell’area fuori dagli Studios, poi in tranquillità ce ne torniamo in camera a fare la nanna.

LUNEDì 8 AGOSTO

Dopo la solita abbondante colazione, lasciamo a malincuore Los Angeles, città che a noi è piaciuta molto e che di certo meritava una sosta più lunga. Oggi dobbiamo dirigerci verso nord-est e raggiungere in serata la spettacolare e scintillante Las Vegas! Qui le distanze sono enormi e ci attendono più di 400km per giungere a destinazione, quindi meglio non attendere troppo a lungo e partireeee! Inizialmente avevamo pianificato in mattinata una visita a Downtown per vedere la Walt Disney Concert Hall e anche la nuova cattedrale, El Pueblo, la zona dove è stata fondata Los Angeles con Olvera Street, e Union Station la vecchia stazione dei treni, ma faremmo tutto di corsa senza goderci davvero niente, quindi anche se dispiaciuti decidiamo di lasciare queste attrattive per la prossima volta che torneremo a LA.

Man mano che ci allontaniamo dalla città il paesaggio attorno a noi cambia radicalmente ed i grattacieli e le trafficate autostrade lasciano il posto ad aride distese di terra brulla, punteggiate a tratti da grandi e piccoli alberi chiamati Joshua Tree tipici di queste zone. Sono alberi della famiglia della yucca ma simili a cactus, con grandi rami che si allungano verso il cielo, come le braccia di un uomo in preghiera, da cui deriva il loro nome.

Ce ne sono davvero tantissimi… siamo ai margini del Deserto del Mojave. La temperatura esterna è piuttosto alta e l’idea di avventurarsi a piedi in quelle zone non è molto allettante. Dopo circa un paio d’ore di viaggio arriviamo a Barstow. E qui voi direte: cosa ci sarà mai a Barstow da meritare una sosta?? Qui c’è il primo OUTLET del nostro viaggio (il TANGER OUTLET), quindi decidiamo di fermarci per una “breve” sosta e per mangiare qualcosa. Mai termine “breve sosta” fu più inappropriato di così. La verità è che non eravamo davvero preparati a cosa avremmo trovato. Se tenete ai vostri portafogli e non volete riempire subito intere valigie con vestiti e accessori di ogni genere, non ci andate, non fermatevi e tirate dritto!! Questo outlet è un vero danno per malati di shopping come noi… A parte i negozi di tutte le marche più conosciute (Timberland, Polo Ralf Lauren, Guess, Tommy Hilfiger, Levi’s…) che sapevamo avremmo trovato, quello a cui non eravamo preparati erano i prezzi. Non stiamo parlando di qualche sconto rispetto ai prezzi italiani e di cambio favorevole, stiamo parlando di prezzi da “bancarella al mercato” per abbigliamento originale di marca. Qualche esempio? Scarponcini Timberland a 50$, felpe e maglioni Timberland a 30$, magliette e polo a 15$, pantaloncini a 20$, jeans Levi’s a 25$ e così via…insomma, un paradiso dello shopping.

E’ solo il primo outlet che visitiamo, ma le occasioni sono davvero troppo interessanti per farsele scappare. Entriamo come primo negozio in quello della Timberland e ci rimaniamo per più di due ore, uscendone con enormi sacchetti. Negli altri negozi perdiamo meno tempo, ma alla fine siamo carichi come muli da soma.

In questo outlet i prezzi sono più bassi che negli outlet di Las Vegas, ma soprattutto c’è molta più scelta.

Se siete interessati allo shopping selvaggio quindi questo è il posto che fa per voi, non mancate una sosta.

Fuori fa un caldo torrido e sotto ai portici che collegano i vari negozi ci sono addirittura i vaporizzatori di acqua.

Con le braccia cariche e i portafogli vuoti, ci fermiamo a mangiare un trancio di pizza prima di ripartire per Las Vegas…la città del peccato ci attende!

La vista di Las Vegas con le sue luci scintillanti, nel cielo ormai scuro del crepuscolo fa apparire la città come un’oasi nel deserto. Dopo aver percorso centinaia di km in mezzo al nulla infatti, la vista di tali eccessi appare come un miraggio irreale.

Las Vegas è uno shock, qualcosa che difficilmente si riesce a descrivere…è l’abbondanza, lo sfarzo, l’eccesso di qualsiasi cosa, di luci, di suoni, di colori, di voci. Qui tutto è spettacolare e totalmente finto. Sembra di essere in un enorme luna park che in realtà è una città, ed il fatto che attorno ci sia il deserto, rende il tutto ancora più surreale.

Grazie al preciso navigatore riusciamo a raggiungere il LUXOR, l’hotel che ci ospiterà questa notte. Dal nome capirete facilmente quale sia il tema dominante di questo hotel…Ci accoglie una gigantesca piramide ricoperta di specchi neri, dalla cui punta parte un raggio luminoso visibile fin dallo spazio (così dicono). L’ingresso è sovrastato da un’enorme sfinge e nell’atrio più grande al mondo tutto riporta con la mente ai tempi dei faraoni.

Come moderni Ramses e Nefertiti facciamo il check-in e dopo aver camminato per km riusciamo a raggiungere la nostra bella camera con vista sulla piramide e sulle piscine. Il tempo di una rinfrescata e un cambio d’abito e siamo pronti per affrontare a piedi questa strana ma affascinante città.

Il caldo in strada anche se è già sera è comunque molto forte…sarà per la stanchezza, sarà per il fuso orario o per il fatto che ancora non ci siamo acclimatati, ma boccheggiamo come pesci fuor d’acqua. Comunque partiamo alla conquista di Las Vegas! Ci fermiamo subito a far foto all’Excalibur che è accanto al Luxor. Questo hotel è a forma di castello medioevale e anche l’interno è a tema. Passiamo velocemente al New York che è forse uno dei più spettacolari almeno esternamente. Ci sono la statua della libertà, l’Empire e il ponte di Brooklyn, tutto ricostruito alla perfezione. Entriamo e ne approfittiamo per cenare con il classico hot-dog in pieno stile USA.

Dentro gli hotel sono un po’ tutti uguali a parte l’ambientazione, nel senso che ci sono i casinò, i ristoranti ed i negozi con i souvenirs. Alcuni hotels sono molto belli fuori e più “normali” dentro, mentre altri valgono sia dentro che fuori.

La Strip, cioè la lunghissima via su cui si affacciano gli hotels è tutta un brulicare di gente e non è semplice da percorrere a piedi perchè i marciapiedi sono continuamente interrotti da ponti, sovrapassi, scale e scale mobili per attraversare la strada o anche solo per passare da un hotel a quello accanto.

Questo, aggiunto al fatto di voler vedere tutto, rende la visita molto lenta e le ore passano veloci anche se riusciamo a percorrere solo la prima parte della Strip.

Riusciamo comunque a raggiungere il Bellagio, l’hotel reso celebre dal film Ocean’s Eleven e dalle magnifiche fontane con i giochi di acqua, luci e musica. E’ infatti uno dei posti più affollati della Strip, ma riusciamo comunque a trovare dei buoni posti per goderci lo spettacolo delle fontane e per permettere a Marco di fare un bellissimo filmino.

Siamo stanchi, è mezzanotte e la città in buona parte di spegne. Gli hotel chiudono, gli spettacoli finiscono…rimangono naturalmente aperti i casinò ed i locali notturni dove aspettare l’alba.

Noi decidiamo di tornare in hotel, ma prima di rientrare in camera ci fermiamo a sfidare la fortuna al casinò del Luxor.

Non siamo amanti del gioco d’azzardo e non sappiamo nemmeno bene le regole dei vari giochi, quindi decidiamo di investire un paio di dollari in monetine nelle slot machines…ci divertiamo come bambini, ma naturalmente non vinciamo niente!

MARTEDì 9 AGOSTO

Dopo una veloce colazione in camera con biscotti e muffins comprati allo store dell’hotel (visto che da Starbucks c’era una coda di due ore), riprendiamo il nostro amato fuoristrada e lasciamo Las Vegas senza grandi rimpianti, visto che tra una settimana saremo di ritorno.

Con la luce del sole la città è meno spettacolare, ma questi enormi e stravaganti hotels sono comunque impressionanti. Decidiamo di percorrere tutta la Strip in macchina per fare qualche foto e vedere almeno dall’esterno gli hotel che non siamo riusciti a vedere la sera prima.

Vediamo il Paris, il Cesar Palace, il Venetian, il Flamingo, il Mirage, il Treasure Island e lo Stratosphere con la sua torre altissima che domina tutta la città.

Ci allontaniamo dal centro città e ci dirigiamo al Premium Outlet South per una tappa… stavolta davvero veloce.

Questo outlet è piccolino, non paragonabile a quello di Barstow, tuttavia qualcosa riusciamo a comprare anche qui. Io compro il mio primo paio di Nike a 20 $…

La nostra meta di oggi è il Grand Canyon, quindi vorremmo cercare di arrivare il prima possibile, ma come spesso accade nei nostri viaggi, non è importante solo la meta, ma il viaggio in sè. Al Grand Canyon in fatti ci arriveremo percorrendo niente di meno che un tratto della mitica ROUTE 66.

Lasciamo Las Vegas vedendo solo in lontananza l’imponente Hoover Dam, la grande diga alle porte della città. Il traffico per fortuna è scorrevole e non perdiamo molto tempo. Passata la Hoover Dam si percorre la highway 40 fino a Kingman e poi si esce per entrare nella leggendaria route 66, la famosa strada che collega gli Usa da est a ovest, la tanto nominata Mother Road.

Di per sè è una strada come le altre, ma i paesi che attraversa sembrano essersi fermati, sembrano sospesi nel tempo, sembrano vivere nel passato in un’atmosfera davvero unica.

Arrivati a Kingman ci fermiamo per visitare il museo della Route 66, ma alla fine giriamo solo per il negozio di souvenirs e prendiamo qualche opuscolo informativo. Dall’altro lato della strada colpisce lo sguardo un bellissimo locale anni 50 stile Happy Days dalla luminosa insegna “Mr Dz.” del quale avevamo letto in diversi diari di viaggio.

Entriamo per pranzare e il locale dentro è spettacolare: pavimento a scacchi bianchi e neri, tavoli rossi lucidi come anche i divanetti in simil-pelle e alti sgabelli del bancone con il piede in acciaio cromato. Un jue-box luccicante e perfettamente conservato è appoggiato a una parete, mentre sulla parete opposta svettano due gigantografie di Elvis e Marilin Monroe. Manca solo di veder entrare Fonzie col giubbotto di pelle a dare un pugno al jue-box.

La gentilissima e sorridente cameriera, in stile col resto del locale, ci propone due mega hamburger davvero ottimi accompagnati da una deliziosa cherry coke con tanto di ciliegine candite per me e da una versione fantasiosa della Root Beer con gelato alla vaniglia per Marco. Soddisfatti e con la pancia piena lasciamo dispiaciuti questo piccolo gioiellino e proseguiamo lungo la mitica mother road.

Passiamo i paesi di Seligman e Williams ma non ci fermiamo, sebbene soprattutto quest’ultimo sia probabilmente molto bello e molto in stile western.

Siamo all’ingresso del nostro primo parco nazionale americano, alle porte del mitico Grand Canyon South Rim.

Facciamo la tessera annuale dei parchi, che si rivelerà comoda ed economica (80$) rispetto a dover pagare ogni singolo ingresso di ogni parco che visiteremo. Purtroppo non tutti i parchi sono inclusi, ma la maggior parte sì.

Arriviamo che è già buio e non senza qualche difficoltà raggiungiamo finalmente il nostro alloggio. Si tratta di una spartana camera all’interno di una costruzione completamente di legno all’interno del parco. Si chiama Maswick Lodge ed è stata una fortuna riuscire a trovare una camera almeno per una notte perchè non solo è molto comodo essere già all’interno del parco che visiteremo domani, ma è anche molto caratteristico. Sembra di essere in campeggio in mezzo al bosco e ci si aspetta che da un momento all’altro un grosso orso bussi alla porta della camera per chiedere la merenda.

Ceniamo all’interno del Lodge in quella che viene definita una pizzeria e alla fine la pizza non si rivela nemmeno così tremenda.

MERCOLEDì 10 AGOSTO

Oggi è il giorno della visita al Grand Canyon South Rim. Finalmente vedremo uno dei posti più famosi al mondo e una delle mete principali del nostro viaggio.

All’interno del parco esistono 3 linee di shuttle, la rossa, la verde e la blu, sono navette che passano molto di frequente, ogni 15 minuti circa. Spesso le fermate sono molto affollate, quindi può capitare di dover attendere la navetta successiva, oppure conviene fare a piedi qualche percorso tra un view point ed il successivo, se questo non è troppo lungo o troppo impegnativo.

La linea rossa effettua un round trip (giro circolare) della durata complessiva di 75 minuti (senza le soste), lungo la West Rim Drive, meglio conosciuta come Hermit Road. Questa strada è quella chiusa al transito veicolare, per cui, per vedere i vari viewpoint (qui se ne trovano alcuni tra i più celebri), si deve assolutamente usare la navetta. La partenza della linea rossa è all’altezza del Bright Angel Trailhead (Village Route Transfer) ed infatti noi partiamo proprio da qui.

Questa fermata si raggiunge comodamente a piedi dal nostro Lodge, quindi lasciamo la macchina nel parcheggio e partiamo per il nostro giro. Le fermate sono Trailview Overlook, Maricopa Point, Powell Point, Hopi Point, Mohave Point, The Abyss, Pima Point e Hermits Rest è il capolinea, a questo punto la navetta torna indietro sulla stessa strada, effettuando le soste solo a Mohave e Hopi Point.

Arrivati al bordo del canyon lo spettacolo che appare ai nostri occhi è qualcosa di assolutamente incredibile e indescivibile. La sensazione di immenso e di maestosità di questo luogo lascia senza fiato e non si può spiegare se non lo si vede di persona.

Inutile che vi dica quante migliaia di foto abbiamo fatto a questo capolavoro della natura in ogni ora del giorno, sfruttando i cambiamenti di luce e cercando di immortalare anche il minimo dettaglio, cosa praticamente impossibile. L’unica consolazione è che queste immagini di certo resteranno indelebilmente scolpite nella nostra memoria.

Percorriamo a piedi il sentiero che porta al primo view-point, il Trailview Overlook, che è lungo 1.1 km e che per noi pigroni di città è già più che sufficiente, ma è assolutamente fattibile. E’ un bel sentiero che costeggia il canyon e offre splendidi scorci, talvolta in mezzo a qualche albero che regala un po’ di ombra e sollievo dal sole che ti picchia in testa.

Potrate con voi acqua, un cappellino e scarpe comode. In alcuni view-point ci sono anche le toilettes e fontanelle per fare scorta di acqua, che però ha un saporaccio di cloro.

Percorriamo a piedi anche il tratto da Powell Point a Hopi Point, che sono 500mt circa, ma il resto dei points li raggiungiamo con la navetta.

Da alcuni points si vede bene il fiume Colorado nel fondo valle, che con le sue acque fangose rossastre, talvolta verdognole ha scavato in centinaia di anni questo magico canyon.

Le altezze sono impressionanti, le gole profondissime e si fa davvero fatica a credere che tutto questo sia stato creato dalla forza impetuosa dell’acqua e dall’erosione del vento e della pioggia.

Il giro di questa parte del South Rim termina a Hermits Rest, dove ci sono anche un negozio di souvenirs e un punto di ristoro. Compriamo tramezzini per il pranzo e poi prendiamo la via del ritorno.

Purtroppo non c’era disponibilità di una seconda notte al Lodge, quindi oggi dobbiamo spostarci in un altro hotel a Tusayan, all’ingresso del parco.

La giornata però è ancora lunga e ricca di emozioni. Torniamo a recuperare l’auto, ma non prima di aver fatto ancora qualche sosta lungo il Rim, poi ci dirigiamo verso il piccolo aeroporto, dove ci attende una delle esperienza più emozionanti del nostro viaggio: il giro in elicottero sul Grand Canyon.

Abbiamo prenotato questo tour direttamente dall’Italia con la Papillon perchè ci sono molte richieste e c’era il rischio di non trovare posto. E’ l’ultimo volo della giornata che parte alle 17:00 e dura circa mezz’ora. Abbiamo scelto il giro corto ma l’elicottero figo con il vetro panoramico ed abbiamo pagato un sovrapprezzo per i due posti davanti accanto al pilota.

Non è di sicuro una gita economica, ma è davvero una grande emozione vedere l’intero Gran Canyon dall’alto, South e North Rim. Quando l’elicottero entra nel Canyon sembra di essere catapultati in un’altra dimensione. Inoltre in cuffia una guida in italiano racconta la storia del Canyon e le sue particolarità, completando il tutto con musiche suggestive che rendono davvero unica questa esperienza. E’ sicuramente il modo migliore per vedere anche il North Rim, soprattutto se si ha poco tempo a disposizione e non si riesce ad andarci con la macchina.

Finito il giro in elicottero (che in realtà abbiamo anche rischiato di saltare perchè fino a poco prima aveva fatto un bel temporale e c’era rischio di fulmini, ma poi per fortuna le nubi si sono diradate poco prima della partenza) decidiamo di goderci fino all’ultimo istante di questa fantastica giornata ed andiamo ad ammirare il tramonto da Yaki Point, uno dei posti migliori per godersi gli ultimi raggi di sole in questo scenario meraviglioso.

Arriviamo e naturalmente i fotografi sono tutti in cerca del posto migliore per fare le foto. Marco si apposta col suo cavalletto in una buona posizione ed io mi siedo alle sue spalle su una gradinata a godermi lo spettacolo.

Descrivere i colori delle rocce al tramonto è assolutamente impossibile. Nemmeno guardare le bellissime foto di Marco rende bene l’idea. Ogni minuto qualcosa cambia, talvolta anche solo impercettibilmente, ma poco a poco tutte le tonalità dei rossi, ocra, marroni e infine del viola tingono le pareti rocciose del canyon ed avvolgono tutto in una luce quasi mistica ed in un silenzio reverenziale, interrotto solo dai click delle macchine fotografiche. Ancora una volta restiamo senza parole.

Quando ormai la luce del giorno ci abbandona, torniamo al parcheggio e prendiamo la macchina per dirigerci al Best Western Hotel di Tusayan.

E’ un hotel carino, la nostra camera è a piano terra con il parcheggio di fronte alla porta. Tusayan più che una cittadina è un agglomerato di hotels, negozi e ristoranti all’ingresso del parco.

Ceniamo in una vera steak house in tipico stile western, a cui mancavano solo i cavalli legati al palo fuori dal locale. Marco si concede una gigantesca bisteccona e io vado di costine alla brace, che ci portano accompagnate da patate al forno, pannocchie alla brace, salse varie e zuppa di fagioli. Mangiamo davvero benissimo e usciamo praticamente rotolando. Adoro il WEST!

GIOVEDì 11 AGOSTO

Oggi visiteremo la parte del South Rim che ci manca, ma che si può fare in macchina, percorrendo la strada che esce dal parco ad est, direzione Page. E’ la Desert View Drive. Partendo dal Grand Canyon Village, si incontrano in successione Grandview Point, Moran Point, Lipan Point (il punto di vista più largo), Navajo Point e soprattutto Desert View, il miglior vista point in assoluto del versante sud, soprattutto perché offre una vista molto ampia e dall’alto.

Anche questa parte del Grand Canyon è davvero molto bella, tanto quanto quella vista ieri, ma percorrendo la strada tra i vari point con la propria auto, il tempo per la visita è decisamente più breve rispetto a quello impiegato prendendo lo shuttle. A Desert View c’è un bel centro/museo con tanto di torre panoramica da cui si gode una vista eccellente sul canyon.

Decisamente dispiaciuti di lasciare questo luogo meraviglioso, siamo però costretti a riprendere la macchina e proseguire il nostro viaggio verso il Lake Powell.

Usciti dal parco, lungo la strada panoramica ci sono un sacco di punti dove varrebbe la pena fermarsi, ma non riusciamo a farli tutti, perchè ci vorrebbe una giornata di 48 ore. Ci fermiamo però in uno spiazzo dove ci sono oltre ad un bel paesaggio, anche delle bancarelle di indiani Navajo che vendono un po’ dei loro manufatti.

Non posso fare a meno di comprare una collanina con un ciondolo a forma di dreamcatcher (acchiappasogni)… il mio primo souvenir indiano e ne approfittiamo per rubare una foto alla timida venditrice.

La strada verso Page è meravigliosa e ci sono diversi tratti di “scenic drive”, in cui la strada diventa panoramica e svela paesaggi imperdibili. Qui davvero ci si sente immersi nell’atmosfera magica degli indiani d’America e sembra da un momento all’altro di veder spuntare sulla cima delle montagne rosse, qualche guerriero Navajo a cavallo con arco, frecce e piume in testa.

Arriviamo a Page senza troppi indugi poichè abbiamo un appuntamento con il Canyon Adventure Boat Tour. Passiamo velocemente in camera al motel Super 8 e poi ci dirigiamo alla Marina del Lake Powell.

Passiamo la Glen Canyon Dam, la diga sul Colorado che forma il Lake Powell, paghiamo l’ingresso ed entriamo nel parco.

Il paesaggio è stupefacente, unico al mondo: il blu/azzurro del lago, il rosso/arancio delle montagne ed ancora l’azzurro del cielo, sono talmente belli che non si possono descrivere con semplici parole.

So di essere ripetitiva nelle descrizioni, ma è la pura realtà. Tutti questi posti visti finora sono stupendi, bellissimi, da togliere il fiato e anche quelli che vedremo poi non saranno da meno.

In questo viaggio è difficile trovare qualcosa che ci sia piaciuto poco o meno di qualcos’altro. E’ una classifica senza secondo posto perchè tutto è sul gradino più alto del podio.

Dal Lake Powell & Marina Resort partono tutti i giorni delle mini crociere sul lago della durata di un paio d’ore. Anche queste vanno tassativamente prenotate dall’Italia sul sito dell’hotel. Avremmo voluto fare la crociera con annessa la cena, ma non c’era già più posto, quindi abbiamo fatto l’ultima crociera della giornata, quella delle 16:00. Teoricamente dovevamo dormire in questo Resort, ma la camera inizialmente disponibile, è poi svanita nel nulla in fase di conferma prenotazione ed abbiamo dovuto ripiegare sul motel Super8 ringraziando che avessero posto almeno 1 notte.

La crociera è fantastica, bellissima, emozionante. La barca, un grosso yacht su due piani, passa con estrema leggerezza e precisione millimetrica tra le pareti dei canyon (il Glen Canyon, il Navajo Canyon e l’Antelope Canyon), talmente vicino che si riescono quasi a sfiorare con la mano. Anche in questo caso viene data un’audioguida in italiano che racconta la storia del luogo ed aiuta ad immergersi senza alcuna difficolta, nella magica atmosfera di una terra popolata da indiani e cow-boys, regno di mitici personaggi e antiche leggende. Il giro comprende un’escursione attraverso il tortuoso Antelope Canyon e una vista dal basso dell’imponente Glen Canyon Dam. Ma il punto culminante è il Navajo Canyon. La leggenda del popolo Navajo dice che i colori delle pareti sono stati costituiti dall’anima di un mostro ucciso in questa regione. Non meno emozionanti sono i “mesa” e “butte”, formazioni di roccia rossa larghe e squadrate (mesa) oppure strette e più appuntite (butte).

Il tempo scorre fin troppo veloce come al solito e in un batter di ciglia anche la nostra mini crociera è finita.

Prima di tornare in hotel però decidiamo di goderci ancora una volta il tramonto, questa sera però con il sole che infiamma le formazioni rocciose che si specchiano nell’azzurro del lago.

Ceniamo in una steak house di Page senza infamia e senza lode, giusto da riempirsi la pancia prima di andare a dormire.

VENERDì 12 AGOSTO

La giornata di oggi prevede un sacco di posti da visitare e tanti km da fare quindi ci alziamo alle 7:00 per sfruttare al meglio il tempo a disposizione, che è sempre troppo poco.

Inoltre dobbiamo andare a prenotare la visita all’Antelope Canyon perchè non lo abbiamo fatto dall’Italia e ora non sappiamo se riusciremo ad andare, ma ci dispiacerebbe davvero moltissimo perdere uno di quelli che dicono essere un luogo davvero spettacolare e magico.

Facciamo colazione in hotel e poi via verso l’Antelope. In pratica si arriva davanti ad uno spiazzo di terra polverosa recintato, dove si trovano due casupole di legno, una all’ingresso dove si paga l’entrata al canyon, che è nella riserva dei Navajo e quindi non è incluso nella tessera dei parchi, l’altra dove si effettua la prenotazione dei tour e si pagano i biglietti.

C’è qualche auto già in coda in attesa che aprano i cancelli, ma tutto sommato in pochi minuti siamo dentro.

Avevano ragione, non serve prenotare dall’Italia, i posti per i tour ci sono, basta arrivare al mattino presto, si prendono i biglietti e poi si torna lì all’orario prescelto.

Decidiamo di fare il tour fotografico di due ore, che parte alle 11:00. E’ l’orario migliore per visitare l’Antelope Canyon perchè è il momento della giornata in cui il sole è perpendicolare alla terra e filtra dal soffitto di roccia delle gallerie del canyon creando spettacolari giochi di luce. Purtroppo è anche quello più richiesto e quindi più affollato.

Prima della partenza del tour abbiamo due ore di tempo, che decidiamo di spendere per visitare un’altra meraviglia del posto, l’Horseshoe Bend, la famosa ansa del Colorado a forma di ferro di cavallo. Si trova 5 miglia a sud di Page, lungo la Hwy 89, c’è un piccolo spiazzo dove lasciare l’auto, poi si deve camminare lungo un sentiero sterrato in parte sabbioso per circa venti minuti. Dal parcheggio si deve prima scalare una collinetta di sabbia, poi la discesa fino al ciglio del precipizio. Per noi bradipi cittadini è stato faticoso, anche perchè faceva un caldo tremendo, malgrado fossero solo le 8:30 del mattino, comunque è una cosa fattibile e lo spettacolo ripaga della fatica. La vista è spettacolare, il fiume Colorado dalle acque verde smeraldo in questo punto forma un’ansa a ferro di cavallo creando un paesaggio spettacolare, perchè tutto attorno ci sono pareti di roccia rossa altissime che incorniciano il fiume che scorre sul fondo del canyon. State attenti però, perchè per fare delle belle foto bisogna avvicinarsi molto al precipizio dove non c’è nessuna protezione, nè ringhiera. Forse il modo migliore per fare le foto è sdraiarsi sulla pancia ed arrivare fino al bordo del canyon, così non si rischia di perdere l’equilibrio e cadere di sotto.

Le foto che abbiamo fatto comunque sono splendide, grazie anche al fisheye di Marco che permette di immortalare questo luogo in tutto il suo splendore quasi a 360° e al mio “coraggio” per essermi spinta fin sull’orlo del precipizio (ma mai in pericolo, perchè saldamente tenuta per la cintura da mio marito).

Tornati al parcheggio ci svuotiamo le scarpe dalla sabbia e ripartiamo per l’avventura del tour nell’Antelope.

Il tour fotografico consiste nel mettere insieme 5/6 persone appassionate di fotografia che dotate di cavalletto e attrezzatura varia possano fare spettacolari foto ad un spettacolare canyon prendendosi il tempo necessario e aspettando che la gente si tolga di mezzo. Ci fano salire su un fuoristrada chiuso, anzichè sui furgoni telonati dove vanno gli altri turisti, per evitare che le macchine fotografiche si riempiano di polvere e la nostra guida navajo ci porta fino all’imboccatura del canyon, che in realtà è una spaccatura nella parete rocciosa.

L’Antelope è costituito da un labirinto di corridoi scavati dall’acqua all’interno di una collinetta rocciosa alta circa una ventina di metri. All’interno dell’Antelope Canyon l’atmosfera è veramente surreale. C’è un continuo gioco di luci e ombre. Il chiarore del sole è visibile solo nella piccola fessura sul soffitto che a tratti s’intravvede una decina di metri sopra di noi. Più in basso la roccia “gioca” con la luce, creando effetti difficili da descrivere.

Le pareti di roccia bruna modellate dall’acqua ed illuminate da questi spot di luce dall’alto, assumono forme e colori incredibili, dando quasi la sensazione che la parete rocciosa assuma la consistenza di un tendaggio di seta impalpabile mosso dal vento. Le guide navajo hanno l’abitudine di tirare in alto la sabbia per mettere in rilievo i raggi di sole: fate attenzione alle macchine fotografiche, cercate di non cambiare spesso le lenti e magari portatevi una pompetta per soffiare via i granelli di polvere. Lo spazio all’interno dei cunicoli è davvero ristretto e la quantità di gente presente non rende facile riuscire a godersi questo luogo magico come meriterebbe. La nostra guida fa di tutto per permettere ai fotografi di avere campo visivo libero e dà consigli su cosa fotografare e come.

Io che non sono una fotografa, ma ho seguito mio marito in questo tour, sono sempre rimasta un po’ a margine e dopo un po’, per quando bello fosse il luogo, mi sono abbastanza annoiata. Inoltre, mentre altre guide raccontavano aneddoti e leggende navajo, la nostra si limitava a dare consigli per i fotografi sulla luce, la posizione, l’esposizione…quindi il mio consiglio è questo: se non siete entrambi appassionati di fotografia, fate due tour separati, ve lo godrete di più entrambi e risparmierete qualche soldino, visto che il tour fotografico essendo più lungo costa anche di più.

Alle 13:00 siamo fuori, soddisfatti, ma impolverati ed accaldati, quindi prima di metterci in viaggio decidiamo di dare un ultimo saluto al Lake Powell concedendoci un fantastico e indimenticabile bagno nel Colorado.

Cerchiamo una delle spiaggette balneabili con accesso al lago e in men che non si dica ci tuffiamo in acqua. Sarà il caldo esterno, sarà il verde dell’acqua, l’azzurro del cielo o il rosso delle formazioni rocciose che fanno da cornice a questo luogo incantato, ma è stato forse il bagno che più mi sono goduta in vita mia (non considerando quelli in Polinesia, perché la laguna di Maupiti non ha eguali al mondo).

Questo posto meriterebbe davvero almeno una settimana di soggiorno, magari affittando una house-boat che qui va tanto di moda.

Di malavoglia usciamo dal tiepido ma rinfrescante abbraccio dell’acqua, ci asciughiamo e risaliamo in macchina. Prima di metterci in strada però ci fermiamo ad un distributore a fare benzina e mangiare un hot-dog.

Con la pancia quasi piena partiamo per raggiungere un’altra delle mete mitiche di questo viaggio: la Monument Valley.

Da Page ci vogliono circa due ore, la strada scorre veloce nel nulla con panorami sempre molto affascinanti. Man mano che ci si avvicina alla Monument si vedono isolate formazioni rocciose che fanno pensare di essere vicini alla meta. All’entrata del parco si pagano 5$ a persona per l’ingresso (qui non vale la tessera annuale dei parchi dato che è gestito dagli indiani). Le famose formazioni rocciose si vedono anche dalla strada che costeggia la valle ma è impensabile non entrare.

E’ vero quello che dicono della Monument Valley e cioè che fa davvero impressione quando la si vede apparire da lontano, in fondo all’interminabile e drittissima strada in mezzo al deserto, però per quanto mi riguarda, anche da vicino è comunque un luogo emozionante.

Grazie al nostro favoloso fuoristrada non abbiamo problemi ad intraprendere la strada sterrata che passa in mezzo a mesa e buttes. Il percorso è lungo 17 miglia con una serie di view point tutti segnalati sulla mappa che danno all’ingresso. In generale tutti i point meritano una sosta in modo tale da ammirare questo spettacolo della natura da tutte le angolazioni possibili. Noi alcuni view point li abbiamo fatti più velocemente, senza scendere dalla macchina, ma solo facendo foto dal finestrino, mentre ad altri abbiamo dedicato più tempo e siamo scesi. Al John Ford Point c’è qualche bancarella con gli indiani e un improbabile John Ford in divisa e a cavallo che si fa fotografare e se volete, pagando, vi fa anche salire sul cavallo.

I colori della Monument al tramonto si fanno molto più intensi e diventa tutto di colore rosso fuoco, quindi se potete cercate di rimanere fino a quell’ora perchè godrete di uno spettacolo indimenticabile.

Qui sembra davvero di essere in un film western e se si presta attenzione forse da qualche parte si riesce anche a scorgere Tex Willer o Geronimo in sella ai loro cavalli che dall’alto di qualche formazione rocciosa dominano la vallata.

Sono luoghi mitici che chissà quante volte da bambini abbiamo sognato di visitare assieme ai nostri eroi. Ora ci siamo dentro e questo ci porta a vivere grandi emozioni.

Purtroppo tutti i sogni, anche quelli più belli, prima o poi hanno una fine e così anche noi, che oltretutto abbiamo anche perso un’ora entrando nello Utah perché non hanno l’ora legale, dobbiamo tornare alla macchina e fare quasi 200 km prima di arrivare al nostro hotel a Monticello (non Brianza naturalmente), visto che in tutta l’area della Monument non siamo riusciti a trovare una camera libera.

Il sole è ormai tramontato, ma la Monument non perde il suo fascino nemmeno di notte, quando le sagome delle montagne sono illuminate dal chiarore della luna. Manca il coyote che ulula ed il quadro sarebbe perfetto!

Proseguiamo spediti ma non troppo, perchè ogni tanto dai margini della strada buia sbucano cervi e altri animaletti, che vorremmo evitare di spiaccicare sull’asfalto o di trovarci sul cofano del fuoristrada.

Arriviamo finalmente a Monticello, all’hotel Inn At The Canyons, che sono ormai le 22:00 e qui l’amara sorpresa: non esiste una camera prenotata a nostro nome e l’hotel è al completo. Ma io ho il voucher e il pagamento è stato fatto anticipatamente tramite l’agenzia, come è possibile? Niente da fare, la direttrice dice che lei questa agenzia non l’ha mai sentita e ci deve essere un errore. Naturalmente chiamiamo il numero di telefono scritto sul voucher ma a quest’ora non risponde nessuno. Per fortuna un motel lì vicino, il Canyonland Motor Inn, ha delle camere disponibili, quindi un po’ incavolati decidiamo di andare a dormire lì. Sembra il motel di Psycho…vecchio, ma pulito e almeno non dobbiamo dormire il macchina. Scrivo subito una mail di fuoco a quelli dell’agenzia pregandoli di chiarire il problema con Alidays e soprattutto di farci avere immediatamente il rimborso dei 115 euro pagati in anticipo e di verificare che le restanti prenotazioni siano tutte esistenti e confermate.

Ceniamo con dei sandwich comprati al distibutore di benzina e finalmente ci mettiamo a letto.

SABATO 13 AGOSTO

Dormiamo fino alle 9:00 e dopo aver fatto colazione in macchina con tè e cioccolata, muffins e biscotti, comprati in una specie di Starbucks locale, alle 10:00 siamo pronti a partire per Moab.

Anche oggi la giornata è piena di appuntamenti ed abbiamo ben tre parchi da visitare: Canyonlands, Dead Horse Park e Arches N.P.

Attraversiamo Moab senza fermarci, tanto ci torneremo questa sera e ci sentiamo catapultati nel vecchio west.

Peccato che ci siano le macchine al posto dei cavalli, altrimenti lo spettacolo sarebbe perfetto.

Il primo parco che visitiamo è Canyonlands. Canyonlands è divisa in tre zone, ognuna delle quali viene denominata a seconda del suo unico paesaggio: Island in the Sky “Isola nel Cielo,” The Needles “Le Punte” e The Maze “Il Labirinto.” Island in the Sky si estende a nord tra i due fiumi Green e Colorado, ed è come una torre di osservazione dalla quale si possono vedere le altre due zone. Da varie parti dell’Island in the Sky è possibile osservare anche zone al di fuori del parco. La vista che va dalle LaSal Mountains “Montagne LaSal” ad est, alle Henry Mountains “Montagne Henry” ad ovest e si estende per circa un quarto dell’intero Stato dello Utah è spettacolare!

Noi ci dedichiamo ad Island in the Sky perchè non c’è abbastanza tempo per fare anche le altre due aree.

Questo è un deserto roccioso nel cuore dell’altopiano del Colorado. Acqua e gravità sono stati i principali architetti di questa terra, ritagliando strati uniformi di roccia sedentaria in centinaia di canyon, mesa, butte, archi e guglie. Questo è il regno di cowboys e indiani, degli esploratori dei fiumi e dei cercatori di uranio.

All’ingresso c’è il visitor center dei ranger dove però c’è solo un negozio di souvenirs, le toilette e un distributore di bevande, ma niente da mangiare.

Proseguiamo e ci fermiamo per vedere il famoso Mesa Arch che è un arco in pietra spettacolare e gigantesco alle cui spalle c’è un paesaggio mozzafiato. L’arco non è visibile dalla strada e per arrivarci bisogna fare un sentiero ben segnalato di circa 20 minuti a piedi. Non perdetelo perché è stupendo!

Si prosegue poi per Grand View Point che è il punto panoramico più a sud del parco, da cui come dice il nome, si gode di una vista davvero magnifica e ampia di tutta la zona.

Torniamo indietro ed usciamo dal parco, per andare a visitare il Dead Horse Point State Park, che essendo un parco statale e non nazionale, si paga a parte e non rientra nella tessera dei parchi.

E’ un piccolo parco poco conosciuto, ma con una delle viste più belle sul fiume Colorado. Molti non lo sanno, ma è proprio qui che è stata girata la famosissima scena finale del film Thelma e Louise in cui si lanciano con l’auto nel vuoto, saltando dalla cima di un altopiano.

Non ci perdiamo comunque troppo, giusto il tempo di mangiare due pacchetti di crackers, fare un po’ di foto e via verso Arches.

La cosa comoda è che questi parchi sono tutti abbastanza vicini, quindi non si perde tempo nei trasferimenti.

Arches National Park, è un parco nazionale dove centinaia di archi naturali sono stati scolpiti dal vento. Appena entrati nel parco subito dopo il visitor center, il primo sito che si incontra è Park Avenue dove, le rocce rosse e sedimentate nel corso dei millenni grazie al sale di origine marina, nonché scolpite dagli eventi atmosferici, sono alte ed imponenti come i grattacieli di New York. Altri punti interessanti sono il Petrified Dunes Viewpoint, dove è possibile ammirare le dune pietrificate, la famosa Balanced Rock, un’enorme pietra in bilico su un’altra pietra, il Double Arch, le Windows e il Turret Arch. Tutti questi archi possono essere visti in lontananza, oppure raggiunti tramite percorsi più o meno lunghi e più o meno impegnativi. Tutto dipende da quanto tempo avete a disposizione e da quanto siete allenati a camminare.

Altro punto da non perdere è il Delicate Arch Viewpoint, da dove è possibile vedere in lontananza il Delicate Arch, uno dei simboli del parco.

Siamo ormai prossimi al tramonto, che come sempre è molto suggestivo se ammirato in questi luoghi magici dalle fiammanti rocce rosse. Decidiamo di percorrere un pezzetto del Devils Garden Trailhead, l’interessante sentiero che porta al Devils Garden. Dicono sia molto bella la parte del sentiero fino al famoso Landscape Arch (3,2 km a/r; circa 60 minuti), il più grande arco del parco e il più grande arco naturale del mondo (88,42 metri d’ampiezza), ma il tempo a nostra disposizione scarseggia e non è consigliabile intraprendere un sentiero di un’ora di cammino facendosi sorprendere dal buio prima di essere di ritorno. I sentieri spesso sono pianeggianti, ma a volte diventano ripidi e si inerpicano su rocce lisce o friabili che richiedono molta attenzione. Inoltre essendo un parco naturale, c’è la possibilità di incrociare leoni di montagna…quindi meglio fare le passeggiate con la luce del sole. Lungo questo sentiero, prima di arrivare al Landscape Arch, s’incontrano con brevi deviazioni il Tunnel Arch e il Pine Tree Arch. Oltre il Landscape Arch il sentiero continua, ma diventa più impervio, si possono comunque visitare il Wall Arch, il Partition Arch, il Navajo Arch, il Double O Arch e il Dark Angel, ma se decidete di percorrere tutto il sentiero, la lunghezza è di 7,2 km a/r e si impiegano circa 4 ore a/r. Come già detto, noi ne percorriamo solo un breve tratto iniziale e prima che cali il buio siamo di ritorno alla macchina.

Usciamo dal parco molto lentamente perchè c’è una bella quantità di auto lungo la strada che conduce all’uscita, ma anche perchè ci vogliamo godere fino all’ultimo questo bellissimo parco.

Arriviamo in breve a Moab e prendiamo possesso della nostra stanza al motel Big Horn Lodge.

Usciamo per la cena e passeggiamo un po’ per le strade di questa bellissima cittadina western molto old-style.

Per rimanere in tema, ceniamo in una steak house in centro, dove mangiamo bene e spendiamo il giusto. Il locale è carino, sembra una specie di moderno saloon.

Tra i negozi che più ci colpiscono ce n’è uno che vende stivali da cow-boy e siamo davvero tentati di comprarne entrambi un paio…ma alla fine pensiamo all’ingombro in valigia e a quando mai li metteremo, visto che non sono nemmeno economici, quindi lasciamo stare.

Ormai è tardi e i negozi sono chiusi, quindi decidiamo di andare a dormire e che dedicheremo una visita alla città e allo shopping domani mattina.

DOMENICA 14 AGOSTO

Iniziamo la giornata gironzolando per il centro di Moab alla ricerca di qualche negozio aperto malgrado sia domenica. Abbiamo fortuna e riusciamo a fare un po’ di shopping. Compriamo qualche regalino per la famiglia, una piastrellina con raffigurato un indiano a cavallo, un paio di vasetti con semi di Joshua Tree (che non cresceranno mai), qualche cartolina in bianco e nero di vecchi capi indiani, un CD di musica country e Marco si compra un bellissimo ciondolo tribale Hopi in argento, con raffigurato il “maze” il labirinto della vita, con l’uomo al centro.

Purtroppo il tempo è brutto, ci sono grosse nuvole grigie minacciose di pioggia ed infatti poco dopo aver lasciato Moab iniziamo a vedere le prime gocce sul vetro.

Siamo diretti al Bryce Canyon e speriamo che il tempo vada migliorando, ma anche se i km passano, le nubi restano e a tratti piove anche molto forte.

E’ un vero peccato, perchè oggi percorreremo due stupende strade panoramiche, la UT24 e la UT12 e si passa all’interno del Capitol Reef, di cui però godremo davvero a causa dei colori uniformi e smorzati dal grigiore del cielo e dalla pioggia.

Arriviamo al Bryce che ancora piove, prendiamo possesso della nostra camera e decidiamo di andare comunque a dare una prima occhiata al parco nella speranza che le nubi si aprano e si riesca a vedere il tramonto.

Il Bryce National Park è un parco caratterizzato dagli Hoodos, dei pinnacoli di roccia rossa più o meno alti e larghi, che si stagliano verso il cielo.

Visitiamo prima il Bryce Point e poi il Sunset Viewpoint sperando che il nome sia di buon auspicio, ma il cielo grigissimo non fa risaltare nessun colore e così la prima impressione che abbiamo di questo parco non è certo delle più entusiasmanti.

Poco dopo inizia a piovere sempre più forte, quindi scappiamo in macchina e poi di corsa in camera.

Decidiamo di dare una botta di vita alla nostra serata e partecipiamo ad una cena country con annesso spettacolo di musica dal vivo, cantata e suonata da cowboys bravissimi che si esibiscono anche in alcune divertenti evoluzioni con il lazo. La cena è davvero carina, il locale è una specie di grosso capannone con tanti tavoli, un’area self-service ed il palco. Tutto è tassativamente in stile western e i memdri della “band” sono davvero molto bravi. Il cibo non è esaltante, una grigliata mista di carne con patate e torta, ma la bella musica e l’atmosfera fanno il resto.

Prima di andarcene compriamo un altro CD con le canzoni che abbiamo ascoltato e che assieme a quello preso a Moab diventeranno la colonna sonora del nostro viaggio.

Per fortuna all’esterno il diluvio universale è cessato, quindi riusciamo a tornare in camera senza lavarci, ma soprattutto con la speranza che abbia sfogato oggi e che domani sia una bella giornata.

LUNEDì 15 AGOSTO

Per fortuna i nostri desideri sono stati esauditi e quando ci svegliamo, i raggi di sole entrano dalle tende della finestra.

Fuori il cielo è blu con qualche nuvoletta bianca, ma si sta benissimo e l’aria è tiepida.

Facciamo colazione con muffins, tè e cioccolata al negozio dell’albergo di fronte al nostro, poi finalmente entriamo nel parco, desiderosi di ammirare il vero Bryce.

Con il sole è tutta un’altra musica, si viene subito colpiti e affascinati dagli incredibili colori. L’arancione degli hoodoos che si innalzano verso il blu del cielo è una cosa che non si dimentica. La vista dai vari view point è fenomenale. Il parco si snoda lungo una stretta fessura dell’altopiano ma la parte più bella è la zona centrale denominata anfiteatro. Un sentiero agevole percorribile a piedi, in macchina o con lo shuttle collega i vari punti panoramici (sunset, sunrise, inspiration e bryce point) ed è possibile percorrere sempre a piedi e a cavallo altri sentieri che scendono nel fondovalle.

Decidiamo di scendere nel canyon tramite il Navajo Loop (2,5 km) e naturalmente di percorrerlo tutto. La parte più famosa è quella di Wall Street dove si passa attraverso delle alte pareti contornate da hoodoo avendo veramente l’impressione di camminare per l’omonima strada di New York. Ma anche la parte che si trova sull’altro braccio del loop dove si trovano anche i Two Bridges (due piccoli archi che assomigliano a ponti tra hoodoo), è molto bella. Sul braccio nord del loop si passa anche vicino al famoso Thors Hammer, forse l’hoodoo simbolo di Bryce.

Secondo me questo loop è imperdibile, anche se è un po’ faticoso perchè si scende davvero molto in basso nel canyon e poi si deve risalire, ma lo spettacolo di cui si gode passeggiando tra gli hoodos è qualcosa di inimmaginabile se ci si limita a guardare il canyon dall’alto dei viewpoints.

Finiamo il loop all’ora di pranzo, quindi decidiamo di andare a mangiarci i nostri sandwiches al Sunrise point.

Dopo pranzo salutiamo il Bryce, soddisfatti anche di questa ennesima meraviglia della natura e ci mettiamo in marcia per raggiungere lo Zion National Park.

Zion si trova nell’angolo sud-ovest dello Utah. Alla parte principale del parco si accede da sud e da est con la UT-9 che attraversa Zion. Provenendo dal Bryce Canyon, percorriamo la UT-89 verso sud per poi imboccare la UT-9 in direzione ovest. Se avete visto in qualche foto di Zion una strada dello stesso rosso scuro delle rocce fiancheggiata da panorami irreali, allora siete sulla Zion-Mount Carmel Hwy ovvero il nome che prende la UT-9 all’interno di Zion. La strada comincia ad offrire vedute stupende già prima di entrare a Zion. La percorriamo lentamente, per riuscire a goderci i fantastici scorci che si aprono dietro a ogni curva. Dopo un paio di tunnel, si incontra anche il famoso Checkerboard Mesa, una montagna di arenaria naturalmente scolpita da linee orizzontali e verticali che la dividono in quadrati. Davvero molto bella. Si dovrebbe veramente fermarsi ogni 100 mt per fare foto, ma spesso purtroppo non c’è lo spazio per farlo, quindi ci si deve limitare ad assimilare il paesaggio guardandolo dal finestrino.

La parte principale del parco si sviluppa intorno allo Zion Canyon, una valle immersa tra le rosse montagne che la delimitano e attraversata da una strada chiamata Zion Canyon Scenic Drive.

A gran parte dello Zion Canyon è possibile accedere solo tramite shuttle, quindi decidiamo di parcheggiare la macchina nei pressi del Visitor Center, subito dentro il parco e partiamo alla conquista di questo nuovo parco.

Prendendo lo shuttle si può scendere comodamente alle varie fermate per guardarsi attorno ed ammirare il paesaggio, tuttavia ci rendiamo presto conto che questo parco, a differenza degli altri, è un parco che va vissuto dall’interno. Qui bisogna camminare, fare trekking lungo i sentieri o arrampicarsi sulle pareti di roccia. Questo è un parco per i veri appassionati di montagna che con zaino e scarponcini partono all’alba per percorrere i sentieri che attraversano il parco in lungo e in largo. Questo parco, seppur molto bello, non fa per noi, perchè non abbiamo quel genere di passione. Pensiamo subito al nostro amico Stefano detto Stikky e ci spiace che lui e Anna, sua moglie non siano con noi… lui questo parco lo avrebbe apprezzato moltissimo.

Ormai siamo qui, quindi decidiamo di percorrere almeno uno dei trail tra quelli più brevi e meno impegnativi. Optiamo per il Weeping Rock Trail, sentiero breve, ma ripido, con passaggi poco esposti. Il sentiero lastricato termina presso una nicchia rocciosa con sorgenti gocciolanti, da cui deriva appunto il nome di “roccia piangente”. Carino, ma niente di imperdibile.

Finiamo il tragitto sullo shuttle ammirando un po’ di animali (cervi, volpi e persino un tacchino selvatico) di cui il parco è pieno, che passeggiano tranquillamente in riva al fiume che scorre all’interno del parco.

Usciamo dal parco dalla parte opposta rispetto a cui siamo entrati, cioè verso la cittadina di Springdale dove si trova il nostro hotel Best Western.

Alla fine siamo rimasti nel parco circa 3 ore, che per quanto ci riguarda sono state sufficienti a farsi un’idea di Zion, ma col senno di poi probabilmente lo avremmo saltato, preferendo dedicare del tempo a qualcosa che fosse più vicino ai nostri interessi.

Springdale è una piccola cittadina dal gusto montano-western, tutto sommato abbastanza carina, con alberghi, ristoranti e qualche negozio lungo la via principale.

Andiamo a cena in una steak-house molto carina piena di personaggi della Warner Bros tipo Bip Bip, Willy Coyote, B. Bunny, ecc… dove però non si mangia gran che bene e si aspetta a lungo per essere serviti. In realtà la carne sarebbe anche buona, se non fosse che la sommergono con una salsa di burro e aglio che ammazza qualsiasi sapore e ti si ripresenta per tutta la notte…

MARTEDì 16 AGOSTO

La giornata inizia con un po’ di spesa in un supermercatino di Springdale, in cui facciamo anche colazione, visto che ha dei comodi tavolini al sole fuori dal negozio.

Partiamo, ma facciamo poca strada, perchè poco fuori città troviamo un grosso negozio che vende manufatti tipici degli indiani e quindi decidiamo di fermarci a dare un occhio.

Alla fine usciamo con qualche sacchetto: io compro un paio di orecchini e un ciondolo in argento e turchese, con la tipica lavorazione Navajo e prendo un ciondolo simile anche per mia mamma, Marco invece si prende un bellissimo bracciale in argento con i simboli Hopi che rappresentano l’acqua, preziosa risorsa per questi popoli che vivono in territori aridi e desolati.

Ci sarebbero moltissime altre cose belle da prendere, ma non sono proprio economicissime e poi non ci possiamo riempire all’infinito.

Soddisfatti dei nostri acquisti ripartiamo spediti direzione: Las Vegas, anche se la prossima tappa sarà il Premium Outlet North che ci porterà via qualche altra ora di shopping selvaggio, ci svuoterà ancora un po’ le tasche e ci riempirà (fin troppo) le valigie.

Il Premium Outlet North di Las Vegas è un vero paradiso, sebbene a mio parere i prezzi più convenienti noi li abbiamo comunque trovati al Tanger outlet di Barstow, ma anche qui non c’è di che lamentarsi.

Malgrado siamo partiti dall’Italia con i bagagli mezzi vuoti, abbiamo comunque portato troppa roba visto quello che stiamo comprando e che ancora compreremo e di sicuro ci toccherà prendere anche un borsone nuovo da imbarcare come bagaglio extra… non tanto per problemi di spazio, quanto per problemi di peso.

Dopo alcune ore di soddisfacente shopping, torniamo al favoloso LUXOR hotel e questa volta riesco a farmi assegnare una stanza nella piramide. Alla fine forse era più bella l’altra, ma almeno questa è comoda e vicina da raggiungere visto che è praticamente sopra il gigantesco atrio.

Riprendiamo la macchina, che avevamo lasciato come sempre nel parcheggio gratuito dell’hotel e ci avviamo lungo la Strip diretti a nord verso Freemont Street.

Questa strada di Las Vegas è in realtà un’enorme galleria la cui volta è stata trasformata in un gigantesco schermo di luci e colori su cui ad intervalli regolari vengono proiettati dei video musicali a tema, naturalmente accompagnati da musica ad altissimo volume.

Si trova in una zona di Las Vegas di periferia, un quartiere un po’ malfamato, che però stanno cercando di recuperare proprio grazie ai negozi, locali e casinò presenti in Freemont Street e naturalmente grazie a questo strabiliante spettacolo di suoni e luci.

Per arrivarci si deve percorrere tutta la Strip, andare oltre lo Stratosphere, che è praticamente l’ultimo hotel/casinò della zona turistica, proseguire sempre dritto passando davanti a tutte le varie Chapels (le cappelle dei matrimoni stravaganti) e finalmente dopo alcuni km si giunge nella zona di Freemont Street.

Il consiglio chiaramente è di andarci di sera per godere al meglio lo spettacolo di luci della galleria.

Ceniamo con il solito hot-dog in Freemont Street e poi riprendiamo la macchina per tornare nel cuore di Sin City, la città del peccato.

Lasciamo l’auto nel parcheggio gratuito di uno dei tanti hotel e proseguiamo a piedi.

Questa volta facciamo la parte della Strip che ci manca e cerchiamo di vedere tutti gli hotel che abbiamo mancato la volta precedente. Vediamo il Treasure Island con lo spettacolo dei pirati, che però ci delude un po’ ed il Mirage con il suo vulcano che erutta, ma soprattutto visitiamo il Venetian. Questo secondo noi è il più bell’hotel di Las Vegas e non perchè siamo patriottici. Esternamente sembra davvero di essere in piazza San Marco, ma lo spettacolo è soprattutto l’interno, in cui sono stati ricreati alla perfezione calli e campielli, con i canali con l’acqua in cui navigano le gondole…il tutto sotto ad un cielo azzurro con nuvolette bianche, illuminato a giorno, in versione talmente reale che si fa fatica a credere di essere all’interno di un hotel, di notte a Las Vegas. Un vero e proprio capolavoro.

Anche stavolta arriva veloce mezzanotte e come una bella Cenerentola che deve scappare al suono del dodicesimo rintocco, anche Las Vegas chiude i battenti e si spegne.

Torniamo quindi al faraonico Luxor e decidiamo di sfidare la fortuna alle solite slot machines, ma prima facciamo una puntata alla roulette. Rosso e nero, pari e dispari…e naturalmente esce il verde 00…pazienza, sarà per la prossima volta. Ci rifacciamo però alle slot machines, dove vinciamo la fantasmagorica somma di 2,64 $ (anche se abbiamo investito 5$ è comunque una grande soddisfazione).

MERCOLEDì 17 AGOSTO

Questa volta lasceremo Las Vegas in modo definitivo, ma prima di partire, decidiamo di fermarci a vedere il Cesar Palace, che ci è sfuggito per ben due volte. Anche questo hotel è davvero imponente e sembra di fare un salto indietro nell’antica Roma. L’interno è molto lussuoso, con statue e marmi ed il casinò è davvero molto bello, decisamente più elegante di tanti altri che abbiamo visitato.

Salutiamo questa strabiliante e pazza città per dirigerci in uno dei posti più caldi della terra, la Death Valley.

Nella “valle della morte” sorge il punto più basso di tutto l’emisfero nord , Badwater, si trova a -86 slm, mentre tutto attorno, alti picchi del Panamint Range, frutto dell’azione delle placche continentali (non a caso passa da qui la temuta Faglia di S.Andrea), superano i 3300 metri di altitudine. Questa conformazione geologica scatena all’interno della valle un clima al limite della sopportazione fisica e ce ne rendiamo immediatamente conto.

Anche questo è un parco nazionale, ma a differenza degli altri qui non c’è un ranger nel gabbiotto all’ingresso, bensì una macchinetta automatica in cui puoi comprare il biglietto o introdurre la tessera. In questo secondo caso viene comunque rilasciato un biglietto che deve rimanere esposto sul vetro all’interno dell’auto.

Quando si scende dalla macchina ti assale un caldo da togliere il respiro. L’aria è talmente calda che sembra di essere all’interno di un forno ventilato e si hai i pantaloncini corti ti sembra che i polpacci vadano a fuoco… non è una bella sensazione. Io consiglio cappellino, pantaloni lunghi di cotone o lino e maglietta a maniche lunghe in cotone, il tutto possibilmente in colori chiari e soprattutto portate con voi una bella scorta di acqua e gatorade.

Prima di entrare nel parco ricordate di fare benzina, perchè l’unico ditributore è a Furnace Creek, quindi parecchio distante dall’ingresso, e come già detto prendete un paio di tanichette di acqua e qualche bottiglia di gatorade, soprattutto se avete intenzione di stare un po’ all’aperto.

Il panorama comunque all’interno di questo bellissimo parco è molto vario, si passa da alte montagne rocciose a vaste pianure desertiche, da grandi dune di sabbia, a rocce colorate.

Facciamo la prima sosta a Dante’s View che è un punto panoramico molto in alto che permete di avere una bellissima vista su tutta la valle. L’altitudine rende l’aria più fresca e respirabile, quindi qui di sta abbastanza bene anche fuori, tanto è vero che ci concediamo anche la pausa pranzo mangiando i nostri deliziosi immancabili tramezzini.

Proseguiamo per Zabriesky Point. Questo punto si raggiunge con una breve camminata che si inerpica su una collinetta. Io personalmente ho fatto una fatica tremenda ad arrivare in cima e ho quasi rischiato uno svenimento per il caldo, quindi mi sono goduta poco il panorama e sono tornata di corsa all’auto a ingurgitare gatorade.

Il successivo viewpoint è l’Artist Drive più Artist Drive Palette. Questa praticamente è una strada stupenda che si insinua attraverso le rocce coloratissime, in un divertente saliscendi. I colori delle rocce hanno talmente tante tonalità di rosso, marrone, giallo, ocra, arancio, che sembrano davvero dipinte dalla mano di un artista.

La visita prosegue per Devil’s Golf Course. Questo luogo è davvero incredibile, sembra di stare sulla Luna. Il Campo da Golf del Diavolo, sembra una grande brillante distesa marina e invece è solida salgemma. Questa crosta di sale è spessa circa da 0,90 a 1,8 metri e i suoi contorni cambiano aspetto quando raramente piove durante la stagione invernale. Allora si formano delle piccole pozze di acqua nelle quali il sale si scioglie per cristallizzarsi di nuovo appena sale la temperatura e l’acqua evapora nella stagione estiva. Si può arrivare con la macchina fino ai bordi di questa immensa e piatta distesa di sale per ammirare da vicino queste curiose formazioni.

Il termometro dell’auto in questa zona segna quasi 50° è la temperatura più alta in assoluto che toccheremo durante il viaggio.

Terminiamo la visita a Badwater. Il “lago” visibile è costituito da una modesta pozza alimentata da una sorgente in prossimità della strada. Il contenuto in sali minerali è talmente elevato da rendere l’acqua non potabile e meritargli l’aggettivo di “cattiva” (bad), da cui il nome. Nonostante la salinità, la pozza presenta comunque vita vegetale e animale.

La pozza non costituisce il realtà il punto di massima depressione, anche se di poco. Esso si trova poche miglia a ovest e varia di posizione. La piana salina che ricopre buona parte del bacino è pericolosa da attraversare, in quanto spesso costituita da una sottile crosta bianca di sale che ricopre uno strato fangoso, per cui il cartello di massima depressione è stato posto convenzionalmente presso la pozza. E’ comunque possibile camminare un po’ sulla crosta di sale seguendo un percorso segnalato e delimitato da cordoni e paletti.

Sulla parete rocciosa che sovrasta Badwater, a indicare il livello del mare, è stata posta la scritta SEA LEVEL.

Alla fine comunque devo dire che il corpo si abitua alle elevate temperature e visto anche che il sole ora è più basso e siamo quasi vicini al tramonto, stare fuori non è poi così tremendo.

Andiamo finalmente nel nostro albergo, il Furnace Creek Inn, che è aperto solo per il pernottamento, ma chiuso per quanto riguarda la ristorazione. L’impatto con questo hotel mi fa venire in mente l’albergo di Shining con lunghi corridoi dalle tante porte chiuse, ritratti appesi alle pareti e tanto silenzio…nessuno in giro, come se ci fossimo solo noi. Speriamo che stanotte non arrivi qualcuno a sfasciare la porta con un’ascia…

Comunque quello che interessa a noi però c’è: una fantastica piscina all’aperto con una emozionante vista sulla Death Valley.

E’ il secondo bagno ristoratore di questo viaggio e anche se l’acqua della piscina probabilmente ha una temperatura di 35° è comunque una vera goduria. Non facciamo in tempo a lasciare in camera le valigie che siamo già in acqua.

Il sole tramonta e tutto intorno si tinge di rosso, poi via via i toni caldi si smorzano lasciando il posto al viola e al blu della notte.

La piscina è immersa in un rigoglioso giardino e bordata da palme…sembra davvero un’oasi nel deserto… e siamo soli… tutto attorno regna un silenzio surreale. E’ un momento davvero romantico e magico che ricorderemo per sempre.

Rimaniamo in ammollo per quasi due ore finchè siamo raggiunti da una coppia di irlandesi in viaggio di nozze con cui scambiamo quattro chiacchiere.

Quando torniamo in camera non abbiamo più voglia di uscire e prendere l’auto per andare a cena a Furnace Creek, così replicando il pranzo, ceniamo con tramezzini, crackers e patatine…

GIOVEDì 18 AGOSTO

Ci svegliamo riposati e rilassati dopo una tranquilla nottata in questa bella camera un po’vecchio stile in cui c’è anche il camino (da non credere) e per fortuna nessuno ha sfasciato la porta con un’ascia.

Prima di lasciare la Death Valley ci fermiamo nell’unico centro dove c’è un bazar, un negozio di souvenirs, un ristorante e un distributore, Fournace Creek.

Prendiamo qualcosa da mangiare per colazione e Marco naturalmente si compra una T-shirt in tema Death Valley…

Facciamo colazione in macchina per non perdere troppo tempo, facciamo benzina (poca perchè è carissima) e proseguiamo il nostro viaggio.

Subito fuori dal paese incontriamo le Sand Dunes, grandissime dune di sabbia in stile deserto del Sahara… certo che questa valle regala paesaggi meravigliosi e soprattutto molto diversi tra loro.

Ad avere il tempo di farlo sarebbe da arrampicarsi fino in cima e poi rotolare giù.

La strada che esce dalla Death Valley è lunga e tutta dritta, ma comunque piacevole da percorrere.

Usciti dal parco, man mano che ci spingiamo verso nord, il paesaggio attorno a noi cambia radicalmente. Le montagne con le punte innevate si fanno più vicine, la vegetazione diventa molto più fitta e più verde, le distese di terra arida lasciano il posto a verdi praterie attraversate da fiumi.

Dopo un po’ giungiamo nella famosissima Mammoth Lakes, dove al 3343 di Main Street, si trova il Polo Ralph Lauren Factory Outlet. Naturalmente ci fermiamo, anche perchè siamo venuti qui apposta e facciamo incetta di un bel po’ di capi, alcuni scontatissimi, altri meno, ma sempre molto convenienti rispetto all’Italia.

Facciamo una deviazione per il Mono Lake, un lago alcalino con stranissime formazioni sedimentarie lungo le sponde. Girare l’area è molto semplice. Si segue un breve trail che porta verso la spiaggia e che poi prosegue per un po’ costeggiandola per tornare alla fine al punto di partenza descrivendo un loop. La passeggiata non è lunga e ciò che si vede è veramente molto interessante. La cosa che più caratterizza il lago sono le formazioni di tufo che spuntano dall’acqua e dal terreno. Si presentano come delle stalagmiti ma sono formate da depositi calcarei. L’alta concentrazione di tufo pervade l’aria del proprio forte ed unico odore e rende l’acqua del lago particolarmente salata rendendo impossibile la vita di pesci.

Il sentiero per arrivare al lago si districa tra molti cespugli di piante desertiche, alcune delle quali hanno fiorellini gialli e bianchi dall’intenso profumo di miele. Tutta la spiaggia è ricoperta da un sottile strato nero. Guardando da vicino scopriamo che si tratta di mosche (più piccole delle nostre, somiglianti più a moscerini), le famose mosche che danno il nome al lago. Infatti gli indiani Kutzadika’a che originariamente abitavano la zona avevano come fonte primaria di cibo proprio le larve di queste mosche chiamate nella loro lingua “mono”.

Lasciamo il Mono Lake per dirigerci verso lo Yosemite National Park, percorrendo la Tioga Road ed attraversando il relativo Tioga Pass (3.031 metri) il punto di passaggio per autoveicoli più alto in tutta la California. La strada panoramica Tioga Road (autostrada Highway 120) attraversa l’altopiano di Yosemite.

Qui siamo in alta montagna, nel cuore della Sierra Nevada, immersi tra boschi e foreste e il paesaggio ricorda un po’ quello delle nostre Dolomiti. La strada che conduce al Tioga Pass è tra le più belle di Yosemite, perché passa per Tuolumne Meadows, area ricca di laghi e pianure coperte di rigogliosa vegetazione.

Questo è anche il regno degli orsi, che dovrebbero essere presenti in gran quantità, ma anticipo già che noi non riusciremo a vederne nemmeno l’ombra.

Raggiungiamo il nostro albergo, lo Yosemite View Lodge, che si trova fuori dal parco, ma abbastanza vicino a uno degli ingressi che è già buio pesto.

La nostra camera è al primo piano di un basso edificio e le finestre danno direttamente sull’impetuoso torrente che scorre alle sue spalle. E’ una camera grande dotata di cucina e di una grande vasca idromassaggio doppia. Non è certo lussuoso come posto, ma di certo confortevole. Lo Yosemite View Lodge è una specie di complesso formato da tanti edifici che si snodano lungo il fiume ed attorno a un grande parcheggio, in cui si trovano anche un piccolo bazar, un ristorante ed una pizzeria da asporto. Noi rimarremo qui due notti, quindi ne approfittiamo per scaricare tutti i bagagli dalla macchina e fare un po’ di ordine, cosa impossibile quando si cambia alloggio ogni sera.

Ceniamo con una pizza da asporto (di qualità indefinibile) sul balconcino della nostra camera godendoci il fragoroso rumore dell’acqua tra le rocce ed il fresco del bosco.

VENERDì 19 AGOSTO

La giornata di oggi sarà interamente dedicata a questo meraviglioso parco che ha ispirato uno dei più famosi fotografi al mondo, nonchè mito di Marco, il grande Ansel Adams. All’interno del parco c’è addirittura una galleria dedicata a questo fotografo, con un’esposizione di alcuni dei suoi capolavori.

Descrivere questo parco è difficilissimo ed ancor più difficile è riuscire a ricordare con esattezza tutti i punti visitati perchè è davvero enorme e una visita come si deve richiederebbe almeno 4-5 giorni.

Noi comunque partiamo dalla Yosemite Valley, chiamata “la grande cattedrale della natura”, è un esempio senza pari di valle scavata da un ghiacciaio. Le fragorose cascate, le ripide pareti di granito, i prati verdissimi e le massicce formazioni rocciose ne fanno un’autentica meraviglia della natura.

Alzando gli occhi al cielo si possono scorgere le imponenti cime chiamate El Capitan, Cathedral Rocks e Half Dome, anche se si possono ammirare molto meglio da altri punti del parco.

Lasciamo la macchina in uno dei parcheggi del Visitor Center ed andiamo a vedere la Ansel Adams Gallery.

Dopo la visita e una sosta veloce allo store del Visitor Center proseguiamo per Tunnel View un viewpoint sulla statale 41. Da qui si ha una vista spettacolare sulla Yosemite Valley inclusi El Capitan, Half Dome, e le Bridalveil Falls. Questo secondo molti è uno dei vista point più belli di tutto lo Yosemite ed in effetti la vista che offre è fantastica.

Proseguiamo lungo la strada che porta a Washburn Point ed infine a Glacier Point.

Il vasto paesaggio osservabile da Glacier Point, una rupe a picco sulla valle, può trasmettere un’emozione

Indimenticabile. Da un’altezza di 975 metri si domina tutta la valle; in lontananza sul lato opposto si può vedere lo straordinario salto della cascata Yosemite Falls, mentre il panorama degli altipiani High Sierra lascia senza fiato.

Prendetevi del tempo se volete visitare questo viewpoint che secondo me è imperdibile, perchè ci vuole un’ora circa per arrivare in macchina (51 chilometri) a Glacier Point da Yosemite Valley.

Decidiamo di fermarci qui per il pranzo e ci sediamo sui gradoni di un anfiteatro per mangiare i panini che abbiamo comprato allo store del Visitor Center, ma dobbiamo fare la lotta con le orde di scoiattoli famelici che cercano in ogni modo di entrare negli zaini o comunque di arraffare qualcosa da mangiare. Gli scoiattoli sono animaletti simpatici, ma davvero pestiferi ed insistenti e soprattutto non hanno paura dell’uomo quindi si avvicinano senza paura.

Ne abbiamo beccato uno che cercava di entrare in uno zainetto abbandonato incautamente a terra vicino ad un cespuglio e ci siamo fermati a fotografarlo, subendo poi le ire della padrona dello zaino che era niente di meno che un ranger del parco, incavolata perchè tutti fotografavano e nessuno lo ha cacciato…peggio per te che sei un ranger e molli lo zaino a terra!

Scendiamo da Glacier Point ed imbocchiamo la Wawona Road fino a raggiungere Mariposa Groove, il sito in cui si trovano le sequoie giganti. Queste gigantesche piante sono gli esemplari più grandi del mondo animale e vegetale; molte di esse hanno più di 1.000 anni.

Noi decidiamo di fermarci all’ingresso del parco, dove in realtà si possono ammirare diversi esemplari di sequoia gigante, che fanno davvero impressione. Per girare anche questo parco ci vorrebbe un’altra mezza giornata di tempo e per fare le cose fatte bene bisognerebbe prendere un trenino che gira tra le sequoie e ti porta a vedere quelle più famose e più grandi. Purtroppo come sempre, per mancanza di tempo, facciamo le foto ai giganti attorno a noi, poi riprendiamo la macchina e torniamo verso la valle.

Visto che arriviamo quando c’è ancora luce, decidiamo di visitare le Bridalveil Fall, una delle cascate dello Yosemite visibile tutto l’anno ed alta 188 metri. Le acque di questa cascata cadono al suolo in un modo tale da far apparire la cascata simile ad un velo da sposa, da cui il nome. Per arrivare ai piedi della cascata percorriamo uno dei trail del parco, semplice e relativamente corto. Marco è tranquillo e si ferma ad ogni angolo a fare foto, mentre io sono in ansia per il fatto che possa calare improvvisamente il buio e ci possano essere orsi nei dintorni. Mio marito sghignazza e mi prende in giro, mentre io acchiappo da terra due legnetti ed inizio a batterli facendo rumore per scoraggiare eventuali Yoghi impavidi che fossero nei paraggi. Con grande dispiacere di Marco torniamo sani e salvi alla macchina senza essere stati aggrediti nemmeno da uno scoiattolo.

Prima di tornare in camera ci fermiamo di nuovo allo store del Visitor Center dove compriamo qualcosa per la cena (del pollo arrosto con patate e non ricordo cos’altro) e un pacchetto promozionale di tre magliette dello Yosemite davvero carine.

Cena sul balcone vista torrente/bosco e poi a nanna, sognando gli orsetti che bussano alla porta della camera o si arrampicano dalla finestra.

SABATO 20 AGOSTO

Dopo aver fatto colazione in camera, decidiamo di concederci un’ulteriore visita alla Yosemite Valley per fare ancora un po’ di foto e goderci qualche altra spettacolare immagine di questo parco meraviglioso illuminato dal sole.

Andiamo fino allo Yosemite Velley View, punto da cui si gode davvero di un’ampia vista su tutta la vallata, le cascate e i monti circostanti.

La nostra meta di oggi à la città di San Francisco, quindi visto che dopo tanti giorni di immersione nella natura selvaggia e incontaminata, dobbiamo ritornare in una metropoli, cerchiamo di godere appieno di questi ultimi momenti che segnano per noi la fine della nostra visita ai bellissimi parchi nazionali dell’ovest.

La strada che esce dallo Yosemite in direzione San francisco è davvero molto bella e per un lungo tratto si è ancora immersi tra boschi e montagne.

Speriamo fino all’ultimo di scorgere un orsetto che ci saluta, invece niente…rimarrà un rammarico, che magari ci farà organizzare prima o poi un nuovo viaggio da queste parti, oppure nel famoso parco di Yellostone, dove pare che di orsi ce ne siano molti di più.

Man mano che ci allontaniamo dal parco il panorama alpino lascia il posto a grandi campi coltivati, frutteti, fattorie e ranch con mucche e cavalli.

Attraversiamo paesi che ricordano la serie tv di “Bonanza”, vediamo camminare per strada uomini con cappelli e stivali da cowboy e sempre più negozi a tema “rodeo”. C’è anche qualche macchina con le corna sul cofano…molto kitsch ma decisamente folcloristico.

Non possiamo non fermarci in una di queste pittoresche cittadine, quindi sostiamo ad Oakhurst per una mezz’ora. In questo paese c’è persino il museo dei cowboys, che però guardiamo solo dall’esterno, ma visitiamo un negozio con articoli da rodeo, che ha anche una parte di magazzino con le balle di fieno, sacchi di mangime e accessori vari per i cavalli. E’ ora di pranzo, ma non troviamo un posto che ci ispiri, quindi ripartiamo e alla fine decidiamo di pranzare in macchina con crackers, patatine e gli avanzi delle nostre scorte di cibo dei giorni precedenti.

Imboccata l’autostrada che ci porterà fino a San Francisco, notiamo con dispiacere che il traffico si fa sempre più intenso, finchè ci troviamo fermi immobili imbottigliati in coda, come a Milano in tangenziale nelle ore di punta, solo che oggi è sabato ed è il 20 di agosto.

Perdiamo due ore bloccati nel “traffic jam” e con loro anche il benessere accumulato nei giorni passati tra boschi e montagne, per percorrere pochi km ed arrivare al casello dove si paga il pedaggio per l’ingresso al ponte che attraversa la baia e porta in centro città.

Per raggiungere il nostro hotel che si trova in una posizione comodissima a due passi da Union Square ci mettiamo quasi un’altra ora ed entriamo in camera che ormai è buio.

Lasciamo l’auto in un parcheggio a pagamento di fronte all’hotel e la recupereremo solo fra tre giorni. Il parcheggio qui è un vero salasso e col senno di poi forse ci conveniva restituire qui l’auto piuttosto che pagare tre giorni di parcheggio per non usarla e tre giorni di noleggio in più…

Ci cambiamo e soprattutto ci copriamo bene, perchè qui fa davvero freddo!! Non sono leggende metropolitane e la gente non esagera… San Francisco è una città fredda anche ad agosto. Qui ci sono 15° o meno, che forse noi soffriamo ancora di più visto che arriviamo da posti con temperature ben diverse.

Usciamo a piedi in direzione China Town. Passiamo per la bella Union Square su cui troneggiano i famosi grandi magazzini Macy’s e proseguiamo la nostra passeggiata. Arrivando in hotel abbiamo intravvisto le famose strade saliscendi di San Francisco e ora iniziamo anche a percorrerne qualcuna.

Vediamo anche i famosi tram ed il cablecar, che anche la sera è bello pienotto, ma mai come durante il giorno.

Sembra una bella città, con eleganti negozi di griffes famose e palazzi signorili, almeno in questa zona, anche se i marciapiedi sono letteralmente invasi da senzatetto in cerca di elemosina che contrastano con l’ambiente circostante.

Arriviamo a China Town che ci accoglie con la sua enorme porta in stile orientale, ingresso al quartiere cinese della città. Oltrepassata questa porta sembra davvero di essere in Cina perchè qui non solo la gente, ma anche i negozi, i ristoranti, le case, le luminarie, tutto insomma è tassativamente made in Cina.

I negozi sono un po’ tutti uguali e vendono le solite cianfrusaglie che trovi anche da noi, con la differenza che qui vendono principalmente sciarpe, maglioni, cappelli e guanti… chissà mai perchè…

Non ci lasciamo sfuggire l’occasione e compriamo subito due belle sciarpe colorate tipo pashmina da metterci al collo per proteggerci dal freddo e dal vento, che in questa città ci fa dimenticare presto di essere ancora in estate, in pieno agosto.

Torniamo verso Union Square e decidiamo di cenare in un ristorante poco distante dal nostro hotel, una steak house che si chiama Daily Grill, dove mangiamo davvero bene anche se non è economicissimo, ma del resto siamo nel centro di una grande città ed in un bel ristorantino abbastanza elegante, non certo il solito Mac Donald’s.

DOMENICA 21 AGOSTO

Cerchiamo di alzarci presto per sfruttare bene l’intera giornata quindi alle 8:00 siamo in pista ed andiamo diretti in Powell Station a fare il Muni Pass, una tessera valida su tutti i mezzi di trasporto pubblici della città per 3 giorni.

Alla fine ci rendiamo conto di aver fatto un errore perchè noi la useremo pochissimo e quindi ci conveniva di gran lunga fare i biglietti singoli.

Comunque, cosa fatta capo ha. Facciamo colazione presso un barettino ambulante in Powell Station, poi prendiamo il nostro primo tram della città… e guarda caso da dove proviene? Ebbene sì, è un vecchio tram di Milano.

In pratica San Francisco ha acquistato dei vecchi tram un po’ da tutte le città del mondo, li ha rimessi a nuovo, ma lasciando intatto il loro aspetto originale. Ci sono persino ancora tutte le targhette di avvertimento in italiano, compresa quella di divieto di sputare fuori dal finestrino!

Arriviamo in tram fino al Pier 33 da cui parte a breve la nostra crociera per Alcatraz. Se volete fare questa gita dovete assolutamente prenotare in anticipo tramite internet dall’Italia, altrimenti non troverete posto, ed anche prenotando su internet i posti vanno a ruba quindi prenotate prima che potete se riuscite.

A mio parere la visita a questa isola/prigione tra le più famose al mondo, è davvero molto interessante e permette di conoscere storie appassionanti di famosi gangster del calibro di Al Capone.

La visita sull’isola è praticamente libera, nel senso che quando arrivate vi viene data un’audio guida in italiano che vi accompagnerà all’interno del carcere raccontandovi tutti i particolari riguardanti la prigione e i suoi abitanti, fossero essi detenuti, guardie o direttori. Il tempo di permanenza sull’isola lo decidete voi, poichè quando siete stanchi ed avrete girato abbastanza vi basterà mettervi in coda e prendere il primo traghetto che torna al porto.

L’isola di Alcatraz offre anche un favoloso sguardo sulla baia di San Francisco e sul Golden Gate ed indipendentemente dalla prigione, secondo me sarebbe un peccato non andarci.

Durante la visita Marco si è lasciato affascinare dalla storia delle uniche tre persone che siano mai riuscite ad evadere da questo carcere di massima sicurezza (anche se poi nessuno sa se siano davvero sopravvissute oppure no…) ed alla fine del tour si compra un libro che racconta proprio la storia di questi personaggi e la loro fuga, scritto dalla figlia di una delle guardie carcerarie che ha vissuto buona parte della sua vita sull’isola.

Tornati al Pier 33 ci dedichiamo ancora un po’ alle attrazioni che offre questa zona della città ed andiamo al vicino Pier 39, quello più famoso e quello in cui si possono osservare i leoni marini.

Questo Pier è davvero pieno zeppo di negozi e ristoranti e noi naturalmente ne approfittiamo per gustare la famosissima Clam Chowder, una zuppa di vongole gustosissima, servita all’interno di una grossa pagnotta scavata. Questa specialità del luogo viene servita un po’ ovunque, ma noi ci fermiamo da Boudin, un panificio/ristorante famoso per questo piatto tipico ed effettivamente è buonissimo! Inoltre, visto il clima decisamente autunnale, qualcosa di caldo nella pancia ci vuole assolutamente.

Dopo pranzo andiamo a vedere la colonia di leoni marini che si trova in fondo al pontile e che è diventata l’attrazione turistica principale della zona. Sono davvero tantissimi e se ne stanno placidamente sdraiati a dormire su piattaforme galleggianti poco distanti dal pontile. Ci sono cuccioli e adulti, maschi e femmine e anche giovani esemplari che giocano a rincorrersi continuando a salire e scendere dalle piattaforme, tuffandosi nell’acqua gelida e disturbando il resto della colonia che riposa.

Proseguiamo la nostra camminata lungo il porto ed andiamo a vedere da fuori il sommergibile Pampanito, un vecchio sommergibile della marina americana ormai in pensione e visitabile anche internamente come fosse un museo.

Se siete degli appassionati di guerra e simili, di certo è una visita interessante.

Lì vicino c’è una bellissima salagiochi in cui sono raccolte tantissime “macchinette” antiche ma perfettamente funzionanti. Sembra di essere tornati indietro nel tempo… Ci sono gli antenati dei moderni videogames e tanti giochi curiosi tra cui corse dei cavalli a manovella, carillon di legno con le marionette, teste di maghi e fattucchiere che leggono il futuro, insomma, un posto magico dove passare qualche minuto piacevole al caldo divertendosi in modo un po’ diverso dal solito.

Riprendiamo il tram, ma questa volta in direzione Powell Station per tornare verso il nostro hotel e verso la zona commerciale della città, visto che anche se è domenica, molti negozi sono comunque aperti.

Marco naturalmente non si lascia sfuggire l’occasione e si fionda nell’Apple Store, da cui dopo un po’, ma nemmeno molto visto che stavano per chiudere, ne uscirà tutto felice con il nuovo I-PAD2.

Ormai fuori è buio e fa piuttosto freddo, quindi torniamo in albergo e ci prepariamo per la cena.

Questa sera ci concediamo ancora degli hamburgers in vero stile USA in un posto che ricorda molto il locale anni 50 della Route 66. Anche qui tutto è in stile Happy Days e ci sono anche delle vecchie moto Indian’s appese al soffitto. Il ristorante di chiama Lori’s ed è in realtà una catena, quindi se ne trovano in giro diversi, ma quello dove ceniamo noi è poco distante da Powell Station e anche da Union Square e dal nostro Hotel. Malgrado sia molto grande facciamo un po’ di coda (qui a San Francisco è normale) prima di sederci, ma ne vale la pena perchè il cibo è buono ed il locale davvero simpatico.

LUNEDì 22 AGOSTO

Anche oggi sveglia alle 8:00 ma stavolta per andare a prendere un mezzo di trasporto speciale che oggi ci porterà in giro per la città: un’Harley Davidson che abbiamo affittato dall’Italia tramite la società Eagle Riders.

Arriviamo al negozio e c’è una coda di persone in fila che come noi attendono gli venga consegnata la moto.

Il tutto avviene in modo tremendamente lento e perdiamo mezza mattinata in modo assurdo in coda, a compilare moduli e documenti di noleggio. Questa modalità fa venire i nervi e non ci piace per nulla perchè dovremo riportare la moto entro le 16:30 e visto che sono già le 11:00 è assurdo che ci facciano pagare il noleggio di un’intera giornata, quando in realtà sono solo poche ore effettive di utilizzo del mezzo.

Finalmente alle 11:00 dopo aver indossato due fantastiche giacche in pelle con tanto di teschi e scheletri motorizzati sulla schiena, partiamo rombando a bordo di una sfavillante Heritage Softail nera cromata. Abituati alla nostra amata e sportiva Honda VFR ci sembra di non essere mai saliti su una moto… Questa fa un rumore assordante, sembra di essere seduti in poltrona, scalda come una stufetta e a detta di Marco (ma la mia sensazione è la stessa) ha la stessa ripresa e velocità di un cancello elettrico. Da qui in poi infatti verrà soprannominata “il cancello”. E’ comunque una moto con un grande fascino ed è bellissimo girare per San Francisco a bordo di questo mezzo che davvero ti fa assaporare gli USA on the road come piace a noi. Siamo fortunati ed il clima oggi è più mite, esce persino il sole e ci permette di girare un po’ meno imbottiti.

Decidiamo di percorrere la 49 miles drive una strada panoramica che si sviluppa dentro ed attorno a San Francisco toccando molte delle maggiori attrazioni e delle strutture ad interesse storico della città. La strada è lunga 49 miglia, cioè 79 km circa. Il percorso è segnalato da un cartello con i colori blu e bianco ed un gabbiano ed inizia nell’intersezione tra Hayes Street e Van Ness Avenue. Io ho in mano un paio di piantine per aiutare Marco a capire dove deve andare, ma fare da navigatore, guardare i cartelli e guardarsi attorno non è sempre semplicissimo e a volte sbagliamo strada.

I punti della 49 mile scenic drive che vediamo sono: Lombard Street “The Crookedest Street“, la strada più tortuosa del mondo, che effettivamente è carina, anche se non imperdibile; il Financial District, con una serie di grattacieli, il più famoso la particolare Transamerican Pyramid; Japantown; Chinatown, Little Italy, il Golden Gate, il Golden Gate Park, il più grande parco di San Francisco, che da solo meriterebbe una mezza giornata, e Twin Peaks, altro punto per ammirare l’intera splendida città di San Francisco, peccato che noi ci arriviamo quando è immerso nella nebbia più totale e non vediamo un bel tubo. Purtroppo a causa del poco tempo a disposizione, facciamo tutto il giro in modo davvero tiratissimo e non riusciamo a visitare i quartieri di Castro e Haight Asbury, caratterizzati dalle case in stile Vittoriano, dove si trovano Alamo Square e le famose “Painted Ladies“, sette identici edifici in stile Vittoriano, uno dei simboli di San Francisco. La città è tutta un saliscendi e sembra di essere sulle montagne russe… è davvero una città unica nel suo genere e quando non ci sono 10 gradi o non è immersa nella nebbia, è molto piacevole da girare.

Per pranzo ci fermiamo ancora nella zona del porto, stavolta al Fisherman’s Warf e mangiamo una gustosa Crab Chawder (questa volta la zuppa è quella di granchio) in uno dei numerosi ristorantini del Warf.

Alle 16:30 dobbiamo con dispiacere riportare indietro la moto ed uscire dai panni di moderni Easy Riders. Questa esperienza ci è davvero piaciuta moltissimo, anche se di certo San Francisco non è la città più adatta per questo tipo di moto, che sarebbe più a suo agio sulla Route 66 o sulle lunghe e dritte strade che attraversano i parchi di Utah e Arizona. Visto che abbiamo ancora qualche ora prima di cena, ci dedichiamo un po’ allo shopping e ci imbuchiamo da Abercrombie dove evito di dirvi quanto tempo ci abbiamo trascorso e con che numero di sacchetti siamo usciti.

Per cena convinco Marco ad andare all’ultimo piano di Macy’s in Union Square, dove si trova un ristorante della famosa catena Cheesecake Factory. Il panorama che si gode dalla terrazza è stupendo, ma decidiamo comunque di mangiare all’interno perchè fuori fa troppo freddo per i nostri gusti. Anche qui dobbiamo aspettare circa 40 minuti prima di sederci poichè non avevamo una prenotazione. Io mangio un ottimo burrito, le porzioni sono molto abbondanti e di buona qualità. Purtroppo siamo talmente pieni che non c’è quasi più posto per una fetta di Cheesecake, ma non assaggiarne nemmeno una sarebbe un sacrilegio, quindi ne prendiamo una in due, del tipo con crema di latte, meringa e caramello, una vera delizia. Vorremmo comprare una piccola cheesecake da portare via, ma in camera non abbiamo il frigorifero per conservarla, quindi a malincuore rinunciamo.

MARTEDì 23 AGOSTO

Dopo averla abbandonata per tre lunghi giorni riprendiamo la nostra bella e comoda macchina, salutiamo San Francisco e la nebbiosa baia e partiamo in direzione sud lungo la “costa della California” sulla Highway 1.

San Francisco la prende con filosofia… la baia pure, la nebbia un po’ meno e decide di seguirci per buona parte della giornata! Che rabbia, non si vede un pifferooooo! Ma siamo in California o in Val Padana? Tante ore di volo e di strada percorsa per vedere lo stesso paesaggio che vedo dalla finestra di casa mia una qualsiasi mattina uggiosa di novembre… Per fortuna a tratti si apre e si riesce a vedere la costa ed il mare!

Raggiungiamo la località di Santa Cruz e finalmente vediamo una bella spiaggiona stile Bay Watch, assolata, piena di gente, con alle spalle un grande lunapark! Niente di meglio per una sosta ristoratrice, per mettere i piedi nella sabbia calda e nell’acqua fredda e l’ennesimo hot dog nella pancia. Ripartiamo diretti a Monterey. Tocchiamo questa cittadina con diversi edifici storici coloniali senza fermarci, ma giusto guardandoci attorno dal finestrino e proseguiamo per la 17-miles Drive. La 17 Mile Drive è una strada scenografica che va da Pacific Grove a Pebble Beach, seguendo per la maggior parte del suo percorso la costa del Pacifico attraversando splendidi campi da golf e ville da sogno. La strada corre nell’entroterra passando per Spanish Bay e quindi lungo le spiagge e sulle colline costiere, che forniscono bei punti panoramici di osservazione. Il percorso lungo 17 miglia dura circa 20 minuti fino a Carmel senza soste intermedie, poi dipende da quanto uno si ferma a far foto. Ci sono numerose piazzole di parcheggio lungo la strada che consentono una sosta per scattare foto, o uscire dall’auto e passeggiare lungo il mare o tra gli alberi. All’ingresso viene consegnata una mappa che evidenzia alcuni dei luoghi più panoramici della strada. Primo fra questi è il Lone Cypress Tree, un albero che è il simbolo ufficiale di Pebble Beach. In pratica si tratta di un cipresso solo e abbandonato cresciuto su uno spuntone di roccia a picco sul mare…davvero suggestivo! Per percorrere il tratto di 17-Mile Drive Road che attraversa la Pebble Beach Gated Community occorre pagare 9.50 $ ad auto…ladruncoli! Questo tratto di costa comunque è carino, anche se molto malinconico, non so se per via della nebbia che ogni tanto si dirada, ma troppo spesso ci circonda smorzando ogni colore e rendendo tutto il paesaggio visibile uniformemente grigio e umido.

Arriviamo a Carmel-by-the-sea ma proseguiamo la nostra marcia attraverso la regione del Big Sur. Il Big Sur è una regione della costa centrale della California, dove i monti Santa Lucia sorgono a picco sull’Oceano Pacifico. Questa conformazione produce un panorama meraviglioso. Nonostante il Big Sur non abbia confini marcati, nella maggior parte delle definizioni esso comprende i 150 km di linea costiera tra il fiume Carmel e San Carpoforo Creek e si estende per circa 32 km all’interno, fino ai piedi delle colline Santa Lucia. Le montagne trattengono gran parte dell’umidità delle nuvole, spesso in forma di nebbie ed è per questo che questo tratto della costa è spesso immerso in fitti banchi di nebbia. Quello che si riesce a vedere è comunque spettacolare. Scoscese pareti di roccia a picco sull’oceano e una lunga strada che come un serpente si snoda tra baie ed insenature aspre battute dal vento e spazzate dalle onde del mare burrascoso. Attraversiamo il Bixby Bridge, un ponte ad arcata singola a 98mt di altezza da cui si gode un panorama imperdibile. E’ forse uno dei punti più fotografati della costa sul Pacifico.

Come già detto la strada è molto tortuosa quindi tra buio e nebbia procediamo abbastanza a rilento e raggiungiamo San Simeon alle 21:30.

Alloggiamo al Silver Surf Motel e visto che proprio accanto al motel c’è un ristorante ancora aperto, ci fiondiamo dentro per la cena, prima di dover passare l’ennesima serata in camera a mangiare tramezzini.

MERCOLEDì 24 AGOSTO

La giornata sembra promettere bene e ci svegliamo col sole. Prima tappa della giornata è la spiaggia di Pedras Blancas, dove alloggia in modo stanziale una grossa colonia di elefanti marini. Lasciamo la macchina nel parcheggio e ci avviciniamo a piedi alla recinzione che delimita la spiaggia. E’ una colonia enorme, ci sono esemplari gigani che si muovono pigramente sulla sabbia rotolando su un fianco o sull’altro per scaldarsi per bene ai raggi del sole. Ci sono anche un sacco di cuccioli che sonnecchiano attaccati alle mamme. Bellissimi davvero!

Proseguiamo seguendo la costa, ma purtroppo torniamo presto ad essere immersi nella nebbia. Ancora una volta non si vede un piffero. Passiamo per i paesi di Cambria e Morro Bay ma visto il clima non siamo colpiti da ciò che vediamo e decidiamo di proseguire senza fermarci.

La nebbia si dirada nuovamente e raggiungiamo San Luis Obispo. Non è che ci sia nulla di che da vedere, è una cittadina come tante abbastanza anonima, però decidiamo di fermarci e di fare un giro in quella che ci sembra l’isola pedonale per sgranchirci un po’ le gambe. Avete dubbi su cosa possiamo aver trovato noi a San Luis Obispo? Il più grande negozio di Abercrombie mai visto con i saldi estivi più saldi mai visti! Usciamo dal negozio dopo più di un’ora con mille borse piene di vestiti. Cavoli ma come si fa a non comprare una felpa a 25 $ o un jeans a 20 $ quando da noi come minimo ti chiedono 80 Euro? Comunque per chi se lo stesse chiedendo, con l’abbigliamento che abbiamo comprato in questo viaggio ci siamo entrambi rifatti il guardaroba estivo/primaverile/autunnale (meno quello invernale perché le cose non erano in saldo) per gli anni a venire e ancora oggi a due anni di distanza, non passa giorno in cui non si indossi almeno un capo comprato negli States. Per questo ribadisco che se siete appassionati di certe marche come Timberland, Abercrombie, Tommy Hilfiger, Polo Ralph Loren, Levi’s, Nike…vi conviene andare con le valigie veramente semi-vuote e sbizzarrirvi comprando ciò che più vi piace…non vale la pena comprare queste marche in Italia, nemmeno con i saldi.

Ripartiamo felici come due bambini diretti verso la nostra tappa principale di oggi, la rinomata località costiera di Santa Barbara.

Qui finalmente c’è il sole e ci accorgiamo di essere in California, anche se le temperature non sono comunque quelle che credevamo di trovare ad agosto in una località di mare.

Alloggiamo al Best Western Pepper Tree Inn, un bell’hotel non proprio vicinissimo al centro, però avendo la macchina non è un problema.

Santa Barbara è una delle località balneari più famose della California per il suo clima particolarmente mite; la città con i suoi tetti di tegole rosse, i muri delle case dipinti di bianco e le palme lungo le vie, danno a questa città una forte impronta mediterranea, che rimanda alle sue origini spagnole. Tali origini sono evidenziate dai suoi due più importanti e antichi monumenti, la Mission Santa Barbara e El Presidio de Santa Barbara Historic Park, un sito archeologico ancora in fase di scavo costituito dalle antiche fortezze volute da Padre Junipero Serra per difendere la cristianizzazione e la colonizzazione spagnola.

Altre due zone sono molto battute dai turisti sono il molo, Stearns Wharf, uno dei più antichi della costa californiana, dove si trovano negozi di souvenir e diversi bar-ristoranti dove mangiare Fish&Chips, mentre l’altro punto vitale è State Street, la via più centrale di Santa Barbara. Qui si trovano tanti negozi, bar e locali notturni.

Percorriamo parte di State Street a piedi lasciando l’auto in un parcheggio a pagamento e raggiungiamo il molo. Qui passiamo diverso tempo a cercare di decidere dove cenare perché ci sono diversi posti che ci ispirano, ma sono tutti molto molto affollati e fuori inizia a fare freschino. Ce n’è uno allettante dove servono granchi freschi bolliti in grossi pentoloni, ma il locale è piccolissimo, senza tavoli, con banconi di legno e scomodi sgabelli dove la gente mangia pressata sgomitando…optiamo per un ristorante più classico e tranquillo con una bella vetrata e tavoli affacciati sul mare. Ristorante Moby Dick, tutto in stile marinaro, i cui arredi ricordano l’interno di una barca.

Finita la cena torniamo passeggiando alla macchina e poi in camera. Per essere agosto ed essere in una località rinomata per il clima mite, non fa per niente caldoooo!!

GIOVEDì 25 AGOSTO

Abbiamo ancora una cosa da fare prima di partire… andare alla ricerca di un nuovo borsone in cui stipare tutti i nostri nuovi acquisti! Troviamo un centro commerciale proprio vicino all’hotel e in un tempo accettabile usciamo con un bel borsone morbido con tanto di manico estraibile e ruote, che paghiamo 10$ e che imbarcheremo con un sovrapprezzo di 60$ come bagaglio extra. Visto il colore, il borsone verrà soprannominato “la Pantera Rosa”, andando a far compagnia alla coppia di valigie rigide azzurre nominate già prima di partire “Grande Puffo” e “Puffetta”.

Prima di lasciare la città visitiamo la Mission Santa Barbara. Questo complesso fu costruito nel 1786 dai francescani spagnoli in occasione della festa di Santa Barbara ed è ancora in uso come luogo culturale e storico della città, vi troverete anche un museo e negozi di souvenir. In pratica si tratta di una chiesa con annesso un chiostro ed altri edifici che formano appunto quella che viene definita una “missione”. Tutti gli edifici sono bianchi nel tipico stile spagnolo e la chiesa al suo interno è molto semplice e spartana come la gran parte degli edifici dei francescani.

Vale la pena farci una tappa, anche se breve, perché comunque è un complesso caratteristico di queste zone.

Salutiamo Santa Barbara e riprendiamo il viaggio lungo la costa californiana, diretti purtroppo all’ultima destinazione del nostro stupendo viaggio: Los Angeles.

La giornata però è ancora lunga e per fortuna soleggiata, quindi ce la vogliamo godere fino all’ultimo. Prossima meta:Santa Monica! Qui sì che si respira la tanto rinomata aria californiana, la musica dei Beach Boys, i ragazzi che fanno surf sulle onde mentre le avvenenti ragazze in bikini prendono il sole sulle lunghissime spiagge!!

“Everybody’s gone surfin’ Surfin’ U.S.A”…

La spiaggia di Santa Monica è favolosa, lunghissima e molto larga, con le piste ciclabili, la pista per correre, le zone attrezzate all’ombra delle palme, disseminata di torrette dei guardaspiaggia e a dominare il tutto c’è il Santa Monica Pier con il piccolo parco dei divertimenti.

Non ci facciamo mancare una passeggiata sulla Ocean Drive e per le bancarelle del Pier, ma soprattutto ci stendiamo sulla spiaggia al sole e Marco impavido decide di tuffarsi tra le fredde onde dell’oceano…brrr. Io lo guardo dalla riva e mi godo finalmente il caldo sole estivo.

Il Pier di Santa Monica è molto caratteristico, colorato, pieno di ristoranti, negozi, bancarelle, è stato costruito nel 1909, ed anche qui si trovano giostre ed attrazioni tipo lunapark tra cui la suggestiva giostra in legno dei primi del 900 ancora funzionante.

Stavolta azzecchiamo la scelta e ci fermiamo a pranzare al Bubba Gump Gamberi: spettacolare il locale a tema Forrest Gump naturalmente e spettacolare il cibo. Cucinano gamberi in ogni modo possibile ed immaginabile, una vera squisitezza! Chissà perché in Italia nessuno ha pensato di esportare questa catena di ristoran,secondo me c’è da far fortuna!

Al suo interno Santa Monica è percorsa dalla Santa Monica Promenade, l’unica grande via interamente pedonale di tutta l’area di Los Angeles, quindi non possiamo perderci nemmeno quella e facciamo un giro entrando a curiosare in qualche negozio, ma compriamo poco perché qui i prezzi sono alti e non c’è ormai più niente che ci interessi. Mi limito a comprare un paio di completini da Victoria Secret’s ma più per sfizio che per convenienza o necessità.

Compriamo anche un paio di Crocs ciascuno nel negozio Crocs…Marco le classiche in blu su cui attaccherò una spilletta con Topolino e una a forma di squalo dallevo simpatica, mentre io prendo un paio di infradito step-tone con il tallone bombato per far lavorare i glutei quando si cammina. Ad essere sinceri non è che siano molto comode e non le ho usate molto!

Finito il giro di shopping nella Promenade ce ne torniamo al molo per un’ultima veloce passeggiata sulla spiaggia e poi via alla macchina direzione LA.

La giornata è trascorsa anche fin troppo velocemente e non ci rimane molto tempo per visitare altri posti, quindi passiamo solo di sfuggita a Venice, che ci sarebbe piaciuto vedere con calma, ma che come tanti altri posti visti di volata in questo viaggio, metteremo sulla lista delle località in cui tornare la prossima volta che capiteremo da queste parti.

Raggiungiamo l’ultimo albergo del nostro bel viaggio, il classico hotel moderno senza charme in zona periferica vicino all’aeroporto, il cui unico vantaggio è quello di essere molto comodo per raggiungere velocemente domattina la Alamo per restituire la fidata Ford Escape compagna di mille avventure ed imbarcarci in orario senza rischiare di restare imbottigliati nel traffico del centro città o delle tangenziali.

Passiamo parte della serata/nottata a sistemare i bagagli e tutti i nuovi acquisti in modo da non avere problemi al check-in, dormiamo solo qualche ora in attesa della sveglia che suonerà all’alba.

VENERDì 26 AGOSTO

Per fortuna sbrighiamo tutte le varie formalità senza intoppi e prima di rendercene conto stiamo lasciando l’amato suolo americano… Questo però non è certo un addio, ma siamo più che convinti che sia solo un “arrivederci alla prossima occasione”!

L’America è grande e tanti sono i luoghi meravigliosi che non abbiamo visto, quindi non so se torneremo ancora nelle stesse zone visitate in questo viaggio, ma di certo se ne avremo l’opportunità torneremo a LA, magari utilizzandola ancora come base di partenza per un nuovo tour dell’ovest.

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Sognando la California: un viaggio on the road alla conquista del West!

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